Il sor Meletti perdette qualche minuto a mandar via gli ultimi curiosi, ragion per cui quando arrivò davanti alla porta di casa sua la trovò sbarrata col catenaccio interno.

- Apri, - gridò alla moglie, - in nome della legge.

- Ma quale legge? Cosa le vuoi fare, a questa povera bambina?

- Domanda piuttosto a lei cos'ha fatto. Domandale dove e come ha perso la scarpina. E fammi entrare, se non vuoi che i vicini sentano tutto.

Questo argomento convinse la sora Cecilia a levare il catenaccio e a socchiudere la porta. Prima di far entrare il marito, però, studiò a lungo la sua faccia. Era la faccia di tutti i giorni, forse un po' più preoccupata del solito, ma senza segni visibili di pazzia.

- Va bene, entra. E tu piantala di frignare!

Queste ultime parole erano rivolte a Rita che singhiozzava disperatamente.

- Nostra figlia è una spia, - esclamò il sor Meletti, buttandosi su una sedia. E agitando la scarpina che teneva in mano aggiunse: - Ne ho le prove.

- Quali prove? I buchi? Quelli provano soltanto che Rituccia ha bisogno di un paio di scarpe nuove.

- Tu non capisci.

- Avanti, sentiamo.

Il sor Meletti raccontò tutto ciò che si riferiva alla scarpina, dal suo ritrovamento in zona di operazioni, al sospetto che i marziani si servissero dei bambini per raccogliere informazioni, alle indagini casa per casa.

- Non c'è dubbio alcuno, - concluse, - nostra figlia lavora per i marziani.

- Ma non sono marziani! - sbottò Rita, asciugandosi le lacrime nella sottana della mamma.

- Ecco, vedi? - tuonò l'astuto Ulisse. - Sa chi sono. Dunque c'è stata, è stata lassù, li ha visti. E ha perso la scarpa uscendo dall'astronave.

- Ma non è un'astronave! - protestò Rita. - E' una torta.

La madre, cambiando rapidamente fronte, le mollò uno scapaccione.

- Te la do io la torta.

La sora Cecilia, aveva l'abitudine di darle prima di prometterle. Rita tornò a singhiozzare. Stavolta, però, piangeva di rabbia, perché non le volevano credere.

- E' una torta, una torta! - continuò a gridare tra i singhiozzi. - E ora ve la faccio vedere.

Corse sul balcone, seguita dai genitori, spostò un vaso di gerani e disse soltanto: - Eccola qui.

L'idea di nascondere l'avanzo della torta a quel modo era stata di Paolo. Egli l'aveva avvolta in un vecchio giornale, aveva legato il pacco con una cordicella e l'aveva appeso fuori del balcone. La sora Cecilia tirò la corda, con mille attenzioni, come se fosse la miccia di una bomba. Il pacco comparve, venne disfatto in un attimo, mostrò il suo contenuto.

- Cioccolato, - sentenziò la sora Cecilia, fidandosi del parere del suo naso, - dove l'hai preso?

- Chi te l'ha dato? - incalzò il sor Meletti.

- Non me l'ha dato nessuno. E' caduto dal cielo, è caduto dalla pizza, prima che si posasse sul Monte Cucco.

Un secondo scapaccione le provò che la mamma non credeva una parola della sua confessione.

- Vedi? - esclamò il sor Meletti. - Li difende. Inventa storie inverosimili per difendere quelli lassù. Sei convinta, adesso, che è una spia?

- Se è una spia non so, - disse la sora Cecilia. - Una bugiarda lo è di certo. Da sola, però, non avrebbe mai saputo inventarle così grosse. Dov'è Paolo?

Già, dov'era Paolo?

- Se l'è battuta, approfittando della confusione, - constatò il sor Meletti. - Ma pescherò anche lui. Intanto bisogna andare al comando.

- Al comando? Tu sei matto nella testa. Mia figlia al comando non ci viene.

- Rifletti, Cecilia. La patria è in pericolo, anzi, che dico? l'umanità intera è in pericolo! Non possiamo tener nascoste le informazioni di cui disponiamo.

- Ma come fa la patria a essere in pericolo per una pizza? - gridò Rita, pestando i piedi.

La madre le inflisse un terzo scapaccione e vi aggiunse un brusco:

- Taci, altrimenti te le suono. Facciamo così, - disse poi, rivolta al marito. - Tu vai al comando e racconti come stanno le cose. A me, mi sa tanto che questi ragazzini ci prendono in giro. Ma se il comando vuole parlare con Rita, venga qui e s'accomodi.

Il sor Meletti si provò a discutere l'ordine della sora Cecilia, senza troppa speranza. Sapeva bene che quando lei aveva deciso non era disposta a cambiare opinione. Dovette dunque rassegnarsi a tornare al comando con la scarpina e col pacco della torta.

Diomede (ossia, com'è noto, tutto un folto gruppo di personalità civili, militari e scientifiche) ascoltò il suo racconto con molto scetticismo.

- I bambini hanno la fantasia accesa, - borbottò il generale.

- Sono anche spiritosi, - aggiunse un colonnello.

- Questo però è veramente un pezzo di cioccolato, - mormorò l'astuto Ulisse. Egli era contento, si capisce, che Diomede non prendesse sua figlia per una spia; intanto, però, gli dispiaceva che Rita passasse per una bugiarda.

- Che cosa ne dice la scienza? - domandò il generale.

Il professor Rossi e il professor Terenzio si chinarono a fiutare il corpo del delitto.

