- Qui Dedalo chiama Diomede, qui Dedalo chiama Diomede. Passo.
- Qui Diomede. Vi ascoltiamo. Passo.
- Ho completato il giro dell'oggetto misterioso. Secondo i miei calcoli la sua circonferenza misura metri tremilacentoquaranta. Per trovare il diametro, basta dividere per tre e quattordici.
- Lo sappiamo, lo sappiamo. Tirate avanti.
- Chiedo scusa. La superficie laterale appare dipinta a fasce di differenti colori. Dal basso in alto, eccone la disposizione: bruno, rosa, verde, bruno di nuovo, giallo, violetto, bianco. Mi accingo a salire più in alto. Passo.
- Qui Diomede. Attendete. Non avete notato sui fianchi dell'oggetto qualche apertura? Niente finestrini, oblò, sportelli? Passo.
- Qui Dedalo. Notato niente del genere. La superficie laterale è dovunque compatta. Passo.
- Qui Diomede. Prendete quota, misurate l'altezza e osservate la superficie superiore. Mantenete distanza di sicurezza. Passo.
- Ricevuto. Passo e chiudo.
La conversazione qui trascritta si svolgeva, verso le otto di quella famosa mattina, tra un ufficiale pilota alla guida di un elicottero, chiamato col nome convenzionale di Dedalo, e il comando generale dell'Operazione E.S., situato nell'ufficio del direttore delle scuole del Trullo. E.S. non vuol dire, in questo caso, Esterna Destra: non si sta parlando di linee tranviarie. Vuol dire invece Emergenza Spaziale. Con questo nome eccitante le autorità avevano battezzato le misure militari messe in atto in seguito all'apparizione del misterioso piatto volante. Il comando era indicato col nome convenzionale di Diomede. Avendo inventato tre bellissimi nomi, le autorità potevano già dirsi a buon punto.
Nella stanza di Diomede si trovavano, in quel momento, numerosi alti personaggi, tra cui un generale, due famosi scienziati - il professor Rossi e il professor Terenzio - e il sor Meletti, detto "l'astuto Ulisse", vigile urbano e padre di Paolo e Rita, a disposizione per le commissioni urgenti. (Per esempio, era già corso un paio di volte a ordinare caffè forte per tutti).
- Qui Dedalo chiama comando, - risuonò di nuovo la voce dell'aviatore.
Il generale in persona si curvò sul microfono a rispondere:
- Qui Diomede. Riferite.
- L'altezza laterale dell'oggetto misterioso è di circa venticinque metri. Per calcolare il volume...
- Conosciamo la geometria. Contentatevi di riferire.
- Signorsì. La superficie superiore presenta un meraviglioso panorama di color bianco panna. Uno spettacolo superbo!
- Lasciate perdere i punti esclamativi, - tuonò Diomede. - Non siete mica un venditore di frigoriferi. Dite quel che vedete e basta. Passo.
- Ricevuto, sissignore. Vedo delle sfere rosse inserite a regolare distanza nella superficie bianca. Sono diverse centinaia. Somigliano a grosse ciliege candite, se m'è permesso il paragone.
- Non vi è permesso! - s'infuriò il generale. - Risparmiateci i paragoni. Contate le sfere, invece.
Il professor Rossi, mentre Dedalo taceva, contando le sfere, crollò pensosamente il capo e mormorò:
- Ingegnoso, veramente ingegnoso.
- Trovate? - ridacchiò il professor Terenzio.
- Non pensate anche voi quello che penso io?
- Per niente, egregio collega: io penso esattamente l'opposto.
- Signori, per favore, - sospirò il generale, - fate capire anche a noi quello che pensate.
- Qui Dedalo, - riprese l'altoparlante, interrompendo la conversazione. - Mi sentite? Passo.
- Vi sentiamo, purtroppo, - rispose Diomede. - Sentiamo tutte le sciocchezze che ci state snocciolando.
- Segnalo la presenza di un aquilone.
- Cosa? Siete diventato cretino del tutto?
- Un aquilone, signore, lo confermo. Sta salendo da uno dei tetti della borgata. Debbo intercettarlo? Passo.
- Qui Diomede. Non fate nulla. Restate dove siete, mentre svolgiamo rapide indagini. Passo e chiudo.
Le indagini ebbero inizio immediatamente: tutti, infatti, corsero alla finestra per vedere l'aquilone che saliva incontro all'oggetto misterioso, sbattendo le sue tre code di carta, variopinte.
- Segnalazioni da terra, - commentò una voce sospettosa, - messaggi della "quinta colonna". Evidentemente gli invasori spaziali hanno degli appoggi tra la popolazione.
- Non è possibile! - esclamò sgomento il vigile Meletti. - Io conosco tutti, al Trullo: brava gente, casa e bottega. Nessun contatto con i marziani, per carità.
- E allora quello?
