Dobbiamo tornare un momento indietro, per seguire l'autoambulanza che portava all'ospedale, facendosi largo nel traffico con l'ululato della sirena, il professor Rossi, il professor Terenzio e la piccola Rita. I due scienziati si lamentavano in continuazione:
- Ohi, ohi, che dolore! - ruggiva il primo.
- Ahi, ahi, che male! Chiamatemi un notaio, voglio fare testamento, - implorava il secondo.
Gli infermieri cercavano di calmarli con parole di incoraggiamento e borse di ghiaccio sullo stomaco: Rita non credeva ai suoi occhi.
- Ma che cos'hanno?
- Hanno assaggiato un pezzettino di quel finto cioccolato dei marziani.
- Finto? O siete matti voi o sono matti loro! Era cioccolato vero, verissimo. E non era per niente avvelenato, altrimenti a quest'ora io sarei bell'e morta. Ne avrò mangiato un chilo e non sono mai stata così bene.
- Zitta, tu, cosa vuoi mai capire?
- Capirò bene se la pancia mi fa male o no. Non bisogna mica essere professori per sapere dov'è la pancia.
- Insomma, sta' zitta. Non disturbare questi poverini, vedi pure quanto soffrono.
- Questo lo vedo. Fanno come Paolo quella volta che bevve la varechina per sbaglio.
Gli infermieri rinunciarono a discutere oltre con quella piccola pettegola. Del resto l'autoambulanza stava ormai correndo nei viali dell'ospedale. Una buona dozzina di medici circondava Rita, quando il caporeparto cominciò a visitarla.
- Che cosa ti senti?
- Niente.
- Qui ti fa male?
- No.
- E qui? E in questo punto? E in quest'altro?
- No. No. Non sento proprio nulla. Ma cosa dovrei sentire? Non ho bevuto la varechina, ho mangiato solo roba di prima qualità.
- Sta' buona, sta' buona. Vedrai che ora ti passa.
- Ma cosa mi deve passare? Vi dico che sto bene. E vi dico anche, se lo volete sapere, che quella cosa là sul Monte Cucco non è un'astronave, è una torta. Domandatelo a mio fratello, domandatelo al signor Geppetto.
- Chi sarebbe questo signor Geppetto?
- Non lo so, andateglielo a domandare, chi è. Sta dentro nella torta, proprio in mezzo, e se la mangerà tutta, beato lui.
Il caporeparto si volse agli altri medici, crollando tristemente il capo.
- I signori hanno udito? La poverina delira. La sua mente malata mescola l'immagine di quel dolce fatale e le avventure di Pinocchio in una tremenda confusione. Evidentemente il veleno ha cominciato ad agire sui centri nervosi. Speriamo di poter far qualcosa. Per cominciare, direi proprio che un'iniezione calmante è indispensabile.
- Assolutamente indispensabile, - risposero in coro i dodici dottori.
Rita scoppiò in singhiozzi e cominciò a chiamare la mamma, ma per quanto si dibattesse e divincolasse dovette subire l'iniezione. Quasi subito i singhiozzi si fecero più radi e ben presto Rita si addormentò, mentre un'infermiera le asciugava le lagrime.
Altri medici, intanto, visitavano il professor Rossi e il professor Terenzio. Li visitarono in lungo e in largo, dandosi il turno ad auscultare le loro casse toraciche e a battere coi martelletti sulle loro ginocchia, per provare i riflessi. A dire la verità, però, non riuscirono a trovare molto. Del resto sia il professor Rossi che il professor Terenzio, durante la visita, scoprirono con sorpresa di non potere indicare il punto preciso in cui avvertivano quei terribili dolori.
- Qui... No, qui non mi fa male... Forse qui... No, qui no. Forse in quest'altro punto... Macché. Strano, non mi fa male nemmeno lì.
Il professor Rossi era quasi mortificato di non sentire più il dolore. Il professor Terenzio non era meno confuso di lui:
- Non so come sia, ma non sento più niente, - confessò.
- Se non si trattasse di due famosi scienziati, - disse più tardi un medico ad un collega, - sarei quasi del parere che quel dolore se lo sono immaginato.
- Già, un caso di autosuggestione. In altre parole, una gran fifa...
Per prudenza, un'iniezione calmante venne fatta anche ai due illustri pazienti, che cominciarono quasi insieme a russare.
Rita si svegliò qualche ora più tardi e immediatamente richiuse gli occhi per non vedere tutti quei dottori che dovevano essere tornati per farle qualche altra diavoleria.
"Dottori in pigiama", rifletté, subito dopo, dubbiosa. Riaprì gli occhi per controllare: non erano dottori, ma bambini e bambine del vicino reparto, che avevano invaso la sua cameretta e ora la osservavano con curiosità.
- Chi siete? Cos'è successo?
