Prima di lasciare Dwight a sovrintendere alla rimozione della sezione di tavolato del balcone, Charlie gli disse: «La pistola salterà fuori. Se fossi in lei direi ai suoi uomini di cercare di nuovo nella camera di Maddie Elringer e nella sua auto.» Un lampo di soddisfazione balenò per un istante nei chiari occhi di Dwight.
«Già, avrebbe potuto spostarla più volte. A tra poco, Charlie.»
Charlie attraversò lentamente la veranda e raggiunse la porta a vetri scorrevole dove Constance lo aspettava. Appena entrato, la moglie gli prese la mano.
«Che ne dici di un caffè al bar del giardino, magari con dentro un goccio di qualcosa un po’ più forte della caffeina?» gli domandò Constance.
«Dove sono gli altri?»
«Nella sala tv o nella biblioteca. Sono in fermento. Mi sono trattenuta un attimo con loro ma me ne sono andata subito, c’era un’aria troppo elettrica per i miei gusti.»
«Andiamo al bar» disse Charlie con enfasi. «Hai visto?» le domandò indicando la veranda.
«Ho visto abbastanza per immaginare quello che non ho visto. È una vera follia, non credi?»
Raggiunsero il bar dove Constance aveva già preparato tazze e caffè. Mentre Charlie guardava la piscina turchese in fondo alla stanza con un’espressione accigliata, Constance versò il caffè. La cascata sollevava schizzi e brillava sotto la luce del sole, che filtrava attraverso la cupola di vetro. L’aria era opprimente e sapeva di cloro e gardenie. Cercò tra le bottiglie e prese del cognac, ne aggiunse una dose terapeutica al caffè di Charlie insieme a un cucchiaio di zucchero, lo assaggiò e fece scivolare la tazza dall’altra parte del bancone.
Restarono seduti in silenzio per parecchi minuti, finché Charlie borbottò: «Milton è in camera sua a sfogliare delle carte con il sigaro acceso. Sente bussare leggermente alla finestra, apre la porta scorrevole e fa entrare l’assassino. Milton sa qualcosa, ma probabilmente non se ne rende nemmeno conto. L’assassino inizia a parlare, poco dopo tossisce per il fumo e propone a Milton di continuare la conversazione sul balcone. Prende dalla stanza qualcosa di pesante e lo porta fuori con sé. Suggerisce di allontanarsi dalle porte, anche perché la camera di Beth è lì accanto e potrebbe sentirli. Arrivano sino alle scale e l’aggressore colpisce Milton in testa uccidendolo all’istante. Il sigaro cade ma sul momento l’assassino non se ne accorge. Corre indietro, toglie un lenzuolo dal letto, ritorna da Milton e riesce più o meno ad avvolgerlo, trascina il corpo fino al pianerottolo spostandolo dalla balconata in modo che nessuno lo possa vedere. C’è nebbia ed è improbabile che qualcuno sia andato a fare due passi, e anche se qualcuno avesse deciso di uscire a fare una passeggiata sul balcone, non avrebbe visto nulla. Fin qui tutto bene.»
Charlie assaggiò il caffè e parve sorpreso. «Questo caffè è favoloso!» disse soddisfatto, e ne bevve un altro sorso. «L’assassino risale sul balcone, vede quel dannato sigaro e lo raccoglie. Avrebbe potuto semplicemente buttarlo via, invece lo porta con sé. Sta allestendo una messinscena e il sigaro ne fa parte.» Charlie fece una pausa, socchiuse gli occhi immerso nei suoi pensieri e sorseggiò dell’altro caffè. «Torneremo su questo particolare» disse infine. «Rientra in camera di Milton e vede che il letto è sfatto. Riordina il letto, quello a cui manca un lenzuolo, ci appoggia sopra la valigetta di Milton, prepara per la notte l’altro letto ma commette un errore. Come tu hai notato, infatti, non toglie il copriletto. Mi sembra che questa ricostruzione sia verosimile, passiamo alle impronte» disse. «Le impronte… Non dovrebbe averne lasciate molte né sulle lampade, né sul portacenere o sui soprammobili di rame. Perché pulire tutto allora?» Restò nuovamente in silenzio poi espirò lentamente e disse: «Ha dovuto cancellarle perché non c’erano le impronte di Milton su quegli oggetti.»
