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«Voglio un campione del materiale con cui sono fatte quelle sfere» abbaiò Jag, in piedi davanti alla sua stazione, fissando il direttore. Keith strinse i denti e pensò, come gli accadeva spesso, di chiedere a Phantom una traduzione meno letterale delle frasi di Jag, inserendovi termini di cortesia umani come “per piacere” e “grazie”.

«Dobbiamo mandare una sonda?» domandò Keith, guardando la faccia a quattro occhi del waldahud. «O preferisci andare là fuori personalmente?» In tal caso, aggiunse col pensiero, sarò lieto di indicarti il più vicino portello stagno.

«Una normale sonda per la raccolta di campioni atmosferici» rispose Jag. «Il gioco gravitazionale tra corpi così grandi e così strettamente raggruppati deve essere molto complesso. Qualunque oggetto inviassimo, potrebbe schiantarsi su una delle sfere.»

“Una ragione in più per mandarci Jag” pensò Keith. Ma ciò che disse fu: «Vada per la sonda.» Si voltò e guardò la postazione situata a ore 2 rispetto alla sua. «Pensaci tu, per favore, Rombo.»

La rete dell’ib lampeggiò in un assenso.

«La scelta migliore sarebbe una sonda di classe delta» suggerì Jag, tornando a sedersi e rivolgendosi al piccolo ologramma di Rombo sopra la sua consolle.

Keith premette un tasto e si unì alla discussione; una testa waldahud in miniatura sbocciò di fronte a lui, accanto all’immagine a figura intera dell’ib. «Quante sfere ci sono in totale?» chiese.

Le corde di Rombo si mossero sui comandi. «Duecentodiciassette» rispose. «E sembrano tutte identiche, a parte le dimensioni.»

«Bene. Allora non fa differenza quale sfera sarà scelta per il primo test» commentò Jag. «Punteremo su quella che presenta minori difficoltà di navigazione. Per prima cosa la sonda dovrà raccogliere un po’ del materiale presente tra le sfere, poi andrà dritto filato su una sfera e preleverà un campione del gas, o qualunque cosa sia, che la compone. Un primo prelievo sulla sommità delle nuvole e un altro duecento metri al loro interno, se la sonda sarà in grado di resistere alla pressione. I compartimenti in cui i campioni saranno riposti dovranno avere temperatura e pressione identici a quelli dei punti di raccolta; desidero ridurre al minimo i cambiamenti chimici nel materiale raccolto.»

Le luci della rete di sensori di Rombo si mossero verso l’alto e pochi istanti dopo l’ib lanciò la sonda. Inoltre commutò il display sferico della sala di controllo perché mostrasse le immagini riprese dalla sonda. Le stelle che si trovavano oltre la nebbia tra le sfere sembravano ancora tremolare, e le sfere stesse erano semplici circoli neri stagliati su un nebuloso sfondo blu punteggiato di stelle.

«Secondo te cosa sono le sfere?» chiese Rombo, mentre la sonda si avvicinava al bersaglio.

Jag mosse tutte e quattro le spalle nel tipico gesto waldahud di perplessità. «Potrebbero essere i resti di una nana bruna frantumatasi di recente. In assenza di gravità qualunque fluido si disporrebbe in un volume sferico, è ovvio. Con il tempo il materiale intermedio verrà probabilmente raccolto dai corpi maggiori.»

La sonda stava raggiungendo il materiale tra le sfere. «La nebbia sembra consistere di gas con l’aggiunta di particelle solide, del diametro medio di sette millimetri» annunciò Rombo, la cui rete di sensori si era quasi avviluppata sulla consolle della sua postazione, per leggere più facilmente gli strumenti.

«Che tipo di gas?» chiese Keith.

«Il peso molecolare suggerirebbe un composto complesso» rispose Jag, che ora fissava uno dei monitor. «Però lo spettro di assorbimento è quello della normale polvere cosmica: granelli di carbonio e così via.» Fece una pausa. «Le sfere non hanno un campo magnetico misurabile. Strano. Pensavo che le particelle di gas potessero essere state scagliate nello spazio proprio da campi magnetici.»

