25

Keith era seduto nel suo ufficio sul ponte 14, e leggeva le ultime notizie da Tau Ceti. I rapporti erano telegrafici, ma mettevano in chiaro che su Rehbollo le forze fedeli alla regina Trath avevano soffocato l’insurrezione contro di lei e avevano giustiziato sommariamente 27 cospiratori secondo il metodo tradizionale, cioè gettandoli nel fango bollente.

Keith spense il blocco-dati. Quella storia metteva a dura prova la sua credulità… non c’era mai stata nessuna rivolta su Rehbollo. Poteva anche essere tutto vero, ma più probabilmente si trattava del disperato tentativo del governo di prendere le distanze da un’iniziativa finita male.

Trillò un campanello e la voce di Phantom disse: “Jag Kandaro em-Pelsh è alla porta.”

Keith sospirò. «Fallo entrare.»

Jag entrò e prese una multisedia. I suoi occhi di sinistra erano puntati su Keith, ma quelli di destra esaminavano la stanza nell’istintivo schema combattimento-o-fuga. «Immagino che in questa congiuntura» disse «io debba riempire alcuni di quei moduli che stanno tanto a cuore a voi umani.»

«Quali moduli?» domandò Keith.

«Quelli per dimettermi dall’incarico che ricopro sulla Starplex. Non posso più lavorare qui.»

Keith si alzò in piedi per sgranchirsi un po’.

Da qualche parte doveva pur cominciare… la maturità, lo stadio successivo alla crisi della mezza età, la pace. Da qualche parte doveva pur cominciare.

«I bambini giocano con i soldatini» disse Keith, ora guardando Jag negli occhi. «Le razze bambine giocano con i soldati veri. Forse è tempo che noi tutti cresciamo un po’.»

Il waldahud rimase silenzioso a lungo. «Forse.»

«Noi tutti abbiamo obblighi e legami che sono incisi nei nostri geni» continuò Keith. «Non per questo ti spingerò a dare le dimissioni.»

«La tua osservazione sottintende che io sia colpevole di qualcosa. Questo lo rifiuto. Ma anche se fosse vero, tu ancora non capisci. Forse il tuo popolo non arriverà mai a capire il mio.» Jag fece una pausa. «No, per me è tempo di ritornare a Rehbollo.»

«Qui è rimasto moltissimo lavoro da fare» fece notare Keith.

«Senza dubbio. Ma il lavoro che avevo pianificato per me stesso è stato portato a termine.»

«Ah» disse Keith, con il primo barlume di comprensione. «Intendi dire che hai accumulato gloria a sufficienza per vincere Pelsh.»

«Esattamente. Il mio contributo alle scoperte sulla materia oscura e sui matos farà di me il più stimato scienziato di Rehbollo.» Fece una pausa. «Pelsh prenderà la sua decisione entro breve. Non posso trattenermi qui ancora per molto.»

Keith rifletté sulle parole di Jag. «Nessuna femmina waldahud ha mai lavorato a bordo della Starplex. Quando scadrà il mio incarico, sarà un ib a ricoprire il ruolo di direttore, e ho la sensazione che toccherà a Bicchiere da Vino. Nel turno successivo, però, l’incarico spetterà a un waldahud… e so che i waldahudin reclameranno un capo femmina. Tu e Pelsh potreste venire sulla Starplex insieme, che ne dici? Da ciò che ho sentito, lei mi sembra la scelta ideale per il ruolo di direttore.»

La pelliccia di Jag si arricciò per la sorpresa. «Non sarebbe possibile: siamo entrambi parte di un gruppo più grande. Lei manterrà il proprio entourage per tutta la vita.»

Keith sgranò gli occhi. «Vuoi dire che i maschi che non hanno avuto successo con lei non avranno la possibilità di tentare la sorte altrove?»

«Certo che no. Rimarremo una famiglia. Noi tutti siamo impegnati con Pelsh fin dall’infanzia.»

«Forse sulla Starplex potreste venirci tutti e sei.»

Jag mosse le spalle inferiori. «La Starplex è per i migliori e per i più brillanti. Non parlerei mai con disprezzo degli altri membri dell’entourage della mia signora di fronte a un waldahud, ma a te dirò la verità: non c’è mai stata competizione tra me e altri quattro. Mai. La competizione era con un solo individuo. Questo è stato chiaro fin dall’inizio. Gli altri… mancano di distinzione.»

