Uscirono tutti velocemente senza scambiare una parola ed evitando di incrociare gli sguardi. Alexander si dileguò in un attimo. Harry e Laura salirono le scale insieme senza parlarsi né toccarsi. Nessuno prese l’ascensore.
Arrivati al primo piano Charlie e Constance si fermarono e guardarono nuovamente l’atrio. Alcune luci fioche brillavano, gli alberi e le piante in fiore sembravano quelli del giardino dell’Eden, mentre i fari azzurrini della piscina producevano un leggero luccichio sulla superficie dell’acqua. La cascata sollevava uno spruzzo scintillante ed emetteva bagliori con un flusso in eterno movimento. Milton comparve e svanì nel buio dietro alla piscina. Un istante dopo le luci della piscina si spensero. Milton ricomparve, si guardò attorno e uscì dall’atrio. Alcune deboli luci rimasero accese qua e là, l’oscurità aumentò e la stanza assunse una nuova dimensione, sembrò espandersi e diventare quello che loro chiamavano giardino. Charlie emise un leggero rumore gutturale, prese il braccio di Constance e andarono nella loro stanza.
Constance si tolse le scarpe con un calcio mentre Charlie aggiungeva gli ultimi fogli a quelli già impilati sulla scrivania. Guardò il mucchio di carta e aggrottò le sopracciglia.
«Charlie?»
«Uhm?»
«Perché qualcuno dovrebbe darsi la pena di rubare una serie di copie cianografiche dal momento che ce ne sono molte altre in giro?»
«Non lo so.»
«Non per le impronte digitali. Chiunque potrebbe averle prese in mano. Forse c’è una macchia di sangue o qualcosa del genere?»
«Non c’è stato spargimento di sangue» disse con un’aria cupa. Prese una sedia, attraversò la stanza, la incastrò sotto la maniglia della porta, fece un passo indietro e la guardò con aria insoddisfatta. «Lo sai cosa non sopporto? Le stanze d’albergo senza chiavi alla porta.»
«A me non piace Smart House» disse Constance. Si avvicinò alla porta scorrevole del balcone e si assicurò che fosse bloccata. Non era possibile chiuderla a chiave, ma sapeva che se qualcuno avesse cercato di forzare la serratura a scatto nell’anomalo silenzio di quella casa lei e Charlie lo avrebbero sentito. L’edificio era talmente massiccio che non si udiva neppure il rumore del mare, mentre oltre il balcone la nebbia era così fitta da formare una cortina impenetrabile sia alle luci sia a qualsiasi segno tangibile di civiltà. Constance rabbrividì e voltandosi trovò Charlie accanto a lei. La abbracciò e la strinse a sé.
«Non ho per niente sonno. E tu?»
Constance annuì. «Cos’hai in mente?»
«Un giretto per la casa. Aspettiamo un quarto d’ora in modo che vadano tutti a letto.»
Nei minuti successivi scartabellò tra i fogli che aveva accumulato, studiò a lungo le piantine della casa, radunò gran parte dei fogli e li mise in una delle valigie che chiuse a chiave e nascose nuovamente nell’armadio. Constance si era rimessa le scarpe e aveva trovato una piccola torcia portatile. Charlie sistemò i fogli rimanenti, la maggior parte in una pila, gli altri sparsi qua e là, poi li guardò per un istante. Si voltò con un sospiro verso Constance che chinò la testa senza protestare. Charlie le strappò un capello, tornò alla scrivania, sollevò il primo foglio di carta, posò il capello biondo sopra il foglio successivo sul quale il capello sembrò quasi scomparire e ricoprì tutto con il primo foglio.
«Lo sapevi che i peli degli orsi polari sono cavi all’interno?» le chiese. «Sono trasparenti.»
«Dovresti lavorare con un orso polare» gli rispose amabilmente.
Charlie scosse la testa. «Hanno un brutto carattere e poi non sanno cucinare.»
Tolse la sedia dalla porta, spense le luci e uscirono nell’ampio corridoio che proseguiva curvando in entrambe le direzioni, mentre di fronte a loro risplendeva la vetrata che si affacciava sull’atrio. Charlie prese Constance per mano e la condusse vicino alla vetrata.
«Voglio verificare quanto siano visibili laggiù gli spostamenti di una persona» le disse a bassa voce indicando col mento la piscina e l’atrio in generale. «Tu resti qui a guardare mentre io mi sposto qua e là, d’accordo?»
