13

Trascorsero l’ora seguente aspettando. Di tanto in tanto qualcuno si alzava per andare in bagno, per prendere da bere o del caffè, sempre in compagnia di un agente dello sceriffo che li accompagnava fino alla porta. Le rare occasioni in cui qualcuno parlava, lo faceva a monosillabi. Più volte Maddie aveva provato a prendere un libro, ma poi aveva finito sempre col riposarlo. Bruce camminava, si sedeva, si rialzava e ricominciava a camminare. Alexander si contorceva e si dimenava. Laura faceva degli schizzi, girava velocemente le pagine e riprendeva a fare schizzi. Sia Harry che Jake erano immobili e sembravano aver talmente compresso i loro sentimenti che nessuna molla avrebbe potuto sopportare tanta tensione.

Charlie faceva un solitario con le carte e li osservava tutti. Stavano ognuno per conto proprio, il più possibile lontani l’uno dall’altro, come se avessero la percezione che uno sguardo o un contatto fossero sufficienti a innescare un’esplosione. L’elicottero era arrivato e dalla grande vetrata lo avevano visto volteggiare, fermarsi in un punto fisso, poi abbassarsi e scomparire in un crescendo di rumore, e infine ripartire. Ora non restava che aspettare l’investigatore speciale. Uno dei poliziotti guardava fuori dalla vetrata. Nessuno aveva avuto modo di chiedere a Charlie se intendeva parlare del gioco all’investigatore. Charlie radunò le carte, le mescolò e ricominciò il solitario.

Nella stanza si udì un leggero fruscio, come se avessero tirato un sospiro di sollievo collettivo, e finalmente fecero il loro ingresso due agenti statali in uniforme, più una terza persona in borghese. L’uomo indossava dei jeans, e sopra a una maglietta un giubbotto color cachi. Harry e Jake si alzarono, ma furono zittiti dallo sguardo glaciale con cui passò in rassegna i presenti. Il suo sguardo si soffermò su Constance e in particola!" modo su Charlie che aveva osservato la scena comodamente appoggiato allo schienale della poltrona.

«Conosce già gli altri» disse Jake. «Le presento Charlie Meiklejohn e sua moglie Constance Leidl. Sono… consulenti. Il capitano Dwight Ericson.» E terminò le presentazioni.

Osservando il nuovo arrivato Constance si rese conto che Dwight Ericson avrebbe potuto essere un perfetto fratello minore per lei. Quanto sarebbe stato felice suo padre con un figlio così. Suo padre non aveva mai fatto intuire in alcun modo la sua delusione per non aver avuto un figlio maschio, ma aveva insegnato alle figlie maggiori a sciare e sparare, ad andare a cavallo e a mungere le vacche, e aveva insistito perché frequentassero l’università e intraprendessero una carriera professionale. Gli sarebbe piaciuto un figlio come Dwight Ericson. Non aveva ancora quarant’anni, era alto più di un metro e ottanta, aveva delle ampie spalle e una vita stretta. I capelli erano biondi come quelli di Constance e gli occhi dello stesso colore azzurro chiaro. Constance si sedette e osservò Charlie e il capitano annusarsi e girarsi intorno come due cani randagi, sebbene nessuno dei due si fosse mosso. Constance trattenne un sorriso.

Charlie annuì. «Lei è un investigatore speciale?» Il tono della sua voce lasciava intuire che Dwight Ericson era troppo inesperto, troppo giovane e troppo ingenuo per la posizione che ricopriva. Charlie si alzò pigramente. «Sicuramente saprà già tutto dei giochi e dei divertimenti che si sono svolti in questa casa la scorsa primavera, per cui è inutile ritornare sugli stessi argomenti. Ora però c’è una terza vittima da prendere in considerazione. Gli hanno sparato?»

Ericson lo guardò attraverso le fessure degli occhi e annuì.

«Credo sia meglio che scambiamo due parole» gli propose Charlie.

