17

Il ponte era tranquillo, le sei postazioni fluttuavano serene nella notte olografica. Erano le 05:00, tempo della nave. Mancava solo un’ora alla fine del servizio del turno delta.

Il ruolo di direttore era assegnato all’ib di nome Bicchiere da Vino; altri ib occupavano le postazioni delle operazioni interne e del Timone. Le scienze fisiche erano assegnate a distanza a un delfino di nome Anguria Scavata, alle scienze biologiche c’era un waldahud e alle operazioni esterne un’umana di nome Denna Van Hausen.

Una griglia di schermi di forza si irradiava verso il basso dal soffitto invisibile, creando tra le varie stazioni millimetrici strati di vuoto che impedivano la trasmissione del rumore. L’ib alle operazioni interne era impegnato in una conferenza olografica con le miniature fluttuanti di altri tre ib e con le teste senza corpo di tre waldahud. L’umana alle operazioni esterne stava leggendo un romanzo sul monitor.

All’improvviso i campi silenziatori scomparvero e cominciò a risuonare un allarme. “Astronave non identificata in avvicinamento” annunciò Phantom.

«Laggiù!» esclamò Van Hausen, indicando l’immagine della stella vicina. «È appena uscita da dietro la fotosfera.» Phantom mostrava la nave sconosciuta come un triangolino rosso; il vero velivolo era di gran lunga troppo piccolo per essere visibile a quella distanza.

«C’è qualche possibilità che sia solo un watson?» domandò Bicchiere da Vino in un accento britannico con sfumature cockney.

«No» rispose Van Hausen. «È grande almeno quanto una delle nostre sonde.»

Sulla ragnatela di Bicchiere da Vino brillarono alcune luci. «Diamogli un’occhiata» disse. L’ib alla postazione del Timone fece ruotare leggermente la nave, in modo che le ottiche a schiera del ponte 70 fossero dirette verso l’intruso. Apparve un contorno quadrato che si sovrapponeva in parte alla stella e al suo interno c’era un’immagine ingrandita. La nave in avvicinamento era illuminata su un lato dalla stella verde. L’altro lato era una silhouette nera, visibile soltanto perché eclissava le stelle sullo sfondo.

Bicchiere da Vino parlò a Kreet, il waldahud alla sua destra. «Sembra un progetto waldahud, con quel bozzolo-motore centrale, no?»

I waldahudin credevano che ogni nave, proprio come gli edifici e i veicoli, dovesse essere unica: non producevano niente in serie, sulla base dello stesso progetto. Kreet sollevò tutte e quattro le spalle. «Forse» disse.

«Qualche segnale dal radarfaro, Denna?» domandò Bicchiere da Vino.

«Se ce ne sono» rispose l’umana «si confondono nel rumore della stella.»

«Cerca di contattare la nave, per favore.»

«In trasmissione» disse Denna. «Ma sono ancora a più di 50 milioni di chilometri, ci vorranno quasi sei minuti per un’eventuale risposta e… Dio mio!»

Una seconda nave sbucò dal margine della stella verde. Era simile alla prima, quanto a grandezza, ma aveva un profilo diverso, più squadrato. Mostrava però anche il marchio di fabbrica waldahud, il bozzolo-motore centrale.

«È meglio chiamare Keith» disse Bicchiere da Vino.

Una serie di luci increspò la rete dell’ib alle operazioni interne. «Direttore Lansing, sul ponte!»

«Cerca di contattare anche la seconda nave» disse Bicchiere da Vino.

«Lo sto facendo» replicò Van Hausen. «E… Cristo, cercherò di contattare anche la terza!» Un’altra nave, per metà fuoco smeraldino riflesso dal metallo lucido e per metà più nera del nero, stava emergendo da dietro la stella. Un attimo più tardi apparvero la quarta e la quinta.

«È un’armata, dannazione» esclamò Van Hausen.

