Poco dopo l’alba la nave trovò un ormeggio tranquillo nel porto di Caithnard. Morgon sentì il tonfo dell’ancora di prua che veniva gettata nell’acqua immobile, e alzando gli occhi alla travatura reticolare del boccaporto vide una scacchiera di cielo velato di foschia perlacea. Raederle stava dormendo. Per qualche minuto contemplò il suo volto con una strana sensazione di stanchezza e di pace, quasi che avesse finalmente portato un prezioso tesoro fuori pericolo. Poi si distese sui sacchi di spezie e si addormentò. Il vocio della gente che lavorava sul molo quella mattina, e la calura che a mezzogiorno rese afosa la stiva non bastarono a disturbare i suoi sogni. Si risvegliò soltanto nel tardo pomeriggio, e voltandosi trovò Raederle seduta a vegliarlo lì accanto, fra le lame di sole che dall’alto s’insinuavano nel sottoponte.
Si tirò a sedere, sforzandosi di ricordare dove si trovava. Lei disse: — Caithnard. — Si teneva allacciate le ginocchia con le braccia, e su una guancia aveva ancora stampata la trama del sacco che aveva usato come cuscino. Negli occhi le brillava una strana espressione che dapprima lo stupì, finché non comprese che si trattava di paura. Accigliato la interrogò con un borbottio senza parole. Sottovoce lei chiese:
— Adesso cosa facciamo?
Lui si sporse ad accarezzarle una mano, poi si sfregò gli occhi. — Bri Corbett ha detto che ci troverà dei cavalli. Dovrai toglierti tutte quelle spille e forcine dai capelli.
— Cosa? Morgon, stai ancora sognando?
— No. — Accennò ai piedi di lei. — E guarda le tue scarpe.
Le guardò. — Cosa c’è che non va nelle mie scarpe?
— Sono belle. Anche tu lo sei. Pensi di riuscire a cambiare forma?
— E in cosa dovrei cambiarmi? — si stupì lei. — In una vecchia megera cenciosa?
— No. Ma hai sangue di cambiaforma in te. Dovresti esser capace di…
L’espressione spaventata e disgustata di lei lo azzitti. Concisa, Raederle rispose: — No!
Lui respirò a fondo, e quando la mente gli si fu schiarita del tutto imprecò in silenzio contro se stesso. Al pensiero della lunghissima strada che si stendeva attraverso il reame dritta verso il sole calante provò un attimo di panico. Non disse niente e cercò di radunare le idee, ma l’umida afa che stagnava nella stiva gli faceva sentire il cervello come una spugna. — Se viaggiamo a cavallo, significherà essere esposti su una strada aperta per troppo tempo. Pensavo di usare i cavalli soltanto finché non ti avrò insegnato a cambiare forma.
— Tu cambia forma. Io cavalcherò.
— Raederle, ma guardati! — protestò. — Su quella strada ci saranno mercanti di ogni angolo del reame. Nessuno ha visto me da un anno in qua, ma tu sarai subito riconosciuta, e non ci metteranno molto a capire chi è l’uomo che viaggia con te.
— Quand’è così — Scalciò via le scarpe, si tolse le spille dai capelli e li scosse dietro la schiena, — trovami un altro paio di scarpe.
La guardò in silenzio. Con l’elegantissimo abito di stoffa ricamata aperto intorno a sé, e la nuvola dei capelli ramati che le incorniciava il volto, anche stanca e pallida com’era la sua bellezza la faceva sembrare il personaggio di un’antica ballata. Sospirò e si tirò in piedi.
— Va bene. Aspettami qui.
La voce di lei lo raggiunse mentre saliva la scaletta: — Solo per questa volta.
Raggiunse Bri Corbett, che per tutto il giorno aveva atteso pazientemente il loro risveglio. I cavalli che Corbett s’era procurato erano già sul molo, con appese alle selle borse da viaggio e rifornimenti. Si trattava di animali tranquilli e pesanti, da fattoria, robusti e instancabili anche sui lunghi percorsi. Corbett, che si stava preoccupando delle implicazioni e delle difficoltà di un viaggio simile, rivolse a Morgon alcune domande inquietanti a cui lui rispose esibendo un tono ragionevole. Il comandante concluse offrendosi di accompagnarli.