Charlie tacque e questa volta restò immobile con lo sguardo perso nel vuoto. Constance versò a entrambi dell’altro caffè e aspettò. Sapeva che era inutile chiedergli qualcosa adesso. In quel momento Charlie si stava ponendo una serie di domande a cui cercava di dare delle risposte, probabilmente le stesse domande che gli avrebbe fatto lei.
«È il portacenere» disse infine con convinzione. «L’arma del delitto dev’essere il portacenere. O lo ha avvolto nel lenzuolo con il cadavere, oppure lo ha riportato indietro e si è reso conto che avrebbe subito attirato l’attenzione per le macchie di sangue, per i capelli rimasti attaccati o per qualche altro particolare. Forse si era addirittura rotto. L’assassino quindi è costretto a procurarsi un altro portacenere e a cancellare le sue impronte, ma questo significa anche sostituire tutte le suppellettili con altre dello stesso materiale del nuovo portacenere, le lampade, i reggilibri e ogni altra cosa, e questo spiega perché non uno di quegli oggetti abbia le impronte di Milton. Insomma, l’assassino non l’ha fatto per cancellare le proprie impronte ma piuttosto per nascondere il fatto che nessuno di quei soprammobili faceva parte dell’arredo di quella stanza. Proprio così!» Sorrise a Constance, terminò di bere il caffè e guardò il gigantesco atrio con aria compiaciuta. «Non male» disse.
«Charlie, falla finita. Vai al sodo.»
«Oh, d’accordo. Il resto è un gioco da ragazzi. L’assassino prende la pistola, va nella serra, ritorna con il carrello e lo sistema sotto il pianerottolo delle scale. Il pianerottolo si trova solo a un metro e venti dal suolo, il pianale del carrello è alto una sessantina di centimetri e non ci dev’essere voluto un granché per far rotolare la vittima dal pianerottolo fin sopra al carrello. L’assassino spinge il carrello sul ciglio della scogliera, lì spara in testa a Milton e lo fa precipitare giù.» Charlie fece un’altra pausa e aggiunse: «Non era necessaria molta forza, sicuramente non con il carrello che abbiamo visto. Con quello diventa semplice per chiunque trasportare anche un cavallo.»
«Ti butto giù dalla sedia se non completi il quadro con i dettagli! La prima domanda è: perché? Sarebbe parso ugualmente un omicidio se Milton fosse stato ritrovato sul balcone con la testa fracassata.»
«L’assassino era troppo vicino alle camere, non ha osato sparare. Per quanto la casa sia ben isolata, avrebbero sentito il colpo di pistola.»
Constance cambiò leggermente posizione, un cambiamento appena percettibile ma che non sfuggì a Charlie. All’inizio era stato lui a insistere perché Constance praticasse l’aikido, e di volta in volta la esortava persino a mostrargli cosa aveva imparato, ma poi era arrivato un giorno in cui la moglie lo aveva guardato amorevolmente e gli aveva detto che forse era meglio se non gli avesse mostrato i nuovi movimenti.
«Milton non era piccolino» si affrettò a dire Charlie. «Siamo giunti tutti alla stessa conclusione, ricordi? Non se ne sarebbe stato lì fermo ad aspettare mentre qualcuno tentava di spingerlo giù dalla scogliera, ma se parliamo di un colpo di pistola allora la situazione è diversa. Non sono state rinvenute bruciature da polvere da sparo, e questo sembrerebbe indicare che il colpo è stato sparato da una certa distanza, in realtà invece l’assassino doveva trovarsi molto vicino. Probabilmente quando troveranno il lenzuolo scopriranno anche le bruciature. Ma la cosa più importante per il nostro assassino era che venisse considerato un omicidio, che ci fosse un’arma a indicare chiaramente l’implicazione di una persona, così che gli altri potessero essere scagionati. Non un altro fatale e misterioso incidente di un uomo precipitato da un balcone o da una scogliera, ma un omicidio compiuto deliberatamente con una pistola.»