«La sonda sarà danneggiata da queste particelle?» domandò Keith.

«Mi compiaccio di rispondere in modo negativo» ribatté Rombo. «Ho rallentato proprio per evitare questa possibilità.»

Parte dell’ologramma era buio, da quando si era aperto il portello che copriva gli strumenti di prelievo atmosferico… pessima progettazione. «Ora stiamo raccogliendo campioni del materiale tra le sfere» annunciò Rombo. Alcuni istanti più tardi il portello si chiuse e tornò la visuale a 360 gradi. «Stiva 1 piena» fece rapporto l’ib. «Cambiamo direzione per la scrematura atmosferica.»

Il campo stellare ruotò mentre la sonda modificava la traiettoria. Uno dei cerchi neri fu ben presto al centro dell’inquadratura. La sfera d’ebano diventò sempre più grande, fino a dominare il cielo. In quel momento Rombo fece accendere i riflettori della sonda. Da essi partirono due flebili raggi che penetrarono per pochi metri in quella sostanza buia e roteante. Si aprì un altro portello, e una differente zona della sala si oscurò.

«Prelievo di campioni dell’alta atmosfera in corso» fece rapporto l’ib. Poi, dopo un attimo: «Portacampioni pieno.»

«Adeguato» commentò Jag. «Adesso falla abbassare di duecento metri, o il massimo possibile senza compromettere la sicurezza, e prendi dell’altro materiale della sfera.»

«Procedo, in pace e armonia» replicò Rombo, mangiandosi le parole.

Tutto appariva di un nero profondo, eccetto le due pozze di luce provenienti dai riflettori. Ora non penetravano per più di un metro. Per un attimo sembrò che sul percorso della sonda si parasse qualcosa di solido, una forma ovale delle dimensioni di un dirigibile, che però scomparve immediatamente.

«Profondità 91 metri» comunicò Rombo. «Sorprendente. La pressione esterna è bassa, molto inferiore a quanto mi aspettavo.»

«Allora continua a scendere» lo esortò Jag.

La sonda proseguì verso il basso. La rete di Rombo lampeggiava di costernazione. «I sensori della pressione devono essere danneggiati, forse per l’impatto con un granello di ghiaia: continuo ad avere dati di pressione atmosferica quasi nulla.»

Jag sollevò le spalle superiori. «Va bene. Riempi un compartimento lì, poi riporta tutto a casa.»

Il terzo portello non oscurò nessuna parte della sala, anche se durante l’apertura i membri dell’equipaggio erano così concentrati che si sarebbero accorti del minimo tremolio nell’immagine.

«Il rilevatore di pressione interno misura la stessa pressione quasi nulla osservata all’esterno» informò Rombo. «Ovviamente i due strumenti fanno capo allo stesso microprocessore. In ogni caso, il compartimento dovrebbe essersi riempito quasi istantaneamente, dal momento che prima dell’apertura del portello la sua pressione interna era nulla.»

Rombo lasciò il portello spalancato ancora per qualche secondo, giusto per sicurezza, poi lo chiuse e fece ruotare la sonda, dirigendola verso la Starplex.

Quando la sonda fu di nuovo nel tubo di lancio, i compartimenti dei campioni furono staccati e collocati da bracci robotici su un nastro trasportatore che li avrebbe portati al laboratorio di Jag. Dove nel frattempo era arrivato lo stesso Jag, in ascensore.

I contenitori furono agganciati alle relative prese sulle pareti del laboratorio. In tal modo non era necessario aprirli: attraverso le prese, sensori e telecamere potevano osservare agevolmente l’interno.

Jag sedette sulla sedia — un autentico seggio waldahud, non una multisedia — e accese i monitor alti e sottili di fronte a lui. Digitò la sequenza di comandi che selezionava gli esperimenti standard e osservò con crescente stupore i risultati che apparivano sugli schermi.