Ericson esitò un istante, sì voltò e condusse Charlie nella biblioteca. Uno degli agenti statali restò con il gruppo e l’altro lo seguì. L’uomo dello sceriffo se ne andò, mentre Charlie e Constance seguirono Ericson. Constance sapeva che tutti gli occhi erano puntati su Charlie, e che ognuno voleva chiedere cosa avrebbe raccontato dello stupido gioco a cui avevano accettato di partecipare alcuni mesi prima. Non c’era modo di rassicurarli sul fatto che aveva deciso di non parlarne. Se solo avessero ascoltato si sarebbero accorti che lo aveva già detto chiaramente.

Nella biblioteca, Ericson si fermò davanti a un lungo tavolo e sembrò quasi studiarlo con interesse. Poi si voltò e guardò Charlie e Constance più attentamente. «Meiklejohn. Lei si è occupato di quel caso di omicidio di Ashland, vero?»

Charlie annuì.

«L’hanno coinvolta per indagare sulle due morti di maggio?»

«Per essere precisi, Milton Sweetwater è venuto a casa nostra e ci ha coinvolti.» Avvicinò una sedia per Constance e un’altra per sé. «Ericson, possiamo lavorare insieme oppure posso andarmene in giro da solo a curiosare, ma in un modo o nell’altro temo di dovermi occupare di questo caso.»

Dwight Ericson si sedette e si strofinò gli occhi. «Non la voglio ostacolare. Sa quanti abitanti ha l’Oregon? Quasi tre milioni, e si estende per un territorio enormemente vasto. Io sono l’investigatore speciale di questo stato, l’unico investigatore speciale. Sinceramente, Mr Meiklejohn, se mi potrà essere utile, mi creda, accetterò il suo aiuto.»

Charlie annuì cordialmente. «Tre, quattro milioni, poco cambia, lei rimane comunque sott’organico. Io posso mostrarle come Gary Elringer, e forse altri, si sono spostati in questa dannata casa senza essere visti la notte dei due assassinii.»

«Allora mi hanno mentito dicendo che il computer ha registrato ogni loro movimento.» Sembrava risentito, come un bambino a cui era appena stato rivelato che Babbo Natale non esiste.

«Non del tutto, o quantomeno solo alcuni le hanno mentito.»

«E che mi dice della ferita d’arma da fuoco? Come sapeva che avevano sparato a Sweetwater?»

«Non lo sapevo» ammise Charlie. «È stata una deduzione logica. Ho detto allo sceriffo delle macchie di sangue sul ciglio della scogliera ma non ho visto assolutamente nessuna arma. Sweetwater era un uomo robusto e in buona forma. Mi è sembrato poco logico supporre che qualcuno lo abbia semplicemente spinto giù, che sia caduto o si sia buttato. La presenza delle macchie di sangue mi ha fatto capire chiaramente che le cose non sono andate così. Non rimaneva molto altro a cui pensare se non a una pistola.»

«Va bene. E in che modo riuscivano a spostarsi senza che il computer registrasse i loro movimenti?»

«La cosa migliore per spiegarglielo è farle vedere cosa abbiamo scoperto nell’ufficio di Gary» rispose Charlie. «L’idea è venuta a Constance, è stata lei a sospettare che Gary Elringer avesse un passaggio privato per entrare e uscire.»

Scesero nel seminterrato.

«Vede» disse Charlie poco dopo nell’ufficio di Gary «basta selezionare "sala tv" nella directory del computer, digitare il codice segreto e guardi cosa succede!» Ericson emise un leggero suono gutturale. «Siamo arrivati qui solo ieri» disse Charlie quasi con un tono di scuse. «Non abbiamo ancora avuto il tempo di approfondire la cosa, ma non mi sembra male come inizio.» Premette il pulsante di apertura con la gomma della matita così come aveva fatto la volta precedente, e si ritrovarono a fissare il piccolo ascensore con le copie cianografiche e i computer portatili sul pavimento.

Ericson si avvicinò, poi chiese bruscamente: «Avete toccato qualcosa?»

«No. Lo avevamo appena scoperto quando Beth è rientrata a casa annunciando il ritrovamento del corpo di Milton Sweetwater. Non abbiamo avuto molto tempo per fare delle indagini. C’è una porta sulla parete di fondo dell’ascensore» aggiunse a bassa voce «e il solo posto in cui la si può aprire è al pianterreno, in corrispondenza dell’uscita dietro al grande freezer che porta nel piccolo corridoio dietro al bagno e allo spogliatoio. Da lì ci vuole un attimo per arrivare nella sala idromassaggio o per uscire fuori attraverso la porta che si trova in corridoio.»