Le sfiorò lievemente la guancia con le labbra e si allontanò. Dopo pochi passi sparì dietro al corridoio curvo e riapparve dall’altra parte della vetrata. Appena raggiunto il primo piano dell’atrio quasi istantaneamente scomparve di nuovo.
Charlie si chinò nascondendosi dietro a una pianta, poi dietro a quella successiva. Riusciva ancora a vedere Constance, ma dal modo in cui lei si guardava attorno capì che lo aveva perso di vista. Rimase nascosto dietro a piante e alberi e continuò a scendere lungo gli ampi gradini che sembravano formare un terrazzamento naturale. Arrivato al pianterreno si fermò, non riusciva più a scorgere Constance dietro alla vetrata. Raggiunse il bar e i tavoli. L’illusione di trovarsi in una giungla era quasi totale. La debole illuminazione sembrava luce lunare filtrata attraverso una sottile coltre di nubi. Passò dietro a un’altra fioriera con un banano dalle foglie lunghe due metri e mezzo. Proseguì verso la piscina senza fermarsi, ne percorse il bordo e raggiunse il corridoio che portava alla sala idromassaggio e agli spogliatoi. Sul muro vide il quadro di comando delle luci. Accese quelle della piscina, entrò nella sala idromassaggio e si guardò intorno, riattraversò il corridoio, si affacciò nello spogliatoio e ritornò indietro passando nuovamente accanto alla piscina alla ricerca dell’uscita più vicina all’ascensore. Si sentiva molto indifeso e vulnerabile, avvolto da una pallida luce blu che gli sembrò più luminosa di quanto ricordasse. Arrivato alla porta si fermò e agitò le braccia facendo segno a Constance di raggiungerlo. Non era sicuro che lo potesse vedere, dal momento che lui non vedeva nulla al di là della vetrata.
Constance lo vide apparire e scomparire e poi ricomparire di nuovo dopo che Charlie ebbe acceso le luci della piscina. Quando le fece segno di scendere sospirò profondamente, e solo in quel momento si rese conto di aver quasi trattenuto il respiro per cercare di non fare rumore. Lasciò la sua postazione davanti alla vetrata e si avviò lungo il corridoio. Raggiunte le scale, iniziò a scenderle senza nemmeno prendere in considerazione l’ascensore in fondo al corridoio.
"C’è qualcosa" pensò. "C’è qualcosa di strano…"
Charlie le andò incontro, e Constance esclamò a bassa voce: «Ma certo!»
Come la raggiunse l’abbracciò, e non riuscì a spiegarsi la sensazione di sollievo che lo investì. «Allora?» le domandò.
«Tu che impressione hai avuto?»
«Che stessi osservando ogni mio movimento. Quanto sei riuscita a vedere?»
«È la stessa impressione che hanno avuto tutti durante il gioco, quella di essere spiati in ogni movimento. E non solo durante il gioco. È questa dannata casa» disse, e la indicò con un gesto. «Persino in questo momento ho la sensazione che ci siano centinaia di occhi puntati su di me.»
«Tesoro» la sollecitò pazientemente spingendola verso la cucina «dimmi cos’hai visto.» In cucina era stata lasciata accesa una tenue luce. Charlie trovò l’interruttore e ne accese qualche altra.
«Oh, be’, non molto. Ti ho visto al bar e poi, quando le luci si sono accese, ti ho visto camminare lungo il bordo della piscina e avvicinarti alla porta. Charlie, c’è dell’altro…» T pensieri le si affollavano nella mente, mentre Charlie la faceva sedere al grande tavolo di quercia e si accomodava a pochi centimetri da lei. Charlie non insistette perché lei continuasse, non le chiese nulla, si limitò ad aspettare e a fissarla.
«Ha a che fare con Gary» disse infine Constance a voce bassissima. «Persino adesso che il computer è spento, è come se la casa mi ascoltasse» disse storcendo la bocca in un sorriso che esprimeva tutto il suo disappunto. «Proviamo un irresistibile bisogno di sussurrare, di guardarci attorno per assicurarci che nessuno ci stia spiando o ascoltando. È la casa. Quanto sarà grande? Diecimila metri quadri, forse di più? Inoltre è tutta esposta alla vista, non c’è intimità da nessuna parte. Si ha la sensazione di essere osservati in ogni minuto, come se gli altri potessero vedere ogni cosa che fai. È colpa di tutto quel vetro, della posizione delle camere e di tutta una serie di cose. È un’enorme vasca per i pesci. A livello emozionale Gary era simile a un bambino, quantomeno questo è ciò che continuano a ripeterci. Gary era come un ragazzino pieno di segreti che amava i giochi, le sorprese e i misteri. Disponeva di molto denaro con cui giocare, non poteva resistere alla tentazione di mettere a punto un sistema segreto per spostarsi senza essere visto. Sono certa che è così, Charlie!»
