Quando i riflettori, abbandonando Zorro al suo destino, tornarono a gettare una luce uniforme su tutta la collina, un pompiere notò una scarpa infantile, a cinque o sei metri dal suo naso, all'interno della zona proibita.
- Quella scarpa prima non c'era, - disse. - Ho tenuto d'occhio questo pezzo di terra per tutta la sera e ne ho contato i sassi uno per uno. Vi dico che quella scarpa un momento fa non c'era... E ora che ci penso, ho l'impressione di aver visto un'ombra scendere di lassù, mentre succedeva tutta quella confusione per uno stupido di cane...
- Porta la scarpa al comando e levati il pensiero, - gli suggerì un collega.
- Sicuro che ce la porto. E subito.
Diomede, ossia l'intero comando, accolse l'oggetto con qualche risatina. Il generale domandò ai presenti se per caso lo scopo dell'Operazione E.S. fosse quello di aprire un negozio di scarpe usate. I presenti, tra cui si distinsero per le risatelle più scientifiche il professor Terenzio e il professor Rossi, osservarono che la scarpina aveva la suola bucata in due punti: forse i marziani usavano portare scarpe simili in testa, a guisa di elmo, infilando le antenne nei due buchi.
Ma il vigile Meletti, detto l'astuto Ulisse, presente alla discussione, ebbe un'idea più brillante, anzi veramente astuta.
- Signori, - disse, - se permettono. I bambini, si sa, non conoscono il pericolo né la differenza tra il bene e il male. Chi ci assicura che il nemico, là, insomma, quelli dell'oggetto misterioso, non abbiano convinto qualche bambino, con un regaluccio per esempio, a raccogliere informazioni per conto loro?
- Venga alla scarpa, - lo ammonì il generale.
- Ecco, secondo me, se un bambino è stato veramente lassù, là dentro, e nello scappare ha perso la scarpa, c'è un modo di saperlo abbastanza facilmente.
- E quale?
- Provare la scarpa a tutti i bambini della borgata.
- Ma questa è la fiaba di Cenerentola, - rise il professor Terenzio.
- Anche nelle fiabe si può nascondere il vero, - commentò il professor Rossi, tanto per dargli torto.
- Va bene, - tagliò corto il generale. - Faccia pure la prova della scarpa. Se non altro, avrà la gratitudine di una madre di famiglia. Sarà sempre un'opera buona.
L'astuto Ulisse avvolse la scarpina in un foglio di giornale, legò il pacchetto con uno spago robusto, lo suggellò e lo depositò in un armadio della biblioteca scolastica, raccomandando a una sentinella di non perderlo d'occhio per tutta la notte: - Segreto militare, - disse, - non te lo far soffiare.
A casa, trovò i bambini a letto, già addormentati. Alla sora Cecilia fece un breve resoconto degli avvenimenti, tacendo la storia della scarpina, perché i segreti militari non si dicono nemmeno alla moglie.
La mattina seguente di buon'ora andò al comando, ritirò la scarpina e cominciò il pellegrinaggio di caseggiato in caseggiato, di scala in scala, di porta in porta.
- Toc, toc...
- Chi è?
- Aprite, sora Rosa. Sono il vigile Meletti. E' per un vostro figlio.
- Cos'ha combinato ancora quel disgraziato?
- Niente di male, sora Rosa. Ordine del comando. Gli debbo provare questa scarpa.
La sora Rosa (o la sora Cesira, o la sora Matilde, secondo i casi) apriva in ciabatte e vestaglia, reggendo in mano il bricco del latte, svegliava "quel disgraziato", e la prova cominciava.
- Ma sor Meletti, non vede? Questa sarà una scarpina del 32. Mio figlio porta il quaranta, guardi che "fette"...
- Gli ordini sono ordini...
Comparivano intere nidiate di bambini assonnati, padri che protestavano facendosi la barba: - Che, il Comune si mette a regalare scarpe spaiate? E pure col buco. Anzi, due.
- Pazienza, pazienza, ordine del comando.
Naturalmente furono trovati molti piedini adatti alla scarpina, e ogni volta il sor Meletti apriva l'interrogatorio.
- Dov'è l'altra?
- Ma quale altra? Mia figlia non ha mai avuto scarpe come queste.
- Dov'eri ieri sera alle dieci?
- Sor Melè, - rispondeva la madre per la figlia, - era andata a fare una capatina a Parigi in Francia. Era a letto, era! E ci ho fior di testimoni. Domandate al sor Gustavo qua di fronte, che ha passato la serata in casa nostra a guardare la televisione.
