«Lianne, rapporto sui danni» ordinò Keith.
«Quelli della battaglia sono ancora in elaborazione, ma il passaggio ad alta velocità nella scorciatoia non ha provocato nuovi problemi.»
«Perdite?»
Lianne scosse la testa, mentre con l’impianto auricolare ascoltava i vari rapporti. «Nessun morto. Però abbiamo parecchie fratture e un paio di commozioni cerebrali. Niente di preoccupante, comunque. E Jessica Fong è venuta fuori alla grande dal molo d’attracco 16, anche se piena di abrasioni e con un braccio e un’anca fratturati.»
Keith annuì, sospirando di sollievo. Alzò lo sguardo sulla bolla olografica, cercando di distinguere qualche dettaglio nel tenue spolverio di bianco contro il nero infinito. «Dio mio» disse sottovoce.
«Tutti gli dèi sono molto, molto lontani da qui» commentò Jag.
Thor si girò a guardarlo. «Siamo davvero nello spazio intergalattico?»
Jag sollevò le spalle superiori in segno di assenso.
«Ma… non ho mai sentito parlare di nessuna uscita così lontana» disse Lianne.
«Le scorciatoie non esistono da un tempo infinito» fece notare Jag. «E i segnali emessi da un portale situato nello spazio intergalattico potrebbero non avere ancora raggiunto i mondi del Commonwealth, anche viaggiando nell’iperspazio.»
«Ma come fa una scorciatoia a trovarsi a metà strada tra due galassie?» domandò Thor. «A che cosa è ancorata?»
«Ottima domanda» disse Jag, abbassando la testa per consultare la sua strumentazione. «Ah, ecco. Da’ un’occhiata allo scanner iperspaziale, Magnor.» C’è un grosso buco nero a circa sei anni luce da qui.
Thor emise un fischio sommesso. «Cambio subito rotta per stargli alla larga.»
«Può costituire un pericolo?» domandò Keith.
«Direi di no, capo. A meno che io non mi addormenti al volante.»
Jag azionò alcuni comandi e sulla olobolla comparve un’area riquadrata. Lo spazio al suo interno, però, era vuoto e nero esattamente come quello che lo circondava.
«In genere, intorno a un buco nero si forma un disco di accrescimento» disse Jag «ma qui fuori non c’è niente per alimentarlo.» Si azzittì per un istante. «La mia ipotesi è che si tratti di un buco nero antico… deve avere impiegato miliardi di anni per spingersi fin qui. Probabilmente è ciò che resta di un sistema stellare binario: quando la componente più grande è diventata una supernova, si è generato un impulso asimmetrico che ha spinto il buco nero risultante fuori dalla sua galassia d’origine.»
«Ma che cosa può avere attivato la scorciatoia?» si chiese Lianne.
Jag alzò tutte e quattro le spalle. «Il buco attira a sé qualunque forma di materia che si aggiri nei dintorni. È probabile che qualche oggetto, risucchiato in questa direzione dal buco, sia caduto invece dentro la scorciatoia.» Jag cercava di mantenere un atteggiamento disinvolto, ma era chiaro che perfino lui era rimasto scioccato da quello sviluppo della situazione. «Siamo stati davvero fortunati perché, con ogni probabilità, le scorciatoie nello spazio intergalattico sono rare come fango senza impronte.»
Keith guardò Thor sforzandosi di mantenere la voce tranquilla e controllata. Lui era il direttore e, per quanto la Starplex di solito somigliasse più a un laboratorio di ricerca che a un vascello marino, sapeva che tutti gli occhi erano puntati su di lui e in lui cercavano forza. «Qual è il tempo minimo per rientrare nella scorciatoia?» domandò. «E per ricongiungerci alla Rum Runner?»
«Abbiamo ancora gravi problemi con gli impianti elettrici» comunicò Lianne. «Non vorrei muovere la nave finché non si saranno tutti stabilizzati e ci vorranno tre ore per…»
«Tre ore!» esclamò Keith. «Ma…»
«Tenterò di ridurre i tempi» disse Lianne.