Stancamente Morgon osservò: — Impossibile, a meno che non siate capace di cambiare forma.
Corbett rinunciò a insistere. Scese a terra e fece ritorno un’ora dopo, con un fagotto di abiti che gettò giù nel boccaporto fra le braccia di Morgon. Raederle li esaminò senza espressione, poi cominciò a cambiarsi. Scelse una gonna scura, una camicetta di lino, e una tunichetta piuttosto informe che copriva il tutto arrivandole alle ginocchia. Gli stivali erano in morbido cuoio, comodi ma privi di fronzoli. Si arrotolò i capelli riunendoli in un concio, e li coprì con un cappello di paglia a tesa larga. Con una smorfietta rassegnata si presentò a Morgon per l’ispezione di rito.
Lui disse: — Allacciati il cappello sotto il mento.
La ragazza gli diede un pugno sulla spalla. — E tu smettila di ridere di me!
— Non sto ridendo — disse, serio. — Aspetta di essere a cavallo e vedrai dove ti vola quel cappello da popolana alla spiaggia.
— Neanche tu passerai inosservato. Sarai anche vestito come un contadinotto al mercato, ma cammini con l’alterigia di un sovrano e gli sguardi che lanci attorno potrebbero fondere la pietra.
— Stai a guardare — le disse. Immobile, lasciò che in lui fluisse una calma assoluta; i suoi pensieri divennero ricordi e sensazioni: legno, roccia, il vago mormorio dell’acqua, gli indistinti rumori del porto. La sua identità esalò fuori da lui come sudore dai pori. Il volto fu percorso da tremiti che lo resero inespressivo; per un attimo gli occhi furono due pezzi di vetro opaco, vacui come il cielo estivo.
— Se tu non sei conscia della tua identità, poca gente si accorgerà di te. Questo è uno dei cento modi con cui mi sono tenuto in vita, attraversando il reame.
Lei lo fissava stupefatta. — Quasi non riesco a riconoscerti. È un’illusione?
— Solo in piccola parte. È sopravvivenza.
La ragazza tacque, e lui poté leggerle sul volto il conflitto che le agitava i pensieri. Gli volse le spalle senza dir altro e si avviò su per la scaletta, precedendolo sul ponte.
Il sole era una brace ardente che tramontava nell’entroterra del reame quando salutarono Corbett e montarono a cavallo. Gli alberi delle navi e le pile di merci proiettavano lunghe ombre sui moli che attraversarono. Nella velata atmosfera del crepuscolo la città parve a Morgon improvvisamente estranea, quasi che sul punto d’intraprendere il viaggio su una strada sconosciuta nulla gli sembrasse più familiare, neppure se stesso. Condusse Raederle per l’intreccio delle stradicciole, oltrepassò botteghe e taverne che un tempo aveva frequentato, verso la periferia, e svoltò in una via lastricata diretta fuori città. Ai confini dell’abitato la pavimentazione terminava, la strada si faceva molto più larga e dritta, segnata dal secolare passaggio dei carri, e spariva diretta a occidente tagliando per centinaia di miglia una terra di nessuno, finché ai limiti più lontani del reame girava a nord verso Lungold.
All’inizio del tratto sterrato fermarono i cavalli per qualche momento. Le ombre delle querce che crescevano sui due lati della carreggiata erano già svanite nel grigiore del crepuscolo, e la strada appariva irreale come un percorso senza fine e senza meta. Le grandi querce allungavano i rami sopra di loro, come se ogni albero cercasse di toccare quello sul lato opposto. Erano rugose, stanche, con foglie e tronchi ricoperti dalla polvere sollevata dai carri. Era una serata tranquilla; il traffico di veicoli in partenza dalla città s’era fermato del tutto. In distanza la boscaglia sfumava in un grigio sempre più scuro. Da qualche parte un gufo si destò e fece udire il suo rauco verso.
