Sembrava galleggiare sopra la nebbia spettrale della sera come un mostro minaccioso che sorgesse dal limo primordiale. La sagoma bassa spiccava nera e lugubre contro lo sfondo degli alberi della riva. Come fantasmi, immagini indistinte d’uomini si muovevano sui ponti sotto l’inquietante chiarore giallo delle lanterne, mentre rivoli di umidità scorrevano lungo le fiancate grigie e cadevano nella corrente torpida del fiume James.
La Texas strattonava la cime d’ormeggio con l’impazienza di un cane che sta per essere sguinzagliato all’inizio della caccia. Le imposte di ferro coprivano gli oblò dei cannoni e la corazza da sei pollici della casamatta non presentava neppure una scalfittura. Soltanto il vessillo bianco e rosso da combattimento che, in cima all’albero maestro sopra il fumaiolo, pendeva flaccido nell’aria umida indicava che era una nave da guerra della Marina confederata.
Agli occhi degli abitanti della terraferma la nave appariva tozza e sgraziata ma i marinai le riconoscevano un carattere e un’eleganza inconfondibili. Era solida ed era temibile: era l’ultima nave di quella classe e stava per salpare per una missione senza ritorno dopo una breve ma memorabile esplosione di gloria.
Il comandante Mason Tombs salì sul ponte di prua, prese dalla tasca un grande fazzoletto blu e si asciugò il sudore che si insinuava dentro il colletto dell’uniforme. Le operazioni di carico procedevano troppo lentamente. La Texas avrebbe avuto bisogno di ogni attimo d’oscurità per poter fuggire nel mare aperto. Il comandante continuò ad assistere con ansia alle operazioni mentre gli uomini imprecavano per lo sforzo di trasportare le casse di legno sulla passerella e calarle in un boccaporto spalancato. Le casse sembravano troppo pesanti per contenere i documenti del governo nato quattro anni prima. Erano state scaricate dai carri trainati da muli presso il molo protetto dai superstiti di una compagnia di fanti della Georgia.
Tombs si voltò a guardare, irrequieto, la città di Richmond, situata appena due miglia al nord. Grant aveva spezzato l’ostinata difesa di Lee a Petersburg: ormai l’esercito del Sud, alquanto provato, si ritirava verso Appomattox, abbandonando la capitale confederata all’avanzata delle truppe dell’Unione. L’evacuazione era in atto e la città era in preda alla confusione, ai disordini e ai saccheggi. Le esplosioni facevano tremare il suolo e, nella notte, dai magazzini e dagli arsenali si levavano alte fiamme.
Tombs era un uomo ambizioso ed energico, uno dei migliori ufficiali della Marina confederata. Era basso, con un bel volto, i capelli e le sopracciglia castani, una folta barba che dava un po’ sul rosso e un’espressione gelida negli occhi nerissimi.
Aveva comandato piccole cannoniere nelle battaglie di New Orleans e di Memphis, era stato ufficiale d’artiglieria a bordo della corazzata Arkansas, primo ufficiale della famigerata nave corsara Florida, e aveva dimostrato di essere un avversario pericoloso per la causa dell’Unione. Aveva assunto il comando della Texas appena una settimana dopo che la nave era stata ultimata nel cantiere Rocketts di Richmond, e aveva chiesto e diretto personalmente una serie di modifiche, apportate in vista di quel viaggio quasi impossibile che lo avrebbe portato a discendere il fiume sotto il tiro di un migliaio di cannoni unionisti.
Tombs si concentrò nuovamente sulle operazioni di carico mentre l’ultimo carro si allontanava e scompariva nella notte. Prese l’orologio da una tasca e girò il quadrante verso una lanterna appesa a un pilastro del molo.
Erano le otto e venti. Restavano poco più di otto ore prima che spuntasse il giorno. Non c’era tempo sufficiente per percorrere le ultime trenta miglia di quelle forche caudine con la protezione dell’oscurità.
Una carrozza scoperta, trainata da una pariglia di cavalli pezzati, si avvicinò al molo e si fermò. Il cocchiere rimase impettito al suo posto, senza voltarsi, mentre i due passeggeri guardavano gli uomini che calavano nel boccaporto le ultime casse. Il più massiccio dei due, che era in borghese, stava accasciato stancamente, mentre l’altro, che indossava la divisa di ufficiale di marina, scorse Tombs e lo salutò con la mano.
Tombs scese la passerella, raggiunse la carrozza e salutò militarmente. «È un onore, ammiraglio. Signor segretario… Non pensavo che avreste trovato il tempo di venire a salutarci.»
L’ammiraglio Raphael Semmes, famoso per le sue imprese quale comandante della corazzata Alabama, e ora responsabile della squadra di cannoniere corazzate del fiume James, annuì e sfoggiò un sorriso fra i baffi impomatati e il pizzetto che spuntava sotto il labbro inferiore. «Neppure un intero reggimento di yankee avrebbe potuto impedirmi di venire a salutarla.»
Stephen Mallory, segretario della Marina degli Stati Confederati, tese la mano. «La sua missione è troppo importante perché non trovassimo il tempo di venire ad augurarle buona fortuna.»
«Ho una nave robusta e un equipaggio coraggioso», disse Tombs in tono fiducioso. «Riusciremo a passare.»
Il sorriso di Semmes sparì, gli occhi s’incupirono. «Se non dovesse riuscire, dovrà incendiare la nave e affondarla nella parte più profonda del fiume, in modo che l’Unione non possa mai recuperare i nostri archivi.»
«Le cariche sono piazzate e innescate», assicurò Tombs. «La parte inferiore dello scafo esploderà e lascerà cadere le casse zavorrate nel fango del fiume, mentre la nave proseguirà a tutto vapore per una certa distanza, prima di affondare.»