Ericson fece segno di avvicinarsi all’agente in uniforme. «Voglio che verifichiate subito se ci sono delle impronte digitali. Passate al vaglio tutto quanto nella stanza.»

Quindi si voltò verso Charlie e Constance, mostrando la stessa considerazione per entrambi, e domandò a Constance: «È stata un’intuizione o glielo ha detto qualcuno?»

«Penso che la maggior parte di loro sarebbe sorpresa da questa scoperta» disse Constance con un’aria assorta.

Quando entrò il secondo agente si fecero da parte, e i due uomini si misero al lavoro nell’ascensore.

«Non lo sa ancora nessuno» disse Charlie. «Le ho detto che avevamo qualcosa per lei ed eccola qua. Forse vorrete rilevare le impronte anche su questo.» Tirò fuori dalla tasca il terzo computer avendo cura di reggerlo per l’estremità del sacchetto di plastica. Descrisse in che modo l’aveva ritrovato e spiegò cosa erano in grado di fare i computer portatili.

All’improvviso Ericson sorrise e parve ringiovanito di molti anni. «Va bene. Cos’altro avete scoperto?»

«Tocca a lei» disse Charlie con un’aria seria. «Per caso uno dei due uomini è stato spostato, trascinato, buttato a terra violentemente… Insomma, capisce perfettamente a cosa mi riferisco, no?»

Constance sapeva che stavano giocando a un gioco che entrambi conoscevano. Per il momento nessuno dei due aveva intenzione di cedere di un millimetro, e continuavano a sondarsi a vicenda cercando di valutare fin dove potevano spingersi.

«No» rispose Ericson.

«Ne è sicuro?» gli domandò Constance.

«Oh, sì. Si cercano graffi, indumenti in disordine, segni sul pavimento o sulla moquette, lucido da scarpe, frammenti di tessuto e cose di questo genere.» Guardò Charlie ma non proseguì. «Naturalmente ci abbiamo pensato anche noi.»

Charlie annuì. «Naturalmente.»

«E lei sa anche come funziona quell’aggeggio?» domandò Ericson indicando il computer nel sacchetto di plastica.

«Ne hanno parlato ieri sera» disse Charlie. «Bruce Elringer era convinto che gli altri ne fossero a conoscenza, e in effetti hanno quasi ammesso che era così, o che quantomeno avrebbero dovuto saperlo, ma poi gli era sfuggito di mente.»

Ericson emise un suono aspro e gutturale, simile al ringhio di un animale. «Cos’è accaduto ieri sera?»

«Ho fatto delle domande, e per alcune ho anche ricevuto delle risposte, poi siamo andati tutti a letto. Io e Constance potremmo essere stati gli ultimi a vedere Milton Sweetwater. Stava facendo il giro della casa per spegnere le luci. Dubito che riuscirà a saperne di più dagli altri. È inutile metterli troppo sotto pressione finché non avremo stabilito l’ora del decesso. Sa già qual è?»

Era una domanda ma anche un suggerimento, e assomigliava terribilmente a un ordine. Dwight Ericson lo studiò ancora per qualche istante, poi si strinse nelle spalle. «Faremo il possibile.» Si avviò verso la porta, poi si fermò. «Vuole assistere agli interrogatori?»

Charlie scosse la testa. «Grazie. Mi riservo di accettare l’invito per un’altra occasione. Scommetto che chi ieri sera è rimasto in camera dirà semplicemente di essere andato a dormire, e tutti affermeranno di non aver visto o sentito nulla.»

«Già. Invece Bruce Elringer e Jake Kluge erano svegli e gironzolavano per casa» disse Constance. «E Bruce ha sostenuto di avere una pistola.»

Ericson inspirò e riprese a camminare. «Scommetto che ora è scomparsa.»

Charlie sorrise. «Le spiace se do un’occhiata in giro per conto mio?»

«Faccia pure. Dopo che avrò finito al piano di sopra potremo sederci da qualche parte a bere una tazza di caffè, d’accordo? Ci vediamo più tardi.»