- Niente, - disse la più grande delle bambine, dondolandosi nella sua vestaglia rossa. - Siamo malati anche noi. Siamo venuti a trovarti.
- Ah, grazie, - rispose Rita. Ma la bambina dalla vestaglia non aveva finito il suo discorsetto.
- Sai, - proseguì, - abbiamo sentito quello che gridavi, quando ti hanno portata qui.
- E' vero che al Trullo c'è una pizza dolce grande come una montagna? - intervenne con impazienza un biondino con un braccio al collo.
- E' vero sì. Ma i dottori non mi vogliono credere.
- Senti, ed è buona, quella pizza?
- Vorrei che poteste mangiarne quanta ne ho mangiata io. E' la migliore della terra di sicuro. Anzi, è una pizza spaziale. E' arrivata dal cielo proprio ieri.
- Che bellezza, - esclamò il biondino.
- Che peccato, - disse la bambina con la vestaglia rossa.
- Perché, peccato?
- Peccato che non possiamo assaggiarla.
- Già, - disse Rita, sospirando. E intanto pensava: "Ah, com'è facile intendersi fra bambini. Questi mica pensano che io stia delirando. Capiscono al volo che non racconto storie, che la torta è la pura verità".
- Mi dispiace davvero, - aggiunse. - Però, quando esco ve ne porto un bel pezzo.
- E quando esci? - domandò il biondino.
- Questo non lo so, ma spero presto.
- E come fai a sapere se ci sarà ancora la torta, quando uscirai? - domandò la bambina con la vestaglia rossa. Rita non seppe cosa rispondere a quella domanda terribile. In un momento si figurò che dolore sarebbe stato per lei arrivare al Trullo e sentirsi dire da Paolo che la torta non c'era più, che i soldati l'avevano distrutta o che un temporale l'aveva spazzata via.
I bambini, ansiosissimi, aspettavano sempre che Rita rispondesse e la guardavano tutti insieme, e in ogni sguardo Rita leggeva la stessa domanda e la stessa paura. Allora non seppe resistere. Balzò dal letto e si guardò intorno cercando i vestiti. Come se le avesse letto nel pensiero, la bambina con la vestaglia rossa disse: - I vestiti li tengono nascosti in un armadio, in un altro reparto.
- Non importa, - esclamò Rita.
- Andrò così.
- Ma la sai, la strada?
- No, - rispose, - domanderò.
- Brava, così ti riporteranno subito all'ospedale. Invece io so come arrivare al Trullo facendo il giro dei campi.
Era sempre la bambina con la vestaglia rossa che parlava. Ma allora, aveva già pensato a tutto, quella lì. Pareva davvero che avesse pensato a tutto.
- Sentite, - disse infatti, - io so anche come possiamo uscire dalla parte del giardino. Venite con me e fingete di giocare a nasconderella.
- Tutti? - domandò Rita, spalancando gli occhi.
- Sì, sì, veniamo tutti, - strillò il biondino, saltando per l'entusiasmo. - Non hai detto prima che la torta è tanto grande?
- Ce n'è per tutti i bambini di Roma! - affermò Rita, quasi offesa.
- Ma allora bisogna avvertirli, - gridò ancora il biondino.
- In corridoio c'è il telefono, - disse la bambina con la vestaglia rossa, - e io ho un gettone. Telefonerò a mio fratello, e gli dirò di telefonare ai suoi amici e alle sue amiche, e ognuno di loro dovrà fare un'altra telefonata, e quelli che riceveranno la telefonata dovranno avvertire altri bambini, con tutti i mezzi, anche a voce, per le strade, davanti alle scuole, nei cortili. Sei sicura che ce ne sarà abbastanza per tutti quanti?
- Te lo giuro, - protestò Rita, mettendosi una mano sul cuore.
- Perché non facciamo fare un annuncio alla radio? - propose candidamente il biondino. Tutti scoppiarono a ridere, e non stettero nemmeno a dirgli perché ridevano.
La bambina con la vestaglia rossa corse al telefono.
- Pronto, sono Lucrezia. Sei tu, Sandrino? Stammi bene a sentire. Anzi, prendi prima un foglietto e una matita perché ti debbo dettare degli appunti importanti. Ci sei?..
- Ma cosa fa? - domandò Rita.
- Perché ci mette tanto?
- Al solito, ha pescato una matita senza punta. Pronto, Sandrino? Cosa? Adesso non trova il temperamatite. Prendi il mio, sta nella mia cartella.
- Presto, presto per carità, - imploravano i bambini, impazienti. - Se arrivano le infermiere siamo fritti.
Finalmente Lucrezia riuscì a dettare a Sandrino le sue istruzioni. Dettava come una maestra, senza fermarsi, senza imbrogliarsi mai con le parole, come se ci avesse pensato a lungo e il piano fosse tutto chiaro nella sua testa. Che testa, quella Lucrezia!