Constance stava ancora meditando su queste cose quando Dwight li raggiunse, il volto asciutto, scavato dalle rughe e contratto. «Abbiamo trovato la pistola» disse. «Sotto al materasso di Maddie Elringer. Ieri non c’era.»
«Vuole del caffè?» gli domandò Constance.
Dwight la ignorò e continuò a fissare Charlie con uno sguardo duro. I suoi occhi erano diventati ancora più chiari, quasi incolori. «Comincio a chiedermi se lei non sappia un po’ troppe cose.»
Charlie si strinse nelle spalle e si appoggiò al bancone del bar con aria indolente. «Come mai dice questo, Dwight?»
«È lei che comanda, vero? Ci ha condotto esattamente dove voleva evitando accuratamente di fornirci delle informazioni fino al momento in cui ha reputato opportuno concederne qualcuna. Cos’ha in mente? Sta lavorando solo nell’interesse di quella gente, non è così?»
Charlie rise beffardo. «Be’, lo sa che non sono qui in vacanza, e di sicuro non mi ha assunto lo stato dell’Oregon.»
«Sapeva perfettamente che quella pistola sarebbe stata ritrovata nella stanza della madre di Bruce!»
«Sbagliato, non lo sapevo affatto. Diciamo che sarei stato sorpreso se questo non fosse avvenuto. Bruce è stato incastrato, Dwight.» Il capitano arrossì leggermente, ma prima che potesse intervenire Charlie proseguì: «O è così, oppure Bruce è stato tanto astuto da prendersi gioco di un complotto.» Charlie terminò di esporre la sua ipotesi e inarcò le sopracciglia.
Dwight si rivolse a Constance. «È caldo?»
«Oh, sì.» Constance versò un’altra tazza di caffè per Dwight.
Il capitano si sedette dietro al bancone del bar e fissò Charlie in modo pungente. «D’accordo, sono lo stupido del villaggio, il ruolo mi si addice perfettamente. Mi spieghi.»
«Il problema è che abbiamo a che fare con gente estremamente intelligente che ama i rompicapi, le trappole e le controtrappole. È così che si guadagnano da vivere, risolvendo degli enigmi. Enigmi informatici, ma il principio è lo stesso. Supponiamo che Bruce sia l’assassino e che sia stato abbastanza scaltro da aver intuito in anticipo di essere il principale sospettato a causa del suo ruolo e di ciò che rappresenta. Bruce si adegua alla situazione, comincia la sceneggiala dell’imitazione di Gary e fa in modo che il suo comportamento risulti sempre insulso e sgradevole, ma non gravemente offensivo. Bruce si spinge oltre e costruisce delle prove piuttosto grossolane e dilettantesche come la terra davanti alla sua porta.» Guardò Constance che, nel sentire quelle parole, aveva emesso un leggero rumore espirando o sospirando.
«Ah!» esclamò Constance. «E quello che ho pensato quando ho trovato il computer portatile nel vaso di fiori. Chiunque con un minimo d’intelligenza non avrebbe nascosto il computer in un vaso per poi lasciare in giro delle tracce di terra che portavano proprio alla porta della sua stanza. Non aveva senso, ma poi mi è sfuggito di mente e non ci ho più pensato. Il punto è che quando si esaminano le piante in quel modo non si rovescia nemmeno un granello di terra, come ti ho dimostrato quando ti ho fatto vedere quanto fosse compatta la massa di radici della gardenia.»
«Lo vede?» disse Charlie. «È proprio a cose come queste che mi riferisco. In entrambi i casi, indovinare dove si trovava la pistola era piuttosto facile. Poteva essere stato Bruce a nasconderla, ben sapendo che un bravo avvocato avrebbe smontato la tesi d’accusa degli inquirenti, oppure bisogna ipotizzare che qualcuno stia cercando di incastrarlo. La madre nasconde l’arma del delitto per conto del figlio assassino. Non mi sembra un granché come trovata, è piuttosto maldestra, anche se da un certo punto di vista interessante.»
«Charlie, sappiamo entrambi che a volte anche le persone intelligenti commettono errori terribilmente sciocchi quando si tratta di evitare un’accusa di omicidio di primo grado. Io dico che se ogni indizio è riconducibile alla stessa persona, allora per Dio è tempo di agire!»