Charlie rise piano. Non era esattamente una proposta ma piuttosto un suggerimento, se non addirittura un ordine. Charlie decise che Dwight Ericson gli andava a genio. Prese il braccio di Constance e le disse: «Andiamo sul tetto a prendere una boccata d’aria.»

Uscirono dall’ufficio e si diressero in fondo al corridoio, verso l’ascensore principale che si trovava a cinque, sei metri da quello segreto. Al primo piano la disposizione era uguale a quella del seminterrato: la porta dell’ascensore nella cabina armadio dell’appartamentino di Gary era collocata alla stessa distanza dall’ascensore principale, rispetto a dove si trovavano in quel momento. Charlie sapeva che sul tetto i due ascensori erano l’uno accanto all’altro. Voleva dare un’occhiata alle due porte anche lì, voleva vedere come erano state camuffate dal momento che non aveva ancora avuto modo di esaminarle. La piccola costruzione sul tetto era una struttura di legno di sequoia. Charlie vi girò intorno lentamente, entrò nella parte destinata a magazzino e vide dei mobili da giardino accatastati, parecchi tavolini, delle sedie a sdraio. Dall’interno non era affatto evidente che ci fosse anche un secondo ascensore. Dall’esterno il piccolo ascensore era altrettanto invisibile, la porta perfettamente mimetizzata nel rivestimento di legno delle pareti.

«Stai cercando qualcosa in particolare?» gli domandò Constance dopo un istante. Charlie era inginocchiato e stava esaminando il legno.

«Se solo lo sapessi!» borbottò. «Credo che dovremo aspettare che gli uomini di Ericson finiscano i rilevamenti. Ti è venuta fame?»

«Sì, sono le due passate.»

«Che ne dici di continuare la ricerca in cucina?»

Mrs Ramos stava disponendo sui vassoi tacchino, prosciutto e formaggio sotto la supervisione di un altro agente in uniforme. All’arrivo di Charlie e Constance la donna perse per un istante la sua compostezza.

«Stupendo!» esclamò Charlie. «Sa che facciamo Mrs Ramos? Prepariamo dei panini e li portiamo nella sala della colazione, se lei è d’accordo.»

«Anche se non lo sono» rispose, e continuò a sistemare anelli di cipolla, sottaceti e lattuga su un piatto da portata.

Charlie annuì amabilmente e cominciò a preparare i panini. Senza dire una parola Mrs Ramos gli portò un vassoio, dei tovaglioli e delle tazze da caffè. Riempì di caffè una piccola caffettiera, la posò sul vassoio e ritornò a occuparsi della lattuga e dei sottaceti. Charlie si ritenne soddisfatto, prese il vassoio e si avviò verso la porta.

«Può dire al capitano che c’è un panino anche per lui nella sala della colazione?» chiese al poliziotto che osservava il vassoio con un’aria affamata. Poi, a bassa voce, aggiunse: «Mrs Ramos non sopporta di vedere la gente affamata. Vada a dare un paio di annusate al prosciutto.» Prima ancora che Charlie fosse arrivato al piccolo corridoio che separava la cucina dalla sala della colazione, il poliziotto si stava già dirigendo verso il tavolo da lavoro.

Stavano giusto finendo di mangiare i loro panini, quando Dwight Ericson li raggiunse e si sedette con un brontolio di disapprovazione. Guardò fuori dalla grande vetrata in direzione del mare, su cui stava cominciando a riformarsi la nebbia. Più vicino alla costa l’oceano brillava.

«Niente?» gli domandò Charlie con la stessa partecipazione mostrata in precedenza.

Dwight Ericson si strinse nelle spalle. «Per ora non li ho messi troppo sotto pressione, ma lo farò non appena conoscerò l’ora del decesso e l’arma del delitto.» Guardò Charlie e accennò un sorriso. «Bruce Elringer asserisce di non aver mai posseduto una pistola in tutta la sua vita. Naturalmente la madre sostiene la sua versione. Harry Westerman dice che Milton Sweetwater portava sempre con sé una pistola quando viaggiava, una calibro trentotto. Non l’abbiamo trovata però.»

Charlie guardò Constance che non ebbe bisogno di dirgli: "Te l’avevo detto".