«Le copie cianografiche scomparse» sussurrò. La guardò con un’espressione quasi intimorita. «Credo che tu abbia centrato il problema.»
«Potrebbe non avere nulla a che fare con gli omicidi» disse Constance. «Se ha visto Rich in giro con le copie cianografiche potrebbe aver fatto in modo di nasconderle per custodire il suo segreto finché non fosse stato pronto a rivelarlo.»
Charlie annuì. Stava ricostruendo mentalmente la camera da letto di Gary e il suo ufficio. La sua mappa mentale era molto accurata. Alcune persone definivano straordinaria l’abilità con cui riproduceva in ogni particolare i disegni degli edifici, delle stanze, dei corridoi, delle scale, dei ripostigli, dell’impianto elettrico, ma Charlie sapeva che si trattava solo di allenamento. Un impegnativo e accurato addestramento come vigile del fuoco lo aveva obbligato a sviluppare questa abilità di cui si era servito per molti anni. Allora lavorava a New York come investigatore specializzato in incendi dolosi, fu soltanto dopo che lasciò il dipartimento per diventare investigatore di polizia. In quel momento stava localizzando mentalmente l’impianto elettrico e idraulico della stanza di Gary. Charlie si alzò. Forse aveva capito dove si trovava la cubatura nascosta.
«Andiamo a dare un’occhiata» disse parlando a bassa voce come Constance.
Pochi minuti dopo Constance lo osservava esaminare la cabina armadio della stanza di Gary Elringer. Una grande porta scorrevole dava accesso alla cabina armadio pannellata di legno di cedro profumato. La cabina era vuota, c’erano solo alcuni attaccapanni di legno appesi a uno dei bastoni. La cabina era attrezzata con scaffali e cassetti, due bastoni per i vestiti e una luce a soffitto. Charlie tastò il legno della parete di fondo. Uscì dalla cabina armadio e passò a esaminare altrettanto minuziosamente la stessa parete dalla parte della camera da letto. Alla fine fece un passo indietro e annuì.
«Un metro per un metro» disse continuando a parlare a bassa voce. «Si tratta di una scala o di un ascensore. Scommetto che è un altro ascensore esattamente a fianco di quello grande che si trova oltre quel muro.»
«Riesci ad aprirlo?»
«No, non riesco nemmeno a trovare la porta, ma so che è lì da qualche parte. Probabilmente l’apertura è controllata dal computer.» Charlie prese Constance per un braccio. «Cerchiamo di seguire il percorso che fa e vediamo dove va a finire. Spostiamoci nell’ufficio di Gary.»
«Qui dietro c’è la cantina» disse misurando a passi lo spazio nell’ufficio di Gary. Al di là del muro c’era la cella frigorifera, i bidoni per la lunga conservazione di frutta e verdura e il montavivande. Nella misurazione i conti non gli tornavano per un metro. Charlie canticchiava sottovoce. Anche in quella stanza nulla faceva supporre che ci fosse una porta. L’ufficio era pannellato con un legno dalla tonalità ambrata, un legno costoso, esotico. Sebbene Charlie non fosse riuscito a capire di che qualità fosse, annuì approvandone la scelta. «Proseguiamo» disse infine. «Andiamo al piano terra, nella dispensa. Il tetto lo ispezioneremo domani alla luce del giorno.» Charlie era particolarmente allegro.
Nella dispensa il montavivande si trovava accanto a un freezer, e tra loro e l’ascensore principale c’era il solito metro di spazio apparentemente inutilizzato. Nell’ufficio la pannellatura nascondeva la porta che dava accesso a questo spazio, proprio come accadeva nella camera da letto con la porta scorrevole della cabina armadi. Lì al pianterreno la parete era rivestita alternando il legno bianco a quello scuro, un altro modo perfetto per mascherare una porta. Spense le luci del corridoio intenzionato a fare uno spuntino e andare a letto. Avevano fatto un buon lavoro quella sera, pensò. D’un tratto le dita di Constance si conficcarono nel suo braccio.
