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Parola(e) chiave: Neandertal

Una guida spirituale islamica ha affermato che il cosiddetto uomo di Neandertal è il risultato abortito di un esperimento di ingegneria genetica figlio del mondo occidentale. Il Wilayat-al-Faqih iraniano ha invitato il governo canadese ad ammettere che Ponter Boddit è il prodotto immorale e pericoloso di un processo di ricombinazione del DNA…

Da più parti si intensificano le pressioni su Ottawa affinché sia concessa la cittadinanza canadese a Ponter Boddit. L'ultima richiesta è partita addirittura dal presidente degli Stati Uniti d'America George W. Bush, che oggi ha chiesto ufficialmente al Primo Ministro Jean Chrétien di accelerare le pratiche per conferire la cittadinanza canadese a Ponter Boddit. Il Neandertal ha dichiarato di essere nato in un luogo corrispondente alla nostra Sudbury, nell'Ontano. «Se è nato in Canada» ha dichiarato Bush «allora è canadese.»

Il Presidente insiste affinché a Boddit sia concesso un passaporto canadese, in modo che, terminata la quarantena, possa entrare liberamente negli Stati Uniti, ponendo così fine alla querelle esistente a Capitol Hill sulla questione se il Neandertal possa o meno entrare negli Stati Uniti.

La sezione 5, paragrafo 4, della legge sulla cittadinanza canadese lascia un'ampia discrezionalità in materia: 'In casi di particolare gravità e urgenza, ovvero di servizi eccezionalmente resi allo Stato, in deroga alle disposizioni della presente legge, il Governatore può rivolgere al Ministro competente la richiesta di cittadinanza per chi abbia…'

È stata inoltrata al Ministro della sanità canadese una petizione con più di 10.000 firme raccolte da tutto il mondo via Internet, affinché sia disposta la quarantena permanente per Ponter Boddit…

Le azioni della Inco hanno chiuso con un rialzo del 52 per cento…

«È tutto un circo mediatico» ha dichiarato il decano del club dei Rotary di Sudbury, Bernie Monks. «Era dal 1934 che nell'Ontario settentrionale non si vedeva una cosa del genere, cioè da quando nacquero le cinque gemelle Dionne…»

Da tutto il mondo continuano ad arrivare proposte per Ponter Boddit. La giapponese NTT gli ha offerto la direzione del dipartimento per la ricerca di calcolo quantistico. Anche la Microsoft e la IBM hanno avanzato le loro offerte di lavoro con compensi molto alti. Il MIT, la CalTech e otto altre università gli hanno invece offerto delle cattedre di insegnamento, mentre la RAND Corporation e Greenpeace gli hanno fatto pervenire attestati di amicizia. Ancora non si conoscono le intenzioni del Neandertal…

Un gruppo di scienziati francesi ha rilasciato un comunicato secondo il quale, anche se l'arrivo sulla Terra di Ponter Boddit è avvenuto sul suolo canadese, è indubbio che egli non sia da considerarsi nativo di quella nazione, poiché la specie dei Neandertal non è mai vissuta nel Nord America. La sua cittadinanza, affermano gli scienziati, dovrebbe essere francese, poiché i fossili più recenti della specie dei Neandertal sono stati rinvenuti in Francia…

I sostenitori dei diritti civili statunitensi e canadesi hanno condannato la decisione del Governo di mettere in isolamento il presunto uomo di Neandertal, sostenendo che non esistono prove sul fatto che rappresenti una minaccia alla salute pubblica…


Tutte le analisi del sangue furono negative. Qualunque fosse la malattia di Ponter, sembrava essersi attenuata, e non erano state rinvenute tracce di elementi patogeni pericolosi per la razza umana. Malgrado questo, il Ministero della sanità non aveva ancora deciso di porre fine alla quarantena.

Ponter indossava sempre la camicia che aveva dal giorno del suo arrivo. La polizia militare gli aveva procurato un piccolo guardaroba preso al Mark's Work Wearhouse di Sudbury, vestiti che per la verità non gli calzavano granché bene: gli abiti preconfezionati non si adattavano a una persona che sembrava la versione leggermente più tarchiata di Mister Universo.