Mallory annuì. «Un piano efficiente.»
I due a bordo della carrozza si scambiarono una strana occhiata d’intesa. Vi fu un momento d’impaccio, poi Semmes disse: «Mi dispiace caricarle sulle spalle un altro peso all’ultimo momento, ma sarà anche responsabile di un passeggero».
«Un passeggero?» ripeté Tombs. «Sarà qualcuno che non tiene alla propria vita, immagino.»
«Non ha possibilità di scelta», mormorò Mallory.
«Dov’è?» chiese Tombs, e si guardò intorno. «Siamo quasi pronti a salpare.»
«Arriverà fra poco», rispose Semmes.
«Posso chiedere chi è?»
«Lo riconoscerà facilmente», disse Mallory. «E preghi il cielo che lo riconoscano anche i nemici, nel caso che fosse costretto a mostrarlo.»
«Non capisco.»
Per la prima volta Mallory sorrise. «Capirà, ragazzo mio, capirà.»
«C’è un’informazione che potrà esserle utile», intervenne Semmes cambiando argomento. «Le mie spie hanno riferito che la nostra corazzata Atlanta, catturata lo scorso anno dai monitori yankee, è stata rimessa in servizio dalla Marina dell’Unione e ora pattuglia il fiume a monte di Newport News.»
Tombs si animò. «Sì, capisco. Dato che la Texas ha all’incirca la stessa sagoma e le stesse dimensioni, nell’oscurità potrebbe essere scambiata per l’Atlanta.»
Semmes annuì e gli porse una bandiera piegata. «Stelle e strisce. Ne avrà bisogno per mimetizzarsi.»
Tombs prese la bandiera dell’Unione e la mise sotto il braccio. «Dovrò issarla sull’albero maestro poco prima che arriviamo alle postazioni dell’artiglieria unionista a Trent’s Reach.»
«Allora, buona fortuna», disse Semmes. «Ci dispiace di non poter restare fino alla partenza, ma il segretario deve prendere il treno e io devo tornare alla flotta per dirigerne la distruzione prima che gli yankee ci piombino addosso.»
Il segretario della Marina confederata strinse di nuovo la mano a Tombs. «La Fox, una delle nostre navi che forzano il blocco, è al largo di Bermuda per rifornirvi di carbone in vista della tappa successiva del vostro viaggio. Buona fortuna a lei, comandante. La salvezza della Confederazione è nelle sue mani.»
Prima che Tombs potesse rispondere, Mallory ordinò al cocchiere di ripartire. Tombs salutò un’ultima volta e rimase immobile. Non riusciva a spiegarsi l’addio del segretario. La salvezza della Confederazione? Erano parole prive di senso. La guerra era perduta. Ora che Sherman avanzava verso nord dalle due Caroline e Grant avanzava attraverso la Virginia come una marea, Lee si sarebbe trovato stretto nella morsa dell’Unione e avrebbe dovuto arrendersi in pochi giorni. Jefferson Davis, il presidente degli Stati Confederati, si sarebbe ridotto alla condizione di fuggiasco.
E la Texas, con ogni probabilità, nel volgere di poche ore, sarebbe stata l’ultima nave della Marina confederata destinata a naufragare.
Anche se la Texas fosse riuscita a fuggire com’era possibile salvarsi? Tombs non riusciva a trovare una risposta, per quanto vaga. Aveva l’ordine di trasportare gli archivi del governo in un porto neutrale di sua scelta e di restare nascosto fino a quando fosse stato contattato a mezzo d’un corriere. Com’era possibile che l’evacuazione dei documenti burocratici prevenisse l’inevitabile sconfitta del Sud?
I pensieri di Tombs furono interrotti dal primo ufficiale, il tenente Ezra Craven.
«Il carico è stato ultimato, signore», annunciò il tenente. «Devo dare l’ordine di salpare?»
Tombs si voltò. «Non ancora. Dobbiamo prendere a bordo un passeggero.»
Craven, uno scozzese imponente e dai modi bruschi, parlava con una bizzarra combinazione di cadenza celtica e di accento del Sud. «Allora sarà meglio che si sbrighi ad arrivare.»
«L’ufficiale di macchina O’Hare è pronto a partire?»
«Le caldaie sono al massimo.»
«E gli artiglieri?»
«Resteremo abbottonati fino a quando incontreremo la flotta federale. Non possiamo permetterci di perdere un cannone e i suoi uomini a causa di un colpo fortuito attraverso un oblò.»
«Gli uomini non saranno entusiasti di dover porgere l’altra guancia.»
«Gli dica che così vivranno più a lungo…»
I due uomini si voltarono di scatto verso la riva nel sentire uno scalpitare di zoccoli. Dopo qualche secondo un ufficiale confederato uscì dall’oscurità e avanzò sul molo.
«Uno di voi due è il comandante Tombs?» chiese con voce stanca.
«Sono io», disse Tombs e si fece avanti.
L’ufficiale balzò a terra e salutò militarmente. Era coperto di polvere e aveva l’aria esausta. «I miei ossequi, signore. Sono il capitano Neville Brown, responsabile della scorta del suo prigioniero.»
«Prigioniero?» ripeté Tombs. «Mi è stato detto che era un passeggero.»
«Lo tratti come preferisce.» Brown scrollò le spalle, indifferente.
«Dov’è?» chiese Tombs per la seconda volta in quella notte.
«Mi sta seguendo. Ho preceduto il drappello per avvertirla, in modo che non si allarmi.»
«È ammattito?» borbottò Craven. «Che motivo d’allarme dovrebbe esserci?»
La domanda trovò una risposta quasi subito, quando una carrozza chiusa avanzò sferragliando sul molo, circondata da un distaccamento di cavalieri che indossavano le uniformi blu dell’Unione.