«E se nel frattempo inviassimo nella scorciatoia una sonda, per aiutare Rissa e Lunga Bottiglia?» suggerì Keith.
Nella stanza ci fu un istante di silenzio. Rombo rotolò alla postazione di comando e sfiorò delicatamente con una delle corde manipolatorie il braccio di Keith. «Non è possibile, amico mio» disse, e Phantom tradusse sussurrando la bassa intensità delle sue luci. “Non puoi mettere in pericolo un’altra nave.”
Il direttore sono io, pensò Keith. Posso fare tutto ciò che voglio, maledizione. Scosse la testa, cercando di recuperare il controllo di sé. Se succedeva qualcosa a Rissa…
«Hai ragione» disse infine. «Grazie.» Sentì il cuore accelerare i battiti mentre si girava verso Jag. «Dovrei farti rimettere subito agli arresti, razza di…»
«Maiale» completò Jag, e il latrato sottostante fu un’eccellente imitazione della parola terrestre. «Vai avanti, dillo.»
«Mia moglie è là fuori, chissà dove. Forse è morta, insieme con Lunga Bottiglia. Che diavolo avevi intenzione di ottenere?»
«Non ammetto nulla.»
«I danni a questa nave ammontano a miliardi. Il Commonwealth si rifarà su di te, di questo puoi stare certo…»
«Non sarai mai in grado di dimostrare che la mia richiesta di spostare la Starplex abbia qualcosa a che fare con ciò che è accaduto in seguito. Puoi insultarmi quanto vuoi, umano, ma perfino i vostri rozzi tribunali richiedono prove per sostenere un’accusa. La creatura di materia oscura che desideravo esaminare lasciava davvero un’insolita impronta iperspaziale, gli astronomi potranno confermarlo. Ed era davvero invisibile dal punto di osservazione della Starplex, prima dello spostamento.»
«Avevi detto che il matos stava per riprodursi. Invece non ha fatto niente del genere.»
«Il tuo guaio è quello di essere un sociologo, Lansing. A noi fisici capita più spesso di dover affrontare la realtà, cioè il fatto che alcune delle nostre teorie siano sconfessate dagli eventi.»
«Era un trucco per…»
«Era un esperimento, qualunque altra conclusione è opinabile. Se insisti in queste accuse ti farò incriminare per diffamazione.»
«Bastardo. Se Rissa morirà…»
«Se la dottoressa Cervantes dovesse morire ne sarei dispiaciuto. Non le auguro alcun male. Tuttavia, per quel che ne sappiamo, lei e Lunga Bottiglia hanno attraversato la scorciatoia e ora sono in salvo. Sono i “miei” compatrioti a essere morti oggi, non i tuoi.»
Lianne parlò con voce dolce, dalla sua consolle. «Ha ragione lui, Keith. Abbiamo perso delle attrezzature e parecchie persone sono rimaste ferite, ma nessun membro dell’equipaggio della Starplex è morto.»
«A parte, forse, Rissa e Lunga Bottiglia» esclamò Keith. Fece un respiro profondo, cercando di calmarsi. «L’avete fatto per i soldi, vero, Jag? Fra tutti i mondi del Commonwealth, Rehbollo è stato quello colpito più duramente dal punto di vista economico a causa dell’apertura del commercio interstellare. Voi non avete mai costruito due oggetti nello stesso…»
«Sarebbe un affronto al dio degli artigiani!»
«Sarebbe soltanto efficiente, cosa che le vostre industrie e i vostri operai non sono. Così avete pensato di rimpolpare le vostre casse planetarie: anche smontata a pezzi, la Starplex ha un valore di triliardi… e c’è un sacco di gloria in un’azione simile. E se per caso la sua confisca avesse scatenato una guerra, be’… che c’è di meglio di una piccola guerra per ridare fiato all’economia?»
«Nessun essere sano di mente desidera la guerra» disse Jag.
«Phantom» sbottò Keith. «Jag è nuovamente agli arresti domiciliari.»
“Registrato.”
