CAPITOLO SETTIMO

Quasi subito riconobbe Nun: una donna alta e snella, con lunghi capelli grigi e un volto magro dall’aria perspicace. Stava fumando una piccola pipa ingioiellata; i suoi occhi, che lo studiavano con uno strano miscuglio di meraviglia e preoccupazione, erano appena più scuri del fumo che esalava. Dietro di lei, sotto una torcia accesa, c’era un mago alto e magro, il cui volto dall’ossatura fine era rugoso e accigliato come quello di un Re temprato da cento battaglie. Aveva tracce d’oro nei lunghi capelli bianchi, ed i suoi occhi brillavano vividi come fiamme azzurre. Dava l’impressione di fissare Morgon da un lontano passato, quasi che per secoli fosse stato tormentato dalla visione delle tre stelle che ora scorgeva. Inginocchiato presso uno dei loculi della parete c’era un mago dagli occhi scuri, col volto magro e acuto come quello di un falco. A Morgon parve cupo e orgoglioso, finché incrociando il suo sguardo non scorse in esso l’ombra di un sorriso ironico. Si volse al mago alto e scarno che gli stava accanto, quello la cui voce sembrava appartenere a un Maestro di Caithnard. Appariva ascetico, fragile, ma nel vederlo fare qualche passo avanti Morgon sentì che in quel corpo sottile c’era un’energia sorprendente.

Incerto domandò: — Iff?

— Sì. — La sua mano si alzò alla spalla di Morgon, sfiorando il corvo con gentilezza, ed egli ricordò all’improvviso i libri che la Morgol di Herun aveva portato a Caithnard, coi loro margini nitidamente ornati di fiori selvatici.

— Voi siete lo studioso che amava la natura incontaminata.

Il mago alzò gli occhi in quelli del corvo e il suo volto placido apparve d’un tratto sorpreso, vulnerabile. Il mago dalla faccia di falco depose nel loculo il teschio che aveva fra le mani, e attraversò il sepolcreto verso di loro.

— Non molto tempo fa abbiamo rimandato ad Anuin un corvo proprio come questo. — La sua voce misurata, tesa, era molto simile agli occhi, fieri e insieme pazienti.

— Raederle! — esclamò Nun. Nel suo tono compiaciuto vibrò l’accento caratteristico dei guardiani di porci. — In nome di Hel, cosa stai facendo qui?

Iff sbarrò gli occhi per lo stupore. Tolse la mano dalle penne del corvo e gli disse: — Vi domando scusa, signora. — Si volse a Morgon: — Vostra moglie?

— No. Non ha voluto sposarmi. E non vuole neppure tornarsene a casa. Ma sa badare a se stessa, comunque.

— Contro Ghisteslwchlohm? — Gli occhi di falco si fissarono negli occhi del corvo. Agitandosi nervosamente il nero volatile si appoggiò all’orecchio di Morgon. Per un attimo il giovane fu tentato di toglierselo dalla spalla e nasconderselo sotto la tunica, sul cuore. Le sopracciglia del mago s’erano incurvate bizzarramente. — Per secoli ho servito i Re di An e di Aum. Dopo la distruzione di Lungold divenni un falco, e non feci altro che essere catturato, invecchiare al loro servizio, fuggire e poi tornare giovane ancora. Ho portato i loro cappucci di cuoio, i loro campanelli, e ho cacciato nel vento per tornare ogni volta nelle loro mani. Nessuno di loro, neppure Mathom di An, è mai riuscito a vedere cosa c’era dietro i miei occhi. In lei c’è un potere grande e tormentoso… mi ricorda qualcuno che vidi quand’ero un falco…

Morgon accarezzò il corvo con dolcezza, reso perplesso dal silenzio di lei. — Ve lo dirà lei stessa — mormorò infine, e il volto antico e orgoglioso cambiò espressione.

— Forse ella ha paura di noi? Ma per quale ragione? In forma di falco prendevo il cibo dalla mano di suo padre.

— Voi siete Talies — disse d’un tratto Morgon, e il mago accennò di sì. — Lo storico. A Caithnard ho letto ciò che avete scritto di Hed.

— Be’… — Di nuovo i suoi occhi acuti ebbero un sorriso. — Lo scrissi molti secoli fa. Senza dubbio Hed dev’essere cambiata molto, per aver prodotto oltre ai cavalli e alla birra anche il Portatore di Stelle.

— No. Se ci tornaste, trovereste l’isola immutata. — Ma nel ricordare gli spettri di An la sua voce ebbe un fremito. Tornò a volgersi al mago che aveva l’aria di un guerriero di Ymris. — E voi siete Aloil, il poeta. Avete scritto liriche d’amore a… — Di nuovo la sua voce esitò, stavolta per l’imbarazzo. Ma Nun stava sorridendo.

— È buffo pensare che la gente si preoccupi di ricordare queste cose dopo mille anni e più. Sei stato istruito bene in quella scuola.

— Gli scritti dei maghi di Lungold, le opere che non furono distrutte qui, formano la base della Scuola degli Enigmi — aggiunse lui, captando una domanda nella mente di Aloil. — Parte delle vostre opere sono a Caithnard, e le altre nella biblioteca reale di Caerweddin. Astrin Ymris ha molte delle vostre poesie.