Spettroscopia: nessuna scoperta.

Scansione elettromagnetica: nessuna scoperta.

Decadimento beta: zero.

Emissioni di raggi gamma: zero.

Schermo dopo schermo: nessuna scoperta; zero; nessuna scoperta; zero…

Premette un tasto, e sotto le letture degli strumenti apparve una banda dove era riportata la massa del contenitore: 12.782 chilogrammi.

«Computer centrale» disse ad alta voce Jag. «Controlla i dati di fabbricazione di questo contenitore. Che massa ha quando è vuoto?»

“La massa del contenitore è di 12.782 chilogrammi” abbaiò Phantom in waldahudar.

Jag imprecò. «Questa fardint scatola è vuota!»

“Esatto” disse Phantom.

Jag premette un tasto e apparve l’ologramma di Rombo. «Teklarg» lo apostrofò Jag, chiamando l’ib con il suo soprannome waldahud «hai mandato fuori una sonda difettosa. Tutto ciò che c’era nel compartimento numero 2 è stato perduto durante il ritorno.»

«Le mie scuse più sentite, buon Jag. Merito una punizione per avere sprecato così il tuo tempo» rispose Rombo. «Invierò un rimpiazzo all’istante.»

«Fallo» sbottò Jag colpendo il pulsante che chiudeva la comunicazione. Passò quindi al compartimento numero 1… per scoprire con costernazione che anch’esso aveva perduto il suo contenuto durante il viaggio di ritorno. «Scalcagnata ingegneria umana» brontolò tra sé.

E i brontolii salirono di tono quando il secondo portacampioni della sonda giunse al laboratorio. Le letture erano identiche, compreso l’anomalo dato di bassissima pressione atmosferica ottenuto quando la sonda era scesa sulla grande sfera.

Ancora una volta Jag evocò l’ologramma di Rombo.

«Caro Jag devo dirti, in pace e con ogni buona intenzione, che non ho individuato nulla di evidentemente sbagliato nella sonda. I sigilli del contenitore sono perfetti. Niente sarebbe dovuto sfuggire.»

«Tuttavia i campioni raccolti se ne sono andati» ribatté Jag. «Il che significa che i campioni devono essere fatti di una sostanza decisamente insolita.»

Sulla rete di Rombo vi fu uno spostamento di luci. «È un’ipotesi sensata.»

Jag fece stridere le placche dentali. «Dev’esserci un modo per portare a bordo un po’ di quella sostanza e studiarla.»

«Indubbiamente tu ci hai già pensato» intervenne Rombo «e spreco il tempo di entrambi menzionando l’idea, ma potremmo usare una trappola di forza. Come quelle che si usano nei laboratori per maneggiare l’antimateria.»

Jag sollevò le spalle superiori. «Accettabile. Ma non un campo di forza elettromagnetica, usa piuttosto campi di gravità artificiale per tenere il contenuto a distanza dalle pareti della trappola, qualunque sia l’accelerazione della nave.»

«Eseguirò con obbedienza» fu la risposta di Rombo.

La trappola di forza doveva essere manipolata con raggi trattori. Consisteva in otto generatori antigravitazionali collocati ai vertici di un cubo, con grandi maniglie a forma di spatola incollate al centro di ogni faccia per dare ai raggi trattori qualcosa cui agganciarsi. La trappola fu spinta verso una delle grandi sfere grigie e lì fu aperta. Una seconda venne inviata nello sciame di ghiaia tra due sfere, dove fu attivata. Entrambe le trappole furono poi rapidamente ritirate a bordo della Starplex.

Infine i contenitori furono trasferiti in due scomparti separati all’interno del laboratorio di Jag. Il trucco dell’antigravità ebbe successo: una trappola conteneva effettivamente campioni del gas che costituiva la sfera, l’altra varie briciole di ghiaia traslucida e un sasso semitrasparente grande quanto un uovo di gallina. Finalmente Jag avrebbe potuto scoprire in che cosa si erano imbattuti.

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