«Potremmo procurarci facilmente una calibro trentotto, sparare un colpo dalla scogliera e vedere se il rumore arriva fino alle camere» disse invece Constance. «Però sarebbe meglio aspettare che cali la nebbia, non crede?»

Dwight Ericson guardò prima Constance e poi Charlie, il quale sollevò un sopracciglio e disse con tono gentile: «Dovrebbe mangiare qualcosa.» Non aggiunse altro, soprattutto non aggiunse che la particolarità di Constance era quella di captare le parole dalla mente delle persone e pronunciarle prima che queste avessero il tempo di farlo, suggerendone al contempo di nuove nella testa dei suoi interlocutori. Charlie non disse niente di tutto questo, non col capitano che guardava Constance con espressione così guardinga.

Ericson prese un panino. «È andata più o meno come avevate previsto. Jake Kluge dice che proprio mentre stava per addormentarsi ha sentito un rumore, e ha pensato potesse provenire dal balcone. Una porta sbattuta, un oggetto caduto, non sa dire cosa poteva essere. Non riuscendo più a riprendere sonno alla fine si è alzato, e mentre scendeva al piano di sotto ha sorpreso Bruce che vi stava spiando. Dopo aver preso da bere è ritornato a letto e si è addormentato subito. E questo è tutto. Bruce si è giustificato dicendo che a quell’ora era in piedi a lavorare e gli è venuta fame, ma quando vi ha visto nel giardino ha voluto capire cosa stavate combinando. Tutto qui. Bruce asserisce di non aver sentito nulla, così come gli altri del resto. A parte voi a quell’ora non c’era nessuno in piedi, dormivano tutti profondamente.»

«Quei due però sono riusciti a sporcarsi le scarpe con quella terra davanti ai miei occhi» disse Charlie, e prese un altro mezzo panino. «L’ultima stanza del corridoio appartiene a Bruce.»

«Sì, ma non gli ho detto che ha trovato della terra davanti alla sua stanza prima che lo vedesse ritornare in camera quella sera.»

«Dove sono finiti tutti quanti?» domandò Constance. La casa era di nuovo stranamente silenziosa. Non c’erano dubbi, Smart House non le piaceva proprio.

«Ho chiesto agli altri di restare nella sala da pranzo finché non avremo terminato di cercare la pistola. Non hanno fatto i salti di gioia, ma per il momento non si sono mossi. L’inferno scoppierà quando cominceranno ad arrivare i giornalisti.»

«È vero. Non c’è bisogno di essere chiaroveggenti per immaginare i titoli: SMART HOUSE ESIGE LA SUA TERZA VITTIMA.» Charlie terminò di bere il caffè e si appoggiò allo schienale meditando di fronte al luccichio dell’oceano e alla nebbia che avanzava verso la costa.

«Avete trovato delle impronte digitali sui portatili o sulle copie cianografiche?» domandò Constance senza nutrire grandi speranze. Gli abitanti di Smart House erano intelligenti quanto la casa, troppo scaltri per lasciare delle impronte. Provò una strana sensazione ma non volle nemmeno pensare che potesse trattarsi di qualcosa di più di un attimo di turbamento.

«Sono perfettamente puliti» rispose Ericson.

«Questo significa che molto probabilmente non sono stati né Gary né Rich a metterli lì» disse, augurandosi che la sensazione appena provata si ripresentasse in maniera più definita. Dwight Ericson la guardava con aria interrogativa, e lei proseguì la sua spiegazione. «Loro due avevano un motivo per maneggiare le copie cianografiche o i computer, l’assassino invece no. È per questo che ha dovuto eliminare tutte le impronte, per poter negare di conoscere il passaggio segreto o il modo per cancellare la registrazione dei suoi movimenti dal computer principale.»

«Se i suoi uomini hanno finito d’ispezionare il piccolo ascensore vorrei dargli un’occhiata» disse Charlie.

Ericson annuì, bevve il caffè un po’ troppo in fretta e si alzò. «Anch’io.»

Nell’ufficio di Gary, un giovane poliziotto li accolse con un energico saluto militare e si fece da parte perché Charlie e Dwight Ericson potessero avvicinarsi all’ascensore.