Ponter — o Hak — faceva passi da gigante con l'inglese. Il Companion non riusciva a pronunciare il fonema ee, ma ne aveva registrato il suono per impiegarlo nelle parole dove compariva; il risultato, però, era alquanto buffo: quando chiamava Mary, usciva fuori qualcosa come 'Mare-ee,' la prima parte del nome pronunciata con la voce di Hak, la seconda con quella di Reuben o di Mary. Così quest'ultima aveva detto al Companion di non preoccuparsi; in fondo, un sacco di persone la chiamavano Mare, e non ci sarebbe stato nessun problema se anche lui avesse continuato a chiamarla così. Da parte sua, Louise aveva fatto lo stesso: andava benissimo che il Companion la chiamasse semplicemente 'Lou.'

Alla fine, Hak aveva annunciato di aver accumulato un vocabolario sufficiente a sostenere una conversazione in piena regola. Le eventuali difficoltà e lacune potevano essere superate e colmate in corso d'opera.

Così, mentre Reuben era impegnato al telefono con i suoi colleghi per i risultati delle analisi, e la nottambula Louise era andata al piano di sopra, a riposare sul letto dove aveva dormito l'incredibile ospite, Mary e Ponter, comodamente sistemati in soggiorno, svolsero la loro prima autentica conversazione. Ponter parlava piano, scandendo le parole nella sua lingua, e Hak, con la voce maschile, forniva la traduzione. «È bello parlare» furono le sue prime parole.

Mary si lasciò sfuggire un risolino nervoso. Non poter comunicare con Ponter era frustrante e non stava nella pelle ora che finalmente poteva farlo, tanto che non le veniva nulla da dire. «Sì, è molto bello.»

«È una giornata bellissima» continuò Ponter guardando fuori dalla finestra.

Mary rise divertita. Evidentemente le chiacchiere di argomento meteorologico erano un convenevole che trascendeva le barriere tra specie diverse. «Sì, splendida.»

Finalmente si scosse, sovvenendosi che gli argomenti da affrontare erano ben altri, che anzi aveva così tante domande che non sapeva da dove cominciare. Ponter era uno scienziato, doveva quindi avere qualche nozione di base sulla genetica, per esempio sulla diversità del gene dell'Homo e di quello Pan, e della…

Ma no. Ponter era prima di tutto una persona che aveva vissuto un'esperienza sconvolgente: la scienza poteva aspettare. Avrebbe dovuto parlare di lui, di come si sentiva, di quello che provava. «Come ti senti?»

«Bene» rispose la voce di Hak.

Mary sorrise. «Dico davvero, come ti senti, cosa provi?»

Ponter sembrò esitare; Mary si chiese se i maschi Neandertal condividessero con i maschi della razza umana la stessa riluttanza a parlare dei loro sentimenti. Invece, dopo un lungo sospiro tremulo, rispose: «Ho paura. E mi manca la mia famiglia.»

Mary inarcò le sopracciglia, sorpresa: «La tua famiglia?»

«Le mie figlie. Ho due figlie, Jasmel Ket e Megameg Bek.»

Rimase a bocca aperta; non le era passato per la mente che Ponter potesse avere una famiglia. «Quanti anni hanno?»

«La più grande ha… noi calcoliamo il tempo in mesi, mentre voi lo fate per lo più in anni, vero? La più grande ha… Hak?»

La voce femminile di Hak rispose: «Jasmel ha diciannove anni, Megameg nove.»

«Mio Dio!» esclamò Mary. «Come staranno? E la loro madre?»

«Klast è morta due dieci mesi fa» disse Ponter.

«Venti mesi» puntualizzò il sollecito Hak. «Un anno e otto mesi.»

«Mi dispiace» disse Mary dolcemente.

Ponter annuì. «Le cellule, nel sangue, sono mutate…»

«Leucemia» precisò Mary, suggerendogli la parola adatta.