— Poesie! — Il mago si passò una mano fra i capelli. — Avrebbero dovuto finir distrutte qui. Meritavano poco di meglio. Tu vieni in questo luogo a riportare dei ricordi, le storie di un reame che non vivremo abbastanza per rivedere. Noi ci siamo riuniti qui per uccidere Ghisteslwchlohm o morire.

— Non io — osservò tranquillamente Morgon. — Ciò che voglio è porre al Fondatore alcune domande.

Lo sguardo pensoso del mago parve abbandonare i ricordi per rimettersi a fuoco su di lui. — Domande!

— Questo è il suo campo — disse Nun con calma. — È un Maestro degli Enigmi.

— E gli enigmi cos’hanno a che fare con questo?

— Be’… — I denti della donna tornarono a stringersi sulla pipa, e fra essi soffiò piccoli sbuffi di fumo, senza rispondere.

In tono pratico Iff chiese: — Credi di averne la forza?

— Di ucciderlo? Sì. Ma devo… è necessario che io costringa la sua mente a rivelarmi delle informazioni. Troverò il potere di farlo. Da morto non mi servirebbe a niente. Però non posso battermi contemporaneamente anche coi cambiaforma. E non sono sicuro di quali siano i loro poteri.

— Tu ti proponi scopi complessi — borbottò Nun. — Noi siamo venuti qui con un obiettivo molto semplice…

— Ho bisogno che voi restiate in vita.

— Bene. È piacevole sentirtelo dire. Guardati intorno. — La luce della torcia sembrò espandersi seguendo il gesto della sua mano. — Qui c’erano ventinove maghi e oltre duecento fra uomini e donne di talento dediti allo studio, sette secoli or sono. Di questi, stiamo seppellendo i resti di duecento persone e ventiquattro maghi. Ventitré anzi, poiché Suth è stato sepolto altrove. E tu sai bene com’è morto. Tu hai camminato fra queste macerie. È una grande tomba gravida di magia. C’è ancora del potere in queste vecchie ossa, ed è perciò che le stiamo seppellendo: non vogliamo che fra qualche secolo tutte le fattucchiere e i negromanti del reame vengano qui a caccia di una mano o di un teschio per i loro piccoli incantesimi. I morti di Lungold hanno diritto di riposare in pace. Io so che hai infranto il potere di Ghisteslwchlohm per liberarci. Ma quando lo hai lasciato fuggire per metterti invece all’inseguimento di quell’arpista, gli hai dato il tempo che gli serviva per rafforzarsi. Sei certo, adesso, che riusciresti a impedire che qui si abbatta per la seconda volta la distruzione?

— No. Non sono certo di niente. Neppure del mio nome, perciò devo avanzare da un enigma all’altro. Ghisteslwchlohm ha costruito e poi distrutto Lungold a causa di queste tre stelle. — Si scostò i capelli dalla fronte. — Esse mi hanno guidato fuori da Hed, fin fra le sue mani… e senza di loro sarei rimasto a Hed per sempre, accontentandomi di fare la birra e di allevare cavalli da tiro, senza mai sapere se voi eravate vivi o morti, né che il Supremo di Monte Erlenstar fosse una menzogna. Ho bisogno di sapere cosa sono queste tre stelle. E perché Ghisteslwchlohm non aveva paura del Supremo. E perché mi voleva vivo, potente ma prigioniero. E quale potere lui teme che io raggiunga. Se lo uccidessi il Reame sarebbe libero dalla sua presenza, ma io resterei con delle domande a cui nessuno potrà mai rispondere… come un uomo con le tasche piene d’oro ma destinato a morir di fame in una terra dove l’oro non vale niente. Mi capite? — chiese, volgendosi ad Aloil, e nel suo volto duro e rugoso come corteccia ebbe l’impressione di rivedere il poderoso albero che il mago era stato per sette secoli, a Pian Bocca di Re.

— Ciò che io capisco — mormorò il mago, — è solo quello che lui mi ha condannato a essere per settecento anni. Fagli le tue domande. Poi, se sarà lui ad ammazzarti o se riuscirà a fuggire, io lo ucciderò, a costo della vita. Tu sai cos’è la vendetta. In quanto alle stelle che hai sulla fronte… non so come si possa riporre in loro una qualche speranza. E non comprendo nulla dei tuoi propositi. Se riusciremo ad andarcene vivi da Lungold potrò permettermi d’essere curioso sulle tue stelle, e sul potere che ti ha consentito d’immischiarti nelle leggi della terra di An. Ma ora come ora… ci hai liberati, hai riportato al presente i nostri nomi dal passato, hai seguito una strada che ti ha condotto fin quaggiù con noi e i nostri morti… tu sei un giovane e stanco Principe di Hed, con una tunica sporca di sangue e un corvo su una spalla, e dietro i tuoi occhi si cela un potere che hai strappato fuori dal cuore stesso di Ghisteslwchlohm. È per colpa tua che io ho trascorso sette secoli come una quercia, ascoltando solo il vento del mare? Quale libertà, quale destino ci hai dato modo d’incontrare qui?