«Non lo incrimineranno nemmeno, se lei non riuscirà a provare un coinvolgimento di Bruce nelle altre due morti in maniera un po’ più convincente di quanto abbia fatto finora. È in grado di farlo?»
«No, e lei?»
«Ci sto lavorando. Ancora niente lenzuolo?»
«No. Dove mi suggerisce di andare a cercarlo?»
Charlie sorrise amabilmente. «La spiaggia è grande, l’oceano è vasto. A che ora c’è la prossima bassa marea?»
«Se fosse stato tra quel dannato mucchio di scogli i miei uomini lo avrebbero già trovato.»
«Forse hanno guardato nel mucchio sbagliato.»
Dwight lo fissò stizzito piuttosto a lungo, poi si alzò di scatto e si allontanò.
Una volta soli, Constance disse: «C’era l’alta marea quando Milton è stato ucciso. L’assassino deve aver nascosto il lenzuolo da qualche parte in attesa di gettarlo in mare con la bassa marea, altrimenti l’acqua ritirandosi lo avrebbe portato alla luce. Forse l’ha nascosto in mezzo ai tronchi portati sulla spiaggia dalia corrente. Nessuno avrebbe potuto trovarlo prima che ritornasse a prenderlo.»
«Credo anch’io che sia andata così» disse Charlie. «Probabilmente vi ha avvolto dei sassi per appesantirlo, forse anche il portacenere, e verso l’alba, con la bassa marea, si è spinto fino al punto più estremo degli scogli e ha lanciato il lenzuolo in mare.» Charlie sospirò. «Se lo ha fatto potrebbero non trovarlo mai più, dipende dalle correnti, dalle cavità sul fondo, dalla forza con cui l’ha scagliato, insomma, da un sacco di cose.» Guardò l’ora e vide che era l’una passata. «Ti è venuta fame? Andiamo a vedere che cosa ha preparato Mrs Ramos per pranzo.»
Mrs Ramos era impegnata ad allestire un altro buffet e andava velocemente avanti e indietro passando dalla cucina alla sala da pranzo. «Dieci minuti» disse loro bruscamente.
«Abbiamo il tempo di andare a dare un’altra occhiata alla cella frigorifera» disse Charlie. Uscirono dalla porta sul retro della cucina. Lì di fronte, attraversato lo stretto corridoio, c’era un’altra porta che dava accesso alla stanza definita da Gary "La cantina per i tuberi". Charlie aprì la porta, accese le luci ed entrarono.
L’aria era fredda, umida e opprimente. Le luci al neon facevano assumere alle labbra un colore violaceo, e alla pelle un colore verdognolo e malsano. Constance rabbrividì e si strinse le braccia intorno al corpo. La prima volta quel luogo non l’aveva colpita particolarmente, mentre adesso aveva la sensazione che l’aria stessa nascondesse una nuova minaccia, e questo perché ora sapeva che l’assassino si trovava in quella casa. Charlie affrettò il passo e scese velocemente le scale, attraversò la stanza fino al montavivande. Constance pensò che anche lui doveva avvertire il suo stesso senso di oppressione. Charlie esaminò la porta del montavivande, la aprì e osservò l’interno della cabina, un cubicolo di acciaio inossidabile senza alcun elemento o particolari di rilievo. Appoggiò a terra un ginocchio, passò la mano sul pavimento della cabina e sui punti di congiunzione delle pareti, poi arretrò con un’aria corrucciata.
«Cosa stai cercando?» gli domandò Constance rabbrividendo.
«Non lo so ancora con certezza. Se lo mando su la porta si blocca automaticamente. Mi chiedo se…» Prese il coltellino tascabile, lo aprì, e con una mano lo tenne premuto contro l’intelaiatura della porta mentre con l’altra schiacciò il tasto di chiusura. La porta si chiuse contro la lama del coltello e Charlie cercò di forzarla senza riuscire a farla riaprire. Borbottò qualcosa a bassa voce e si guardò intorno. «Potresti portare qui uno di quei carrelli? Penso che in questo punto ci sia il sensore.»