«Shh» gli sussurrò la moglie, e si diresse verso l’atrio. Le luci della piscina illuminavano la parte in cui si trovavano loro, mentre la rimanente era avvolta da un’oscurità pressoché totale, rischiarata qua e là da luci fioche. C’era sicuramente qualcuno nell’atrio.
Charlie e Constance si immobilizzarono, sforzandosi di vedere oltre alla vetrata e alle pallide chiazze di luce. Charlie aspettò qualche secondo, poi si avvicinò cautamente al corridoio principale. "L’atrio ha troppe uscite" pensò. "Quattro o sei al pianterreno e almeno quattro al piano delle camere." Un’ombra passò tra lui e uno degli spot.
«Sta’ attenta» le sussurrò. «E non ti muovere da qui.»
Charlie si allontanò velocemente lungo il corridoio e ritornò in cucina, da lì in sala da pranzo e nuovamente nel corridoio principale, ma questa volta arrivò ai piedi della scalinata. La salì di corsa sino al primo piano e si fermò rasente al muro. Anche a quel piano erano state lasciate accese delle luci fioche dislocate in modo irregolare. Fece una pausa per riprendere il fiato e uscì pian piano allo scoperto nel corridoio, si abbassò per non oscurare la luce dell’applique e cominciò a scrutare l’atrio dall’alto, ben sapendo che nessuno avrebbe potuto vederlo. In quello stesso istante attraverso la vetrata colse un movimento proprio di fronte a lui, al di là dell’atrio ma all’estremità del corridoio del suo stesso piano, e imprecò silenziosamente. Il misterioso individuo era riuscito a salire prima di lui. Corse dall’altra parte del corridoio curvo ma non vide più nessuno. Di sicuro però qualcuno era passato da lì, era entrato in una delle ultime due stanze o era sceso giù dalle scale. Si chinò davanti alla porta della penultima stanza e appoggiò l’orecchio ma non udì nulla. Oltrepassò le scale che conducevano nell’ingresso principale della casa e origliò attaccato all’ultima porta. Il risultato fu lo stesso. Lentamente sollevò la mano che aveva appoggiato sulla moquette di fronte alla porta, guardò le dita e poi la moquette. Era terra, terriccio per vasi. Senza far rumore prese il portafoglio ed estrasse una carta di credito con cui radunò la terra e la raccolse. Non ce n’era molta, non più di un cucchiaino, ed era umida al tatto, friabile, con piccoli granuli e palline d’argilla per la messa a dimora delle piante. Avvertì anche un odore di cloro.
Trovò l’accesso al primo piano dell’atrio e vi si infilò, chiuse la porta scorrevole e cominciò a scendere l’ampio scalone. Non riusciva a scorgere Constance, e probabilmente nemmeno lei poteva vederlo perché in quel punto la vegetazione era particolarmente fitta.
Charlie riemerse al piano terra del giardino e Constance, come lo scorse, abbandonò la propria postazione e gli andò incontro in corridoio. «Sei riuscito a vederlo?»
«No, e tu?»
«Di sfuggita, mentre saliva, ma non saprei descriverlo nei particolari. Cos’hai lì?»
«Della terra. Vediamo se in cucina riusciamo a trovare un sacchetto di plastica o qualcos’altro. E un paio di cucchiai magari.»
Ritornarono in cucina e Constance trovò il cassetto con la pellicola trasparente, il rotolo di alluminio e i sacchetti di plastica. Osservarono il terriccio prima che Charlie lo facesse scivolare cautamente in un sacchettino e lo chiudesse con un fil di ferro. Ripose la carta nel portafoglio e si infilò in tasca il sacchettino. «I cucchiai» disse.
Constance aveva un’aria dubbiosa. «Ci sono un infinità di piante in vaso in questa casa.»
«Lo so» rispose sconfortato. «Se entro un paio di minuti non troviamo niente rimanderemo tutto a domani e lasceremo che se la sbrighi il giardiniere. Ora però proviamoci almeno.»
Arrivati alla porta del giardino Constance si fermò nuovamente. «Sai dov’è l’interruttore generale delle luci?»