— Non lo so — disse lui, rauco. — Vi troverò la risposta.

— Lo farai. — Nella sua voce s’insinuò una nota di stupore. — Lo farai, Maestro degli Enigmi. Tu non prometti speranze.

— No. Verità. Se riuscirò a trovarla.

Ci fu silenzio. La pipa di Nun s’era spenta. Le labbra, semiaperte, le davano l’espressione di chi vede qualcosa d’incerto e confuso cominciare a prender forma davanti a sé. — Riesci quasi — sussurrò, — a farmi sperare. Ma in nome di Hel, sperare cosa? — Lasciò perdere le sue riflessioni e si accostò a Morgon, esaminò lo squarcio della tunica e la cicatrice ancora fresca sotto di esso. — Hai avuto dei guai lungo la strada. E non quando eri in forma-corvo.

— Già. — Tacque, riluttante a parlarne, ma i loro occhi lo fissavano in attesa. — Una notte, seguendo la musica dell’arpa di Deth, sono caduto in un’altra trappola. — Il silenzio s’infittì intorno a lui. — Ghisteslwchlohm mi stava cercando lungo la Strada dei Mercanti. E mi ha trovato. Raederle era indifesa nelle sue mani, e non ho potuto far uso del mio potere contro di lui. Voleva riportarmi al Monte Erlenstar. Ma proprio allora i cambiaforma ci trovarono. Io sono fuggito… — Sfiorò la cicatrice rimastagli sulla tempia. — Mi sono nascosto proiettando un’illusione, e sono fuggito. Da quando abbiamo proseguito in volo, non ho più visto nessuno di loro. Può anche darsi che si siano uccisi a vicenda, ma ne dubito. — E sentendo il loro silenzio che lo premeva incalzante come una domanda, aggiunse: — Il Supremo ha ucciso il suo arpista. — Scosse il capo ed ebbe una smorfia, incapace di raccontare di più ai loro sguardi muti. Udì Iff emettere un sospiro, e avvertì l’esperto tocco della mente di lui nella sua.

Talies domandò, secco: — E Yrth dov’era nel frattempo?

Morgon rialzò lo sguardo dalle ossa sparse al suolo. — Yrth?

— Era con voi sulla Strada dei Mercanti.

— Nessuno… — Esitò. Un refolo d’aria penetrò oltre le illusioni che sbarravano il sepolcreto, e la torcia si agitò come un animale in trappola. — Con noi non c’era nessuno — disse. Ma poi ricordò il Grande Urlo uscito dal nulla, e la misteriosa figura che l’aveva guardato nella notte. Incredulo mormorò: — Yrth?

Gli altri si scambiarono un’occhiata. Nun disse: — È partito da Lungold per trovarti, per darti il poco aiuto che poteva. Non l’hai visto?

— Forse quando… ci attaccarono. Forse Yrth era lì. Ma non si è rivelato a me. Deve aver perduto le nostre tracce quando abbiamo cominciato a volare. — Cercò di ricordare l’accaduto. — Ci fu un momento, dopo che il cavallo mi colpì, che persi il controllo dell’illusione con cui mi proteggevo. E i cambiaforma avrebbero potuto uccidermi, allora. Avrebbero potuto farlo, ero inerme. Ma nulla mi toccò e… e forse fu lui a salvarmi la vita in quell’istante. Però, se è rimasto là dopo la mia fuga…

— Se avesse avuto bisogno d’aiuto ce lo avrebbe fatto sapere — disse Nun. Si passò sulla fronte una mano indurita dal lavoro, preoccupata. — Ma mi chiedo dove sia, adesso. Probabilmente ha assunto le spoglie di un vecchio viaggiatore e ti sta cercando, su e giù per la Strada dei Mercanti, non lontano forse dal Fondatore e dai cambiaforma…

— Avrebbe dovuto parlarmi. Se avesse avuto bisogno di aiuto, avrei combattuto al suo fianco. È per questo che sono qui.

— Ma avresti potuto perdere la vita. No. — Nun parve rispondere ai suoi stessi dubbi. — Lui tornerà, quando sarà il momento. Forse è rimasto là per dare sepoltura all’arpista. Un tempo Yrth gli insegnò alcune canzoni qui, in questa scuola. — La donna tacque, e Morgon lasciò vagare gli occhi sulle ossa. Presso il muro due scheletri sembravano abbracciarsi, e a quella vista chiuse gli occhi. Sentì il gracidio del corvo come da grande distanza, e la dolorosa presa degli artigli sulla spalla lo fece tornare alla realtà. Ansando si volse a fissare il corvo e si rese conto, d’improvviso, del sudore freddo che gli aveva imperlato il volto.

— Sono stanco — mormorò.

— E ne hai tutte le ragioni. — Iff lo aveva preso per un braccio. Il suo volto era una maschera di rughe sottili come capelli. — C’è uno spiedo con della selvaggina in cucina… la sola stanza rimasta con quattro mura e un tetto. Noi abbiamo dormito quaggiù, ma accanto al caminetto ci sono dei giacigli. Fuori dalla porta ci sarà una guardia, per sorvegliare i dintorni.