Spronarono i cavalli al trotto. Il cielo divenne nero e pian piano la luna si levò, spandendo un lucore latteo sulle chiome degli alberi. Tennero un’andatura svelta finché la luna fu alta nel firmamento, e le loro pallide ombre smisero di precederli per cominciare a seguirli. Poi Morgon scorse sulla destra un vasto spazio buio e vuoto; tirò le redini, e Raederle si fermò al suo fianco.
Non lontano da lì si udiva il mormorio dell’acqua. Morgon si passò una mano sul volto e lo sentì coperto da una maschera di polvere. Stancamente disse: — Ricordo d’essere già passato in questa zona. Scendendo a sud della Piana del Vento incrociai un torrente. Dovrebbe correre parallelo alla strada. — Fece girare il cavallo verso la radura. — Possiamo accamparci qui.
Non distante dalla strada trovarono il corso d’acqua, una striscia argentata che serpeggiava fra i cespugli. Raederle si lasciò cadere a sedere contro un tronco d’albero, mentre Morgon dissellava i cavalli e li faceva bere. Scaricò le borse e le coperte in un breve tratto libero dalla vegetazione, quindi si accovacciò accanto a Raederle e incrociò le mani dietro la nuca.
— Non sono più abituato a viaggiare a cavallo — disse. Lei si tolse il cappello e gli poggiò la testa su una spalla.
— Sono cavalli da tiro — mormorò lei. Pochi momenti dopo piombò nel sonno. Morgon le passò un braccio attorno. Per qualche minuto restò sveglio, con gli orecchi tesi. Ma ciò che udì furono soltanto i cauti rumori dei piccoli predatori notturni e il fruscio delle ali di un gufo, e mentre la luna scendeva lenta i suoi occhi si chiusero.
Si svegliarono nella luce abbagliante del sole estivo, con un rotolio di ruote e carriaggi cigolanti nelle vicinanze. Prima che avessero finito di mangiare, di lavarsi e di riportare i cavalli sulla strada questa s’era già riempita di veicoli, di mercanti a cavallo con grossi pacchi di roba, di contadini delle fattorie dell’interno che portavano i loro prodotti e animali a Caithnard, di uomini e di donne con scorte armate e bagagli adatti a un lungo viaggio che, ciascuno per le sue imperscrutabili ragioni, attraversavano il reame in direzione di Lungold.
Morgon e Raederle misero i cavalli al passo, un’andatura lenta e monotona che avrebbero dovuto sopportare per ben sei settimane. Mescolati a quel traffico così vario, talora a fianco di carretti carichi di maiali, talaltra dietro ricchi nobili su scalpitanti destrieri, la loro presenza passava inosservata. Morgon scoraggiò le chiacchiere oziose e cortesi dei mercanti rispondendo a grugniti ai loro tentativi di conversazione. Più tardi stupì Raederle insultando un ricco mercante che aveva fatto un commento sull’avvenenza di lei. L’uomo reagì con espressione irosa, stringendo forte le redini del suo cavallo; poi elargì un’occhiata agli stivali fangosi di Morgon e al suo volto impolverato, fece una risatina, s’inchinò lievemente a Raederle e passò via. Lei seguitò a cavalcare in silenzio, a testa bassa, con le redini che le penzolavano dalle dita. Chiedendosi cosa stesse pensando, Morgon le si fece accanto e le toccò un braccio. La vide alzare tranquillamente il viso, stanco e non troppo pulito.
— Tutto questo lo hai voluto tu — le disse.
Lei si limitò a fissarlo senza replicare. Infine sospirò, e parve rilassarsi un poco. — Conosci i novantanove insulti che Madir usò contro un uomo che le aveva rubato un maiale?
— No.
— Te li dovrò insegnare. In sei settimane potresti rimanerne a corto.
— Raederle…
— Smettila di chiedermi di essere ragionevole.