«Sono chiaramente navi waldahud» disse Anguria Scavata dalla vasca a sinistra della postazione scienze fisiche. «Gli scarichi dei propulsori sono una firma inconfondibile.»

«Ma che ci fanno qui cinque… sei, “otto”… otto vascelli waldahud?» domandò Bicchiere da Vino. «Denna, dove sono diretti?»

«Seguono una rotta parabolica intorno alla stella» rispose l’umana. «È difficile valutare con certezza dove abbiano intenzione di arrivare, ma l’attuale posizione della Starplex è a otto gradi dal progetto di rotta più probabile.»

«È a noi che puntano» disse Anguria Scavata. «Dobbiamo…»

Nell’ologramma comparve una porta e sul ponte fece irruzione un Keith Lansing non rasato, con i capelli ancora scomposti dal sonno.

«Mi spiace di averti svegliato così presto» disse Bicchiere da Vino, allontanandosi sulle sue ruote dalla postazione del direttore «ma abbiamo compagnia.»

Keith annuì all’ib, e attese che emergesse una multisedia dalla botola davanti alla sua consolle. Si era già plasmata per metà sulla conformazione umana mentre risaliva dal pavimento. Keith sedette. «Avete provato a contattarli?»

«Sì» rispose Denna. «Ma anche la più rapida delle risposte non può arrivare prima di… 48 secondi.»

«Sono navi waldahud, giusto?» s’informò Keith, mentre la sua postazione risaliva all’altezza da lui preferita.

«È probabile» confermò Bicchiere da Vino. «Anche se, ovviamente, le navi waldahud sono vendute in tutto il Commonwealth. Ai comandi potrebbe esserci chiunque.»

Keith si strofinò gli occhi per scacciare il sonno. «Come hanno fatto così tante navi ad arrivare senza che ce ne accorgessimo?»

«Devono essere emerse una alla volta dalla scorciatoia mentre la nostra visuale era bloccata dalla stella verde» rispose Bicchiere da Vino.

«Accidenti, ma certo» disse Keith. Consultò lo schema che riportava i nomi di chi si trovava alle varie postazioni. «Doppio Punto, fai venire qui Jag.»

L’ib alle operazioni interne sferzò con le sue corde il pannello di comando e, dopo un attimo, disse: «Jag ha dirottato le comunicazioni per lui a una casella vocale. È il suo periodo di sonno.»

«Sovrapponiti» ordinò Keith. «Fallo venire qui immediatamente. Denna, ci sono risposte ai nostri messaggi?»

«No.»

Keith lanciò uno sguardo agli orologi digitali luminosi che fluttuavano nel campo stellare. «È quasi ora del cambio di turno, comunque» disse. «Fate venire il turno alfa al completo» ordinò.

«Turno alfa, immediatamente a rapporto sul ponte» disse Doppio Punto. «Lianne Karendaughter, Thorald Magnor, Rombo, Jag e Clarissa Cervantes sul ponte, per favore.»

«Grazie» disse Keith. «Denna, apri un canale con tutte le navi in avvicinamento.»

«Fatto.»

«Parla G.K. Lansing, direttore del vascello di ricerca del Commonwealth Starplex. Dichiarate le vostre intenzioni, prego.»

«Sto trasmettendo» lo informò Denna. «Hanno già ridotto considerevolmente la distanza da noi. Se intendono rispondere a questo ultimo messaggio, avremo una replica fra tre minuti.»

Una porta si aprì nel punto dell’ologramma che mostrava l’ingrandimento incorniciato della nave in avvicinamento. Jag fece il suo ingresso, la pelliccia non ancora spazzolata. «Che guaio c’è?» chiese.

«Forse nessuno» rispose Keith «ma otto navi waldahud si stanno avvicinando alla Starplex. Sei al corrente del motivo?»

Le quattro spalle oscillarono su e giù. «Non ne ho idea.»

«Rifiutano di risponderci, e…»

«Ho detto che non ne ho idea.» Jag fece dietro front e scrutò l’ologramma nel punto in cui si trovava la porta. I quattro occhi cominciarono a muoversi in modo indipendente: ognuno osservava una nave diversa.

