29

Nel primo pomeriggio arrivarono buone notizie. Reuben aveva contattato per telefono e per posta elettronica diversi esperti del Centro per la prevenzione e la cura delle malattie infettive di Atlanta e dei laboratori specializzati di Winnipeg. «Avete notato che Ponter non gradisce i prodotti caseari e a base di grano?» disse disteso sul divano del soggiorno mentre sorseggiava l'aromatico caffè etiope di cui, come Mary aveva scoperto, era tanto ghiotto.

«Sì» rispose Mary, che dopo la doccia si era ripresa, anche se la infastidiva indossare gli stessi abiti del giorno precedente. «Preferisce carne e frutta, ma non mangia i prodotti coltivati, il pane e il latte.»

«Esatto» disse Reuben. «E gli esperti con cui ho parlato hanno detto che questo è un bene per noi.»

«E perché?» domandò Mary che proprio non sopportava quel caffè. Aveva chiesto che le portassero un po' di Maxwell House, latte al cioccolato e qualche capo di vestiario, e per il momento si era accontentata di una coca cola.

«Perché la sua alimentazione indica che non proviene da una società agricola. D'altra parte, questa ipotesi è confermata dalle informazioni che mi ha dato Hak. Sembra che la popolazione di quella versione della Terra sia di molto inferiore alla nostra, quindi non hanno la necessità di coltivare la terra né di allevare animali.»

«Ho sempre pensato che tutte le civiltà si fondassero su questi mezzi di sussistenza, indipendentemente dalla grandezza della popolazione» disse Mary.

Reuben annuì. «Non vedo l'ora che Ponter possa darci delle risposte. Comunque, mi hanno detto che la maggior parte delle malattie pericolose per gli esseri umani hanno avuto origine negli animali domestici, e che solo in un secondo momento sono state trasmesse all'uomo. Morbillo, tubercolosi e vaiolo provengono dai bovini; l'influenza dai maiali e dalle anatre, la tosse convulsa dai maiali e dai cani.»

Mary aggrottò la fronte. Dalla finestra vide avvicinarsi un elicottero: altri giornalisti in arrivo. «In effetti è così, a pensarci.»

«E» continuò Reuben «le malattie epidemiche si sviluppano solo nelle aree ad alta densità di popolazione, dove le vittime potenziali sono in numero maggiore. Sembra che in aree a bassa densità i germi di tali malattie abbiano scarse potenzialità evolutive: una volta ucciso l'organismo ospitante, non hanno più dove attecchire.»

«Sì, anche questo è vero.»

«Probabilmente è troppo semplicistico affermare che la società di Ponter non sia agricola ma composta da cacciatori e di raccoglitori» disse Reuben. «Eppure, a giudicare dalle descrizioni di Hak, sembra questo il modello che più gli si avvicina. Tale tipo di società è caratterizzata da una minore densità di popolazione e da un'altrettanto bassa incidenza di malattie.»

Mary annuì, e Reuben proseguì: «Mi hanno spiegato che il principio è lo stesso che ha caratterizzato l'incontro tra gli esploratori europei e gli indigeni delle Americhe. Gli europei provenivano tutti da società agricole densamente popolate, ed erano portatori di germi contagiosi. Gli indigeni vivevano in gruppi, in zone scarsamente popolate, e praticavano poco l'allevamento del bestiame; non erano portatori di germi, perlomeno di quelli che si trasmettono dagli animali all'uomo. Questo spiega la devastazione unilaterale di quell'incontro.»

«Ho sempre pensato che la sifilide fosse stata portata in Europa dal Nuovo mondo» disse Mary.

«Be', sì, c'è qualche indizio in tal senso» confermò Reuben. «Ma anche se la sifilide ha forse avuto origine nell'America settentrionale, qui da noi non si è trasmessa sessualmente. Solo quando giunse in Europa sviluppò quel mezzo di trasmissione, efficace a tal punto da divenire una delle maggiori cause di morte. In effetti, la forma endemica e non venerea di sifilide è tuttora esistente, anche se confinata tra le tribù beduine.»

«Davvero?»

«Già. Quindi la sifilide, piuttosto che rappresentare un'eccezione rispetto al corso generalmente unilaterale delle malattie epidemiche, conferma che lo sviluppo delle malattie contagiose richiede determinate condizioni sociali che sono caratteristiche delle civiltà sovrappopolate.»

Mary rifletté sulla cosa per un po', poi gli chiese: «Tutto ciò porta a pensare che ci sono buone probabilità che non abbiamo contratto nessuna malattia, esatto?»

«La spiegazione più verosimile è che Ponter abbia contratto qualcosa qui, e che dal suo mondo non abbia importato niente di cui dobbiamo preoccuparci.»

«Guarirà?»