«Questo atto potrà compiacere il tuo spirito punitivo» abbaiò Jag «ma questo è ancora un vascello scientifico, e noi siamo i primi esseri del Commonwealth a vedere lo spazio intergalattico. Dobbiamo determinare la nostra posizione esatta, e io sono la persona più qualificata per svolgere questo compito. Annulla l’ordine di arresto e smettila di berciare. Provvederò io a calcolare dove ci troviamo.»
«Capo» intervenne Thor, con gentilezza. «Lo sai anche tu che è vero. Permettigli di darci una mano.»
Keith attese qualche istante per fare sbollire la rabbia, poi annuì seccamente ma senza aggiungere nessun ordine. Così Thor disse ad alta voce: «Phantom, annulla gli arresti domiciliari per Jag.»
“L’annullamento richiede l’autorizzazione del direttore Lansing.”
Keith espirò rumorosamente. «Va bene così, Phantom. Però controlla tutti gli ordini che impartisce e se qualcuno non sembra in relazione con l’obiettivo di determinare la nostra posizione, notificamelo immediatamente.»
“Registrato. Fine degli arresti domiciliari.”
Keith si rivolse a Thor. «Dove siamo diretti, adesso?»
Thor consultò gli strumenti. «Siamo ancora su una versione modificata della rotta parabolica che abbiamo usato per sfruttare la gravità della stella verde. Ovviamente, però, la traiettoria si è modificata quando abbiamo cessato di avvertire l’influsso gravitazionale della stella. Di conseguenza…»
«Magnor» lo interruppe Jag. «Ho bisogno che la nave venga ruotata secondo lo schema di Gaf Wayfarer: ci manca una delle due serie di iperscopi e a me serve una scansione iperspaziale parallattica dell’intero cielo.»
Thor azionò alcuni comandi e la bolla olografica che circondava il ponte iniziò una complicata serie di rotazioni. Poiché però lo spazio era vuoto, a parte le scarse macchioline bianche, le oscillazioni e le giravolte non causarono nessun senso di mal di mare. Il pilota guardò Keith. «A proposito del ritorno a casa: l’uscita della scorciatoia alle nostre spalle appare, vista nell’iperspazio, identica a tutte le altre che conosciamo, completa di meridiano zero. Nell’ipotesi che questi affari funzionino sempre nello stesso modo anche a milioni di anni luce di distanza, non appena Lianne avrà tutti i sistemi elettrici in funzione, dovrei riuscire a portare la nave a qualunque scorciatoia attiva mi venga indicata.»
«Bene» commentò Keith. «Lianne, quanto gravi sono i danni della battaglia?»
«Tutti i ponti dal 54 al 70 sono inondati» rispose lei da un ologramma sopra la testa di Keith. «E tutte le attrezzature dal ponte 41 in giù hanno subito qualche danno a causa dell’acqua. Inoltre, tutti i ponti sotto il disco centrale hanno assorbito una massiccia dose di radiazioni quando abbiamo costeggiato la stella verde. Suggerisco di dichiarare inabitabile l’intera metà inferiore.» Dopo un momento di silenzio, Lianne proseguì. «Quelli della Starplex 2 se la prenderanno con noi: abbiamo reso inservibili per due volte di seguito la sezione inferiore dei moduli abitativi.»
«Gli schermi come sono messi?»
«Gli emettitori di campo di forza si sono tutti surriscaldati, ma ho già messo al lavoro gli ingegneri per ripararli e uno schermo minimo sarà disponibile entro un’ora. In un certo senso è un bene che siamo finiti nello spazio intergalattico: qua fuori la probabilità di essere colpiti da un micrometeorite è minima.»
«E i danni provocati da Gawst quando ha staccato il generatore numero 2?»
«Le mie squadre hanno già messo in posizione paratie temporanee intorno al buco» rispose Lianne. «Dovrebbero durare fino al nostro arrivo in un cantiere.»
«Gli altri generatori?»