Charlie lo sapeva. Raggiunse il quadro elettrico che si trovava in corridoio dietro alla piscina, e provò diversi interruttori prima di trovare quello che accendeva tutte le luci del giardino. Fu come assistere a un’aurora. Lo sconforto di Charlie aumentò: era una giungla. C’erano vasi e contenitori di ogni forma e grandezza, alcuni simili a lunghi trogoli, altri a un mezzo barile, altri ancora semplicemente rotondi. Lo sfagno era ovunque, tra i vasi e sulla terra all’interno di essi. Lì per lì Charlie aveva pensato che sarebbe stato facile trovare il punto in cui lo sconosciuto aveva scavato perché sarebbe bastato guardare la superficie della terra. Adesso però si accorse che non era così semplice.
«Be’, gli è rimasta della terra sotto le scarpe e ha sporcato la moquette. Forse non lo ha fatto solo una volta.»
Constance annuì osservando attentamente ogni vaso. «Non ha preso qualcosa, lo ha nascosto. A seconda delle dimensioni dell’oggetto che ha nascosto potrebbe essere rimasta una montagnola di terra.»
«Perché pensi che non abbia disseppellito qualche cosa?»
«Semplicemente perché non avrebbe molto senso. Queste piante si possono spostare tutte, credo che vengano rinvasate spesso, che le si cambi spesso di posto. Se qualcuno ci avesse lasciato qualcosa, anche per pochi giorni, immagino che il giardiniere lo avrebbe trovato. I vasi più grandi poggiano su rotelle. Suppongo che per alcuni periodi dell’anno vengano messi a rotazione nella serra. Vegetano meglio nella serra» aggiunse quasi sovrappensiero. Pensava alla grande impresa che li aspettava senza decidersi a prendere l’iniziativa.
Charlie cominciò a salire i gradoni di pietra osservando in anticipo ogni gradino alla ricerca di altro terriccio smosso. Ogni alzata era in pendenza ma, a meno di osservarla da vicino, non lo si notava. A ridosso di ogni gradino c’erano dei canali di scolo e, con grande disappunto di Charlie, anche un impianto di irrigazione automatico, il tipo di impianto usato normalmente per i prati in cui la pressione dell’acqua faceva emergere degli spruzzatori che dopo aver bagnato scomparivano nuovamente nel terreno. Non era del tutto certo del motivo per cui la cosa lo rendeva furente, ma la reazione che ebbe fu esattamente quella. A un certo punto capì: se non avessero trovato il vaso giusto l’impianto si sarebbe messo in funzione all’alba cancellando ogni traccia, proprio come il piccolo aspirapolvere si sarebbe staccato dal muro e avrebbe pulito la terra sulla moquette.
Charlie salì un altro gradino, e poi un altro ancora. Il profumo era così intenso da essere nauseante. C’erano fiori bianchi e rosa e poi un vaso più grande con una pianta rampicante… Charlie borbottò qualcosa a bassa voce e si accovacciò. C’era della terra.
Constance lo raggiunse e, prima di concentrarsi sui vasi, osservarono la terra sparsa sul pavimento. Le gardenie erano in fiore ma molti boccioli non si erano ancora dischiusi. Ammassate tutto intorno c’erano piante di verbena e una bella lobelia strisciante interamente coperta di fiori azzurri. Charlie cominciò a rimuovere lo sfagno. Il terreno sotto al muschio del primo vaso sembrava intonso, ma quella terra doveva pur venire da qualche parte, pensò cupamente, e tolse dell’altro muschio.
«Aspetta un attimo» disse Constance. Prese un vaso di gardenia, afferrò la pianta, rovesciò il vaso e sollevò la gardenia scoprendo le radici strette in una massa compatta. La rimise a posto e sollevò quella successiva sotto lo sguardo attento di Charlie. Constance capì che Charlie non aveva mai visto una pianta costretta in un piccolo vaso. «Le gardenie amano riempire il vaso di radici prima di formare i boccioli» gli spiegò, e cominciò a rovesciare anche gli altri. Charlie la precedette per andare a liberare il grande vaso che conteneva la palma. In quello almeno c’era spazio per scavare, stava pensando, quando udì Constance esclamare sommessamente qualcosa. «Charlie! Guarda.»
In una mano reggeva la pianta, nell’altra il vaso, e quando Charlie ci guardò dentro vide un oggetto simile a una calcolatrice. Sapeva benissimo che si trattava del computer portatile. Lo tirò fuori pian piano tenendolo per l’estremità più stretta.
«Cosa cazzo state facendo?»