«Ma io pensavo che Pelsh fosse legata alla famiglia reale. Perdonami, ma perché una come lei si è ritrovata con pretendenti scarsamente qualificati?»

«L’entourage deve continuare a funzionare anche dopo la scelta del maschio. Un entourage selezionato con intelligenza conterrà molti membri che si accontenteranno di una condizione di inferiorità. Invece un entourage composto interamente da quelli che voi umani definite “maschi alfa” sarebbe condannato fin dall’inizio.»

Keith assorbì l’informazione. «Be’, se l’unico modo in cui possiamo averti è quello di prendere con noi tutta la tua famiglia, provvederò che così si faccia.»

«Io… non credo che andrai fino in fondo in questa idea.»

Keith socchiuse gli occhi. «Sono un uomo di parola.»

«La vera competizione per Pelsh era fra me e un altro. L’altro, ovviamente, ha un nome.» I quattro occhi di Jag erano puntati sui due occhi di Keith. «Questo nome è Gawst Dalayo em-Pelsh.»

«Gawst!» esclamò Keith. «Lo stesso che ha guidato l’attacco alla Starplex?»

«Sì. È sfuggito ai matos e adesso si trova di nuovo su Rehbollo.»

Keith rimase immobile per dieci secondi, poi cominciò ad annuire. «E tu eri obbligato ad aiutarlo, vero?»

«Non ammetto niente» disse Jag.

«Se non l’avessi aiutato, tutta la gloria nel portare la Starplex a casa a Rehbollo sarebbe toccata a lui, e sarebbe stato lui a essere scelto da Pelsh. Dandogli assistenza, ti sei assicurato che una parte della gloria spettasse a te.»

«Ci sono 260 waldahudin a bordo della Starplex» disse Jag.

La frase rimase sospesa tra i due per parecchi secondi. Poi Keith annuì: aveva capito. «Se non l’avessi aiutato tu, avrebbe trovato senza difficoltà qualcun altro disposto a farlo» disse Keith.

«Lo ripeto» disse Jag. «Non ammetto nulla.» Rimase silenzioso a lungo. «È chiaro che il governo della regina Trath potrebbe incriminare Gawst di gravi reati. Ben presto potrebbe perdere la libertà, o perfino la vita.»

«La mia offerta rimane valida.»

Jag chinò la testa. «La prenderò… la prenderemo in considerazione.» Poi il waldahud fece qualcosa che Keith non aveva mai visto fare da nessuno della sua razza. Aggiunse una parola: «Grazie.»


Era sera: l’illuminazione del corridoio era attenuata. Come sempre prima di cena, Keith fece un salto sul ponte per scambiare qualche parola con il direttore del turno gamma, un waldahud di nome Stelt. Tutto filava liscio come l’olio, disse Stelt. Non era una sorpresa: Keith sarebbe stato chiamato immediatamente se fosse accaduto qualche guaio. Il direttore augurò a tutti la buona notte e lasciò il ponte, per recarsi allo stelo centrale.

Lì trovò Lianne Karendaughter, seduta su una panca nello slargo del corridoio appena prima degli ascensori. Appariva flessuosa e sexy nell’aderente tuta nera da ginnastica.

Era certamente una coincidenza, si disse Keith. Di sicuro lei non era al corrente delle sue abitudini, non sapeva che lui passava di lì ogni sera a quell’ora. Doveva essere in attesa di qualcun altro.

Lianne aveva i capelli sciolti, Keith non aveva mai notato che le arrivavano a metà schiena. «Ciao, Keith» disse lei, con un sorriso caloroso.

«Ciao, Lianne. Hai passato una buona giornata?»

«Oh, certo. Hai visto com’è andato oggi il turno alfa, no? Una passeggiata. E nel periodo del turno beta ho nuotato e tirato di scherma. E tu?»

«Tutto bene.»

«Mi fa piacere» disse Lianne. Rimase zitta per un attimo, poi abbassò lo sguardo sul pavimento plastificato. Quando rialzò la testa evitò lo sguardo di Keith. «Io, ehm, so che Rissa è via, oggi.»

«È vero. È tornata a Grand Central con una scialuppa da viaggio. Credo che stia cercando di escogitare una scusa per non dover accettare una medaglia o una parata in suo onore.»