Tombs stava per urlare all’equipaggio di correre alle armi per respingere gli assalitori, quando il capitano Brown lo rassicurò. «Stia tranquillo, comandante. Sono bravi ragazzi del Sud. Solo travestendoci da yankee potevamo passare senza pericolo in mezzo alle file unioniste.»
Due degli uomini smontarono, aprirono lo sportello della carrozza e aiutarono il passeggero a scendere. Un uomo altissimo, scarno e barbuto posò stancamente i piedi sul molo di legno. Ai polsi e alle caviglie aveva manette fissate da catene. Osservò per un momento la corazzata con aria solenne, quindi si voltò e rivolse un cenno a Tombs e Craven.
«Buonasera, signori», disse con voce un po’ stridula. «Devo presumere di essere ospite della Marina confederata?»
Tombs non rispose. Non poteva rispondere. Restò immobile a fianco dell’incredulo Craven. I loro volti avevano la stessa espressione di sbalordimento assoluto.
«Mio Dio», mormorò alla fine Craven. «Se è un impostore, signore, è davvero abilissimo.»
«No», rispose il prigioniero. «Vi assicuro: sono autentico.»
«Com’è possibile?» chiese Tombs, colto alla sprovvista.
Brown rimontò in sella. «Non c’è tempo per le spiegazioni. Devo condurre i miei uomini oltre il fiume attraverso il ponte di Richmond prima che salti in aria. Adesso il prigioniero è affidato alla sua responsabilità.»
«Che cosa devo farne?» chiese Tombs.
«Lo tenga rinchiuso a bordo della nave fino a che riceverà l’ordine di rilasciarlo.
«È pazzesco.»
«Anche la guerra è pazzesca, comandante», disse Brown girando la testa verso di lui. Poi spronò il cavallo e ripartì, seguito dagli uomini travestiti da cavalleggeri dell’Unione.
Non c’era più tempo, e non c’erano più interruzioni che potessero ritardare il viaggio della Texas verso l’inferno. Tombs si rivolse a Craven.
«Tenente, accompagni il nostro passeggero nel mio alloggio e dica all’ufficiale di macchina O’Hare di mandare un meccanico a togliergli le manette. Non intendo morire al comando di una nave schiavista.»
L’uomo barbuto sorrise. «Grazie, comandante. Le sono grato per la sua gentilezza.»
«Non mi ringrazi», disse cupamente Tombs. «Prima del levar del sole compariremo tutti davanti al diavolo.»
Dapprima gradualmente e poi sempre più veloce, la Texas incominciò a scendere il fiume aiutata da una corrente di due nodi. Non c’era vento e, a parte il rombo delle macchine, sul fiume regnava il silenzio. Nella luce pallida del quarto di luna la nave scivolava come un fantasma sull’acqua nera, più sentita che vista… quasi un’illusione.
Sembrava non avere consistenza né solidità. Solo il movimento la tradiva perché rivelava una sagoma fantomatica che scivolava davanti alla riva immota. Poiché era stata progettata specificamente per un’unica missione, un unico viaggio, i suoi creatori avevano costruito una macchina meravigliosa, la più efficiente macchina da combattimento che i confederati avessero varato durante i quattro anni di guerra.
Era un vascello a due eliche e due caldaie, lungo 196 piedi, largo al massimo dieci, e con un pescaggio limitato a undici piedi. Le fiancate spioventi della casamatta, alte dodici piedi, erano angolate verso l’interno di 30 gradi e coperte da sei pollici di corazza di ferro, dietro la quale stavano dodici pollici di cotone compresso da venti pollici di quercia e pino. La corazzatura continuava al di sotto della linea di galleggiamento e formava una specie di pugno che si protendeva dallo scafo.
La Texas aveva soltanto quattro cannoni, ma erano temibili. Due Blakely a canna rigata da 100 libbre erano montati a poppa e a prua su perni che permettevano di sparare a bordata, mentre due cannoni da nove pollici, che sparavano proiettili da 64 libbre, proteggevano babordo e tribordo.
Diversamente dalle altre corazzate, i cui macchinali erano stati recuperati dai vapori commerciali, le sue macchine erano grandi, potenti e nuovissime. Le caldaie si trovavano sotto la linea di galleggiamento e le eliche da nove piedi potevano spingere la sua massa, in acque calme, fino a quattordici nodi, la velocità nautica equivalente a sedici miglia orarie… Una velocità enorme che non aveva rivali nelle navi corazzate delle due marine nemiche.
Tombs era orgoglioso della sua nave; tuttavia era rattristato dal pensiero che probabilmente sarebbe vissuta troppo poco. Ma era deciso a scrivere, grazie alla Texas, un degno epitaffio alla gloria morente degli Stati della Confederazione.
Salì una scaletta ed entrò nella timoniera, una piccola struttura nella sezione di prua della casamatta, sagomata come una piramide tronca. Scrutò l’oscurità attraverso le feritoie, poi si rivolse al capo pilota, Leigh Hunt, che era stranamente silenzioso.
«Viaggeremo a tutto vapore fino al mare, signor Hunt. Dovremo stare molto attenti a non arenarci.»
Hunt, un pilota che conosceva ogni secca e ogni ansa del fiume James come le sue tasche, continuò a guardare davanti a sé e inclinò lievemente la testa. «La poca luce della luna mi basta per capire il movimento del fiume.»
«Ne approfitteranno anche gli artiglieri yankee.»
«È vero, ma le fiancate grigie della nave si confondono con le ombre lungo la riva. Non riusciranno a individuarci facilmente.»
«Speriamo», sospirò Tombs.