— Una guardia?

— Una delle guardie della Morgol. Sono state loro a provvedere alle nostre necessità, grazie alla generosità della Morgol.

— La Morgol è ancora qui?

— No. A lungo l’abbiamo esortata ad andarsene e lei non ci ha dato ascolto, finché d’improvviso, due settimane fa, senza dare spiegazioni è tornata a Herun. — Sollevò una mano e fece materializzare una torcia dall’aria e dalla tenebra. — Vieni, ti faccio strada.

Morgon lo seguì in silenzio attraverso l’illusione, lungo le stanze ingombre di macerie e poi giù per un’altra breve scala fin nelle cucine. Il profumo della carne arrosto in caldo sulle braci gli fece provare una stretta allo stomaco. Sedette a un lungo tavolo malconcio, intanto che Iff cercava un coltello e un boccale pulito.

— Abbiamo vino, pane, formaggio, frutta… le guardie ci tengono riforniti. — Tacque qualche istante, sfiorando una penna delle ali del corvo. — Morgon — mormorò poi. — Non ho idea di cosa ci porterà l’alba. Ma se tu non avessi deciso di venire qui, noi ci troveremmo davanti la morte certa. Quale che sia la cieca speranza che ci ha dato la forza di restare vivi per sette secoli, essa è radicata in te. Può darsi che tu abbia paura di sperare, ma io no. — Toccò appena la guancia ferita di Morgon. — Grazie per essere venuto. — Si raddrizzò. — Ti lascio qui. Noi lavoreremo per tutta la notte, e non credo che dormiremo molto. Se hai bisogno di noi, chiama.

Gettò la torcia nel caminetto e uscì. Morgon abbassò gli occhi sul tavolo, dove si allungava l’ombra del corvo. Infine si riscosse e pronunciò il nome di lei. Il pennuto parve sul punto di cambiar forma e aprì le ali, per balzar giù dalla sua spalla. In quel momento la porta esterna della cucina si aprì di botto ed entrò la guardia di turno: una giovane donna dai capelli neri la cui immagine Morgon trovò così familiare e tuttavia così nuova che lo stupore lo paralizzò. La ragazza era entrata a passi lunghi, ma nel vederlo si arrestò come se avesse sbattuto contro un muro. Poi deglutì un groppo di saliva.

— Morgon?

Lui si alzò. — Lyra! — Era cresciuta, vide. La corta tunichetta scura rivestiva un corpo alto e robusto. Nella penombra il volto di lei era per metà quello della ragazzina che egli ricordava e per metà quello della Morgol. Poiché sembrava incapace di muoversi, fu lui ad andarle accanto. E nell’avvicinarsi notò che la mano con cui reggeva la lancia tremava. Si fermò anch’egli.

— Sono io.

— Lo so. — Lei deglutì ancora, con gli occhi scuri colmi di sorpresa. — Come hai… come sei entrato in città? Nessuno ti ha visto.

— Hai messo una sentinella alle mura?

Lei annuì, nervosamente. — Non c’è altra difesa in città. Siamo state chiamate qui dalla Morgol.

— Tu. La sua Erede della terra.

La ragazza erse il capo nel gesto orgoglioso che lui rammentava. — C’è un motivo che richiede la mia presenza qui. — Poi, a passi lenti, gli si avvicinò, e illuminata dal fuoco la sua espressione parve sciogliersi. Lo abbracciò con forza, spingendogli il volto contro una spalla. Morgon sentì la lancia tonfare al suolo dietro di lui. La strinse a sé e si girò a baciarle una tempia, conscio dei sentimenti fieri e cristallini che la mente di lei emanava verso la sua come una brezza fresca. Quando la giovane lo lasciò e fece un passo indietro per guardarlo meglio, corrugò le sopracciglia nel vedere la ferita che ancora gli segnava un lato del volto.

— Avresti dovuto avere una guardia lungo la Strada dei Mercanti. La primavera scorsa Raederle e io abbiamo viaggiato a lungo per cercarti, ma tu eri sempre un passo avanti a noi.

— Lo so.

— Non mi stupisce che le sentinelle non ti abbiano riconosciuto. Hai l’aria di un… — Sbatté le palpebre, come accorgendosi del corvo soltanto allora. Il volatile la fissava immobile, aderendo ai capelli di lui. — Questo è… è Mathom?

— Il Re è ancora qui?

— C’è stato, tempo fa. E anche Har. Ma i maghi li hanno rimandati a casa.

La afferrò per le spalle. — Har? — sussurrò incredulo. — In nome di Hel, perché mai era venuto qui?

— Per aiutarti. Si è trattenuto nell’accampamento della Morgol, fuori Lungold, finché i maghi l’hanno persuaso ad andarsene.

— E sono davvero sicuri che lo abbia fatto? Hanno forse sondato la mente di ogni lupo dagli occhi azzurri rimasto nei boschi fuori città?

— Non lo so.

— Lyra, ci sono dei cambiaforma in arrivo. Sanno che possono trovarmi qui.