Lianne annuì. «Ho pensato» disse dopo un attimo «che forse non avevi compagnia per cena.»

Il cuore di Keith accelerò i battiti. «Io… direi di no» ammise.

Lianne gli sorrise. Aveva denti bianchi e perfetti, una perfetta pelle di alabastro e bellissimi occhi a mandorla, scuri e incantevoli. «Forse ti farebbe piacere farmi compagnia. Nel mio appartamento ho una pentola wok,potrei prepararti quella cena cinese che ti ho promesso.»

Keith fissò quella… quella “ragazzina”, pensò. Di ventisette anni. Due decenni meno di lui. Sentì un brivido all’inguine. Probabilmente era un invito innocente: le dispiaceva per il vecchio, o forse cercava di ingraziarsi il capo. Una semplice cena cinese, magari con un po’ di vino, magari…

«Sai, Lianne» disse Keith «tu sei davvero una donna bellissima.» Alzò una mano. «Lo so, nel mio ruolo non dovrei dire cose del genere, ma siamo entrambi fuori servizio. E tu sei una donna bellissima.» Lei abbassò gli occhi. Lui attese in silenzio, passandosi i denti sul labbro inferiore. E un pensiero si fece strada nella sua mente.

Non fare del male a Rissa.

Faresti solo del male a te stesso.

«Ma credo che per me sia meglio ammirarti da lontano» disse infine.

Lei lo fissò per un attimo, poi distolse gli occhi. «Rissa è una donna molto fortunata» disse Lianne.

«No» la contraddisse Keith. «Io sono un uomo molto fortunato. Ci vediamo domani, Lianne.»

Lei annuì. «Buona notte, Keith.»

Tornò a casa, si preparò un panino, lesse qualche capitolo di un vecchio romanzo di Robertson Davies e si coricò per tempo.

E dormì come un bambino, completamente in pace con se stesso.


Il turno alfa del giorno successivo cominciò nella maniera consueta. Rombo era arrivato esattamente in orario, ovviamente; Thor entrò, mise i piedi sulla scrivania del Timone e cominciò a dettare istruzioni al computer di navigazione; Lianne, già nel pieno del lavoro, istruiva le miniteste olografiche dei suoi ingegneri sui compiti da svolgere nella giornata. Nella seconda fila, Keith parlava serenamente con Rissa, appena rientrata da Grand Central.

In quel momento, però, il panorama stellato si aprì e Jag entrò con un’andatura che sembrava più una corsa che non il suo solito passo deciso.

«Ce l’ho!» gridò, anche se, a giudicare dalle onde di eccitazione che agitavano la sua pelliccia, forse la traduzione più appropriata sarebbe stata “Eureka!”.

Keith e Rissa si voltarono a guardare Jag, che non si diresse alla sua postazione, ma andò nel centro della stanza fermandosi a due metri dalla consolle di Thor.

«Ce l’hai, che cosa?» domandò Keith, trattenendo ogni possibile battuta.

«La risposta!» abbaiò Jag, emozionatissimo. «La risposta!» Riprese fiato. «Sopportatemi per un momento e arriverò a spiegarmi. Ma una cosa voglio dirla subito… noi “abbiamo importanza”! La nostra presenza conta. Per tutti gli dèi delle montagne, dei fiumi, delle valli e delle pianure… è “soltanto” la nostra presenza che conta.» I suoi occhi puntarono in direzioni differenti, uno su Lianne, un altro su Rombo, un terzo su Rissa e il quarto su Thor e Keith, che dal punto di vista di Jag si trovavano sulla stessa linea, uno dietro l’altro. Ormai sappiamo che il viaggio nel tempo dal futuro al passato è possibile «esordì.» L’abbiamo visto applicato alle stelle di quarta generazione e con la capsula temporale costruita da Hek e da Azmi. Ma avete considerato quali conseguenze ne derivano? Immaginiamo che domani a mezzogiorno io usi una macchina del tempo per spedire me stesso fino a oggi. Che cosa ne consegue?

Rispose Keith. «Be’, che ci sarebbero due Jag. Quello di oggi e quello arrivato da domani.»

«Esatto. Adesso pensate a questo: se ci fossero due Jag, la mia massa sarebbe raddoppiata. Io peso 123 chili, ma se ci fossero due versioni di me stesso allora ci sarebbero 246 chilogrammi di massa-Jag a bordo della nave.»