Salì attraverso un boccaporto e si fermò sul tettuccio della casamatta mentre la Texas raggiungeva Drewry’s Bluff e avanzava fra le cannoniere, ormeggiate in quella zona, della flotta del fiume James, comandata dall’ammiraglio Semmes. Gli equipaggi delle corazzate sorelle, Virginia II, Fredericksburg e Richmond, che si preparavano tristemente a far saltare in aria le loro navi, proruppero in acclamazioni al passaggio della Texas. Con il fumo nero che eruttava oscurando le stelle, il vessillo da combattimento della Confederazione, che si tendeva nella brezza creata dal movimento della nave, offriva uno spettacolo commovente ed esaltante che nessuno avrebbe mai più rivisto.
Tombs si tolse il berretto e lo levò in alto. Era l’ultimo sogno che presto si sarebbe trasformato in un amaro incubo di sconfitta. Eppure era un momento grandioso. La Texas stava per diventare una leggenda.
Poi, improvvisamente come era apparsa, superò l’ansa del fiume lasciando soltanto una scia quale segno del suo passaggio.
Poco più a monte di Trent’s Reach, dove l’esercito federale aveva teso uno sbarramento attraverso il fiume e aveva scavato diverse postazioni d’artiglieria, Tombs ordinò di issare sull’albero maestro la bandiera degli Stati Uniti.
All’interno della casamatta, il ponte dei cannoni fu sgomberato per l’azione imminente. Quasi tutti gli uomini, nudi fino alla cintola, e con i fazzoletti legati intorno alla fronte, stavano accanto ai pezzi. Gli ufficiali s’erano tolti le giacche e si aggiravano in silenzio sul ponte in maglia e bretelle. Il medico di bordo distribuiva lacci emostatici e insegnava agli uomini come usarli.
I secchi d’acqua erano allineati a intervalli per spegnere gli incendi, e sulla tolda era stata sparsa la sabbia per assorbire il sangue. Pistole e sciabole corte erano state consegnate agli uomini per respingere eventuali abbordaggi, i fucili erano carichi e avevano le baionette inastate. I boccaporti dei magazzini sotto il ponte dei cannoni erano aperti, e gli argani e le pulegge erano pronti a issare polvere e munizioni.
Favorita dalla corrente, la Texas stava viaggiando a sedici nodi quando urtò con la prua lo sbarramento, lo sfondò e proseguì nell’acqua libera con pochi graffi all’ariete di ferro fissato alla prua.
Una sentinella unionista avvistò la Texas che scivolava nell’oscurità e sparò con il moschetto.
«Cessate il fuoco! In nome di Dio, cessate il fuoco!» gridò Tombs dal tetto della casamatta.
«Che nave è?» rispose una voce dalla riva.
«L’Atlanta, idiota. Non sapete riconoscere le vostre navi?»
«Quando avete risalito il fiume?»
«Un’ora fa. Abbiamo l’ordine di fare servizio di pattuglia fino allo sbarramento e a City Point.»
Il bluff ebbe il risultato voluto. Le sentinelle unioniste lungo la riva sembravano convinte. La Texas avanzò senza incidenti e Tombs esalò un profondo sospiro di. sollievo.
Si era aspettato una grandinata di colpi contro la sua nave. Ora che il pericolo era temporaneamente superato, il suo unico timore era che un ufficiale nemico, insospettito, telegrafasse un avvertimento a monte e a valle.
Quindici miglia dopo lo sbarramento la fortuna incominciò ad abbandonare Tombs: una massa minacciosa apparve all’improvviso nell’oscurità davanti a lui.
Il monitore unionista Onondaga, con due torrette corazzate da undici pollici e cinque pollici e mezzo di corazza allo scafo, e con due potenti Dahlgren a canna liscia da 15 pollici e due Parrot a canna rigata da 16 libbre, era ancorato presso la riva ovest, con la poppa puntata verso valle. Stava caricando carbone da una chiatta ormeggiata a babordo.
La Texas l’aveva quasi raggiunta quando un aspirante guardiamarina che stava sulla torretta di prua avvistò la corazzata confederata e diede l’allarme.
L’equipaggio smise di caricare carbone e si voltò a guardare la corazzata che usciva dalla tenebra. Il comandante John Austin dell’Onondaga esitò per qualche istante, chiedendosi com’era possibile che una nave ribelle si fosse spinta tanto a valle sul James senza venire scoperta. Quei pochi attimi gli costarono cari. Quando gridò ai suoi di preparare i cannoni, la Texas stava già passando a un tiro di sasso.
«Accostate!» gridò Austin. «Altrimenti spareremo e vi faremo saltare in aria!»
«Siamo l’Atlanta!» gridò di rimando Tombs, deciso a condurre l’inganno sino alla fine.
Austin non si lasciò ingannare neppure dalla vista della bandiera unionista sull’albero maestro. Diede l’ordine di sparare.
La torretta di prua entrò in azione troppo tardi. La Texas era già passata oltre il suo angolo di tiro. Ma i due Dahlgren all’interno della torretta posteriore dell’Onondaga vomitarono fiamme e fumo.
A quella distanza gli artiglieri unionisti non potevano fallire, e non fallirono. I colpi martellarono le fiancate della Texas come mazzate, sfondarono la parte superiore di poppa della casamatta in un’esplosione di schegge di ferro e di legno che abbatté sette uomini.
Quasi nello stesso istante, Tombs gridò un ordine attraverso il boccaporto aperto. Le imposte degli oblò si aprirono e la Texas sparò con tre cannoni contro la torretta dell’Onondaga. Uno dei proiettili da 100 libbre del Blakely penetrò in un oblò aperto ed esplose contro un Dahlgren, causando un turbine di fumo e di fiamme e una tremenda carneficina all’interno della torretta. Nove uomini furono uccisi, undici feriti gravemente.