Constance portò il carrello. Charlie premette il pulsante di apertura, la porta si aprì senza difficoltà e Charlie tolse la lama del coltello. «Ora vediamo se riesco a ingannare il meccanismo» disse. Rovesciò il carrello sul fianco con le impugnature di acciaio posizionate all’estremità dell’intelaiatura della porta, si mise accanto al carrello e spinse con forza. «Prova a far chiudere la porta e a mandare su il montavivande, ammesso che parta.» Si puntò saldamente contro il carrello e continuò a esercitare una pressione costante. Il meccanismo scattò e il montavivande cominciò a salire. «Perfetto!» esclamò Charlie. «Appena smetto di fare forza però potrebbe tornare giù. Dobbiamo cercare di lasciare la presa e contemporaneamente spingere il carrello sotto al pavimento della cabina. Al mio tre. Uno, due, tre, ora!» Charlie lasciò la presa e Constance diede al carrello una spinta energica mandandolo nel pozzo del montavivande. La cabina non cominciò a scendere, e se lo avesse fatto il carrello non sarebbe riuscito a sostenerne il peso, ma se non altro ne avrebbe frenato la discesa, o perlomeno fu questa la conclusione a cui giunse Charlie con una certa soddisfazione. Sorrise a Constance, si frugò in tasca in cerca della torcia portabile, si chinò appoggiando nuovamente un ginocchio a terra per guardare dentro al pozzo del montavivande.
Quando esaminò le pareti laterali fu ancora più soddisfatto. Allora avanzò un poco sporgendosi ulteriormente per dare un’occhiata più da vicino al muro di fondo, quello che confinava con l’ascensore segreto. Si era convinto che quell’ascensore fosse stato realizzato in un secondo tempo, e ora ne aveva la certezza. Quel muro era stato riposizionato, rifatto. Rispetto ai muri laterali non raggiungeva la stessa perizia nella fattura e nella rifinitura, e c’era persino una sorta di buco in fondo. Insomma, era piuttosto malfatto, pensò Charlie, e là dentro faceva anche maledettamente freddo. Si rammentò quanto lo avesse colpito l’aver trovato un muro tanto freddo la prima volta che aveva ispezionato l’ascensore segreto. In una casa così ben costruita come Smart House quel particolare era incomprensibile, e lui era stato stupido a non dare seguito a quell’intuizione. "Stupido! Stupido!" ripeté silenziosamente, e si accorse che quelle che stava fissando erano le sue dita, e in quel momento parevano incapaci di reggere saldamente la torcia. Aveva la sensazione che le dita fossero disgiunte dal resto del corpo, che fossero troppo grandi. Cercò di guardare la mano per verificare se ci fosse qualcosa che non andava, ma quell’operazione sembrava richiedergli uno sforzo eccessivo. Anche i suoi occhi erano disgiunti dal resto del corpo, pensò divertito da quell’idea.
Constance si era sporta per vedere cosa stesse guardando Charlie, ma la fatica era diventata troppo grande per lei. Si accorse che la testa stava cominciando a pesarle eccessivamente ed ebbe paura che potesse diventare così pesante da trascinarla a terra. S’immaginò riversa sul pavimento della cella frigorifera, ogni minuto sempre più fredda, irrigidita dal gelo prima che qualcuno la trovasse e…
Di colpo Constance si raddrizzò e inspirò a fondo. Era stordita, gli occhi non riuscivano a mettere a fuoco gli oggetti.
«Charlie!» gridò. «Charlie!»
Com’era strana quella piccola luce che si muoveva qua e là senza riuscire a fermarsi, stava pensando Charlie. Sentì la voce di Constance chiamarlo in lontananza e pensò che anche quello era strano. Poi la luce scese verticalmente lungo il muro e le dita gli parvero talmente distaccate dal corpo che non sarebbe più riuscito a far risalire la luce nemmeno se lo avesse voluto. In quel momento desiderava solo mettere giù la testa e dormire. Udì di nuovo il suo nome, una voce convulsa e stridula che lo chiamava, e si scosse.
