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Rissa andò sul ponte con l’intenzione di parlare a Keith dell’annuncio di Carro Merci. Ma proprio quando fu accanto alla sua postazione, si fece sentire Rombo: «Keith, Jag, Rissa» disse la voce tradotta, fredda e vivace «innumerevoli scuse per l’interruzione, ma ritengo che dobbiate vedere questo.»

«Che cosa?» domandò Keith.

Rissa prese una sedia mentre le corde di Rombo ticchettavano sulla consolle, evidenziando con una cornice azzurra una sezione della bolla olografica. «Temo di non avere prestato sufficiente attenzione alle scansioni in tempo reale» disse l’ib. «Tuttavia ho ricontrollato tutti i dati che abbiamo registrato e… guardate qui. Sono immagini accelerate un migliaio di volte: ciò che vedrete nei prossimi sei minuti ha richiesto in realtà quasi tutto il tempo della nostra permanenza qui per svolgersi.»

Nell’area incorniciata c’era una sfera di materia oscura, inquadrata quasi esattamente all’altezza dell’equatore. Non era affatto una sfera perfetta. Era schiacciata ai poli, e bande di nubi alternativamente chiare e scure ne segnavano la superficie nel senso della latitudine. Secondo la scala delle unità di misura era una delle sfere più grandi che avessero trovato, 172 mila chilometri di diametro.

«Aspetta un momento» disse Keith. «Ci sono formazioni nuvolose a bande, ma non sembra affatto che la sfera ruoti.»

La rete di Rombo lampeggiò. «Mi auguro che la verità non ti sia d’imbarazzo, buon Keith, ma in realtà essa ruota più rapidamente di qualunque altra sfera da noi osservata in passato. In questo momento compie una rotazione completa sul suo asse ogni due ore e 16 minuti, un ritmo quasi cinque volte più rapido di quello gioviano. La velocità è così elevata da annullare tutte le consuete turbolenze nelle nubi. E in questa registrazione ad alta velocità l’immagine che vedete ruota addirittura una volta ogni otto secondi.» Rombo fece schioccare una corda e azionò un comando. «Ecco, ho chiesto al computer di mettere un riferimento sull’equatore. Lo vedete quel puntino arancione? È la mia scelta arbitraria di longitudine zero.»

Il punto arancione sfrecciò lungo l’equatore, scomparve sul retro, riapparve quattro secondi dopo e riattraversò la faccia visibile. Dopo alcune rivoluzioni, Jag fece sentire i suoi latrati: «Hai accelerato la registrazione?»

«No, buon Jag» rispose Rombo. «La velocità è costante.»

Jag indicò l’orologio digitale. «Ma per fare l’ultimo giro il tuo punto ci ha messo soltanto sette secondi.»

«Già» ammise Rombo. «La velocità di rotazione della sfera è in aumento.»

«Com’è possibile?» domandò Keith. «Ci sono altri corpi che interagiscono?»

«Be’, sì. Tutte le altre sfere ne influenzano il movimento… ma non sono la causa di quello che stiamo vedendo» affermò Rombo. «L’incremento di rotazione è generato dall’interno.»

Jag era chino sulla consolle e provava una simulazione computerizzata dopo l’altra. «Non si può aumentare lo spin se non si fornisce energia al sistema. All’interno della sfera possono anche essere in corso reazioni complesse, che in definitiva devono però essere alimentate da qualche fonte esterna al sistema. Inoltre…» Alzò lo sguardo e si lasciò sfuggire un acuto guaito, che Phantom tradusse come “espressione di stupore”.

Nell’area incorniciata di azzurro, l’oggetto di materia oscura aveva iniziato a restringersi all’equatore. La metà settentrionale e quella meridionale non erano più due emisferi perfetti, ma si incurvavano un po’ in dentro prima di toccarsi. E il puntino arancione di riferimento sfrecciava sempre più rapido lungo la cintola sempre più stretta del pianeta.

A mano a mano che la velocità di rotazione della sfera aumentava, il restringimento dell’equatore diventava sempre più pronunciato. Ben presto il profilo dell’oggetto assunse una forma a otto.

Rissa si alzò e rimase a fissare il fenomeno a bocca aperta.

Ormai l’equatore era così stretto che il punto arancione copriva solo un quarto della sua larghezza. Rombo toccò un paio di tasti e il punto scomparve, sostituito da due diversi puntini arancione sulle linee equatoriali delle due sfere congiunte.

L’immagine incorniciata si oscurò. «Chiedo scusa per l’inconveniente» disse Rombo. «Un’altra sfera di materia oscura ci è passata davanti, oscurando l’inquadratura. Ci farà perdere 14 secondi di immagini, con questa velocità di scorrimento. Porto subito la registrazione oltre questo episodio.»

Le corde toccarono la consolle delle operazioni esterne. Quando l’immagine riapparve, le due sfere erano unite da un ponte largo un decimo dell’originario diametro del globo. Tutti contemplarono la scena rapiti. In un silenzio assoluto, rotto soltanto dal flebile ronzio dell’aria condizionata, osservarono il processo raggiungere l’inevitabile conclusione: le due sfere si staccarono e fluttuarono libere l’una dall’altra. Una cominciò immediatamente a dirigersi verso la parte bassa dell’inquadratura, seguendo una traiettoria curva, l’altra andò verso l’alto. Mentre la distanza tra loro aumentava, i due puntini di riferimento sulle linee equatoriali cominciarono a impiegare sempre più tempo per completare un giro: la rotazione stava rallentando.