«Il numero 3 ha tutti i collegamenti elettrici danneggiati. C’è una squadra al lavoro per poterlo utilizzare almeno come riserva, ma non so se abbiamo in magazzino abbastanza cavi a fibre ottiche a banda larga per completare il lavoro. Forse saremo costretti a fabbricarne un po’ di nuovi. In ogni caso, finché il generatore non tornerà operativo non potremo fare uso dei motori principali. Un’altra nave waldahud aveva cominciato a colpire anche il generatore numero 1: è la sua mancanza che ha causato il black out energetico. Dovremmo comunque essere in grado di riportarlo in piena efficienza.»
«I moli di attracco?»
«Il molo 16 è pieno di acqua ghiacciata» rispose Lianne. «Inoltre, tre delle cinque sonde coinvolte nella battaglia hanno bisogno di riparazioni.»
«Possiamo almeno tenere lo spazio?» domandò Keith.
«Mi piacerebbe poter mettere in calendario almeno tre settimane ai cantieri per riparare i danni, ma a breve termine non corriamo pericoli.»
Keith annuì. «In tal caso, Thor, non appena Lianne annuncerà che siamo pronti per azionare i motori, prepara una rotta che attraversi la scorciatoia facendoci sbucare esattamente dove siamo partiti, vicino alla stella verde.»
Le sopracciglia color arancione di Thor si inarcarono. «So che vuoi soccorrere la Rum Runner, Keith, ma se la nave si è salvata, Lunga Bottiglia deve averla già portata il più lontano possibile da lì.»
«Sì, è probabile. Ma non è per questo che voglio tornare là.» Lanciò un’occhiata a Rombo. «Qualche minuto fa hai detto una cosa giusta, amico a rotelle: dobbiamo tenere presenti le nostre priorità. E lo scopo per cui la Starplex è stata costruita è, in primo luogo, quello di prendere contatto con altre forme di vita. Non permetterò che il Commonwealth diventi come gli Sbattiporta, che tagli ogni comunicazione a causa di un malinteso. Voglio scambiare altre due chiacchiere con i matos.»
«Hanno tentato di ucciderci» fece notare Thor.
Keith alzò una mano. «Non sarò così sciocco da dare loro una seconda possibilità di buttarci nella stella verde. Riesci a tracciare una rotta che ci porti fuori dalla scorciatoia con la giusta direzione, che possa nuovamente sfruttare l’effetto-fionda della stella e che infine ci riporti alla scorciatoia lungo un vettore che ci conduca all’uscita Flatlandia 368A?»
Dopo averci pensato per un po’, Thor rispose: «Sì, è possibile. Ma perché F368A e non Nuova Pechino?»
«Per quel che ne sappiamo, non è detto che l’attacco alla Starplex sia stato un evento isolato: Nuova Pechino potrebbe essere assediata. Preferisco una destinazione neutrale.» Una pausa. «Veniamo a noi. Con la rotta che ho descritto, i matos riusciranno ad afferrarci?»
Thor scosse la testa. «Considerata la velocità che avremo, no. A meno che non siano tutti là in attesa, all’uscita della scorciatoia.»
«Rombo» chiamò Keith. «Non appena Lianne avrà fatto riparare i sistemi relativi, manda una sonda all’uscita della stella verde. Aggiungici uno scanner iperspaziale, in modo che possa localizzare i matos dalle infossature che causano allo spaziotempo. Falle fare anche un’analisi radio ad ampio spettro, per controllare che non siano arrivati rinforzi waldahud. E infine…» Keith tentò di bloccare il tremito nella voce «falle controllare se capta il codice di radarfaro della Rum Runner.»
«Ci vorranno almeno trenta minuti perché il lancio sia possibile» comunicò Lianne.
Keith si morse un labbro e pensò a Rissa. Se lei non c’era più, i miliardi di anni che gli restavano da vivere non sarebbero bastati ad attutire la perdita. Osservò il flebile biancore delle luci galattiche che si stagliavano contro l’abisso. Non sapeva nemmeno in quale direzione guardare, dove concentrare i suoi pensieri. Si sentiva incredibilmente piccolo, insignificante e solo. Nella bolla olografica non c’era nulla su cui fissare lo sguardo, niente di netto, niente di ben definito. Soltanto l’abisso… un vuoto che schiacciava l’ego.