«Che tipo di navi sono?» domandò Keith. «Ricognitori?»

«Sarebbero della grandezza giusta» disse Jag.

«Quanto numerosi sono i loro equipaggi?»

«Le navi stellari non sono il mio campo» rispose Jag.

Keith guardò il waldahud alla postazione delle scienze biologiche. «Tu, laggiù… Kreet, giusto? Quante persone ci sono a bordo di quelle navi?»

«Sei, mi sembra» rispose Kreet. «No, di più.»

Due delle quattro porte del ponte si aprirono contemporaneamente: dalla prima entrò Thorald Magnor, dalla seconda Rissa Cervantes. L’ib e il waldahud cedettero loro le postazioni del Timone e delle scienze biologiche.

«Otto navi si stanno avvicinando alla Starplex» comunicò Keith a Rissa e a Thor.

Rissa annuì. «Phantom ci ha fatto un riassunto mentre eravamo per strada. Però nessuna avrebbe dovuto attraversare la scorciatoia senza il nostro preventivo assenso.» La donna era in piedi di fronte alla sua consolle, in attesa che la sedia si riconfigurasse.

«Forse sono arrivate qui per sbaglio» disse Thor, premendo alcuni tasti della sua consolle mentre una sedia emergeva dal ponte. «Quando viene attivata una nuova scorciatoia, gli angoli di avvicinamento accettabili per la destinazione selezionata diventano più stretti. Potrebbero aver fatto male i calcoli. Forse volevano arrivare da tutt’altra parte.»

«Un pilota può fare un errore» obiettò Keith. «Ma otto?»

«Il tempo di minima attesa è terminato» annunciò Denna. «Se avessero voluto rispondere al tuo ultimo messaggio, avrebbero potuto farlo.» Rombo era entrato un momento prima, ma si era accontentato di fermarsi accanto alla postazione delle operazioni esterne senza dare il cambio a Denna.

«Thor, se dessi l’ordine di andarcene da qui» domandò Keith «potremmo sfuggire a quelle navi?»

Thor si strinse nelle spalle. «Ne dubito. Hanno bloccato lo specchio della scorciatoia, quindi quella via ci è preclusa. E poi, li vedi quegli anelli intorno ai bozzoli-motore? Sono associati a motori waldahud iperspaziali di classe Gatob. È ovvio che nessuno può usare un motore a iperpropulsione così vicino alla stella verde ma, se tentassimo di andarcene, ben presto ci troveremmo in uno spazio abbastanza piatto per azionare gli iperpropulsori e a quel punto ci sarebbero addosso in un secondo.»

Keith aggrottò la fronte.

«Le navi si aprono a ventaglio» disse Thor. «A me sembra una formazione di attacco.»

«“Di attacco?”» esclamò Rombo, con le luci che impazzavano sulla rete.

«Messaggio in arrivo» disse Denna.

In un’altra parte dell’ologramma del cielo fu ritagliata una cornice lucente. Al suo interno comparve una faccia waldahud, bordata da una pelliccia marrone con strisce color rame. «Lansing, comandante della Starplex» disse la voce tradotta. «Io sono Gawst. Segnati il nome: Gawst.» Keith annuì: per un maschio waldahud, il credito era tutto. «Siamo venuti per scortare la Starplex nel suo ritorno attraverso la scorciatoia. La vostra nave…»

«Quanto ci vuole perché la risposta li raggiunga?» domandò Keith.

«…si arrenderà a noi.»

Denna consultò lo schermo. «Quarantatré secondi.»

«Se coopererete» continuò Gawst «né l’equipaggio né la nave subiranno alcun danno.»

«Thor, possiamo convincerli che stiamo puntando verso la scorciatoia con una certa traiettoria, poi cambiare direzione all’ultimo momento e uscire dove loro non se lo aspettano?»