«Mi manca ogni mese» disse Ponter.

Per un attimo si chiese se Hak avesse tradotto correttamente quello che Ponter intendeva; probabilmente voleva dire che gli mancava ogni giorno. «Essere rimasti senza genitori…»

«Sì» disse Ponter. «Naturalmente Jasmel adesso è maggiorenne, quindi…»

«Quindi può votare, e cose del genere?»

«No, no. Forse Hak ha fatto male i conti.»

«Certo che no!» ribatté Hak piccato, usando la voce femminile.

«Jasmel è troppo, troppo giovane per poter votare» puntualizzò Ponter. «Anche io sono troppo giovane per questo.»

«A che età si acquisisce il diritto di voto nel tuo mondo?»

«Bisogna aver visto almeno seicentosessantasette lune: i due terzi della vita media, mille mesi.»

Hak, che evidentemente voleva dissipare ogni dubbio sulle sue capacità matematiche, convertí prontamente il calcolo in anni: «Si può votare a cinquantuno anni; l'età media è di settantasette anni, anche se oggigiorno molti vivono più a lungo.»

«Qui in Ontario si vota al compimento dei diciotto anni» lo informò Mary.

«Diciotto!» esclamò Ponter. «Ma è pazzesco.»

«Non conosco nessun posto dove la maggiore età è più alta dei ventuno anni.»

«Questo la dice lunga sul vostro mondo» affermò Ponter. «Noi non permettiamo che la gente decida le nostre sorti politiche finché non abbia accumulato giudizio ed esperienza.»

«Ma se Jasmel non ha diritto di voto, cos'è che la rende maggiorenne?»

Ponter alzò impercettibilmente le spalle. «Suppongo che queste distinzioni nel mio mondo non siano così significative come qui da voi. Comunque, al compimento dei duecentocinquanta mesi, un individuo acquista la capacità di agire, e solitamente è pronto per andare a vivere da solo.» Scosse la testa e aggiunse: «Mi piacerebbe far sapere a Jasmel e a Megameg che sono ancora vivo. Sto pensando a come fare. Anche se non potrò tornare a casa, farei qualsiasi cosa pur di comunicare con loro.»

«Davvero non c'è modo di tornare a casa?» gli domandò Mary.

«Non vedo proprio come. Oh, forse qui si potrebbe costruire un computer quantistico, e ricreare le condizioni che hanno determinato il mio… spostamento. Ma io sono un fisico teorico, e conosco solo superficialmente come è strutturato un computer quantistico. Il mio collega, Adikor, saprebbe come fare, ma non ho modo di mettermi in contatto con lui.»

«Deve essere una sensazione veramente frustrante» considerò Mary.

«Mi dispiace molto» disse Ponter. «Non volevo farti carico dei miei problemi.»

«Nessun problema» lo tranquillizzò lei. «Possiamo… possiamo aiutarti in qualche modo?»

Ponter pronunciò solo una sillaba nella sua lingua, carica di tristezza, che Hak tradusse: «No.»

Mary sentì il bisogno di tirarlo un po' su. «Be', almeno non ci terranno in isolamento ancora per molto. Quando usciremo di qui potrai fare un bel giro nei dintorni. Sudbury è una piccola città, ma…»

«Piccola?» ripeté Ponter, sgranando gli occhi incavati. «Ma ci saranno… non so quanti, ma almeno diecimila abitanti.»

«Nell'area metropolitana di Sudbury vivono circa centosessantamila persone» lo corresse Mary, che l'aveva letto in una guida trovata nella stanza dell'albergo dove aveva pernottato.

«Centosessantamila» ripeté Ponter. «E questa sarebbe una piccola città? Tu vieni da un altro posto, vero? Un'altra città. Quante persone vivono lì?»

«Nella zona urbana di Toronto vivono due milioni e quattrocentomila persone. In tutta l'area urbana forse tre milioni e mezzo.»