La ragazza tacque, e lui vide le riflessioni che le scivolavano negli occhi. — La Morgol ci ha fatto portare armi per i mercanti, ce n’erano poche in città. Ma i mercanti… Morgon, loro non sono soldati. E le mura verranno giù come croste di pane, sotto un attacco. Ho con me duecento guardie… — Nello sguardo le nacque una luce sconsolata che la fece apparire quasi una bambina. — Questi cambiaforma… che cosa sono? Tu lo sai?

— No. — Nell’espressione di lei c’era qualcosa di sconosciuto, il primo sintomo di paura che mai le avesse visto. Con voce più dura di quanto volesse chiese: — Perché?

— Hai sentito le notizie di Ymris?

— No.

Lei si morse le labbra. — Hereu Ymris ha perso la Piana del Vento. In un solo pomeriggio. Per mesi aveva respinto l’esercito dei ribelli, sui confini della Piana. I Nobili di Umber e di Marcher avevano messo insieme un’armata per ricacciare i ribelli in mare, e avrebbero dovuto raggiungere la Piana del Vento da lì a due giorni. Ma all’improvviso da Meremont e da Tor è sceso un esercito più numeroso e agguerrito di quello che chiunque avrebbe potuto aspettarsi. I soldati che sono sopravvissuti hanno raccontato di essersi trovati a combattere contro uomini che… che loro avevano già ucciso. Le truppe del Re sono state fatte a pezzi. Sul campo di battaglia c’era anche un mercante andato là per vendere cavalli. Costui è fuggito a Ruhn coi superstiti, e poi qui a Lungold. Ha detto che la Piana era… un incubo di morti usciti dai sepolcri. E da quel giorno Hereu Ymris non è stato più visto.

Dalle labbra di Morgon uscì appena un sussurro: — È morto?

— Astrin Ymris dice di no. Ma neppure lui è riuscito a trovare il Re. Morgon, se devo combattere questi cambiaforma con duecento guardie, lo farò. Ma se tu potessi almeno dirmi contro cosa dobbiamo batterci…

— Non lo so. — Sentì gli artigli del corvo stringersi. — Se ci sarà battaglia non dovrà essere qui in città. Non sono venuto per causare la seconda distruzione di Lungold. Cercherò di non dare ai cambiaforma un motivo per combattere qui.

— E dove andrai?

— Nella foresta, sulla montagna… dovunque, purché non sia qui.

— Io verrò con te.

— No. È assolutamente…

— Le guardie potranno restare in città, nel caso che ci sia bisogno di loro. Ma io verrò con te. È una questione d’onore.

La fissò in silenzio, a occhi stretti, mentre lei lo fronteggiava con calma. — Che significa? — chiese. — Hai fatto un voto?

— No, non ho fatto nessun voto. Però ho preso delle decisioni. E questa l’ho presa a Caerweddin, dopo aver saputo che avevi perso il governo della terra e che eri ancora vivo. Mi tornò in mente di quando a Herun mi parlavi del governo della terra, e di quanto significasse per te. Stavolta avrai una guardia del corpo.

— Lyra! Io ho già una guardia: cinque maghi.

— Oltre a me.

— No. Tu sei l’Erede di Herun. Io non ho intenzione di riportare il tuo corpo esanime a Corona per consegnarlo alla Morgol.

Lei scivolò via dalla sua stretta con un movimento così svelto che gli lasciò le mani a brancolare nell’aria. Raccolse la lancia e tornò a raddrizzarsi, tenendola bellicosamente eretta. — Morgon — disse sottovoce. — Io ho preso la mia decisione. Tu combatterai con la magia, io con la lancia. È il solo modo che conosco. O mi batterò qui, oppure un giorno sarò costretta a battermi nella stessa Herun. Quando tu incontrerai di nuovo Ghisteslwchlohm, io sarò lì. — Si volse, poi ricordò il motivo per cui era entrata. Raccolse una torcia e l’accese al caminetto. — Vado a dare un’occhiata ai dintorni. Poi rientrerò e farò la guardia a te fino all’alba.

— Lyra — disse stancamente lui. — Ti prego, torna a casa.

— No. Faccio semplicemente quello per cui sono stata addestrata. E tu anche — aggiunse, senza alcuna ironia. Tornò a fissare il corvo. — C’è qualcosa di particolare a cui dovrò stare attenta?

Lui esitò. Il corvo stava appollaiato sulla sua spalla come un pensiero oscuro, del tutto immobile. — No. Non questo volatile — disse infine. — È innocuo. Te lo giuro sulla mia vita.

Gli occhi scuri di lei si allargarono d’un tratto, distogliendosi dal volatile. Dopo un momento mormorò, confusa: — Una volta eravamo amici.

La ragazza uscì. Lui tornò al caminetto, ma i pensieri che lo tormentavano gli attanagliavano lo stomaco e non riuscì a mangiare. Spense il fuoco, lasciando ceppi anneriti fra le braci. Poi si distese su uno dei giacigli e col mento appoggiato su un avambraccio si volse a guardare il corvo. Era accovacciato al suo fianco sul pavimento. Allungò l’altra mano e gli accarezzò a lungo le penne.