L’ufficiale al Timone scosse la testa. «Quei piccoli ricognitori potrebbero farlo, ma la Starplex ha un volume di tre milioni di metri cubi. Non possiamo ballare il tip tap.»

«Quanto abbiamo prima che ci raggiungano?»

«Filano a un decimo di C» disse Thor. «Ci saranno addosso in meno di venti minuti.»

«Lansing a Gawst: la Starplex è di proprietà del Commonwealth. La vostra richiesta è respinta. Chiudo. Rombo, nel momento in cui riceveranno il nostro messaggio dimmelo.» Lianne Karendaughter arrivò a passo di carica. «Vorrei qualche suggerimento, ragazzi» disse Keith.

«Suggerimento numero uno» intervenne Lianne, prendendo posto. «Ritiriamoci. Più lontano arriviamo dalla scorciatoia e meno è probabile che ci possano costringere ad attraversarla.»

«Giusto. Thor, togliamoci…»

«Perdonami l’interruzione, Keith» s’intromise Rombo. «Ma il tuo messaggio è arrivato a destinazione.»

«Bene. Thor, togliamoci da qui. Propulsori a piena potenza.»

«Sposterò la nave con un certo angolo» disse Thor. «Meglio non entrare nel campo di materia oscura: sarebbe una corsa a ostacoli e le navi piccole se la caverebbero meglio della nostra.»

«Perfetto» disse Keith. «Rombo, vedi se riesci a mandare oltre Tau Ceti un Watson con il diario di bordo di oggi. Voglio avvertire il primo ministro Kenyatta.»

«Fatto. Da qui, però, ci vorrà più di un’ora perché arrivi alla scorciatoia, e… chiedo scusa, messaggio in arrivo da Gawst.»

«Lansing» disse Gawst «la Starplex è stata costruita nei cantieri di Rehbollo e lì è stata registrata, quindi è una proprietà waldahud. Evitiamo che la situazione diventi sgradevole. Una volta che la nave sarà tornata su Rehbollo rilasceremo tutti i membri dell’equipaggio per un immediato rimpatrio ai loro mondi di origine.»

«Risposta» sbottò Lansing. «La costruzione della Starplex è stata finanziata da tutti i mondi del Commonwealth e la sua registrazione è una semplice formalità: sulle registrazioni si deve indicare un mondo di origine. La vostra pretesa è respinta. Se sarà necessario, questa astronave si difenderà contro il vostro illegittimo sequestro. Chiudo.»

«Si difenderà?» ripeté Thor scuotendo la testa. «Keith, questa nave non è armata.»

«Lo so benissimo» ribatté Keith. «Lianne, dammi un inventario completo dell’equipaggiamento di bordo che può essere usato a scopo offensivo. Se non abbiamo niente che possa emettere raggi di energia, o scagliare oggetti o esplodere, voglio saperlo.»

«Ci sto lavorando» replicò Lianne, mentre le sue mani danzavano sulla consolle.

«La Starplex non è stata progettata per il volo acrobatico» disse Thor, parlando all’ologramma di Keith sopra la sua consolle. «In confronto a quei piccoli caccia arrancheremo come un ippopotamo in calore.»

«Allora combatteremo sul loro terreno» disse Keith. «Difenderemo la Starplex con le nostre sonde.» Diede un’occhiata alla lista che Lianne gli aveva appena inviato sul monitor numero tre: laser per prospezioni geologiche, esplosivi da miniera, tubi guida-massa per lanciare le sonde. «Lianne, organizzati con Rombo per far portare quanto più è possibile di questo materiale nelle nostre cinque sonde più veloci. Voglio che tutto sia caricato entro quindici minuti, non m’importa di quello che dovete fracassare per riuscirci.»

A quel punto Denna Van Hausen si allontanò dalla consolle delle operazioni esterne e al suo posto rotolò Rombo. Le corde di manipolazione sfrecciarono sui comandi e la rete di sensori di Rombo arrivò quasi ad avvolgere il pannello per avere un contatto più immediato con i comandi.