Il sor Gustavo confermava. Il pellegrinaggio dell'astuto Ulisse continuava.
- Eppure a me, - brontolava sotto i baffi il buon vigile, - a me questa scarpa non mi riesce nuova. Io l'ho già vista ai piedi di qualcuno. Ci giurerei proprio. Questa scarpa l'ho già veduta, com'è vero che ha due buchi. A proposito, che mi diceva mia moglie stamattina, di buchi? Ah, che Rita ha di nuovo le scarpe consumate. Quella ragazzina se le mangia, le suole, se le beve addirittura.
Di casa in casa il sor Meletti arrivò anche a casa sua. Bussò prima di tutto dalla portiera, che aveva una figlioletta di cinque o sei anni e che aveva anche un po' di ruggine col sor Meletti e con tutti i vigili urbani, perché un paio d'anni prima suo marito era stato multato per eccesso di velocità.
- Sora Matilde, è già alzata la vostra pupa?
- Che, le dovete fare la multa? - ribatté acida la sora Matilde.
- No, no, niente multe. Le cose stanno così e così.
E l'astuto Ulisse spiegò lo scopo dell'esperimento, mentre da tutti i pianerottoli donne e bambini seguivano la scena. C'era sempre da divertirsi, quando si scontravano il sor Meletti e la sora Matilde.
- Ah, così e così? - ridacchiò la portiera. - Secondo voi la pupa mia sarebbe una spia dei marziani?
- Io non ho detto questo.
- E già, non l'avete detto, ma io l'ho capito lo stesso.
- Insomma, gli ordini non li do io.
- Le multe sì, però.
- Io faccio il mio dovere, - esclamò indignato il sor Meletti.
- E allora avanti, Maria Grazia, prova la scarpina... Ti va larga, eh, tesoro? Su, torna a letto, spiuccia di mamma. E adesso la scarpina me la voglio provare io.
- Ma, sora Matilde, l'ordine riguarda solo i bambini.
- Ah, no, è troppo facile prendersela con le creature innocenti... Vediamo se ce la fate con me...
- Per carità, mi sfondate la scarpina!
- Io? Ma se sono leggera come una piuma. Peso solo centododici chili. Un giorno o l'altro metto su il baraccone della donna cannone e faccio più soldi a mostrarmi nelle fiere che a fare la serva a certa gente.
Una risata corse su e giù per le scale, chiamando sui pianerottoli anche i pochi inquilini che ancora non s'erano affacciati, tra cui la sora Cecilia, Paolo e Rita.
La sora Cecilia, vedendo il marito alle prese con la portiera, scese a precipizio, per dargli man forte. Paolo le tenne dietro, e Rita seguì Paolo, con un brutto presentimento. Era stata la prima, lei, a vedere che il centro della scena era una scarpa.
- Ora me la provo, - annunciò la sora Matilde a tutto il casamento.
E gettata una ciabatta infilò il suo piede di elefante nella scarpina.
- Il ditone ci va, - annunciò trionfalmente, - ora vedrete che ci vanno anche le altre dita.
La sora Cecilia gettò un urlo:
- Ferma, che fai?
- Faccio un esperimento, per ordine di tuo marito.
- E tu non vedi che è la scarpa di Rita? Che razza di stupidi scherzi state combinando?
Il sor Meletti rimase lì a bocca aperta, come se il fulmine l'avesse colpito.
La sora Matilde, invece, sbottò a ridere e rise tanto che fu per soffocare, e una vicina dovette correre a prenderle un bicchiere d'acqua.
- Insomma, mi vuoi spiegare cosa succede? - gridava la sora Cecilia, scrollando vigorosamente il sor Meletti per una spalla.
- Segreto militare, - balbettò finalmente l'astuto Ulisse.
- Dove hai trovato quella scarpa? E cos'è tutto questo teatro?
- Taci, non mi far parlare.
Si riscosse, finalmente, e guardandosi attorno con cipiglio professionale, esclamò: - Sgomberare, circolare, lo spettacolo è finito.
Il primo a obbedire, non visto, fu Paolo, che infilò il portone e se la diede a gambe, Rita tentò di imitarlo, ma il padre l'afferrò per un braccio.
- Vieni qua, tu, faremo i conti, in casa.
Rita, divincolandosi, si rifugiò presso la mamma che ancora non aveva capito nulla e continuava a protestare:
- Guarda, guarda quella cicciona come ha conciato la scarpina di Rituccia nostra. Poco ma sicuro, le ha dato di volta il cervello. Ma ride bene chi ride ultimo.