Rissa si girò a guardare Keith, gli occhi sbarrati. «È come una cellula» esclamò. «Una cellula che attraversa la mitosi.»

«Esatto» confermò Rombo. «A parte il fatto che, nel nostro caso, la cellula madre ha un diametro di 170 mila chilometri. O lo aveva prima che l’evento avesse inizio.»

Keith si schiarì la voce. «Non ho capito» disse. «Vuoi dire che queste cose sono “vive”? Che sono cellule viventi?»

«Alla fine ho visto le registrazioni fatte dalla sonda atmosferica di Jag» disse Rissa. «Ricordate quell’oggetto apparso solo per un istante durante la sua discesa nell’atmosfera? Avevo messo in conto, tra le varie ipotesi, che si trattasse di una forma di vita… una creatura gonfia di gas, fluttuante tra le nuvole. Gli scienziati terrestri degli anni Sessanta avevano immaginato forme di vita di questo tipo per Giove. Ma gli stessi oggetti potrebbero, con la stessa probabilità, essere piccoli organi… componenti di una cellula più grande.»

«Esseri viventi» mormorò Keith, incredulo. «Esseri viventi delle dimensioni di quasi 200 mila chilometri?»

La voce di Rissa aveva un’intonazione quasi reverente. «Forse. Se è vero, ne abbiamo appena visto uno riprodursi.»

«È incredibile» disse Keith scuotendo la testa. «Voglio dire, qui non si tratta semplicemente di creature gigantesche o di forme di vita che prosperano nello spazio aperto. Qui parliamo di esseri viventi fatti di “materia oscura”.» Si voltò alla sua sinistra. «Jag, è mai possibile?»

«Possibile che la materia oscura, o parte di essa, si dimostri viva?» Il waldahud scrollò tutte quattro le spalle. «Gran parte della nostra scienza e della nostra filosofia sostengono che l’universo deve brulicare di vita. Finora però abbiamo trovato soltanto tre mondi nei quali è sorta la vita. Forse è perché abbiamo guardato nei posti sbagliati. Né io né la dottoressa Delacorte abbiamo dedicato troppe riflessioni alla potenzialità della pseudo-chimica della materia oscura, ma in queste sfere ci sono effettivamente un sacco di composti complessi.»

Keith allargò le braccia in una sorta di richiamo al buon senso, e con lo sguardo cercò qualcun altro sul ponte che fosse perplesso quanto lui dagli sviluppi della faccenda.

Fu allora che lo colpì un’idea ancora più grandiosa, che lo fece accasciare per qualche istante sullo schienale della sedia. Subito dopo toccò il pannello delle comunicazioni e selezionò un canale. «Lansing per Hek» disse.

Dopo un attimo comparve nel panorama stellare un secondo riquadro contenente l’ologramma della faccia di Hek. «Eccomi.»

«Hai avuto fortuna nel rintracciare la fonte delle trasmissioni radio?»

Keith ebbe l’impressione di vedere le spalle più basse del waldahud muoversi, anche se erano fuori dall’inquadratura della telecamera. «Non ancora.»

«Hai detto di avere rintracciato segnali apparentemente intelligenti su più di duecento diverse frequenze.»

«Esatto.»

«Quante frequenze, esattamente?»

La faccia di Hek mostrò il profilo del muso sporgente, mentre consultava un monitor. «Esattamente 217» rispose. «Alcune però sono molto più attive di altre.»

Keith udì Jag, alla sua sinistra, ripetere lo stesso guaito di stupore di poco prima.

«Ci sono esattamente 217 oggetti di dimensioni gioviane, là fuori» disse lentamente Keith. Fece una pausa, quasi per cancellare dal suo stesso cervello le conclusioni più ovvie. «Naturalmente sappiamo che giganti gassosi come Giove sono spesso fonte di emissioni radio.»

«Queste però sono sfere di materia oscura» obiettò Lianne. «E sono elettricamente neutre.»

«Non sono composte esclusivamente di materia oscura» obiettò Jag. «Sono permeate di frammenti di materia normale. La materia oscura può interagire con i protoni della materia normale attraverso la forza nucleare forte, generando di conseguenza segnali elettromagnetici.»

Hek sollevò le spalle superiori. «Potrebbe essere una spiegazione» disse. «Però ogni sfera trasmette sulla sua frequenza privata, come se…» La voce dall’accento di Brooklyn si spense.

Keith guardò Rissa e capì che anche lei era giunta alle stesse conclusioni. Aggrottò la fronte: «Come se fossero voci separate» disse, completando la frase.

«Ma adesso non ci sono più 217 oggetti, là fuori» disse Thor. «Ce ne sono 218.»

Keith annuì. «Hek, rifai l’inventario dei segnali. Controlla se ci sono segni di attività a una frequenza appena superiore o appena inferiore ai confini dell’intervallo che hai identificato.»

Hek inclinò la testa come per azionare qualche comando proprio lì, sul ponte uno. «Un attimo» disse. «Ci vuole solo un attimo.» Subito dopo esclamò: «Sì, per gli dèi del fango e delle lune! Sì, certo che c’è!»

Keith guardò Rissa sogghignando. «Mi chiedo quali siano state le prime parole del neonato.»

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