«Ho effettuato delle misurazioni, signore» disse il poliziotto guardando Charlie. Sembrava un adolescente a un campo estivo. «L’ascensore misura settantasei per settantasei per due metri e tredici di altezza. Ci sono delle prese d’aria sul soffitto e le porte non sigillano completamente, mi riferisco alle porte interne. In un primo momento ho pensato che la vittima avrebbe potuto rimanere soffocata qui dentro per poi essere spostata in un secondo tempo, ma è troppo grande e troppo ventilato… signore» aggiunse, e arrossì violentemente. Poi riprese la consueta espressione impassibile. Ericson lo fissò stizzito per un istante prima di proseguire verso l’ascensore.

«Grazie, Howie» disse Ericson. «Vai a prendere un panino in cucina.»

Il giovane poliziotto si precipitò quasi fuori dalla stanza. Ericson guardò Charlie e disse: «Sembra che abbiano sentito tutti parlare di lei.»

Charlie però non lo stava ascoltando. Era entrato nell’ascensore e lo stava osservando voltandosi lentamente per esaminare ogni parete. Sembrava pannellato con lastre di alluminio. Le due porte erano dello stesso materiale e Charlie immaginò che questo servisse a dare peso alla cabina tenendola in tensione. Toccò una parete e annuì: era fredda. Dall’altra parte c’era la cella frigorifera. La parete accanto confinava con il montavivande, mentre la seconda porta all’interno dell’ascensore, al momento chiusa, era a contatto con il muro della cella frigorifera in corrispondenza del punto dove si trovavano i carrelli. Annuì nuovamente soddisfatto, e si voltò per esaminare con più attenzione la porta aperta dell’ascensore. Il giovane poliziotto aveva ragione, in basso non aderiva completamente e nemmeno l’altra porta. C’era una fessura millimetrica, ma pur sempre una fessura. Sospirò e guardò in alto. Le prese di ventilazione gli parvero estremamente piccole ma nell’impianto di illuminazione c’era una ventola. Rich però era morto nell’ascensore principale, rammentò a se stesso, per cui ogni congettura era inutile. Charlie sospirò ancora più profondamente.

Ogni porta era fornita di piccole maniglie, e la cabina aveva dei pulsanti per salire, scendere, aprire e chiudere la porta, ma Charlie non si soffermò su nessuno di questi particolari. Provò ad aprire la seconda porta ma non vi riuscì. Era bloccata perché a quel piano non c’erano uscite sul lato posteriore. Uscì dalla cabina e lasciò entrare Ericson, restando lì a fissare l’ascensore con un’aria accigliata e le mani in tasca. Al momento quell’ascensore non rappresentava altro che un deposito per i computer portatili e le copie cianografiche.

«Proviamo a fare ancora una cosa» disse Charlie quando Ericson ebbe finito di esaminare la cabina. «Come si accendono le luci e il ventilatore?»

«Il computer è spento» disse Ericson. «Forse senza computer non possono funzionare.»

«Il computer però ha aperto la porta» gli ricordò Charlie. «E poi a cosa servirebbero i pulsanti se non lo si può azionare manualmente?»

«Provi» gli suggerì Ericson.

Charlie provò i pulsanti ma non accadde nulla finché non chiuse la porta. A quel punto la luce a soffitto si accese. Quando il pannello si richiuse e l’ascensore svanì, Constance rimase col fiato sospeso. Ericson soffocò un’imprecazione e si avvicinò per esaminare la parete che ora appariva perfettamente compatta. All’interno si udì un leggero rumore, il pannello si spostò ancora, un istante dopo la porta dell’ascensore ricomparve e si aprì. Charlie sembrava piuttosto teso.

«È claustrofobico» fu il suo commento. «Probabilmente la ventola si aziona solo quando è in movimento.»

«Ora tocca a me» disse Ericson. «Ci vediamo al piano terra, dalla porta sul retro.»

Questa volta fu Charlie a vedere il pannello tornare a posto silenziosamente, e altrettanto silenziosamente il marito condusse Constance fuori dall’ufficio e lungo il corridoio fino all’ascensore principale nel quale entrarono. Cercarono di sentire se dal piccolo ascensore accanto al loro provenisse qualche rumore, ma non udirono nulla. Arrivati al piano terra si portarono velocemente sul retro della casa, e quando giunsero dietro all’ascensore principale Ericson era già lì, con le porte dell’ascensore aperte alle sue spalle. Si trovavano nel corridoio stretto che terminava dietro al grande freezer della dispensa.