Reuben scrollò le spalle. «Non lo so. Gli ho somministrato antibiotici ad ampio spettro in modo da uccidere la maggior parte dei batteri conosciuti, sia gram-negativi che gram-positivi. Gli antibiotici sono inefficaci in caso di infezioni virali, e d'altronde non esiste un farmaco antivirale ad ampio spettro. A meno che non si riesca a identificare una particolare patologia virale, somministrare a casaccio farmaci antivirali gli farebbe più male che bene.» Il medico diede l'impressione di essere frustrato almeno quanto lei, soprattutto quando aggiunse: «Non possiamo far altro che aspettare e vedere cosa succede.»


Gli Esibizionisti scesero dagli spalti e si accalcarono intorno ad Adikor Huld, bombardandolo di domande simili a lance appuntite scagliate durante un agguato contro un mammut. «Ti aspettavi la decisione del giudice Sard?» gli chiese Lulasm.

«Chi ti difenderà in tribunale?» domandò Hawst.

«Hai un figlio della generazione 148; è grande abbastanza per capire quello che faranno a te… e a lui?» fu la domanda di un Esibizionista del quale non conosceva il nome, un 147 che probabilmente era seguito da un pubblico giovanile.

Non risparmiarono nemmeno la povera Jasmel. «Jasmel Ket, adesso come cambieranno i tuoi rapporti con Daklar Bolbay?» «Credi davvero che tuo padre sia ancora vivo?»

«Se il tribunale condannerà lo scienziato Huld per omicidio, cosa proverai all'idea di aver difeso un colpevole?»

Adikor sentiva l'ira montargli dentro, ma lottò, lottò, lottò fino allo spasimo per dominarla. Le trasmissioni dei Companion degli Esibizionisti erano seguite da innumerevoli persone, e non poteva certo permettersi ulteriori scatti in pubblico.

Da parte sua, Jasmel si limitò a non rispondere, finché gli Esibizionisti la lasciarono in pace. Finalmente, anche i torturatori di Adikor gettarono la spugna, e abbandonarono l'aula lasciandoli completamente soli in quel vasto spazio. I loro occhi si incontrarono per un attimo, prima che entrambi distogliessero lo sguardo. Adikor non sapeva cosa dire; era in grado di cogliere gli stati d'animo ereditati dal padre, ma la ragazza aveva molto anche del carattere di Klast. Alla fine, per infrangere l'insopportabile silenzio, si decise: «Lo so che hai fatto del tuo meglio.»

Jasmel alzò lo sguardo sul soffitto, decorato con rappresentazioni di albe, nel cui centro era incastrato un orologio. Poi fissò gli occhi in quelli di Adikor. «Sei stato tu?»

«Cosa?» disse Adikor sentendo una fitta al cuore. «No, certo che no. Io amo tuo padre.»

Jasmel chiuse gli occhi. «Non sapevo che fossi stato tu a tentare di ucciderlo.»

«Non ho tentato di ucciderlo. Ero solo arrabbiato, tutto qui. Pensavo che avessi capito; pensavo…»

«Credi che ciò che ho visto non mi abbia scioccata? Hai colpito mio padre! L'ho visto sputare un dente!»

«È accaduto una vita fa» si difese con un filo di voce. «Io… non ricordavo che la cosa fosse stata così… cruenta. Mi dispiace che tu abbia visto quelle immagini.» Si fermò un attimo, quindi riprese: «Jasmel, non capisci che amo tuo padre? Tutto quello che sono lo devo a lui. Dopo… quell'incidente… avrebbe potuto denunciarmi e farmi sterilizzare. Non l'ha fatto perché ha scoperto che ero soggetto — e ancora lo sono — a momentanei black out che non mi permettono di controllare la collera che s'impadronisce di me. Tutto quello che sono lo devo interamente a lui. Gli devo mio figlio, Dab. Per lui provo una gratitudine immensa. Non avrei mai potuto fargli del male. Mai.»

«Forse eri stanco di essere in debito con lui.»

«Non c'è nessun debito tra noi. Sei ancora giovane, Jasmel, ancora non ti sei mai legata a qualcuno, anche se presto lo sarai. Non esiste debito tra due persone che si amano, ma la capacità di perdonarsi reciprocamente e il desiderio di andare avanti insieme, qualunque cosa accada.»

«Non si cambia con il tempo» disse Jasmel.

«Sì che si cambia. Io sono cambiato, e questo tuo padre lo sapeva.»

Jasmel rimase a lungo in silenzio, poi cambiò discorso: «A chi ti rivolgerai, per il processo?»

Quando gli Esibizionisti glielo avevano chiesto, aveva ignorato la domanda. Adesso dovette pensarci. «Lurt è la scelta naturale» rifletté. «È una 145, abbastanza adulta perché il giudice le porti il dovuto rispetto. Si è offerta di fare qualunque cosa per aiutarmi.»

«Spero che… ti sia d'aiuto.»

«Grazie. E tu che farai?»

Jasmel lo guardò dritto negli occhi: «Per il momento — in questo preciso momento — sento solo il bisogno di andare via da questo posto… lontano da te.»

Si voltò e uscì dall'imponente Camera di consiglio, lasciando Adikor nella solitudine più assoluta.

Загрузка...