— Non t’insegnerò a prendere nessun’altra forma — sussurrò. — Raederle, quel che è successo sulla Piana del Vento non ha niente a che vedere con te. Niente. — Ma parlare al volatile, scuoterlo, discutere, supplicarlo, non valse a ottenere alcuna risposta, e infine la stanchezza gli appesantì le palpebre e si addormentò.

All’alba i suoi sogni furono interrotti dal rumore di una porta che si apriva e veniva richiusa con un tonfo violento. Col cuore che gli balzava in petto sollevò la testa, e vide il volto giovane e sorpreso di una delle guardie. La ragazza gli rivolse un deferente inchino del capo.

— Mi spiace, Nobile. — Depose sul tavolo un secchio d’acqua e una caraffa di terracotta colma di latte fresco. — Non sapevo che voi dormiste qui.

— Dov’è Lyra?

— Sui bastioni settentrionali, a sorvegliare il lago. C’è un piccolo esercito di qualche genere che si avvicina dall’entroterra. Goh è uscita a cavallo per incontrarlo. — Lui si tirò in piedi con un brontolio. La ragazza aggiunse: — Lyra mi ha detto di chiedervi se potete andare là.

— Vengo subito. — Con la coda dell’occhio vide comparire accanto a sé Nun, avvolta in una nuvola di fumo di pipa. La maga gli poggiò una mano su una spalla come per tranquillizzarlo.

— Dov’è che vai?

— Sta arrivando una truppa sconosciuta; forse potrà essere d’aiuto, forse no. — Si gettò sul viso un po’ dell’acqua del secchio, versò un boccale di latte e lo bevve. Poi si volse di scatto al giaciglio su cui aveva dormito. — Ma dove… — I suoi occhi corsero freneticamente attorno, esplorando gli scaffali della cucina, i mobili e le travi del soffitto. — In nome di Hel, dove si è… — In ginocchio cercò sotto il tavolo, nella credenza e perfino nel caminetto pieno di cenere. Poi raddrizzò la schiena, pallido in faccia, e alzò lo sguardo su Nun. — Mi ha lasciato!

— Raederle?

— Se n’è andata. Non ha voluto neppure parlarmi. È volata via e mi ha lasciato. — Quando fu in piedi si appoggiò alle pietre del camino. — Sono state quelle notizie da Ymris. Sui cambiaforma.

— Cambiaforma. — La voce di lei suonò piatta. — Era questo che la tormentava, dunque. I suoi stessi poteri.

Lui annuì. — Ha paura che… — Le sue mani si abbatterono senza rumore sulla pietra. — Devo trovarla. Si sente in colpa, e il fantasma di Ylon la perseguita.

Nun bestemmiò i Re morti di Hel con l’espressività di un porcaro. Nei suoi occhi c’era una luce d’angoscia. — No — Disse stancamente. — La cercherò io. Forse con me vorrà parlare, abbiamo sempre avuto molta confidenza. Tu controlla che razza di esercito sia quello. Vorrei che fosse qui Yrth; la sua assenza mi preoccupa. Ma non ho il coraggio di chiamare né lui né Raederle; la mia chiamata arriverebbe dritta alla mente del Fondatore. Adesso lasciami pensare. Se io fossi una Principessa di An col potere di un cambiaforma, e volassi attorno come un corvo, dove potrei andare…

— Posso dirti dove andrei io — borbottò Morgon. — Ma lei detesta la birra.

Attraversò la città a piedi verso i moli sul lago, girando gli occhi intorno alla ricerca della forma di un corvo. I battelli dei pescatori erano tutti fuori sul lago, ma c’erano altre piccole imbarcazioni all’ormeggio: chiatte di minatori, barche a fondo piatto con cui i mercanti risalivano i fiumi per vendere le loro mercanzie ai cacciatori ed ai mandriani a nord del lago. Sui loro pennoni non vide appollaiato nessun corvo. Infine trovò Lyra, appoggiata al parapetto delle mura presso la porta che si apriva sulla riva. Parte dei bastioni settentrionali era lambita dalle acque e fungeva da supporto per i moli di legno; il resto era una serie di arcate aperte, fra le quali campeggiavano baracche e bancherelle di pescivendoli. Ignorando gli occhi vitrei per lo stupore di una donna che vendeva gamberi Morgon scomparve dinnanzi a lei, e si rimaterializzò a fianco di Lyra. La ragazza si limitò a sbattere le palpebre alla sua comparsa, quasi che ormai fosse abituata alle imprevedibili stregonerie dei maghi. Gli indicò la riva orientale del lago, e lui scorse lievi riflessi di luce sullo sfondo della foresta.

— Riesci a capire chi siano? — gli domandò.

— Ci proverò. — S’impadronì della mente di un falco che sorvolava gli alberi fuori dalle mura. I rumori della città divennero un sottofondo che isolò in un angolo del cervello, finché udì soltanto il fruscio della brezza mattutina e il lontano stridere di un altro falco che aveva mancato la sua preda. Incitò il volatile ad allargare i suoi cerchi, e vide scorrere sotto di sé le chiome dei pini, le chiazze di luci ed ombra del sottobosco, poi nude rocce scoscese già scaldate dal sole, dove le lucertole fuggivano nei crepacci quando su di loro passava l’ombra del predatore. La mente del falco analizzava ogni rumore, ogni più piccolo movimento nelle radure e all’ombra dei macigni. Lui lo spinse a oriente, costringendolo ad allargare sempre di più la sua esplorazione. Infine scorse sotto di sé una fila di guerrieri che si aprivano la strada nella boscaglia. Fece ruotare più volte il volatile sopra i soldati, finché i sensi del falco captarono qualcosa che zampettava fra l’erba: mentre si gettava in picchiata sulla preda, Morgon abbandonò la sua mente.