«Tre milioni e mezzo?» ripeté Ponter incredulo.

«Più o meno.»

«Quanti siete?»

«In tutto il mondo?»

«Sì.»

«Poco più di sei miliardi.»

«Un miliardo è… mille milioni?»

«Esatto. Almeno qui nel Nord America. In Gran Bretagna… no, scusa. Sì, un miliardo equivale a mille milioni.»

Ponter si chinò in avanti. «Ma è… un numero incredibile di persone.»

Mary inarcò le sopracciglia. «Quanti abitanti ci sono nel tuo mondo?»

«Centottantacinque milioni» rispose Ponter.

«Perché così pochi?»

«Perché così tanti?»

«Non lo so. Non ci ho mai pensato.»

«Voi non… Nel mio mondo sappiamo come evitare le gravidanze. Forse potrei spiegarvi…»

Mary sorrise. «Anche noi conosciamo dei metodi.»

Adesso fu la volta di Ponter a inarcare il grosso sopracciglio. «Forse il nostro metodo è più efficace.»

Mary rise. «Forse.»

«C'è cibo a sufficienza per sei miliardi di persone?»

«Ci nutriamo soprattutto di vegetali. Li coltiviamo,» a questo punto ci fu un bip, il segnale che Hak non conosceva una parola o non riusciva a capirne il significato dal contesto «li facciamo crescere appositamente per nutrirci. Ho notato che non ti piace il pane,» un altro bip «uhm, cibo fatto con il grano, e qui la maggior parte della gente mangia pane o riso.»

«Riuscite a nutrire a sufficienza sei miliardi di persone con i vegetali

«Be', no» rispose Mary. «Circa mezzo miliardo di persone non ha cibo a sufficienza.»

«Questa è proprio una brutta cosa» commentò Ponter con semplicità disarmante.

Come non essere d'accordo? Mary si rese improvvisamente conto che Ponter aveva visto solo la parte meno cruenta della vita sulla Terra. Aveva passato un po' di tempo davanti alla TV, ma questo non bastava a far capire come andavano le cose. E poiché era molto probabile che vi dovesse trascorrere il resto dei suoi giorni, bisognava parlargli della guerra, della criminalità, dell'inquinamento, della schiavitù: la lunga scia di sangue che ha caratterizzato la storia umana.

«Il nostro mondo è un luogo molto complesso» disse, quasi scusandosi per il fatto che così tanta gente morisse di fame.

«Sì, me ne sto rendendo conto» rispose Ponter. «Nel nostro mondo esiste solo una specie di esseri umani, anche se in passato ce n'erano diverse. Ma qui sembra che ce ne siano tre o quattro.»

Mary scosse lievemente il capo. «Cosa intendi?»

«Le diverse specie umane. Tu fai parte di una specie, e Reuben di un'altra. E il maschio che mi ha soccorso sembra appartenere a una terza specie.»

Mary sorrise. «Quelle non sono specie diverse. In questo mondo esiste solamente una specie di umanità: l'Homo sapiens.»

«E potete riprodurvi tra voi?»

«Certo.»

«E la prole è fertile?»

«Sì.»

Ponter aggrottò la fronte. «Sei tu la genetista, ma… ma… se potete riprodurvi tra di voi, perché siete così diversi? Nel tempo non dovreste essere tutti simili, una mescolanza di tutte le possibili combinazioni somatiche?»

Mary sbuffò rumorosamente dal naso. Non si aspettava di impegolarsi in quel pasticcio così presto. «Be', uhm, in passato — non oggi, capisci? — ma…» si fermò, deglutì in cerca delle parole appropriate, quindi riprese: «Be', non oggi ma nel passato, la gente di una razza» un bip diverso, segno che il Companion aveva riconosciuto la parola ma non la comprendeva in quel contesto «la gente con un certo colore di pelle non voleva avere molto a che fare con la gente di un altro colore.»