Prima che le due navi potessero ricaricare i cannoni, la corazzata ribelle s’era dileguata nella notte e aveva superato l’ansa del fiume. La torretta di prua dell’Onondaga sparò un ultimo colpo alla cieca, e il proiettile passò sibilando in alto, a poppa della Texas.
Disperatamente, il comandante Austin ordinò ai suoi di salpare l’ancora e di virare di 180 gradi. Fu un gesto inutile. La velocità massima del monitore era di poco superiore ai sette nodi. Non c’erano speranze di poter inseguire e raggiungere la nave ribelle.
Tombs gridò al tenente Craven: «Signor Craven, non ci nasconderemo più dietro un vessillo nemico. Faccia issare la bandiera della Confederazione e chiudere gli oblò dei cannoni».
Un giovane allievo guardiamarina corse all’albero, slegò le drizze, ammainò la bandiera a stelle e strisce e issò quella con la croce di sant’Andrea e le stelle in campo bianco e rosso.
Craven raggiunse Tombs sul tetto della casamatta. «Ormai sanno chi siamo», disse. «Non sarà uno scherzo arrivare al mare. Possiamo tener testa alle batterie piazzate sulle rive; la loro artiglieria da campagna non è abbastanza potente per fare qualcosa più che ammaccare la nostra corazza.»
Tombs rimase in silenzio per qualche istante, scrutando il fiume nero che si snodava oltre la prua. «Il pericolo più grave è costituito dai cannoni della flotta federale che ci aspetta alla foce.»
Una serie di spari echeggiò dalla sponda ancor prima che avesse finito di parlare.
«Ecco che si comincia», commentò filosoficamente Craven, e si affrettò a ridiscendere nella sua postazione sul ponte dei cannoni. Tombs rimase allo scoperto dietro la timoniera per dirigere i movimenti della nave contro gli eventuali vascelli federali che potevano bloccare il fiume.
I proiettili sparati da batterie invisibili e il fuoco dei moschetti dei tiratori scelti incominciarono a piovere sulla Texas come una grandinata. Tombs tenne chiusi gli oblò delle bocche da fuoco, anche se i suoi uomini imprecavano e mordevano il freno. Non c’era motivo di mettere in pericolo l’equipaggio e sprecare polveri e munizioni preziose contro un nemico che non si poteva vedere.
Per altre due ore, la Texas subì gli attacchi. Le macchine funzionavano alla perfezione e la spingevano a velocità superiori di uno o due nodi di quelle per cui era stata progettata. Le cannoniere di legno apparivano, sparavano bordate, quindi tentavano di inseguirla ma la Texas le ignorava, superandole senza difficoltà come se fossero bloccate nell’acqua.
All’improvviso si materializzò la sagoma riconoscibile dell’Atlanta. Era ancorata di traverso sul fiume. I cannoni di babordo spararono non appena le vedette riconobbero l’irriducibile mostro ribelle che stava avanzando.
«Sapevano del nostro arrivo», borbottò Tombs.
«Devo aggirarla, comandante?» chiese il capo pilota Hunt che, al timone, dimostrava una straordinaria freddezza.
«No, signor Hunt», rispose Tombs. «La speroni un po’ più avanti della poppa.»
«Per spostarla», concluse Hunt, prontamente. «Sta bene, signore.»
Hunt mosse la ruota d’un quarto di giro e puntò la prua della Texas verso la poppa dell’Atlanta. Due colpi dei cannoni da otto pollici della nave ex confederata centrarono la casamatta, incrinarono la corazza, fecero rientrare di quasi un piede il rivestimento interno di legno: lo spostamento d’aria e le schegge ferirono tre uomini.
La distanza si ridusse rapidamente. La Texas affondò dieci piedi della massiccia prua di ferro nello scafo dell’Atlanta, sfondò il ponte, spezzò la catena dell’ancora di poppa e la spinse in un arco di 90 gradi mentre premeva il ponte sotto la superficie del fiume. L’acqua si riversò negli oblò dei cannoni della corazzata unionista che incominciò ad affondare mentre la Texas le passava letteralmente addosso.
La chiglia dell’Atlanta sprofondò nel fango del fiume, la nave si girò sul fianco mentre le eliche roteanti della Texas mulinavano a pochissima distanza dallo scafo rovesciato prima di proseguire nell’acqua libera. Molti degli uomini dell’Atlanta uscirono dagli oblò e dai boccaporti appena in tempo, ma almeno venti affondarono con la nave.
La Texas continuò la sua corsa disperata per raggiungere la libertà. Mentre la battaglia proseguiva, la nave teneva testa al fuoco incessante e all’inseguimento delle cannoniere. Le linee telegrafiche — tese lungo il fiume dalle forze federali — fremevano nel trasmettere l’annuncio dall’avvicinarsi della corazzata mentre un’ondata crescente di caos e di disperazione si diffondeva fra le batterie sulle rive e le navi decise a intercettarla e ad affondarla.
I colpi martellavano incessantemente la corazza della Texas e la facevano sussultare da prua a poppa. Un proiettile da 100 libbre, sparato da un Dahlgren dall’alto di una banchina a Fort Hudson, centrò la timoniera, stordì il capo pilota Hunt e lo lasciò sanguinante a causa dei frammenti che erano volati attraverso le feritoie. Hunt rimase coraggiosamente alla ruota e tenne la nave in rotta al centro del canale navigabile.
Il cielo incominciava a schiarire a oriente quando la Texas uscì rombando dal fiume James, superò Newport News e avanzò nell’ampio estuario e nelle acque più profonde di Hampton Roads, che tre anni prima erano state lo sfondo della battaglia fra il Monitor e la Merrimack.
