Non so se avete presente la storia del pifferaio di Hammelin, che col suo piffero magico liberò la città dai topi, e poi non gli vollero dare la sua paga, e allora ricominciò a suonare il suo piffero, e tutti i bambini della città gli andarono dietro, anche quelli che erano ancora troppo piccoli per camminare a due gambe, e lo seguirono gatton gattoni.
Qualcosa del genere accadde quel giorno a Roma. La telefonata di Lucrezia a Sandrino fece da piffero magico. Anzi, fece meglio.
Supponiamo infatti che quel famoso pifferaio di Hammelin si fosse messo a suonare il suo piffero nel bel mezzo di piazza San Pietro. Chi l'avrebbe sentito? A mala pena i pochi bambini che si fossero trovati in quel momento a giocare intorno alle fontane o all'obelisco. Forse nemmeno loro, col fracasso che fanno le automobili. Un piffero non ha molte probabilità di farsi sentire, in una città moderna.
Poi il pifferaio, per raggiungere le orecchie di tutti i bambini di Roma, avrebbe dovuto fare il giro della città. Campa cavallo! Nemmeno a camminare due giorni di fila, e di buon passo, avrebbe potuto far sentire la sua canzone in tutti i rioni del centro, in tutti i quartieri della periferia, e in tutte le borgate, e in tutti i borghetti che circondano la capitale in ogni direzione, giungendo fin quasi ai colli, da una parte, fin quasi al mare dall'altra. I bambini avrebbero finito col perdere la pazienza e l'avrebbero mandato a quel paese, ad Hammelin, insomma, nel paese delle favole, dove il telefono non esiste.
Il telefono: ecco un piffero magico adatto per una città moderna.
In meno di mezz'ora i suoi squilli, moltiplicandosi a catena, portarono la notizia da Trastevere a Torpignattara, dal Testaccio a San Giovanni, dai Parioli al Quadraro:
"Al Trullo è caduta una torta spaziale grande quanto una montagna!"
Chi riceveva la telefonata si affrettava a fare il numero di un amico, e gli comunicava la notizia; poi si affacciava alla finestra ed avvertiva i compagni che giocavano in cortile; poi scendeva in strada e si incamminava con loro alla volta del Trullo, in tram, in autobus, in bicicletta, a piedi. Improvvisamente Roma sembrò invasa dai bambini. Li vedevi uscire a gruppi dai portoni, abbandonare la palla nelle mani del vigile urbano senza protestare e mettersi a correre, qualcuno con la merenda in mano, qualcuno con la cartella. Nelle scuole Francesco Crispi i maestri del turno pomeridiano videro le loro scolaresche balzare in piedi come un solo scolaro e dirigersi verso la porta: tutto per colpa (o per merito?) di un ragazzino di terza che, mentre andava al gabinetto, si era affacciato alla finestra, e di lì aveva ricevuto il messaggio dal figlio del barista di fronte, e si era affrettato a comunicarlo ai ragazzi che aveva incontrato nei corridoi, durante la sua passeggiatina igienica.
- Dove andate? Tornate ai vostri posti! Insomma, fermi là! Volete che vi castighi tutti?
I maestri gridavano, ma non ci fu niente da fare: la scuola si vuotò in un baleno, come per l'improvvisa fine dell'anno scolastico. Rimasero a mezzo gli svolgimenti dei temi, le soluzioni dei problemi, le risposte di storia e di geografia.
- Al Trullo! Al Trullo!
La gente si voltava, incuriosita. I vigili urbani si grattavano la testa sotto il casco, perplessi. Mamme affacciate a centinaia, a migliaia di finestre, gridavano migliaia di nomi:
- Tonino! Pietro! Maria! Gilda! Oretta! Dario! Albertina!
Macché: avrebbero potuto recitare in fila tutti i santi del calendario che nessuno si sarebbe voltato a rispondere.
Cinque bambini furono visti transitare a velocità moderata su un solo monopattino. Un ragazzo dei Parioli - che è il quartiere di lusso - tirò fuori il suo go-kart e suscitò una grande invidia, perché superava senza il minimo sforzo i meno fortunati che spingevano i loro tricicli, le loro automobiline a pedali, rosse come bolidi, o scivolavano rumorosamente sui pattini a rotelle.
- Al Trullo! Al Trullo!
Molte bambine correvano saltando la corda, un po' perché avevano l'illusione di correre più in fretta, un po' perché senza la loro corda non sarebbero andate né al Trullo né altrove.
- Che c'è? E' scoppiata la rivoluzione? - domandò un droghiere, affacciandosi sulla soglia del suo negozio. - Sarà il caso che abbassi la saracinesca?
Sette ragazzi di Campo de' Fiori si fecero prestare da un cenciaiolo un carrettino a mano, per fare il viaggio più comodi: a turno, due tiravano e cinque stavano sul carrettino, e di lassù gridavano a chi li voleva sentire:
- Al Trullo! Al Trullo!