«Credevo che fosse impossibile» intervenne Rissa «a causa della legge di conservazione di massa ed energia. Da dove verrebbero i 123 chili aggiuntivi?»

Jag la guardò, trionfante. «Dal futuro! Non capite? Il viaggio nel tempo è l’unico modo concepibile di violare la legge. È l’unico modo per aumentare la massa totale del sistema.» La sua pelliccia continuava ad agitarsi. «E che dire delle stelle venute dal futuro? Più ne arrivano e più aumenta la massa dell’universo attuale. Dopo tutto, ogni stella di quarta generazione è costituita da preesistenti particelle subatomiche riciclate. Spingerle indietro nel tempo, in pratica, è come duplicare queste particelle, raddoppiando la massa complessiva.»

«Un interessante effetto collaterale, senza dubbio» commentò Rombo. «Ma non spiega perché le stelle siano state mandate indietro nel tempo.»

«Certo che lo spiega. Il raddoppio della massa non è un semplice effetto collaterale, niente affatto! Al contrario, è il solo obiettivo della missione!»

«Missione?» domandò Keith.

«Sì, la missione di salvare l’universo! Quelle stelle sono state mandate indietro nel tempo per aumentare la massa dell’universo.»

Keith spalancò la bocca. «Buon Dio!»

Tutti e quattro gli occhi del waldahud conversero su Keith. «Esatto!» abbaiò Jag. «Lo sappiamo da più di un secolo che la materia visibile rappresenta meno del dieci per cento della quantità di materia che dev’essere presente. Il resto è costituito da neutrini e da materia oscura, come i nostri giganteschi amici qui fuori dalla nave. A questo punto sappiamo di che cos e fatta tutta la materia dell’universo, ma ancora non sappiamo quanta ce ne sia in totale. E il destino dell’universo dipende proprio da quanta massa esso contiene. Ci sono tre alternative, a seconda che il totale sia superiore, inferiore o esattamente identico alla cosiddetta densità critica.»

«Densità critica?» domandò Rissa.

«Proprio così. L’universo è in espansione, e lo è fin dall’istante del Big Bang. Ma questa espansione durerà per sempre? Dipende dalla gravità. E l’ammontare della gravità, ovviamente, dipende dalla quantità di massa presente. Se non ce ne abbastanza, cioè se la massa dell’universo è inferiore alla densità critica, la gravità non vincerà mai la forza dell’esplosione originaria e l’universo continuerà a espandersi per sempre, e la materia in esso contenuta si diffonderà in un volume sempre maggiore. Tutto diventerà freddo e vuoto, con i singoli atomi distanti anni luce l’uno dall’altro.»

Rissa rabbrividì.

«Se invece è vera l’altra possibilità, se cioè la massa dell’universo supera la densità critica, allora la gravità “vincerà” la forza del Big Bang, rallenterà l’espansione dell’universo e alla fine la invertirà. Ogni cosa ricadrà su se stessa, collassando nel Big Crunch, ovvero schiacciandosi in un unico elemento di materia. Se le condizioni saranno favorevoli, questo elemento finirà per espandersi in un nuovo Big Bang, creando un universo nuovo, che con ogni probabilità sarà completamente diverso da questo… ma, nel frattempo, tutto ciò che componeva questo universo sarà stato distrutto.»

«Non sembra un destino migliore» commentò Rissa.

«È vero» concordò Jag. «Però, se… “se”!… l’universo avesse esattamente la densità critica di materia, allora e soltanto allora potrà continuare a esistere per sempre in condizioni favorevoli alla vita. L’espansione causata dal Big Bang sarà rallentata in pratica fino a fermarsi: la velocità di espansione si avvicinerà asintoticamente a zero. L’universo non patirà la morte fredda e vuota, né collasserà su se stesso. Continuerà invece a esistere in una configurazione stabile per triliardi e triliardi e triliardi di anni. In pratica, diventerà immortale.»

«E qual è la situazione?» domandò Rissa. «L’universo è sopra o sotto la densità critica?»

«Secondo le nostre migliori stime attuali, la massa di tutto ciò che vediamo sommata alla massa di tutto ciò che non possiamo vedere (materia oscura compresa) è sotto alla densità critica di circa il cinque per cento.»