Bruce e Jake stavano scendendo gli ampi gradini di pietra. Jake era in vestaglia e pantofole, mentre Bruce indossava ancora gli abiti trasandati di quella sera, il maglione sformato, le scarpe da ginnastica con le stringhe slacciate, i jeans.
«È questo l’oggetto di cui parlavate stasera?» domandò Charlie affabilmente, osservandoli mentre si avvicinavano camminando tra la terra dei vasi rovesciata.
Jake emise un fischio e annuì. Bruce allungò la mano per prenderlo ma Charlie lo ritrasse. Jake guardò i vasi, il muschio rimosso e aggrottò le sopracciglia, «Era nelle piante? Come l’avete trovato?»
«Diciamo che è stato un tentativo fortunato. Andiamo in cucina, vorrei lavarmi.»
«Ce n’è solo uno? Magari…» Jake guardò i vasi lì intorno, poi l’intera stanza e alla fine si strinse nelle spalle. «Anche se ce ne fossero altri, potrebbero essere dappertutto» disse.
«Ammesso che ce ne siano altri, aspetteranno sino a domani» replicò Charlie. Attese che Constance rimettesse la gardenia nel vaso, poi li fece scendere e li condusse fuori dal giardino.
In cucina Constance prese un altro sacchettino di plastica e tutti osservarono Charlie infilarci dentro l’unità di controllo e chiudere il sacchetto.
«Merda!» gridò Bruce. «Proprio come nei film! Ha davvero intenzione di rilevare le impronte digitali? Non crede che un assassino intelligente le avrebbe cancellate tutte?»
«Cosa le fa pensare che sia intelligente?» domandò Charlie come se fosse sinceramente interessato a una nuova idea. S’infilò in tasca il secondo sacchetto e andò al lavello dove Constance aveva già cominciato a lavarsi le mani.
«Si dà il caso che fino a oggi gli ospiti di questa casa fossero tutte persone intelligenti» disse Bruce.
Charlie annuì e sorrise. «E casualmente voi due eravate svegli a fare la guardia alla piscina?»
«Io non ero sveglio» disse Jake con uno sbadiglio. «Ho sentito qualcuno sul balcone. Naturalmente ho controllato ma non ho visto nessuno. A quel punto ero più sveglio che mai, così ho deciso che mi ci voleva qualcosa da bere. Ho incontrato Bruce in corridoio, vi stava spiando.»
«È una dannata bugia!» gridò Bruce. «Da dentro non si riesce a sentire nessun rumore sul balcone. Stavo solo scendendo a mangiare qualcosa. Pensavo che foste dei ladri, vi è andata bene che non sono tornato in camera a prendere la pistola!»
Jake si sentì quasi soffocare. «Mio Dio!» esclamò incredulo. «Tu possiedi una pistola?» Fu percorso da un brivido e voltò la testa leggermente da una parte.
«Sì! E sono un ottimo tiratore, per cui stai attento, stronzo che non sei altro!»
Jake ruotò di nuovo la testa verso di loro, la scosse e si capì chiaramente che stava ridendo. «È meglio che mi prepari da bere, visto che sono sceso per questo. Ci dev’essere qualcosa anche qui in cucina. Di sicuro non ho intenzione di andare al bar del giardino, non finché qualcuno non lo avrà ispezionato tutto.» Cominciò ad aprire gli sportelli sorridendo e alla fine trovò una bottiglia di bourbon. «Charlie? Constance?»
Bruce cominciò a rovistare nel frigorifero. Jake versò da bere a Charlie e a Constance, si avviò verso la porta con il suo bicchiere in mano e lo sollevò. «Alla salute. Ci vediamo domani.» Poi, rivolto al socio: «Ah, Bruce, saprai anche da che parte sparare, spero» dopodiché si allontanò.
L’espressione di Bruce era più corrucciata che mai. Tirò mori dal frigo un vassoio di prosciutto affettato coperto da una pellicola trasparente e cominciò a prepararsi un panino. Charlie si unì a lui e mangiò un pezzetto di prosciutto. Era molto buono.
«Ha preso in mano l’unità di controllo quando suo fratello gliel’ha mostrata?» domandò a Bruce.
«No, non mi avrebbe mai permesso nemmeno di toccarla. Ci vuole un po’ di senape» disse, e tornò a prenderla in frigorifero.
«Sto solo cercando di capire cosa si poteva fare con quell’apparecchietto» spiegò Charlie. «Le ha mostrato come funzionava?»