«E perché?» chiese Ponter. Davvero una domanda semplice semplice…

Mary alzò impercettibilmente le spalle. «Be', la differenza del colore della pelle è dovuta al fatto che tanto tempo fa le popolazioni erano geograficamente isolate. Ma con il tempo… con il tempo ci sono stati degli incontri, seppur limitati a causa dell'ignoranza, della stupidità e dell'odio.»

«Odio» ripeté Ponter.

«Sì, è triste ma è così.» Scrollò appena le spalle. «Ci sono un sacco di cose nel passato della specie a cui appartengo di cui non vado per niente fiera.»

Ponter rimase a lungo in silenzio, infine espresse le sue considerazioni: «Ho pensato molto a questo vostro mondo. Sono rimasto sorpreso dalle immagini dei cranii all'ospedale. Li avevo già visti, ma nel mio mondo sono conosciuti solo come reperti archeologici. Sono rimasto sbigottito nel vedere della carne su quello che finora avevo visto solo come ossa.»

Indugiò di nuovo, guardando Mary come se fosse ancora sconcertato dal suo aspetto. Sotto quello sguardo, la donna si mosse un po' sulla sedia.

«Non sapevamo niente del colore della vostra pelle» continuò Ponter «o del colore dei vostri capelli. I…» ci fu un altro bip, poiché Hak emetteva quel suono anche quando Ponter usava una parola di cui non trovava l'equivalente «del mio mondo sarebbero sbalorditi se potessero vedervi.»

Mary sorrise. «Be', non tutto ciò che vedi è naturale. Per esempio, i miei capelli non sono veramente di questo colore.»

Ponter la guardò sbalordito. «E qual è il loro vero colore?»

«Una specie di marrone chiaro.»

«E perché l'hai cambiato?»

Mary scrollò le spalle. «Per esprimere la mia personalità, e… be', ti ho detto che erano marroni, ma a dire il vero erano anche un po' grigi. A me — come a molte persone, del resto — non piacciono i capelli grigi.»

«I capelli della mia specie diventano grigi con l'età.»

«Questo accade anche a noi; nessuno nasce con i capelli grigi.»

Ponter aggrottò di nuovo la fronte. «Nella mia lingua, la parola per denotare tutti quelli che hanno maturato la conoscenza attraverso l'esperienza è la stessa di quella usata per indicare il colore dei capelli che mutano colore: 'Grigio.' Non riesco a immaginare che ci sia qualcuno che voglia nasconderlo.»

Ancora una volta Mary scrollò le spalle. «Noi facciamo un sacco di cose che non hanno senso.»

«Questo è proprio vero» assentì il Neandertal. Si fermò un momento, quasi stesse considerando se fosse il caso di proseguire. «Ci siamo spesso chiesti che fine abbia fatto la vostra specie… nel nostro mondo, voglio dire. Perdonami, non voglio sembrare» — bip — «ma saprai che i vostri cervelli sono più piccoli dei nostri.»

Mary annuì. «In media, più piccoli del dieci per cento circa, se non ricordo male.»

«E siete fisicamente più esili. A giudicare dalle ossa, abbiamo calcolato che la tua specie aveva solamente la metà della nostra massa muscolare.»

«Direi che più o meno è così» confermò Mary annuendo.

«E mi hai parlato della vostra incapacità a convivere con le altre razze della vostra stessa specie.»

Mary annuì ancora.

«Nel mio mondo ci sono testimonianze archeologiche di quello che dici. Un'ipotesi molto seguita è che vi siate sterminati a vicenda… dimostrando che non eravate poi così intelligenti…» E a quel punto abbassò il capo. «Ti chiedo di nuovo scusa, non è mia intenzione offenderti.»

«Quello che hai detto è tutto vero» convenne Mary.

«Sono certo che esiste un'altra spiegazione. Ne sappiamo così poco su di voi.»

«In un certo senso» rifletté Mary «sapere che sarebbe potuta andare in modo diverso non potrà che farci bene. Ci ricorderà quanto sia preziosa la vita.»

«Non è una cosa ovvia?» esclamò Ponter sbalordito, gli occhi spalancati.

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