«Il che significa che l’universo si espanderà per sempre, giusto?» disse Lianne.

«Esatto. Ogni cosa continuerà ad allontanarsi da tutto il resto. Il cosmo morirà con l’intera creazione ridotta a un’infinitesima frazione di grado sopra lo zero assoluto.»

Rissa scosse il capo.

«Invece non accadrà» disse Jag. «Se porteranno a termine la missione.»

«Chi dovrebbe portare a termine la missione?» chiese Keith.

«Gli esseri del futuro… i discendenti delle razze del Commonwealth. L’hai detto tu stesso, Lansing: tu sei destinato a diventare enormemente vecchio, a vivere per miliardi di anni. In altre parole, sarai immortale. Be’, delle creature che siano veramente immortali devono prendere in considerazione, primo a poi, la morte dell’universo. Resterebbe il solo evento in grado di porre fine alla loro esistenza.»

«E l’entropia?» domandò Lianne.

«Be’, sì, il secondo principio della termodinamica predice una morte calda per qualunque sistema chiuso. Forse però l’universo non è completamente chiuso. Dopo tutto ci sono buone ragioni teoriche per credere che il nostro universo faccia parte di una serie di infiniti universi. Potrebbe rivelarsi possibile trarre energia da un’altra dimensione, o semplicemente conservare l’energia disponibile producendo una quantità minima di entropia, cosicché questo universo possa ospitare la vita virtualmente per sempre. In ogni caso, loro avranno triliardi di anni prima di dover fronteggiare questo problema, triliardi di anni a disposizione per trovare una risposta.»

«Ma… ma è un progetto inconcepibile» esclamò Keith. «Voglio dire, se adesso siamo sotto la densità critica del cinque per cento, quante stelle dovrebbero essere spedite indietro? Anche se ne arrivasse una da ogni scorciatoia, ancora non basterebbero, vero?»

«No» confermò Jag. «La nostra stima è che ci siano quattro miliardi di scorciatoie nella nostra galassia. Supponiamo pure che questo dato sia tipico, che cioè sia stata costruita una scorciatoia ogni cento stelle non soltanto nella Via Lattea, ma in ciascuna galassia dell’universo. Resta il fatto che le stelle costituiscono grosso modo il dieci per cento della massa dell’universo, il restante novanta per cento è di materia oscura. Di conseguenza, inviando una stella di media grandezza attraverso ciascuna scorciatoia, la massa dell’universo viene accresciuta soltanto di un millesimo, rispetto al valore attuale. Per aumentare la massa di un ventesimo, cioè del cinque per cento, da ogni scorciatoia dovrebbero arrivare almeno cinquanta stelle.»

«Ma, avendo a disposizione il viaggio nel tempo, che bisogno c’è di salvare l’universo?» si chiese Keith. «Si potrebbe vivere per dieci miliardi di anni, poi tornare al punto di partenza e vivere per altri dieci miliardi di anni, e così via, all’infinito.»

«Oh, certo… e chissà quanti cicli di questo genere i nostri discendenti hanno attraversato, prima di sviluppare il coraggio e la tecnologia per mettere in atto un progetto simile. Il metodo del salto all’indietro ripetuto all’infinito fornisce soltanto una pseudo-immortalità… è chiaramente una possibilità di livello inferiore rispetto a quella di un universo eterno. Significa infatti che edifici e strutture di qualsiasi genere possono avere una durata massima di dieci miliardi di anni, ma anche, cosa più importante, che l’immortalità sarebbe limitata agli esseri che possiedono il viaggio nel tempo.»

«Capisco» disse Keith. «Ma il progetto è davvero enorme!»

«Effettivamente» disse Jag. «E il suo obiettivo potrebbe essere perfino più grande di quanto appare a prima vista. Dimmi: qual è l’età attuale dell’universo?»

«Quindici miliardi di anni» rispose Keith. «Anni della Terra, è chiaro.»

Jag mosse le spalle inferiori. «In realtà, benché questa sia la cifra citata più di frequente, nessun astrofisico ci crede: quindici è un compromesso fra le età dell’universo dedotte seguendo due diverse linee di pensiero. I casi sono due: o l’universo ha dieci miliardi di anni, oppure ne ha venti. Fin dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso, il valore riconosciuto della costante di Hubble (un numero legato al ritmo di espansione dell’universo) è stato di circa 85 chilometri al secondo per megaparsec. Il che significa che l’universo sta tuttora espandendosi a grandissima velocità… finora la gravità ha fatto ben poco per rallentare l’espansione… e quindi non può essere molto più vecchio di dieci miliardi di anni.