Sembrava che l’intera flotta dell’Unione fosse schierata ad attenderla. Dalla sua posizione sopra la casamatta, Tombs vedeva soltanto una foresta di alberi e fumaioli. Fregate e sloop da guerra a sinistra, monitori e cannoniere a destra. E più oltre, lo stretto canale tra la massiccia potenza di fuoco di Fortress Monroe e Fort Wool era bloccato dalla New Ironsides, un vascello formidabile con lo scafo tradizionale delle corazzate, armato di diciotto cannoni pesanti.
Finalmente Tombs ordinò di aprire gli oblò e di far affacciare le bocche da fuoco. La Texas aveva finito di subire senza opporre resistenza. Ora la Marina federale avrebbe sentito la furia delle sue zanne. Fra grida d’esultanza, gli uomini della Texas sbloccarono e puntarono i cannoni, con gli inneschi nei foconi, gli otturatori aperti, e i capopezzi pronti con gli spezzoni di cima.
Craven fece il giro della nave con la massima calma, sorridendo e scherzando con gli uomini e dispensando incoraggiamenti e consigli. Tombs scese e tenne un breve discorso carico di taglienti considerazioni nei confronti dei nemici e di ottimismo per la batosta che i bravi ragazzi del Sud stavano per infliggere ai vili yankee. Poi, con il cannocchiale sotto il braccio, tornò al suo posto dietro la timoniera.
Gli artiglieri dell’Unione avevano avuto tutto il tempo di prepararsi. Si alzarono le bandierine che segnalavano di sparare quando la Texas fosse arrivata a tiro. Tombs, che guardava con il cannocchiale, aveva l’impressione che i nemici riempissero l’intero orizzonte. C’era un silenzio terribile che aleggiava sull’acqua come un sortilegio, mentre i lupi attendevano che la preda avanzasse in quella che sembrava una trappola senza scampo.
Il contrammiraglio David Porter, tozzo e barbuto, con il berretto da marinaio piantato saldamente sulla testa, era in piedi su una cassa. Di lassù poteva sorvegliare il ponte dei cannoni della sua ammiraglia, la fregata di legno Brooklyn, mentre studiava il fumo della corazzata ribelle che si avvicinava nella prima luce dell’alba.
«Eccola», disse il capitano James Alden, comandante dell’ammiraglia di Porter. «E sta puntando dritto su di noi.»
«Una nave audace e nobile destinata alla tomba», mormorò Porter mentre la Texas ingigantiva nella lente del cannocchiale. «È uno spettacolo che non rivedremo più.»
«È quasi a tiro», annunciò Alden.
«Non è il caso di sprecare munizioni, signor Alden. Ordini ai suoi artiglieri di attendere e di assicurarsi che ogni colpo vada a segno.»
A bordo della Texas, Tombs si rivolse al capo pilota, rimasto eroicamente al timone nonostante il sangue che gli colava dalla tempia sinistra. «Hunt», gli ordinò, «sfiori la linea delle fregate di legno passando loro vicino il più possibile, in modo che le corazzate esitino a sparare per paura di colpire le loro navi.»
La prima nave delle due file era la Brooklyn. Tombs attese fino a quando fu agevolmente a tiro, poi diede l’ordine di sparare. Il Blakely da 100 libbre piazzato a prua aprì il fuoco con un proiettile che sfrecciò sibilando sopra l’acqua e colpì la nave unionista, schiantò il parapetto di prua, esplose contro un enorme cannone Parrott a canna rigata e uccise tutti gli uomini entro un raggio di dieci piedi.
Il monitore monotorretta Saugus incominciò a sparare con i Dahlgren gemelli da quindici pollici mentre la Texas si avvicinava. I due tiri erano troppo corti e i colpi piombarono nell’acqua come pietre, sollevando enormi zampilli di spruzzi. Poi gli altri monitori, la Chickasaw tornata di recente da Mobil Bay dove aveva contribuito a costringere alla resa la temibile corazzata confederata Tennessee, la Manhattan, la Saugus e la Nahant girarono le torrette, abbassarono le imposte degli oblò e vomitarono una tremenda ondata di fuoco che si abbatté sulla casamatta della Texas. Il resto della flotta si unì all’azione e fece ribollire come un calderone l’acqua intorno alla corazzata ribelle.
Attraverso il boccaporto del tetto, Tombs gridò a Craven: «Non riusciremo a danneggiare i monitori! Risponda al loro fuoco solo con il cannone di babordo. Faccia ruotare i cannoni di prua e di poppa per sparare contro le fregate!»
Craven eseguì gli ordini; dopo pochi secondi la Texas rispose al fuoco, facendo esplodere i proiettili attraverso lo scafo ligneo della Brooklyn. Uno penetrò in sala macchine, uccise otto uomini e ne ferì una dozzina. Un altro spazzò via un equipaggio impegnato febbrilmente ad abbassare la canna di un’arma da 32 libbre. Un terzo scoppiò sul ponte affollato, causando altri morti e altro caos.
Tutti i cannoni della Texas erano impegnati nell’opera di distruzione. Gli artiglieri caricavano e sparavano con precisione mortale. Non avevano bisogno di sprecare secondi preziosi per prendere la mira. Non potevano sbagliare: le navi yankee riempivano la visuale al di là degli oblò dei cannoni.
L’aria di Hampton Roads rintronava del rombo degli spari a mitraglia, dei proiettili che esplodevano e persino delle palle da moschetto sparate dai federali appollaiati in coffa. Il fumo densissimo avvolse ben presto la Texas e per gli artiglieri dell’Unione divenne difficile prendere la mira: sparavano contro i lampi che uscivano dalle bocche dei cannoni e sentivano il rimbombo quando i loro colpi centravano la corazza e rimbalzavano.
Tombs aveva la sensazione di navigare in un vulcano.