- Niente impedisce di supporre che i marziani sappiano fabbricare il cioccolato, - disse il professor Rossi.

- Niente impedisce di supporre che i figli del nostro bravo vigile, qua, abbiano comprato il cioccolato in una pasticceria, - disse il professor Terenzio.

- Questo si può escludere, - disse il sor Meletti. - Venendo qui ho fatto il giro delle pasticcerie. Primo nessuno vende, al Trullo, cioccolato in blocchi così grossi. Secondo, i miei figli sono stati visti l'ultima volta in una pasticceria la settimana scorsa. Hanno comprato due gomme da masticare. Quel cioccolato lì non viene dal Trullo.

- Ma non è detto che venga dal cielo, come la manna, - ribatté il professor Terenzio.

- Vogliamo provarlo? - propose il professor Rossi.

- Calma, calma, - disse il professor Terenzio. - Facciamolo piuttosto analizzare da un chimico. Se è di provenienza oltreterrena, conterrà qualche elemento a noi sconosciuto.

- Dunque ha paura ad assaggiarlo, - concluse il professor Rossi. - Dunque anche lei pensa che...

Il professor Terenzio picchiò il pugno sul tavolo, impallidendo: - Io non ho paura di nulla. Io parlo nell'interesse della scienza.

- Nell'interesse della scienza, - riprese il professor Rossi, - ci sono stati medici coraggiosi che si sono iniettati le più terribili malattie.

- Questa è una sfida! - tuonò il professor Terenzio.

- Lo è, - disse il professor Rossi, impallidendo a sua volta. - Ora taglieremo due pezzetti di questo presunto cioccolato e li mangeremo, e vedremo se si tratta di cioccolato terrestre o di cioccolato spaziale.

Un brivido di emozione corse per la piccola assemblea.

- Signori, - si provò a dire il generale, - non vi sembra un'imprudenza? Non posso permettere che due eminenti scienziati si sacrifichino per...

- Sono stato sfidato! - esclamò dignitosamente il professor Terenzio.

- Mia figlia, - mormorò il sor Meletti, - dice che ne avrà mangiato un mezzo chilo, che è di ottima qualità e di facile digestione.

- Bando alle chiacchiere, - disse il professor Rossi. - Si proceda all'esperimento.

Un silenzio angoscioso seguì queste parole. Trattenendo il fiato i presenti osservarono i due scienziati che, pallidi come cadaveri, guardandosi fissamente negli occhi, si preparavano a inghiottire due minuscoli dadi della misteriosa materia.

- Generale, - disse il professor Rossi, spiccando solennemente le parole, - prenda nota di quanto potrà accadere da questo istante. Forse dal nostro esperimento dipende la salvezza dell'umanità. La presenza sul nostro pianeta di invasori spaziali, a mio giudizio, è un pericolo maggiore anche dello scoppio della bomba atomica. E' con piena coscienza di questo pericolo, in pieno possesso delle mie facoltà mentali che io...

Insomma, il professor Rossi fece un bel discorsetto, e la tirava tanto in lungo che i presenti cominciarono a domandarsi segretamente: - Lo manda giù o no?

Poi toccò al professor Terenzio prendere la parola. Egli parlò del sistema solare e del cosmo, nominò Dante, Galileo, Copernico e Newton, accennò di passaggio alla differenza che passa tra l'uomo delle caverne e il professor Einstein, insomma disse cose memorabili, che vennero tutte accuratamente registrate su un magnetofono, perché non ne andasse perduta una sillaba.

Ma di nuovo i presenti furono costretti a domandarsi:

- Mangiano o non mangiano?

Forse i due scienziati si aspettavano che il generale facesse a sua volta un discorsetto di circostanza, ma il generale rimase zitto.

I due scienziati si fissarono come due spadaccini al momento culminante di un duello all'ultimo sangue e si misero in bocca il cioccolato, appoggiandolo con eroica precauzione sulla punta della lingua.

Ritirarono la lingua.

Masticarono.

Deglutirono.

Rimasero lì immobili come due busti ai giardini pubblici, per qualche attimo. Poi una smorfia si disegnò sul volto del professor Rossi. Un'altra smorfia, come da uno specchio, le rispose dal volto del professor Terenzio.

- E' cattivo? - domandò il sor Meletti, senza il minimo senso della solennità del momento.

Tutti lo zittirono con indignazione.

- Cafone, - mormorò, a parte, il generale. Poi, rivolto ai due scienziati:

- Ebbene, signori? Siamo in attesa.

- Provo, - balbettò il professor Rossi, - un certo senso di soffocazione.

- Io soffoco del tutto... - emise il professor Terenzio.

- Forse... forse è... - disse il primo.

- Veleno! - finì il secondo.

- Presto! - ordinò il generale, - a me un'autoambulanza! Bisogna portarli d'urgenza al più vicino ospedale!

- Aiuto! - gridò il sor Meletti. - Rita! Rituccia mia! Paolo! Bisogna portare all'ospedale anche loro! Presto per carità!

Il professor Rossi e il professor Terenzio, ormai, si torcevano come in preda a terribili dolori, si slacciavano il colletto con mani febbrili, si aggrappavano al generale, al colonnello, a tutti i presenti.

- Ecco, - gridò qualcuno, - ecco quello che succede quando si ha paura di ricorrere al cannone!

Ma la confusione, nella stanza, era tale che non è possibile sapere con precisione chi sia stato l'autore della storica frase.

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