Vacillò contro il parapetto, appoggiandosi alla pietra. Il sole lo investiva ora da un angolo diverso, molto più alto di quanto si fosse aspettato.

— Sembrano guerrieri di Ymris — disse, stanco. — Hanno l’aria di aver viaggiato molti giorni nell’entroterra. Hanno la barba lunga e i cavalli malconci. Non ho sentito odore di mare in loro, solo il puzzo di sudore.

Lyra lo scrutò, con le mani sui fianchi. — Posso fidarmi di loro.

— Non ne ho idea.

— Forse me lo saprà dire Goh. Le ho ordinato di spiarli e ascoltare i loro discorsi, e poi stabilire se sia saggio parlare con loro. Mi fido del suo buonsenso.

— Scusami ma… — Si mise a sedere ai suoi piedi. — So che sono uomini, però non me la sento di fidarmi di nessuno.

— Lascerai la città?

— Non so. Yrth non è ancora tornato, e adesso Raederle è andata via. Se partissi, lei non potrebbe sapere dove sono. Ma se tu non vedi pericoli, nulla ci impedisce di aspettare ancora un po’. Se costoro sono soldati di Ymris potranno disporsi a difesa di quest’imitazione di mura, e tutti quanti si sentiranno più tranquilli.

Lei tacque un poco, lasciando vagare lo sguardo nell’aria ventosa come in cerca di due ali scure. — Tornerà — disse piano. — Ha molto coraggio.

Le circondò le spalle con un braccio, in una breve stretta. — Anche tu ne hai. Vorrei che tu tornassi a casa.

— La Morgol ha messo le sue guardie al servizio dei mercanti di Lungold per vegliare sulle attività pacifiche della città.

— Non può aver messo la sua Erede al servizio di questa gente. No?

— Oh, Morgon, smettila di discutere. Piuttosto, non puoi fare qualcosa per queste mura? Sono inutili, anzi pericolose; me le sento sgretolare quasi sotto i piedi.

— Va bene. Non ho nient’altro di meglio da fare.

Lei si volse e lo baciò su una guancia. — Sono certa che Raederle è da qualche parte a riflettere. Tornerà da te. — Lui fece per dire qualcosa, ma la ragazza scivolò via dalle sue braccia e lo fissò severamente. — Aggiusta questo bastione.

Nelle ore che seguirono Morgon si dedicò a ripararlo, cercando di non pensare a niente. Ignorò il traffico che gli passava accanto — i contadini e i bottegai che lo osservavano a disagio, i mercanti che lo riconoscevano — e restò con le mani e la fronte poggiate sulle antiche pietre. Insinuò la mente nel loro poderoso silenzio finché non sentì i punti dove avevano ceduto, le pietre traballanti, e le fessure che rendevano instabili le arcate. Costruì un’illusione di solidi macigni squadrati per chiudere ogni varco aperto in quei secoli e rafforzò ogni pietra, ristrutturando la massicciata. La chiusura di tutte quelle uscite dalla città causò disordine nel movimento dei carri e dei cavalli, e gruppi di gente spaventata corsero alla Sala del Consiglio per chiedere cosa stava succedendo. Il traffico, costretto a deviare verso la porta principale, aumentò e si fece caotico. Morgon cominciò a muoversi lungo le mura per saggiarne ogni tratto, tallonato da monelli da strada che lo guardavano lavorare con occhi sbarrati per la meraviglia e mandavano grida stupite nel vedere le pietre nascere dal nulla o fremere sotto le sue mani. Nel tardo pomeriggio, mentre si appoggiava con una tempia sudata alle pietre di un’arcata, avvertì il tocco di un altro potere. Chiuse gli occhi e attraversò quegli immobili silenzi che aveva imparato a conoscere bene. Per molto tempo la sua mente, scivolando in profondità fra le pietre, non udì altro che minuti e saltuari scricchiolii di calcina. Infine, seguendo la superficie scaldata dal sole dei bastioni opposti, avvertì davanti a sé una zona vibrante di potere grezzo. Cercò di esplorarla col pensiero. Era una forza che scaturiva dal terreno stesso, e si conficcava nel punto più debole di quelle pietre. Se ne ritrasse lentamente, un po’ spaurito.