Bruce lo guardò con disprezzo. «Lei non sa un accidente di computer, vero?»
«Esatto.» Charlie aveva assunto un atteggiamento allegro e scherzoso particolarmente crudele. Constance si sedette al tavolo e li osservò.
«D’accordo, d’accordo, le spiego come funziona. Allora, il computer principale opera con un programma e l’unità di controllo invia una sorta di radio segnale che può essere captato dall’unità centrale. Ha guardato l’apparecchietto? Ha una tastiera con dei numeri. Immaginiamo che lo si programmi per accendere le luci quando si preme il tasto A. Quindi parte un segnale che arriva al computer principale il quale riceve il comando e lo esegue. Il portatile viene programmato semplicemente per inviare dei segnali.» L’insofferenza di Bruce era scomparsa, ora il suo tono lasciava trapelare una rassegnata e paziente disponibilità che lo stesso Charlie assumeva quando spiegava qualcosa a uno studente particolarmente sprovveduto. «Questo significa» proseguì Bruce «che si possono usare tutte le lettere, i numeri e le possibili combinazioni per inviare un segnale, avendo come unico limite quello della memoria del computer principale. Il portatile può fare esattamente le stesse cose di quello grande, se viene programmato in anticipo.»
«Mi sembra un po’ rischioso» disse Charlie perplesso. «E se si preme per sbaglio il tasto A?»
Bruce diede un morso al panino e scosse la testa. «Prima bisogna attivarlo attraverso una sequenza di lettere per avvertire il computer principale che ci si sta connettendo con lui.» Bruce parlava con la bocca piena e le parole uscivano attutite.
Charlie prese un’altra fetta di prosciutto. «Quanto tempo ci vuole per modificare un programma, una volta stabilita la connessione col computer principale?»
Bruce si strinse nelle spalle. «Dipende. Per riprogrammare tutto un paio di minuti. Per uno o due comandi invece, se si conosce il programma da cui iniziare, qualche secondo. Non dimentichi che nessuno di noi lo conosceva, e quindi ci sarebbe voluto un po’ più di tempo.»
Charlie sembrò sorpreso. «Mi sta dicendo che qualcuno avrebbe potuto farlo anche senza conoscere il programma, il linguaggio e tutto il resto?»
«Non si può impedire a un bravo hacker di entrare in un programma, qualsiasi esso sia. Senta, sa qualcosa di musica?»
«So distinguere Wagner da Verdi» rispose Charlie con circospezione. «Perché?» Dall’espressione smarrita di Bruce si rese conto che i nomi erano quelli sbagliati.
«Facciamo finta che sappia qualcosa di musica» propose Bruce. «Diciamo per esempio che sa riconoscere lo stile di Springsteen da quello di Simon o di chiunque altro. Quelli bravi hanno uno stile riconoscibile per cui si capisce chi sta cantando, d’accordo? La stessa cosa succede con i programmatori. Quelli bravi hanno uno stile che alla fine diventa riconoscibile. Tendono a ripetere continuamente le stesse operazioni. Qualcuno magari è più stringato, altri più prolissi, altri ancora usano scorciatoie con le quali pian piano acquistiamo dimestichezza. Forse Alexander è il migliore e possiede uno stile ben preciso. Sa, era il responsabile del gruppo dei programmatori. Insomma, chi conosce il suo stile sa anche dove andare a cercare, sa quale sarà con ogni probabilità la sequenza successiva. Chiunque fosse stato abbastanza sveglio da maneggiare un computer avrebbe potuto penetrare nel suo programma, chiunque, e come ho già detto, fino a oggi gli ospiti di questa casa potevano essere considerati tutti dannatamente svegli.»
Charlie annuì distrattamente. «Mi chiedo perché nessuno ne abbia parlato prima.»
Bruce rispose con un’alzata di spalle e prese dell’altro prosciutto.
«Se era così facile, mi domando come mai suo fratello non abbia riprogrammato il computer per escludere sua madre dal gioco.»
Bruce si pulì le mani sui jeans.
«Oppure mi domando come mai suo fratello abbia pensato che vostra madre potesse confermare la sua tentata uccisione, Bruce, visto che aveva annunciato di non voler partecipare al gioco.» Bruce, nel frattempo, era divenuto immobile, la bocca increspata, lo sguardo penetrante.
«E questo cosa significa?» domandò. «Dove vuole arrivare?»