«La porta anteriore dell’ascensore non si apre a questo piano» spiegò Ericson. «Ritorno nell’ascensore per farvi vedere come funziona l’apertura della parete, poi verrò io a vederlo.»

«Potete stare fuori a guardare voi due» propose Constance. «Questa volta vado io a manovrare i comandi. Volete che salga fino alla camera da letto?»

«Sì, già che ci siamo» rispose Charlie con un’espressione cupa.

Appena ebbe chiuso la porta desiderò di non essersi offerta volontaria. Nell’ascensore faceva freddo e lei rabbrividì, ma provò anche un sentimento che non riuscì bene a identificare, un sentimento di inquietudine. Claustrofobia? Era possibile. La corsa fu molto dolce, la partenza e l’arrivo senza scossoni, la ventola funzionava silenziosamente. Ma quel sentimento si fece più intenso finché Constance riuscì a identificarlo: era terrore. Appena l’ascensore si fermò premette subito il pulsante per aprire la porta, ma quando questa non si aprì il terrore rischiò di diventare panico. Constance si ricordò che a quel piano si apriva l’altra porta, quindi si voltò di scatto e schiacciò il pulsante dall’altra parte. La porta si aprì silenziosamente come tutti gli altri meccanismi. Uscì dalla cabina come aveva fatto Dwight Ericson al piano terra, decisa a non passare là dentro un secondo più del necessario.

Charlie e Dwight ci misero almeno un minuto per raggiungere la camera da letto di Gary. Al loro arrivo Constance respirava ormai in modo regolare. Con grande fatica si obbligò a rientrare nell’ascensore, chiuse la porta per permettere a chi era fuori di verificarne il funzionamento a quel piano e salì sul tetto. Quando uscì dalla cabina e respirò l’aria fresca e pulita del mare si rese conto che non sarebbe più rientrata là dentro di sua spontanea volontà. Questa volta ci volle un po’ più di tempo prima che Charlie e Dwight la raggiungessero.

Charlie aveva la stessa aria tesa di quando era uscito dall’ascensore. "Tutto normale" pensò Constance. Se lei era in ansia anche lui lo era, funzionava così tra loro.

«Ti va di provare ancora una cosa?» le chiese cingendole le spalle.

«Quante ne vuoi» rispose sforzandosi di usare un tono allegro per alleggerire la tensione che attanagliava il volto di Charlie.

«Solo una» disse. «Promesso. Vorrei sapere se stando fuori si riescono a sentire due persone che parlano all’interno dell’ascensore. Dwight?»

Il capitano annuì e Charlie entrò con la moglie di nuovo nella cabina. Si stava piuttosto stretti in due. Charlie chiuse la porta, abbracciò Constance, la baciò, si scostò e disse con un tono di voce normale: «Sei una compagna perfetta, buona e leale. Usciamo da questo maledetto posto.»

Constance rise e aprì la porta, trovandosi di fronte Dwight che scuoteva la testa. «Niente, non si è sentito assolutamente niente.»

«Ora vediamo come si chiude quando dentro non c’è nessuno» disse Charlie, e osservò la porta aperta e il pannello di legno che si era spostato. «Proviamo.» Accostò la porta e sentì scattare il meccanismo di chiusura. Nello stesso istante il pannello di legno cominciò a muoversi. Era talmente ben costruito che una volta a posto nessuno avrebbe mai immaginato che potesse essere mobile.

Dwight sembrava nuovamente stizzito. «Gli alibi forniti dalla registrazione del computer in questo modo non valgono più nulla» disse. «Chiunque fosse stato a conoscenza di questo ascensore sarebbe potuto andare ovunque spostandosi più velocemente di chi prendeva l’ascensore principale o le scale, e senza lasciare alcuna traccia.» Guardò l’ora ed entrò nell’ascensore più grande. «Ci siamo divertiti abbastanza. Devo tornare alle perquisizioni, alla pistola scomparsa e ai rumori nel cuore della notte.»

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