— Non era questa la mia intenzione!
— Sì, invece. Me lo stavi chiedendo con gli occhi.
Lui si passò una mano fra i capelli. — Qualche volta sei così irragionevole che riesco a paragonarti solo a me stesso. Insegnami questi novantanove insulti. Così avrò qualcosa a cui pensare mentre mangio polvere, da qui fino a Lungold.
Lei tacque un poco, col volto nascosto nell’ombra dell’ampio cappello. — Mi spiace — disse poi. — Quel mercante mi ha spaventato. Avrebbe potuto ferirti. So che per te rappresento un pericolo in più, ma fino ad ora non me n’ero resa davvero conto. Però, Morgon, io non posso… non posso…
— Va bene. Fuggi pure dalla tua ombra. Forse avrai più successo di quanto ne ho avuto io. — La vide distogliere lo sguardo. Per un po’ cavalcò senza parlare, osservando i riflessi del sole sulle doghe dei barili del carro che li precedeva. Infine, abbagliato, si passò una mano sugli occhi. — Raederle — disse. — Non è per me che mi preoccupo. Se c’è un modo per garantire la tua sicurezza, lo troverò. Tu sei reale, e sei accanto a me. Posso toccarti. Posso amarti. Per un anno intero, in quella montagna, non ho toccato nessuno. Davanti a me non vedo niente che io posso amare. Perfino i bambini che mi chiamarono col mio nome sono soltanto dei morti. Se tu avessi deciso di attendermi ad Anuin, io mi chiederei cosa potrebbe portarci di buono questa attesa. Ma tu sei con me, e ogni istante distogli i miei pensieri da questo futuro senza speranza per riportarli al presente, su di te… e alla fine riesco a trovare una specie di perversa felicità anche in questa polvere che mi riempie la bocca. — Si volse a guardarla. — Insegnami i novantanove insulti.
— Non posso. — La sua voce si udì a stento. — Tu mi hai fatto scordare come si fa a imprecare.
Più tardi tuttavia lui riuscì a convincerla, per ingannare la monotonia di quel lungo pomeriggio. Prima del crepuscolo lei gli insegnò sessantaquattro imprecazioni, una variopinta e dettagliata lista che copriva il ladro di porci dai capelli alle unghie dei piedi, il cui effetto finale era quello di trasformare in un porco anche lui. Poi uscirono di strada, ed a non più di cento passi ritrovarono il torrente della sera prima. Nella zona non c’erano locande né villaggi, cosicché tutti i viandanti che avevano tenuto la loro stessa velocità erano accampati nei pressi. Nella sera echeggiavano risate e note di strumenti musicali, e si sentivano gli odori della legna e della carne arrosto. Morgon risalì il corso del torrente e riuscì a prendere diversi pesci con le mani. Li pulì, li riempì con cipolle e rosmarino selvatico e tornò al bivacco. Raederle s’era fatta il bagno e aveva acceso il fuoco; sedeva lì accanto, pettinandosi i capelli bagnati. Le si avvicinò, e nel vederla sorridere gli apparve così dolce e femminile nella luce rosata della fiamma che per contrasto, e al ricordo della non troppo edificante conversazione a cui l’aveva quasi costretta quel pomeriggio, si sentì rozzo. Si inginocchiò davanti a lei, a disagio, e le poggiò accanto ai piedi i pesci avvolti dalle foglie come un’offerta. Lei gli sfiorò la guancia e la bocca con un dito.
— Scusami — le disse, in un mormorio.
— Di cosa? Di aver sempre ragione? Che cosa mi hai portato? — Svolse un cartoccetto di foglie, incuriosita. — Oh, pesce! — Mentre lui ancora imprecava in silenzio contro se stesso, Raederle gli prese il volto fra le mani e lo baciò più volte, a lungo, finché la polvere e la stanchezza di quella giornata gli scivolarono via dalla mente, e la lunga strada appena fatta divenne qualcosa di luminoso e piacevole nei suoi ricordi.