Ci furono perfino degli audaci che scesero il Tevere in barca, da Ponte Milvio alla Magliana, attraversando tutta Roma: e di là si buttarono per i prati verso il Monte Cucco, in cima al quale la torta, illuminata dal sole del tramonto, aveva preso il colore di un budino alla fragola.
La telefonata magica, come potete immaginare, era arrivata anche al Trullo. Sicché i primi a precipitarsi ai piedi della torta furono i piccoli trullesi (o forse si dice trullini, non so; forse trullalleri).
Invano pompieri, vigili, agenti, soldati a piedi ed a cavallo, sottufficiali e ufficiali si sforzavano di tenerli lontani dalla linea dell'assedio.
- Vogliamo la torta! - gridavano i ragazzini. Ma più probabilmente gridavano in dialetto: - Volemo la pizza! Datece 'a pizza!
Rita e Lucrezia, intanto, avevano condotto fuori dell'ospedale i loro compagni: ma non senza aver promesso a quanti non potevano alzarsi dal letto che sarebbero tornate a portar loro un buon pezzo di torta.
Ci fu anche qualche piantuccio, si sa.
- Portate anche me! - implorava un bambino con la gamba ingessata. - Posso correre anche con una gamba sola!
- Bravo, - gli disse Lucrezia, - così ti rompi anche quella. Sta' buono, non ti dimenticheremo.
E via a correre, con la sua vestaglia rossa che la faceva assomigliare a una grossa farfalla. Correva, accanto a lei, il biondino con il braccio al collo, gridando:
- Che fortuna avere un braccio rotto! Che fortuna!
Un ortolano, vedendo passare quel gruppo di bambini e bambine in pigiama, in vestaglia, o addirittura in camicia da notte, esclamò:
- Guardate che il Carnevale è passato da un pezzo! E tu, dove vai? Vieni qui, birbaccione, torna indietro!
Queste ultime parole erano rivolte a suo figlio, che non aveva perso tempo a pensare al Carnevale, si era informato di quel che succedeva e aveva buttato la zappa per unirsi al gruppo.
- Misericordia! - esclamò il professor Zeta, affacciandosi accanto a Paolo all'apertura della galleria.
Mille, duemila, forse tremila bambini, rompendo e scompaginando lo schieramento degli assedianti, venivano su per la collina. Grida festose risuonavano per l'aria:
- Caricaaa!
- All'assalto!
- Arrivano i nostri!
- Sono perduto! - mormorò il professor Zeta, accasciandosi su un croccante. - Non potrò più far distruggere la torta.
- E io scommetto, - disse Paolo, - che la torta sarà distrutta lo stesso.
- Che cosa vuoi dire?
- Ma professore, apra gli occhi! Cosa crede che ne faranno i bambini della sua torta? Non vengono mica su per misurare la circonferenza o per trovare l'area di base. Tempo un'ora, e quassù
non resterà una crosta di cioccolato a pagarla un miliardo.
Il volto del professor Zeta si accese come una lampadina.
- Ma certo! La mangeranno! Non ne rimarrà una briciola. Evviva! Avanti, avanti, ragazzi. Avanti che ce n'è per tutti! Buon appetito alla compagnia! Come sono stato sciocco a non averci pensato prima.
- Eh, - disse Paolo, - qualche volta anche uno scienziato può fare delle sciocchezze.
Le prime file degli assalitori erano ormai a pochi passi, e non avevano certo bisogno degli inviti del professore: nei loro occhi si leggeva la ferma, entusiastica determinazione di distruggere il nemico e di non lasciarne candito su candito. Un attimo più tardi la torta venne attaccata da tutte le parti. Un plotone di guastatori si buttò a corpo morto nella galleria scavata da Paolo e Rita. Altri, saggiamente, cominciarono a mangiare la circonferenza.
L'altoparlante di Diomede tuonava intanto: - Bambini, attenzione! Non accettate regali dai marziani! Essi vi daranno dei dolci avvelenati: non mangiateli!
Ma chi stava a sentire le raccomandazioni?
- Lasciatene un po' anche per noi! - gridavano invece i nuovi arrivati, che ancora arrancavano su per la collina.
In breve la torta apparve bucherellata come una forma di groviera. Le gallerie e i camminamenti si incrociavano a decine. Il professor Zeta si aggirava raggiante, aiutava i più deboli a staccare il cioccolato dal pavimento e a rompere le pareti di croccanti, indicava i filoni del miglior gelato, alzava tra le braccia i più piccoli perché potessero raggiungere il soffitto di panna montata.
- E' lei il marziano? - gli domandavano i ragazzi.
- Sì, sono io. Sono un marziano. Mangiate e bevete, siete ospiti di Marte.
- Viva Marte! - gridavano i ragazzi, tra un boccone e l'altro.