«Se solo lo sapessi. In quel frangente non le è parso curioso che suo fratello se la prendesse tanto pur sapendo che vostra madre non rientrava tra i giocatori?»
«Gary era uno stronzo.»
«Pensa che abbia manipolato il gioco facendo in modo che fosse lei la sua prima vittima?»
«È possibile. Sarebbe stato tipico del suo modo di fare.»
«A quel punto però, anche se il primo tentativo non era stato registrato, lei avrebbe saputo di essere la vittima di Gary, giusto? Quindi avrebbe potuto cercare di evitarlo. Quando le ha mostrato l’unità di controllo?»
Il volto di Bruce si rilassò di colpo, poi divenne tutto grinzoso come quello di un bambino sul punto di fare una scenata. Charlie si ricordò di come trattava sua sorella Jessica da piccola quando assumeva quell’espressione. "Temporale in vista" le diceva, e lei lo guardava sempre con un’aria sospettosa, aggrottava le sopracciglia e la maggior parte delle volte rinunciava a piangere solo perché lui se lo aspettava. Il ricordo di quelle scene era ancora estremamente vivido nella sua mente. Constance assomigliava a Jessica ogni giorno di più. Charlie si scosse e tornò a concentrarsi su Bruce.
«Non è stato Gary a parlarmene» mormorò Bruce. «Ho sentito che lo diceva a qualcun altro.»
Charlie inarcò le sopracciglia e non fece commenti.
«Pensavo che lo avesse detto a tutti tranne me, è per questo che… Insomma, pensavo che lo sapessero tutti. Mi trovavo al piano interrato e stavo esaminando i vari impianti, il sistema automatico per la manutenzione della piscina, l’aspirapolvere automatico, questo genere di cose. Andai dietro all’ascensore per dare un’occhiata alla presa di scarico e aspirazione, e udii la sua voce. Pensai che si trovasse nell’ascensore e di certo non mi sarei lasciato sfuggire l’occasione di origliare. Non so con chi fosse, non sono riuscito a vederli e l’altra persona non ha detto nulla. Gary rise e disse: "Non essere stupido. Certo che ho un supporto tecnico di sicurezza. È qui nella mia tasca, guarda!". Ho capito subito di cosa si trattava e quanto fosse grande. Era l’unica spiegazione plausibile. Sarebbe stato da idioti non avere un secondo sistema di controllo.»
Charlie annuì. «E poi?»
«E poi niente. Hanno smesso di parlare, forse l’ascensore è partito, oppure sono usciti. Sono salito dalle scale sul retro della casa, quelle che portano nei locali adiacenti alla sala idromassaggio, alla porta che dà sull’esterno.»
«Quello è il punto in cui passano tutti i tubi, i fili elettrici, le tubature che arrivano alla serra e alla cella frigorifera, vero?»
Bruce si strinse nelle spalle. «Per accedervi bisognava essere abilitati. Ovviamente lo avevo immaginato, così ritornai a esaminare gli impianti.»
«A che ora li ha sentiti parlare?»
«Che cazzo ne so? A un certo punto del pomeriggio. Se avessi saputo che sarebbe diventato un caso federale avrei preso appunti! Vado a dormire.»
Bruce uscì a grandi passi dalla cucina, Constance si alzò dal tavolo e si spostò al bancone dove il marito continuava a piluccare il prosciutto con aria assente. Constance allontanò il piatto. «Ti verranno gli incubi stanotte.»
«Probabile. Cosa ne pensi di Bruce?»
«È ossessionato dalla gelosia. Se le cose stanno così con il fratello morto, figuriamoci come dovevano essere quando era ancora vivo! Poverino.»
«Ricordati che quel poverino ha una pistola e anche qualche rotella fuori posto.»
Constance lo guardò sorpresa. «Non dirmi che hai creduto alla storia della pistola?»
«Tu no?»
«Certo che no. È la tipica minaccia del ragazzino che si vanta di qualcosa per intimidire chi ha di fronte. Non mi è neanche passato per la testa che fosse vero.»
In realtà neanche a lui era passato per la testa, pensò confusamente Charlie. «Dove lo stai portando?»
Constance aveva preso il piatto col prosciutto. «Nel frigorifero, e poi porto te a letto. Lo sai, più vedo questo genere di uomini e più ti apprezzo.»
«E tu sei proprio una gran brava moglie» replicò Charlie.