Più tardi, quando dopo cena sedettero a guardare i mutevoli giochi del fuoco, lei gli completò la lista degli insulti di Madir. Avevano trasformato anch’essi in maiale il ladro della favola, ad eccezione dei denti, degli orecchi e delle caviglie, di cui si occupavano i tre ultimi insulti, allorché dei lenti accordi d’arpa echeggiarono nella notte mescolandosi al mormorio del torrente. Ascoltandoli Morgon si distrasse senza volerlo da ciò che stava dicendo Raederle, e quando lei gli mise una mano su una spalla ebbe un sussulto.
— Morgon!
Lui si alzò di scatto, e allontanatosi dal fuoco di qualche passo fissò gli occhi nel buio. Appena ebbe abituato la vista all’oscurità vide che non distante c’era un gruppo di gente accampata sotto un’enorme quercia, davanti alla quale avevano acceso alcuni falò. L’aria era immobile, le voci e la musica risaltavano nitide e fragili nel silenzio. Per un attimo ebbe l’impulso, selvaggio e improvviso di spezzare le corde di quell’arpa con un pensiero e lasciare che la quiete tornasse a stagnare nella notte.
Dietro di lui Raederle disse: — Tu non suoni mai l’arpa.
Non le rispose. Da lì a poco la musica d’arpa cessò, e trasse un profondo respiro. Si volse e scoprì che Raederle sedeva accanto al fuoco con gli occhi fissi su di lui. La ragazza tacque finché non tornò ad accovacciarlesi accanto, poi disse di nuovo: — Non suoni mai l’arpa.
— Non posso farlo qui. Non su questa strada.
— Non sulla strada e non sulla nave, anche se là sei stato senza niente da fare per quattro giorni…
— Qualcuno avrebbe potuto sentirmi.
— Non a Hed e non ad Anuin, dove eri al sicuro…
— Io non sono mai al sicuro.
— Morgon — sospirò lei, incredula. — Quando comincerai a imparare a suonare quell’arpa? Sopra c’è il tuo nome, forse anche il tuo destino; è la più bella arpa del reame, e tu non me l’hai neppure fatta vedere.
La fissò. — Imparerò a suonarla di nuovo quando tu imparerai a cambiare forma. — Si distese all’indietro. Non vide ciò che lei aveva fatto al fuoco, ma esso si spense di colpo, quasi che la notte gli fosse piombata sopra come un macigno.
Dormì scomodamente, sempre a metà conscio che lei gli si agitava accanto. Dopo un poco si destò, tentando di scuoterla e svegliarla, di spiegare, di discutere con lei, ma la vista del suo volto pallido e remoto nel chiarore lunare lo fermò. Si girò supino, poggiandosi un avambraccio sugli occhi, e ricadde ancora nel sonno. Più tardi riaprì gli occhi di colpo, senza nessuna ragione ma sentendosi come se qualcosa si fosse insinuato nei suoi sogni per avvertirlo che un motivo c’era. Vide che la luna s’era abbassata molto, a occidente. Un attimo dopo un oggetto scuro sorse accanto a lui, occludendogli la visione del firmamento.
Gridò di sorpresa. Una mano ruvida gli tappò la bocca. La morse, d’istinto, e udì un grugnito di dolore. Con uno scatto si girò e balzò in piedi, ma nello stesso momento un violentissimo pugno alla mascella lo scaraventò contro il tronco dell’albero più vicino. Stordito sentì Raederle gridare di spavento e di dolore, e protese la mente verso le braci del fuoco strappandone una lingua di fiamma che s’innalzò vivida.