Proprio in quel momento, da un punto alla sua sinistra venne un rumore strano, simile al colpo di tosse di un cane. Phantom la tradusse come “espressione di assoluto stupore”. Keith si girò verso Jag e rimase a bocca aperta: non aveva mai visto la pelliccia di Jag in quelle condizioni. «Che cosa succede?»
«So dove siamo» rispose Jag.
Keith lo fissò. «E allora?»
«Lo sai, vero, che la Via Lattea e Andromeda hanno una quarantina di galassie più piccole legate a loro dalla forza gravitazionale?» domandò Jag.
«Il gruppo locale» ribatté Keith, seccato.
«Appunto» disse Jag. «Ebbene, ho cominciato cercando di localizzare alcune delle caratteristiche distintive del gruppo locale, come la stella superluminosa S Doradus nella Grande Nube di Magellano, ma non ho avuto successo. Così ho consultato il catalogo delle pulsar extragalattiche di cui era nota la distanza, che ovviamente corrisponde all’età, e ho usato per orientarmi le loro “firme” fatte di impulsi radio.»
«Sì, ho capito» disse Keith. «E allora?»
«Attualmente la galassia più vicina a noi è questa» Jag indicò una chiazza sfocata che nell’ologramma si trovava sotto i suoi piedi. «Si trova a circa 500 mila anni luce da noi. L’ho identificata come CGC 1008: ha diversi attributi unici.»
«Va bene» disse seccamente Keith. «Siamo a mezzo milioni di anni luce da CGC 1008. E adesso una concessione a noi non-astrofisici: quanto lontano si trova CGC 1008 dalla Via Lattea?»
Il latrato di Jag fu sommesso, quasi rispettoso. La voce tradotta disse: «Siamo a sei miliardi di anni luce da casa.»
«Sei… miliardi?» ripeté Thor, girandosi a guardare Jag.
Jag sollevò le spalle superiori. «Esatto» disse, con voce ancora sommessa.
«È stupefacente» commentò Keith.
Jag ripeté il suo tipico gesto di perplessità. «Sei miliardi di anni luce. Sessantamila volte il diametro della Via Lattea. Duemilasettecento volte la distanza tra la Via Lattea e Andromeda.» Fissò Keith. «In termini comprensibili ai non-astrofisici, una distanza dannatamente lunga.»
«Si vede la Via Lattea, da qui?» domandò Keith.
Jag fece un gesto con le braccia. «Oh, sì» rispose, ancora con quel tono rispettoso. «Direi di sì. Computer centrale, ingrandisci il settore 112.»
In un punto della bolla olografica comparve una cornice. Jag abbandonò la sua postazione per dirigervisi. Lo scrutò con attenzione per qualche istante, poi indicò un punto e disse: «Eccola. E quella vicina è Andromeda. E quell’altra è M33, terzo membro del gruppo locale per dimensioni.»
Le luci di Rombo ammiccarono, in segno di confusione. «Porgo scuse sconfinate ma questo non può essere vero, buon Jag. Quelle che hai indicato non sono galassie spirali, sembrano piuttosto dei dischi.»
«Non ho sbagliato» ribatté Jag. «Quella è la Via Lattea. Solo che, poiché ci troviamo a sei miliardi di anni luce di distanza, la vediamo com’era sei miliardi di anni fa.»
«Ne sei sicuro?» domandò Keith.
«Al di là di ogni dubbio. Una volta che le pulsar mi hanno detto dove guardare approssimativamente, è stato piuttosto facile identificare quale galassia era la Via Lattea, qual era Andromeda e così via. Le Nubi di Magellano sono troppo giovani perché la loro luce si sia spinta così lontano, ma gli ammassi globulari contengono quasi esclusivamente stelle antiche, della prima generazione, e io ho identificato molti ammassi globulari specifici associati sia con la Via Lattea sia con Andromeda. Ne sono assolutamente certo: quel semplice disco di stelle è la nostra galassia natale.»
«Ma la Via Lattea ha bracci a spirale» intervenne Lianne.