«Con un armamento raffazzonato» intervenne Thor «le nostre sonde non riusciranno certo a far fuori dei veri vascelli da combattimento.»

«Non penso affatto di farli fuori» ribatté Keith. «La Starplex è di costruzione waldahud, certo, ma non le nostre sonde.»

«Sono sicuro che saranno riluttanti ad aprire il fuoco su un veicolo ibese» disse Thor. «Però…»

«Non era a questo che pensavo» disse Keith. «A differenza dei vascelli in arrivo, le nostre sonde non sono state progettate da ingegneri waldahud.»

«Ah! E a pilotarle ci sono i delfini!» tuonò Thor.

«Appunto» disse Keith. «Phantom, comunicazione olografica diretta con Lunga Bottiglia, Pinna Sottile, Arpione Rubato, Occhio Storto, Fascia sul Fianco. Mi sentite?»

Le sagome di cinque teste delfinesche sbocciarono sulla consolle di Keith.

«Eccomi.»

«Che succede?»

«Pinna Sottile, a disposizione.»

«Sì, Keith?»

«Ehilà.»

«Stiamo per essere attaccati da navi waldahud» comunicò Keith. «Le nostre sonde sono più manovrabili… se ai comandi c’è un delfino. Sarà pericoloso, ma lo sarebbe altrettanto non agire affatto. Siete disposti a…»

«La nave è casa oceano… la proteggeremo!»

«Se serve io aiuto.»

«Pronto a collaborare.»

«Okay.»

«Be’… va bene, conta su di me.»

«Eccellente» commentò Keith. «Avviatevi ai moli di lancio. Rombo vi comunicherà quali navi vi sono state assegnate.»

Thor guardò l’ologramma di Keith. «Non c’è dubbio che le nostre navi sono più maneggevoli… ma i delfini non se la cavano bene con le armi. Dovrebbero avere a bordo degli artiglieri.»

La rete di Rombo lampeggiò. «Se saranno usate armi, moriranno esseri senzienti.»

«Non possiamo limitarci ad aspettare, senza difenderci» dichiarò Thor.

«Sarebbe meglio arrenderci» suggerì Rombo.

«No» intervenne Keith. «Questo non lo farò mai.»

«Ma uccidere qualcuno…»

«Non ci sarà bisogno di uccidere nessuno» affermò Keith. «Potremmo sparare sui motori, cercando di disattivare le navi waldahud senza squarciare i loro habitat. Quanto agli artiglieri… tra noi ci sono soltanto scienziati e diplomatici.» Rimase in silenzio a riflettere per qualche secondo. «Phantom, controlla nelle registrazioni personali. Quali sarebbero i cinque artiglieri più in gamba?»

“Elaborazione in corso. Elaborazione terminata: Wong Wai-Jeng. Smith-Tate Helena. Leed Jelisko em-Layth. Cervantes Clarissa. Dask Honibo em-Kalch.”

«Rissa?» esalò Keith in un sussurro.

«Se si tratta di governare laser geologici» propose Thor «perché non impiegare Fiocco di Neve? È lei la geologa anziana, dopo tutto.»

«Noi ib abbiamo una mira schifosa» dichiarò Rombo. «Puntare su un bersaglio è più facile quando si ha un unico punto di vista.»

«Phantom» ordinò Keith «trova sostituti di altre specie per i due waldahudin, e mettimi immediatamente in comunicazione con loro.»

«Fatto. Canale di comunicazione aperto.»

«Parla il direttore Lansing. Phantom ha calcolato che voi siete le cinque persone più abili o meglio addestrate per azionare gli improvvisati sistemi d’arma a bordo delle nostre cinque sonde pilotate da delfini. Non posso ordinarvelo, ma abbiamo bisogno di volontari. Siete disponibili?»

Una seconda fila di teste olografiche apparve sopra quelle dei delfini.

«Dio santo, io… sì, d’accordo.»

«Conta su di me.»