La luce improvvisa balenò su una dozzina di individui vestiti come mercanti. Uno di loro aveva afferrato Raederle per i polsi, e la ragazza si divincolava con gli occhi sbarrati per lo spavento. Dietro di loro i cavalli erano ombre che si agitavano e scalpitavano nervosamente. Morgon si precipitò verso gli assalitori. Un gomito che gli si affondò fra le costole lo fece sbandare di lato, e mentre cadeva in ginocchio usò il poco fiato che gli restava per pronunciare la cinquantanovesima imprecazione di Madir. L’uomo che gli s’era gettato addosso e lo strattonava mandò un gemito rauco, fissò terrorizzato le proprie mani e barcollò via fra gli alberi. L’aggressore che stava cercando di sollevare Raederle fra le braccia la lasciò andare, ed emise un grido: la ragazza era riuscita a sfiorargli il volto con una mano, e la sua barba aveva preso fuoco. Morgon ebbe una rapida visione dei suoi occhi inorriditi, mentre fuggiva a tuffarsi nel torrente. I cavalli erano in preda al panico. Prima che scappassero penetrò nelle loro menti grezze, insinuando fra quei pensieri legami di calma lunare, e in pochi attimi essi s’immobilizzarono come inconsci degli uomini che li stavano percuotendo per metterli in fuga. Li sentì bestemmiare delusi. Uno di loro balzò sulla groppa di un cavallo e gli affondò furiosamente i talloni nei fianchi, ma l’animale non si mosse di un palmo. Gli altri si allargarono minacciosamente, quindi presero a convergere su di lui. Morgon produsse un silenzioso Urlo mentale, e l’individuo che era salito in arcioni precipitò al suolo. Indietreggiò, preparando i pensieri a concentrarsi in un altro Urlo. Ma proprio allora l’uomo che era andato a spegnersi la barba nel torrente comparve alle sue spalle, e con uno spintone lo scaraventò sull’erba. Si rialzò a mezzo, preparandosi ad affrontarlo, e ciò che vide lo fece rabbrividire.
La faccia era la stessa di prima, e tuttavia non era più la stessa. Conosceva quegli occhi, li aveva conosciuti in qualche altro luogo, in qualche altro combattimento, e in essi c’era qualcosa che faceva parte dei suoi ricordi. Il volto era duro, bagnato, e segnato dalle bruciature, ma nonostante ciò quegli occhi erano ancora freddi, gelidi, calcolatori. Uno stivale che gli impattò su una spalla gli fece di nuovo perdere l’equilibrio. Mentre stava cadendo avvertì un rimbombo assordante nella nuca, o nell’interno della sua mente, non seppe capirlo. E in quello stesso istante un Grande Urlo esplose come un tuono sopra di loro. Immerse la faccia fra le erbacce e si aggrappò freneticamente al terreno che sussultava sotto di lui, protendendo una disperata stretta mentale verso i cavalli più per reggersi a quell’unico punto fermo che per tenerli immobili, in un mondo che vibrava in modo terrificante.
Piano piano l’eco dell’Urlo si allontanò. Risollevò la testa. Gli assalitori erano scomparsi; i cavalli avevano chinato il muso a brucare l’erba, del tutto inconsci delle grida e dei versi degli animali che si stavano alzando da varie parti presso la strada immersa nel buio. Raederle si lasciò cadere in ginocchio accanto a lui, pallida e ansimante.
— Sei ferita le chiese?
— No. — Gli carezzò una guancia, ed egli fece un sospirone. — Quell’Urlo ha funzionato. Per essere un uomo di Hed, sai gridare in modo fantastico.
La fissò a occhi sbarrati. — Ma… hai gridato tu!
— Io non ho gridato — sussurrò lei. — Sei stato tu.
— No, che non sono stato io. — Sedette sull’erba, si prese la testa fra le mani e cercò di risistemarsi il cranio sul collo. — In nome di Hel, chi ha urlato?
Lei ebbe un fremito improvviso, girando lo sguardo nella notte che li circondava. — Qualcuno che ci osservava, e che forse ci sta osservando ancora… è strano. Morgon, credi che quegli uomini volessero soltanto rubarci i cavalli?
— Non lo so. — Si massaggiò la nuca con le dita. — Non ne ho idea. Dapprima mi è parso che cercassero di portare via i cavalli, infatti, ed è questo che mi ha reso difficile combatterli. Voglio dire che erano in molti, è vero, ma anche troppo inermi perché potessi ucciderli. Inoltre io devo usare il mio potere col contagocce, per non attrarre l’attenzione di chi ne avvertirebbe la presenza.