Jag si girò a guardarla. «Sì, al di là di ogni dubbio: l’attuale Via Lattea ha bracci a spirale. Adesso però posso affermare con altrettanta sicurezza che, quando aveva sei miliardi di anni di meno, non aveva bracci a spirale.»
«Com’è possibile?» domandò Thor.
«La questione è controversa» rispose Jag. «Confesso che io mi sarei aspettato che la Via Lattea avesse i bracci già a metà della sua età attuale.»
«D’accordo» intervenne Keith. «Dunque la Via Lattea si è conquistata i bracci a spirale in un periodo intermedio.»
«No, non siamo affatto d’accordo» disse Jag. I suoi latrati erano ritornati all’abituale brutalità. «In effetti, non ha mai avuto senso. Non abbiamo mai elaborato un buon modello per la formazione dei bracci a spirale delle galassie. Quasi tutti i modelli si basano sulla rotazione differenziale, cioè il fatto che le stelle vicine al nucleo centrale orbitano diverse volte intorno al nucleo nel tempo impiegato da quelle più esterne a compiere un’unica rotazione. Ma tutti i bracci originati da questo fenomeno dovrebbero essere temporanei, della durata massima di un miliardo di anni. In altre parole, dovremmo vedere “alcune” galassie a spirale, ma non esiste alcuna ragione al mondo per cui tre su quattro di tutte le galassie più grandi, cioè il rapporto che si osserva attualmente, debbano essere a spirale. Le ellittiche dovrebbero essere di gran lunga più numerose, invece non è così.»
«In tal caso c’è un errore nella teoria, è chiaro» osservò Keith.
Jag sollevò le spalle superiori. «Effettivamente. Noi astrofisici ci siamo arrangiati per secoli con una cosa che si chiama “modello a onde di densità”, per spiegare l’abbondanza di galassie a spirale. Il modello propone l’esistenza di un disturbo a forma di spirale che si sposta attraverso il centro del disco galattico, catturando le stelle… o forse formato da stelle… mentre l’onda ruota. Tuttavia, questa teoria non ha mai soddisfatto nessuno. Per prima cosa non spiega i diversi tipi di spirale esistenti e, seconda cosa, non sappiamo rispondere in maniera soddisfacente alla domanda più ovvia: che cosa mette in moto le pretese onde di densità? A volte si citano le esplosioni delle supernove, ma è altrettanto facile costruire un modello nel quale gli effetti di queste esplosioni si annullano a vicenda quanto lo è costruirne uno in cui si sommano dando origine a onde di lunga durata.» Fece una pausa. «Ci sono anche altri problemi, con i modelli di formazione delle galassie. Tempo fa, nel 1995, gli astronomi umani scoprirono che le galassie lontane, osservate quando avevano appena il venti per cento dell’età attuale dell’universo, avevano una velocità di rotazione paragonabile a quella della Via Lattea attuale: cioè il doppio di quella che avrebbero dovuto avere per confermare la teoria.»
Keith rifletté per qualche istante. «Ma se ciò che vediamo adesso è vero, le galassie a spirale come la nostra devono essersi formate da semplici dischi, giusto?»
Altro ondeggiamento delle spalle superiori del waldahud. «Forse. Il vostro Edwin Hubble aveva immaginato che tutte le galassie partissero come una sfera di stelle per appiattirsi poi in un disco a causa della rotazione e sviluppando infine bracci sempre più aperti con il trascorrere del tempo. Tuttavia, anche se adesso abbiamo la prova visibile di questo tipo di evoluzione» indicò il disco di stelle circondato dalla cornice lucente «ancora non abbiamo una spiegazione del perché questa evoluzione abbia luogo, o perché la struttura a spirale persista.»
«Hai detto che tre quarti delle galassie maggiori sono spirali?» chiese conferma Lianne.