«Ma gli studi spettrali di stelle estreme di prima generazione, in particolare di quelle che si trovano negli ammassi globulari, suggeriscono che in queste stelle avvengano processi di fusione nucleare da un tempo lungo almeno il doppio. Noi fisici abbiamo sempre dato per scontato che uno dei due sistemi di calcolo fosse sbagliato. Forse invece sono entrambi corretti. Forse ciò che si osserva adesso non è che la prima fase di un progetto a più stadi. Forse sono stato troppo sbrigativo, qualche tempo fa, quando ho scartato l’idea di Magnor che parlava di spingere ammassi globulari dentro le scorciatoie. Forse questi ammassi, ciascuno dei quali contiene decine di migliaia di stelle, sono stati spinti qui dal futuro. È possibile che, in origine, questo universo contenesse una quantità di materia molto, molto inferiore al 95 per cento della densità critica, e che ormai il progetto sia arrivato nella fase della sintonizzazione fine.»

«Ma il raddoppio della massa dev’essere per forza temporaneo» osservò Lianne. «Per tornare al tuo esempio originale, se tu viaggi all’indietro da domani a oggi, oggi ci saranno due Jag, ma domani uno di loro svanirà per andare nel passato.»

«Forse è vero» disse Jag. «Ma per tutto il periodo che intercorre tra il punto di partenza nel futuro e il punto di arrivo nel passato, la massa viene effettivamente raddoppiata. È se i due punti sono separati da dieci miliardi di anni, allora la massa resta raddoppiata per un tempo molto lungo… abbastanza lungo perché i suoi effetti mettano un freno all’espansione dell’universo. Se si calcolano i tempi con precisione, non c’è bisogno che l’incremento di massa sia permanente: è sufficiente che duri abbastanza a lungo da permettere all’attrazione gravitazionale di fermare il ritmo di espansione imposto dall’esplosione originaria. Se i tempi sono studiati bene, anche senza un incremento permanente della massa si può ottenere un universo che nel lontano futuro sia esattamente bilanciato… un universo che vivrà per sempre.»

Jag si interruppe per riprendere fiato. «Si tratta del più gigantesco progetto di ingegneria che sia mai stato preso in considerazione» disse. «Ma di sicuro batte la sua alternativa, ovvero quella di permettere che l’universo muoia.» Lanciò uno sguardo a tutti i membri dell’equipaggio che si trovavano sul ponte. «E siamo stati “noi” a metterlo in atto. Noi creature di materia normale, noi creature con le “mani”! Alla fine… mi correggo, “per impedire” la sua fine, l’universo avrà bisogno di noi!»


La cerimonia, brevissima, si tenne nel loro ristorante waldahud preferito. Gli astanti erano molto più numerosi di quelli che avevano presenziato alle loro originali nozze in famiglia, a Madrid: a bordo della Starplex ogni celebrazione era la benvenuta.

Per quel giorno Thorald Magnor era stato promosso direttore vicario, perché potesse celebrare legalmente il servizio nuziale. «Vuoi tu Gilbert Keith» disse «prendere nuovamente in sposa Clarissa Maria, per amarla, onorarla e proteggerla, in salute e malattia, in ricchezza e povertà?»

Keith guardò sua moglie. Ricordò quel giorno di vent’anni prima, il giorno in cui avevano compiuto per la prima volta quel rito: era stato un giorno felice, bellissimo. Il loro era stato un buon matrimonio, stimolante intellettualmente, emotivamente e fisicamente. E oggi lei era, se possibile, ancora più bella di allora, e costituiva una sfida ancora più interessante. La guardò nei grandi occhi castani e disse: «Sì.» Thor si rivolse a lei, ma prima che iniziasse a parlare, Keith strinse la mano di sua moglie e aggiunse ad alta voce, perché tutti sentissero: «Finché morte non ci separi.»

Rissa gli sorrise, raggiante.

Dopo tutto, pensò Keith, in vent’anni c’era appena il tempo di scalfire la superficie…

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