La Texas aveva superato la Brooklyn; sparò un colpo di commiato dal cannone girevole di poppa. Il proiettile passò così vicino all’ammiraglio Porter che lo spostamento d’aria gli tolse il fiato per qualche istante. Era furibondo nel vedere la facilità con cui la corazzata ribelle era riuscita a deflettere la bordata sparata dalla nave.
«Segnali alla flotta di circondarla e speronarla!» ordinò al capitano Alden.
Alden obbedì, ma sapeva che non c’erano molte probabilità di riuscita. Tutti gli ufficiali erano sbalorditi dall’incredibile velocità della corazzata. «Sta procedendo in modo troppo rapido, troppo perché una delle nostre navi possa centrarla con precisione», disse cupamente.
«Voglio che quei maledetti ribelli siano affondati!» ringhio Porter.
«Se per un miracolo riuscisse a superarci, non potrà mai sfuggire ai fortini e alla New Ironsides», dichiarò Alden per placare l’ammiraglio.
Come per sottolineare la sua affermazione, i monitori aprirono il fuoco mentre la Texas superava la Brooklyn e avanzava verso la seconda fregata dello schieramento, la Colorado.
La Texas era spazzata da un urlante pandemonio di morte. Gli artiglieri unionisti diventavano più precisi. Un paio di proiettili colpì a poppa del cannone di babordo con un impatto tremendo. Il fumo eruttò nella casamatta, mentre 38 pollici di ferro, legno e cotone venivano spinti con violenza all’interno per ben quattro piedi. Un altro colpo aprì un ampio cratere sotto il fumaiolo, e fu seguito da un proiettile che cadde nello stesso punto, sfondò l’armatura già danneggiata ed esplose sul ponte dei cannoni. L’effetto fu terribile: sei uomini uccisi e undici feriti, mentre brandelli di cotone e di legno prendevano fuoco.
«Per tutti i diavoli dell’inferno!» ruggì Craven che si era ritrovato solo in mezzo a una montagna di cadaveri, con i capelli strinati, gli abiti laceri e il braccio sinistro fratturato. «Prenda il tubo nella sala macchine e spenga questo maledetto incendio.»
L’ufficiale di macchina O’Hare si affacciò al boccaporto. Aveva la faccia annerita dalla polvere di carbone e rigata di sudore. «È molto grave?» chiese in tono sorprendentemente calmo.
«È meglio non saperlo», gli gridò Craven. «Pensi a tenere in funzione le macchine.»
«Non è facile. I miei uomini svengono per il caldo. Qui sotto è peggio dell’inferno.»
«Lo consideri un allenamento per quando ci finiremo tutti», ribatté Craven.
Poi un altro proiettile, come un pugno immane, investì la casamatta con un’esplosione assordante che squassò la Texas fino alla chiglia. In realtà le esplosioni furono due, così ravvicinate da essere indistinguibili. L’angolo anteriore di tribordo della casamatta fu squarciato come se una gigantesca mannaia si fosse abbattuta su di esso. Frammenti massicci di ferro e di legno si contorsero e si schiantarono in un’esplosione che falciò gli uomini del Blakely di prua.
Un altro proiettile sventrò la corazza ed esplose nell’infermeria della nave, uccidendo il medico di bordo e metà dei feriti che attendevano di essere curati. Il ponte dei cannoni sembrava ormai un mattatoio. La tolda, un tempo immacolata, era annerita dalla polvere da sparo e tinta di cremisi dal sangue.
La Texas era in difficoltà. Mentre attraversava veloce la zona del massacro, veniva letteralmente fatta a pezzi. Le scialuppe erano finite in mare assieme ai due alberi, il fumaiolo era ridotto a un crivello. La casamatta, a prua e a poppa, era un groviglio grottesco di ferro contorto e acuminato. Tre dei condotti del vapore erano tranciati e la velocità era diminuita d’un terzo.
Ma non era ancora paralizzata. Le macchine rombavano e tre cannoni gettavano nel caos la flotta unionista. Una bordata dilaniò la fiancata lignea della vecchia fregata a ruote Powhatan, fece esplodere una delle caldaie, devastò la sala macchine e causò la più grave perdita di vite umane registrata quel giorno a bordo di una nave dell’Unione.
Anche Tombs era stato ferito gravemente. Un frammento di shrapnel gli era penetrato in una coscia, un proiettile gli aveva solcato la spalla sinistra; tuttavia stava ancora acquattato dietro la timoniera e gridava istruzioni al capo pilota Hunt. Ormai l’olocausto era giunto quasi alla fine.
Guardò davanti a sé in direzione della New Ironsides, piazzata di traverso nel canale, con le armi formidabili della fiancata cariche e puntate contro la Texas. Studiò i cannoni di Fortress Monroe e di Fort Wool, che erano stati messi egualmente in posizione, e con una stretta al cuore si rese conto che non avrebbero potuto farcela. La Texas non poteva reggere altri colpi. Un altro incubo spietato come quello e la sua nave si sarebbe ridotta a un guscio impotente, impossibilitata a evitare l’annientamento per opera dei monitori yankee che la stavano inseguendo.
E l’equipaggio, pensò… Uomini che non si curavano più di vivere e pensavano soltanto a caricare i cannoni, a sparare e ad alimentare le macchine. Coloro che erano ancora vivi dimostravano un eroico spregio della propria vita, ignoravano i compagni morti e facevano il loro dovere.
Il cannoneggiamento era cessato e aveva lasciato il posto a uno strano silenzio. Tombs puntò il cannocchiale sulle strutture superiori della New Ironsides, e vide quello che doveva essere il comandante: stava appoggiato al parapetto blindato e l’osservava a sua volta attraverso un cannocchiale.
In quel momento notò il banco di nebbia che avanzava dal mare attraverso l’imboccatura della baia di Chesapeake, al di là dei forti. Se per un miracolo l’avessero raggiunto e fossero scomparsi in quella coltre grigia, avrebbero potuto seminare il branco di lupi di Porter. E in quel momento ricordò ciò che gli aveva detto Mallory a proposito del passeggero. Si sporse dal boccaporto.