Alle sue spalle c’era qualcuno che da qualche minuto continuava a chiamarlo per nome. Si volse, seccato, e scoprì che si trattava di una delle guardie della Morgol accanto alla quale c’era un soldato vestito di cuoio e cotta di maglia. Il volto abbronzato della ragazza era imperlato di sudore, e a Morgon parve stanca quanto lui. Gli si rivolse con voce dall’accento rude e tuttavia stranamente piacevole:

— Nobile, il mio nome è Goh. Questo è Teril Umber, figlio dell’Alto Nobile Rork Umber di Ymris. Mi sono presa la responsabilità di condurre in città lui e i suoi guerrieri. — Dietro la calma del suo sguardo c’era una lieve tensione. Morgon osservò l’uomo in silenzio. Era giovane, ma appariva indurito dalle battaglie e piuttosto stanco. Ignorando la sua occhiata sospettosa Teril Umber gli rivolse un leggero inchino di cortesia.

— Nobile, Hereu Ymris ci ha mandati a ovest il giorno prima… il giorno prima di perdere, a quanto ho udito, la Piana del Vento. Soltanto ora questa notizia mi è stata data, dall’Erede della Morgol.

— Vostro padre era a Piana del Vento? — domandò Morgon. — Io l’ho conosciuto.

Teril Umber annuì stancamente. — Sì. Non ho idea se sia sopravvissuto o meno. — Poi le sue spalle coperte dalla polverosa cotta di maglia si raddrizzarono. — Il Re era preoccupato sapendo che qui vi sono dei mercanti e cittadini inermi; un tempo ha navigato molto coi mercanti. E naturalmente voleva mettere a vostra disposizione tutti gli uomini di cui poteva privarsi. Siamo venuti in centocinquanta, e se ce ne sarà bisogno ci uniremo alle guardie della Morgol per difendere la città.

Morgon annuì. Quel volto magro e sudato su cui spuntava la barba di molti giorni aveva un’aria franca e insospettabile. — Disse: — Spero che questa necessità non si presenti. Il Re è stato generoso, mandando qui uomini che potevano essergli utili sul campo.

Lui strinse i denti. — Ancora non immaginava quanto terribile sarebbe stata la battaglia.

— Mi dispiace per vostro padre. Fu molto gentile con me.

— A volte parlava di voi… — Scosse il capo, passandosi una mano fra i capelli rossi. — Ne ha passate di peggio — disse, senza molta speranza. — Be’, sarà meglio che parli con Lyra e sistemi gli uomini prima che sia buio.

Morgon si volse a Goh. Il sollievo che le vide sul volto gli disse quanto era stata preoccupata. — Per favore, informa Lyra che con le mura ho quasi finito.

— Sì, Nobile.

— Ti ringrazio.

La ragazza annuì, con rude timidezza, e d’un tratto sorrise. — Di nulla, Nobile.

Mentre il suo lavoro sui bastioni proseguiva, ed il giorno si spegneva in un tramonto dai colori intensi, cominciò a sentirsi circondato da emanazioni di potere. Il mago che silenziosamente lavorava con lui sull’altro lato delle mura rafforzava le pietre prima che egli le toccasse, riempiva le fessure con grigie illusioni di granito, raddrizzava sezioni di muratura puntellandole con una forza invisibile. La cinta dei bastioni non aveva più l’aria d’aver perso una battaglia secolare contro le intemperie. Si ergeva salda, compatta, nuovamente distesa intorno alla città che difendeva con spavalda e incrollabile alterigia.

Morgon insinuò il suo potere fra pietra e pietra per cementare le ultime crepe nell’antica calcina; poi si appoggiò sfinito a una muraglia e si passò le mani sul viso. Poteva sentire l’odore umido del tramonto sollevarsi dai campi. La tranquillità di quel crepuscolo e il sereno cinguettare degli uccelli riportarono in lui le immagini di Hed. Solo il lontano gracidio di un corvo gli impedì di mettersi a dormicchiare seduto a terra. Si alzò e si diresse verso una delle due grandi porte che aveva lasciato aperte. Poco al di fuori di essa, oltre l’arcata, c’era un uomo con un corvo su una spalla.

Era alto, piuttosto anziano, con corti capelli grigi e un volto rugoso dall’aria dura. Stava parlando al volatile nel linguaggio dei corvi, di cui anche Morgon conosceva qualcosa. Mentre il corvo rispondeva la stretta gelida che da quel mattino attanagliava l’animo di Morgon si sciolse, e gli parve che il suo cuore si rilassasse in un luogo confortevole, forse nella stessa mano di quel vecchio mago, segnata dalle cicatrici-vesta. Si avviò da quella parte con calma, quasi cullato dal potere che sentiva emanare dal mago e dalla dolcezza che sembrava mostrare verso Raederle.

Ma prima di attraversare il portale vide il mago interrompersi a metà di una frase e gettare in aria il corvo, gridando qualcosa che lui non riuscì a capire. Subito dopo l’uomo scomparve. Senza fiato, Morgon ebbe l’impressione che il tramonto stesso arrivasse lungo la Strada dei Mercanti: senza rumore un’ondata di cavalieri il cui colore era quello del crepuscolo stava avanzando verso la città. Paralizzato dallo stupore vide una luce d’oro liquido spandersi sul portale sopra di lui. Il bastione cominciò a tremolare; dalle pietre che crepitavano ondeggiando esplose un’onda di potere che sconvolse i ciottoli della pavimentazione e scaraventò Morgon in ginocchio. Si rialzò di scatto e si volse.

Nel cuore della città le fiamme ardevano alte.

Загрузка...