— A quello che ti è saltato addosso per primo hai ricoperto tutto il corpo di setole di maiale!
Morgon si massaggiò le costole. — Se le meritava — borbottò. — Ma l’ultimo, quello uscito dall’acqua…
— Vuoi dire quello a cui ho bruciato la barba.
— Non lo so. — Si passò una mano sugli occhi, cercando di schiarirsi le idee. — Non so dire se l’uomo che è uscito dal torrente era lo stesso che si era tuffato nell’acqua.
— Morgon! — si stupì lei.
— Potrebbe aver usato del potere. Non sono sicuro, non lo so. Forse stavo soltanto vedendo quel che mi aspettavo di vedere.
— Se era un cambiaforma, perché non ha cercato di ucciderti?
— Forse non era sicuro della mia identità. Nessuno di loro mi ha più visto, da quando sono scomparso nel Monte Erlenstar. E ho usato ogni cautela nell’attraversare il reame. Certo non si aspettano che adesso vada in giro apertamente sulla Strada dei Mercanti in groppa a un cavallo da tiro.
— Ma se lui ha sospettato… Morgon, tu stavi usando il tuo potere sui cavalli.
— Era un semplice legame di silenzio, d’immobilità. Non può aver destato i suoi sospetti.
— Del resto, un Grande Urlo non sarebbe bastato a far fuggire un cambiaforma. Non è vero? A meno che non sia andato a cercare rinforzi. Morgon… — Innervosita lo prese per un braccio, cercando di tirarlo in piedi. — Che stiamo facendo seduti qui? Aspettiamo che ci tornino addosso, magari insieme a dei cambiaforma?
Si liberò dalla sua stretta. — Non tirarmi in questo modo. Ho la spalla mezza slogata, dannazione.
— Preferisci aspettare che vengano ad ammazzarci?
— No. — Rifletté qualche istante, esplorando con lo sguardo le fitte ombre della vegetazione oltre il torrente. Un ricordo gli fece comparire una smorfia sul viso. — La Piana del Vento. È poco a nord rispetto a questa zona. Ed è là che Hereu Ymris sta combattendo la sua guerra contro esseri umani e non umani… oltre questo torrente potrebbe esserci un intero esercito di cambiaforma.
— Andiamocene.
— Muovendoci a cavallo in piena notte riusciremo soltanto ad attirare l’attenzione. Andiamo ad accamparci più in là. Poi ho intenzione di scoprire chi è stato a urlare.
Rimisero le loro cose in groppa ai cavalli, senza far rumore, e quando si furono allontanati dal fiume trovarono una lunga fila di carri appartenenti a dei mercanti. Lì Morgon chiese a Raederle di aspettarlo, intanto che andava ad esplorare la zona.
La giovane donna protestò che non voleva lasciarlo andare da solo, e lui replicò pazientemente: — Sei capace di camminare sulle foglie secche così leggera da non farle neppure frusciare? Sei capace di restare così immobile che gli animali selvatici possano passarti accanto senza accorgersi di te? Inoltre bisogna che qualcuno badi ai cavalli.
— E se quegli uomini ritornano?
— Dopo aver visto quello che sai fare, chiunque abbia la barba ti eviterà con cura.
Lei andò a sedersi sotto un albero, brontolando qualcosa fra sé. Aveva un’aria così indifesa e vulnerabile che Morgon fu costretto a tornarle accanto.
Allungò una mano nell’aria e si fece materializzare in pugno la spada stellata, poi gliela appoggiò davanti. L’arma scomparve di nuovo. Sottovoce disse: — La lascio qui, in caso tu abbia bisogno di aiuto. È legata da un incantesimo. Se le tue dita la sfiorano, io lo saprò.
Si volse e senza produrre un fruscio si allontanò fra gli alberi.