"Che mi caschi il naso se non è l'aquilone di Paolo", esclamò mentalmente l'astuto Ulisse, preso a sua volta da un terribile sospetto.
Senza dir nulla a nessuno e senza attendere ordini si precipitò fuori, inforcò la bicicletta e in poche pedalate fu nel cortile deserto del Lotto Quinto, a naso per aria. Individuò in un attimo il balcone di cucina del suo appartamento e chiamò a gran voce: - Paolo! Rita! Cosa fate lì? Perché non siete in cantina come gli altri? Non avete sentito l'allarme?
- Papà, papà, - gridò Rita per tutta risposta battendo le mani, - vieni ad aiutarci.
- Ritirate immediatamente quell'aquilone, invece. Volete farmi andare in galera per spionaggio?
- Ma noi non spiamo nessuno: vogliamo solo prendere un pezzo di pizza.
- Ve la do io, la pizza, se non sparite da quel balcone.
- Ma papà...
- Volete che salga? Presto, via, marsch!
Ai suoi desolati figlioli non rimase che obbedire, almeno per la prima parte dell'ordine, concernente il ritiro dell'aquilone. Quanto a scendere in cantina, essi se ne guardarono bene. Abbandonarono il balcone, questo sì, ma non abbandonarono, seduti sulle piastrelle della cucina, l'osservazione del cielo.
- Peccato, - disse Rita, - l'idea dell'aquilone era proprio buona.
- Però non hanno risposto, - disse Paolo.
- Ma chi vuoi che ti rispondesse? Quella è una pizza, come te lo devo dire?
- E' un'astronave, stupidina.
- Allora perché hai accettato la mia idea di lanciare l'aquilone?
- Non certo per tirar giù un altro pezzo di cioccolato: l'ho lanciato per fare dei segnali ai marziani.
- Tu hai le pigne in testa. Tutti avete le pigne in testa. Quelli laggiù voglion prendere a cannonate una pizza, tu vorresti che ci scrivesse dei bigliettini.
- Non è una pizza.
- Te lo dirò in lingua: è una torta.
- Va bene, piantala. Restiamo qui e pensiamo. Con l'aquilone non è andata bene. Ci verrà in mente qualcos'altro.
Qualche ora più tardi...
- Qui Dedalo chiama Diomede. Passo.
- Qui Diomede. Riferite. Passo.
- Sono le dodici e quarantasette. Raggiungo nuovamente la superficie superiore dell'oggetto in osservazione. Sono a quota 654.
- Come avete detto?
- Sono a quota 654. Perché?
- Perché dovete essere ubriaco. Stamattina, quando avete esplorato l'oggetto per la prima volta, ci avete comunicato che vi trovavate a quota 918. Come spiegate la differenza?
- Non la spiego. Posso solo misurarla: 918 meno 654 uguale...
- Basta così. Passo e chiudo.
E il generale sottolineò quella voce del verbo chiudere con un robusto pugno sul tavolo.
- Signori, ci siamo, - disse poi, rivolto agli astanti, - l'astronave sconosciuta sta atterrando.
L'attesa durò fino al tramonto. L'oggetto misterioso perdeva quota insensibilmente, un centimetro per volta. Verso le quindici, con lente ondulazioni, cominciò anche a spostarsi in direzione nord-est. Diomede poté tirare un respiro di sollievo: il nemico non intendeva, per lo meno, scendere sui tetti e sui terrazzi, schiacciando l'intera borgata.
A occhio e croce, l'atterraggio sarebbe avvenuto sul Monte Cucco, una collinetta pelata e sassosa che sorgeva alle spalle della scuola. Ci andavano, di tutte le stagioni, i ragazzi a giocare. Ci tenevano un capanno certi pastori abruzzesi, che scendevano a svernare con il loro gregge nella campagna romana: un capanno di paglia, sulla testa piatta della collina, e un semplice recinto di filo spinato, a mezza costa, per ricoverarvi le pecore la notte.
Il generale, per conto suo, avrebbe preferito abbreviare l'attesa a cannonate. Ma gli ordini del governo - che da diverse ore si teneva in contatto con le maggiori potenze mondiali - erano categorici: ricorrere alle armi solo se i misteriosi visitatori provenienti dallo spazio avessero attaccato per primi; astenersi da qualsiasi iniziativa ostile, per non provocare crudeli rappresaglie e per non far fallire tragicamente il primo incontro tra l'umanità terrestre ed esseri di un altro mondo; vigilare, pronti a tutto.
Ragion per cui Diomede, quando le intenzioni del disco furono chiare, schierò le sue forze tutt'intorno alla collina, su un fronte di parecchi chilometri. Cannoni, lanciafiamme, carri armati, razzi terra-terra cingevano d'assedio il Monte Cucco quando la "cosa" vi si posò, senza il minimo rumore, quasi con dolcezza, lasciando del tutto sgombro il cielo che il tramonto tingeva dei suoi colori.