«Mmm» disse Jag (Phantom aveva tradotto uno sbuffo simile a un fischio con un verso simile a un muggito). «In realtà non abbiamo informazioni dirette sul rapporto fra galassie ellittiche e non ellittiche nell’universo: è molto difficile estrapolare la struttura di oggetti a malapena visibili, distanti miliardi di anni luce da noi. Nella nostra zona abbiamo osservato un numero di spirali molto superiore a quello delle ellittiche, e abbiamo notato che le spirali contengono una preponderanza di giovani stelle azzurre. Invece le ellittiche, almeno nei nostri dintorni, contengono soprattutto vecchie stelle rosse. Ne abbiamo dedotto, dunque, che qualunque galassia lontana che mostrasse molta luce azzurra… dopo la correzione per compensare il red shift,è chiaro… doveva essere a spirale, mentre quelle che emettevano principalmente luce rossa dovevano essere ellittiche. In realtà, però, non abbiamo informazioni dirette.»
«È incredibile» commentò Lianne, osservando l’immagine. «Allora, se la Via Lattea appariva così sei miliardi di anni fa, significa che nessuno dei mondi del Commonwealth si è ancora formato. C’è… credi che adesso ci sia qualche forma di vita, nella nostra galassia?»
«Be’, adesso significa sempre adesso, sia chiaro» osservò Jag. «Ma se intendevi chiedermi se c’era vita nella Via Lattea quando quella luce ha iniziato il suo viaggio per arrivare qui, devo rispondere di no. I nuclei galattici sono estremamente radioattivi, anche più di quanto si riteneva una volta. In una grande galassia ellittica, come quella che vediamo qui, in pratica l’intera galassia è costituita dal nucleo. Con le stelle così ravvicinate, le radiazioni dure sarebbero talmente diffuse che non si potrebbero formare molecole geneticamente stabili.» Fece una pausa. «Il che significa, direi, che soltanto le galassie di mezza età possono dare origine alla vita: quelle giovani e senza bracci sono sterili.»
Per un po’ sul ponte regnò il silenzio, rotto soltanto dal soffio leggero dell’impianto per la circolazione dell’aria e dall’occasionale bip di un pannello di controllo. Ciascuno dei presenti contemplava l’indistinta chiazza di luce che un giorno avrebbe dato origine a tutti loro, contemplava il fatto che tutti loro si trovavano più lontano di quanto chiunque si fosse mai spinto prima, contemplava la vasta oscurità vuota che li circondava.
Sei miliardi di anni luce.
Keith ricordò ciò che aveva letto su Borman, Lovell e Anders, gli astronauti dell’Apollo 8 che avevano orbitato intorno alla Luna durante il Natale del 1968, leggendo passi della Genesi ai popoli della Terra. Erano stati i primi esseri umani a spingersi così lontano dal proprio pianeta da poterlo circondare con le dita di una mano. Forse, più di ogni altro evento, era stata quella visuale, quella prospettiva, quell’immagine, a segnare la fine dell’infanzia per l’umanità: la comprensione che il mondo non era altro che una pallina che fluttuava nel buio.
Adesso, pensò Keith, questa immagine avrebbe forse segnato… “forse”… l’inizio della mezza età: un fotogramma immobile, che sarebbe diventato il frontespizio per il secondo volume della biografia dell’umanità. Non era soltanto la Terra a essere così piccola, così fragile e insignificante. Keith sollevò una mano a coppa verso l’ologramma e raccolse tra le dita quell’isola di stelle. Rimase a lungo seduto in silenzio, poi abbassò la mano e permise ai suoi occhi di vagare in quella schiacciante vacuità buia che si estendeva in ogni direzione. Posò casualmente lo sguardo su Jag, che stava facendo lo stesso identico gesto compiuto da Keith pochi istanti prima, cioè raccoglieva la Via Lattea in una mano tesa a coppa.
«Scusa, Keith» esordì Lianne, pronunciando le prime parole dopo parecchi minuti. La sua voce era dolce, rispettosa, simile ai movimenti di chi cammina in una cattedrale. «Gli impianti elettrici sono in funzione. Possiamo lanciare quella sonda quando vuoi.»
Keith fece un lento cenno di assenso. «Grazie» disse con voce meditabonda. Guardò un’ultima volta la giovane Via Lattea che galleggiava nelle tenebre, quindi disse in un sussurro: «Rombo, andiamo a vedere che cosa sta succedendo a casa.»