Dopo il Grande Urlo la boscaglia era tornata alla solita quiete notturna. L’uno dopo l’altro controllò tutti i piccoli accampamenti che c’erano nelle vicinanze, in cerca di qualcuno ancora sveglio. Ma i viaggiatori che vide erano tutti pacificamente addormentati sui carri o nelle tende, o arrotolati nelle loro coperte accanto ai fuochi spenti. La luna spandeva un debole lucore grigiastro sul panorama. Alberi e cespugli erano masse d’ombra in cui la luminosità perlacea creava misteriosi ricami. Non spirava un alito di vento. I cespugli isolati che si stagliavano neri in quella penombra sembravano dormire anch’essi nel silenzio, e le querce erano immobili creature di legno. Poggiò una mano su una di esse, lasciò scivolare la mente sotto la corteccia e captò il lento mormorio dei suoi sogni centenari. Tornò verso il torrente e girò intorno al luogo dov’erano accampati. Nulla si muoveva. Concentrandosi sul fruscio del corso d’acqua vi penetrò con la mente, analizzandone ogni sussurro e vibrazione; ne scartò l’uno dopo l’altro i contenuti di suono e non vi trovò l’eco di alcuna voce umana. Proseguì sull’acqua del torrente senza far più rumore di quello del suo stesso respiro, accuratamente controllato. I suoi piedi non vi affondavano. La sua mente era tesa nel rendere il peso del corpo più lieve di quello di una foglia. Poi rallentò il passo. Poco dopo la luna tramontò, e il cielo si fece così scuro che non riuscì più a vedere niente, cosicché decise di tornare indietro. Ma prima di lasciare il corso d’acqua si volse in direzione della Piana del Vento, e riuscì a captare i clamori e le urla della battaglia nei frammenti di sogni dell’esercito di Hereu Ymris.
Infine si volse e cominciò a risalire il declivio boscoso verso la strada. Ma fatti appena tre passi si fermò, mentre una sorta di fluido da animale selvatico lo informava che nelle tenebre una forma in movimento s’era arrestata di colpo. Fra gli alberi c’era qualcuno di cui non era possibile distinguere le fattezze, una figura che come lo stesso Morgon era appena un’ombra indistinta e semitrasparente. Attese che la forma-ombra si muovesse, ma si accorse che restava immobile. Ad un tratto, intanto che lui esitava indeciso presso la riva, la forma si smaterializzò nella notte. Con la gola secca e il cuore che gli pulsava furiosamente Morgon cambiò forma, si alzò nell’aria senza rumore sotto le sembianze di un gufo, veloce e silenziosissimo, e volando basso fra gli alberi fece ritorno al campo.
Quando atterrò di fronte a Raederle, riprendendo di botto le sue fattezze umane, la fece sussultare per lo spavento. La ragazza allungò le mani in cerca della spada, ma lui si chinò subito a prenderla per i polsi e le fece rialzare il viso. — Raederle, sono io! — la rassicurò.
— Mi hai spaventato — ansimò lei.
— Scusami. Ho guardato in giro e… non so. Non sono sicuro di niente. Dovremmo essere molto cauti. — Sedette al suo fianco, fece di nuovo materializzare la spada e la impugnò con un sospiro. Cinse le spalle della ragazza con l’altro braccio. — Tu dormi. Io farò la guardia.
— Contro chi?
— Non lo so. Ti sveglierò prima dell’alba. Dovremo stare attenti.
— E come? — mormorò lei, sconsolata. — Ora sanno dove trovarti: da qualche parte sulla Strada dei Mercanti, diretto a Lungold. — Lui non rispose. Ebbe un brivido e la strinse più forte; lei gli poggiò la testa su una spalla. Da lì a poco, ascoltando il suo respiro, Morgon pensò che si fosse addormentata. Ma quando udì il suo sussurro, dopo un lungo intervallo di tempo, capì che anch’ella era tesa ad ascoltare la notte.
— Va bene — fu quel che disse, calma. — Insegnami a cambiare forma.