«Signor Craven, è lì?»
Il primo ufficiale comparve sotto di lui e alzò gli occhi. Sembrava un orrendo spirito infernale, coperto com’era di polvere pirica, sangue e ustioni. «Sono qui, signore, e vorrei tanto non esserci.»
«Vada a prendere il passeggero che è nella mia cabina e lo porti qui, sulla casamatta. E prepari una bandiera bianca.»
Craven annuì. «Sì, signore.»
Il cannone superstite da 64 libbre e il Blakely di prua tacquero mentre la flotta unionista rimaneva indietro, impossibilitata a puntare sul bersaglio.
Tombs si preparava a rischiare il tutto per tutto con una mossa disperata, l’ultimo giro di carte. Era stordito e sofferente per le ferite, ma i suoi occhi neri ardevano più che mai. Pregò Dio che i comandanti dei forti unionisti tenessero i cannocchiali puntati sulla Texas come il capitano della New Ironsides.
«Diriga fra la prua della corazzata e Fort Wool», ordinò a Hunt.
«Come vuole, signore», rispose il capo pilota.
Tombs si voltò mentre il prigioniero saliva lentamente la scaletta e giungeva sul tetto della casamatta sventrata, seguito da Craven che stringeva un manico di scopa cui aveva legato una tovaglia bianca della mensa ufficiali.
L’uomo sembrava molto più vecchio della sua età. Il viso era scavato e teso, pallidissimo; il viso di qualcuno consumato e sfinito da anni di stress. Gli occhi profondamente incassati rispecchiavano una sorta di preoccupazione mista a pietà mentre osservava l’uniforme insanguinata di Tombs.
«È ferito gravemente, comandante. Dovrebbe scendere a farsi medicare.»
Tombs scosse la testa. «Non ho tempo. La prego di salire sul tetto della timoniera in modo che la vedano.»
Il prigioniero annuì. «Capisco il suo piano.»
Tombs girò di nuovo lo sguardo sulla corazzata e sui forti mentre un breve lampo di fuoco, seguito da un pennacchio di fumo nero e dal sibilo di un proiettile, erompeva dai bastioni di Fortress Monroe. Un grande zampillo d’acqua s’innalzò e rimase sospeso in aria, bianco e verde, prima di ricadere.
Tombs spinse con la spalla il passeggero e lo issò sul tetto della timoniera. «Si sbrighi, ormai siamo arrivati a tiro.» Poi prese la bandiera bianca portata da Craven e l’agitò freneticamente con il braccio illeso.
A bordo della New Ironsides il comandante Joshua Watkins osservava la scena al cannocchiale. «Hanno tirato fuori la bandiera bianca», commentò sorpreso.
Il primo ufficiale, il comandante John Crosby, annuì mentre guardava con un binocolo. «È maledettamente strano che abbiano deciso di arrendersi dopo la batosta che hanno inflitto ai nostri.»
All’improvviso, Watkins abbassò il cannocchiale con un’espressione incredula, controllò la lente per assicurarsi che non vi fossero macchie, e lo puntò di nuovo verso la malconcia corazzata ribelle. «Ma chi diamine…» S’interruppe per mettere meglio a fuoco lo strumento ottico. «Buon Dio», mormorò sbalordito. «Secondo lei, chi c’è sul tetto della timoniera?»
Non era facile incrinare la ferrea compostezza di Crosby, ma il suo volto cambiò di colpo. «Sembra… Ma no, è impossibile.»
I cannoni di Fort Wool aprirono il fuoco e gli enormi spruzzi d’acqua si levarono in una cortina intorno alla Texas nascondendola quasi completamente. Poi la corazzata, con splendida tenacia, eruppe dagli spruzzi e continuò ad avanzare.
Affascinato, Watkins fissava l’uomo alto e magro che stava ritto sulla timoniera. Poi assunse un’espressione d’orrore. «Signore Iddio, è lui!» Lasciò cadere il cannocchiale e si girò verso Crosby. «Segnali ai forti di cessare il fuoco. Si sbrighi!»
I cannoni di Fortress Monroe imitarono quelli di Fort Wool e spararono contro la Texas. Quasi tutti i colpi passarono alti, ma due esplosero contro il fumaiolo, aprendo grandi squarci nella struttura circolare. Gli artiglieri ricaricarono disperatamente, nella speranza di infliggere il colpo definitivo.
La Texas era appena a 200 iarde di distanza quando i comandanti dei forti segnalarono di aver ricevuto il messaggio di Watkins. I cannoni tacquero uno dopo l’altro. Watkins e Crosby corsero a prua della New Ironsides giusto in tempo per vedere chiaramente i due ufficiali nelle uniformi insanguinate della Marina sudista e l’uomo barbuto in abiti civili che li guardò con fermezza e quindi rivolse loro un saluto stanco e solenne.
Rimasero immobili. Sapevano con agghiacciante certezza che la scena cui stavano assistendo sarebbe rimasta impressa in eterno nelle loro menti. E nonostante la tempestosa controversia che più tardi sarebbe infuriata, loro e le centinaia di altri a bordo della nave e sui bastioni dei forti non ebbero mai dubbi circa l’identità di colui che avevano visto quella mattina a bordo della malconcia corazzata della Confederazione.
In preda a una soggezione impotente, quasi mille uomini assistettero al passaggio della Texas, guardando il fumo che saliva dagli oblò dei cannoni silenziosi e la bandiera sbrindellata e lacera legata alla ringhiera contorta. Non si udì un suono né uno sparo mentre la nave entrava nel banco di nebbia e scompariva per sempre dalla vista.