Constance cercava di tirarlo indietro con degli strattoni e lui tentava di uscire dal pozzo dell’ascensore, ma si sentiva talmente pesante che ogni movimento era rallentato, un vero patimento, e il carrello lo intralciava rendendogli l’operazione ancora più difficile. Appena riuscì a uscire e a districarsi dal carrello, Constance cercò di tirarlo su e metterlo in piedi. Charlie barcollava e la stanza sembrava ondeggiare, ma dopo un paio di profondi respiri cominciarono a trascinarsi l’un l’altro su per le scale. A ogni gradino l’aria migliorava. Arrivati in cima, inspirarono profondamente scossi da tremiti, spaventati e pallidi per lo scampato pericolo, cercarono di inspirare a fondo.
Constance cercò di girare il pomo della porta ma non accadde nulla. Tentò di nuovo, e poi ancora con tutte e due le mani. Charlie la scavalcò e ci provò lui.
«Siamo chiusi dentro» sussurrò Constance. «Mio Dio, siamo chiusi dentro!»
«Sh, sh.» Charlie guardò la porta alle spalle di Constance. Era solida e aveva un pomo di ottone solo dall’interno. Dall’esterno invece c’era un chiavistello per evitare che qualcuno aprisse accidentalmente la porta mentre dentro purificavano l’aria. Charlie non perse tempo a tentare di forzarla ma si voltò a guardare la stanza. Pareti di acciaio inossidabile, ripiani, bidoni, un bancone, il carrello rovesciato a terra e quello in fondo alla parete, la porta aperta del montavivande con dietro il pozzo e il montavivande al piano superiore. Anche se avesse saputo quale dei tubi stesse immettendo l’ossido di carbonio, non avrebbe comunque avuto la possibilità di fermarne l’erogazione.
«Non muoverti» le disse. «Salgo su con il montavivande e ti vengo ad aprire. Qui in alto l’aria è respirabile perciò non muoverti.»
Constance non provò nemmeno a discutere. I suoi occhi chiari erano sgranati, il suo sguardo estremamente impaurito, era pallida come un cencio e persino le labbra avevano perso colore. Constance gli toccò la guancia e chiuse gli occhi un istante, tentando di trasferire in quella carezza tutto il suo amore. Charlie inspirò profondamente e, trattenendo il respiro, cominciò a scendere le scale. Non aveva rotto nulla, si disse, il meccanismo avrebbe funzionato perfettamente. Spinse il carrello da una parte, poi ci ripensò, lo tirò nuovamente indietro e premette il pulsante di chiamata. Si rese conto che prima doveva chiudere la porta, e si diede dell’idiota. Chiuse la porta, premette nuovamente il tasto di discesa e salì sul carrello per respirare l’aria che si trovava più in alto. Non ricordava che quell’aggeggio infernale fosse così lento, ma ora sembrava cigolare e muoversi come una lumaca. Svuotò i polmoni e fece un respiro profondo senza sapere quanto quell’aria fosse contaminata, ma con la certezza che doveva per forza respirarla, buona o cattiva che fosse. Finalmente il montavivande arrivò, Charlie premette il pulsante di apertura e, costretto ad abbandonare la postazione, scese dal carrello, si abbassò per entrare nella cabina alta un metro e mezzo e restò chinato finché il montavivande cominciò a salire lentamente.
In cima alle scale, intanto, Constance si era tolta una scarpa e la batteva contro la porta. Sapevano entrambi che era un gesto inutile, il locale era troppo ben isolato.
Nel montavivande Charlie trattenne il fiato immaginando quanto dovesse essere tossica quell’aria. Quando la cabina si fermò i suoi polmoni erano in fiamme, la testa gli pulsava, e a ogni battito gli pareva di vedere il reticolo delle vene riflesso nei suoi stessi occhi. Quando la porta si aprì Charlie uscì barcollando, vacillò, annaspò e cercò di precipitarsi verso la porta in fondo alla dispensa e di arrivare in corridoio. Camminava come un ubriaco. Andò a sbattere contro un muro, si allontanò con una spinta, raggiunse la porta della cella frigorifera e armeggiò con il chiavistello. Quando finalmente aprì la porta Constance gli cadde tra le braccia.