«Non sono sicura di essere la persona giusta, ma accetto.»

«Naturalmente.»

Rissa si era alzata e si era avvicinata a suo marito. «Farò quello che posso» disse.

Keith la guardò. «Rissa…»

«Non preoccuparti, amore. Voglio essere sicura che tu abbia i tuoi dieci miliardi di anni.»

Keith le toccò un braccio. «Rombo assegna ciascuno di loro a una nave. Phantom, portali a destinazione nel più breve tempo possibile.»

“Sarà fatta.”

«State facendo tutti un ottimo lavoro» disse Keith, con la testa bassa e a mani giunte.

«Cristo!» gridò Thor. Una piccola esplosione era fiorita sul monitor. «Hanno appena liquidato il nostro watson.»

«Jag, controlla che arma hanno usato» ordinò Keith. «Almeno sapremo come sono armati.»

Jag consultò con lo sguardo un monitor quadrato. «Normali laser waldahud per azioni di polizia» rispose. Subito dopo, però, si alzò dalla postazione e chiamò con un gesto Anguria Scavata, che aveva occupato la postazione scienze fisiche nel turno delta. Jag premette alcuni tasti. «Trasferisco scienze fisiche alla postazione 1 dei delfini» comunicò. Si girò a guardare Keith. «Forse sarebbe meglio se io non partecipassi ulteriormente. Gawst non ha invocato il nome della regina Trath, quindi ritengo che lui e i suoi associati stiano agendo senza l’approvazione reale, nel tentativo di guadagnarsi considerevole gloria. Ma sono pur sempre waldahudin. Forse dovrei tornare nel mio appartamento.»

«Non così in fretta, Jag» disse Keith, alzandosi in piedi. Lanciò un’occhiata a Lianne. «Quanto manca al lancio?»

«Dieci minuti, forse undici.»

Keith tornò a fronteggiare Jag. «Sei stato tu a convincermi a spostare la Starplex in modo tale che non fossimo in grado di vedere le forze waldahud che si ammassavano dalla parte opposta della stella verde.»

«Lo nego» sbraitò Jag, con entrambe le coppie di braccia incrociate sul dorso.

«Non è ai waldahudin che riservi la tua lealtà?»

«La mia lealtà va alla regina Trath, ma non esistono prove che ella abbia autorizzato il tentativo di requisire questa nave.»

«Lianne, quanti watson ha ricevuto Jag negli ultimi due giorni?»

«Faccio un controllo… Tre. Due venivano da Ceti.»

«Che si trova appena all’esterno del sistema d’origine dei waldahudin» commentò Keith.

«E il terzo era un’unità commerciale di un’organizzazione per le telecomunicazioni di Rehbollo.»

«Portava notizie personali» dichiarò Jag «relative a una malattia in famiglia.»

«Esamina quei watson,Lianne» disse Keith. «Voglio controllare che messaggi hanno portato.»

«Dopo avere scaricato i dati di mio interesse» disse Jag «ho rimandato indietro quei watson perché potessero essere riutilizzati… cancellando i dati, è chiaro.»

«Dovremmo riuscire comunque a recuperare qualcosa» disse Keith. «Lianne?»

«Sto controllando» rispose lei. Dopo qualche secondo disse: «Okay, i watson arrivati per Jag sono a bordo. Ne abbiamo circa un centinaio, e quelli sono ancora in coda per essere riutilizzati.» Premette alcuni tasti. «Ho aperto un’interfaccia con tutti e tre: risultano vuoti.»

«Niente che sia stato cancellato è recuperabile?»

«No. Le aree-dati sono state svuotate, e poi riempite con schemi casuali. Non è rimasto nulla.»

«Uso sempre un cancellatore di livello sette» intervenne Jag.

«Ovvero due livelli sopra gli standard dei militari terrestri» notò Keith.

«Lascia tutto più a posto» affermò Jag. «Tu stesso hai fatto notare più volte quanto io sia maniaco dell’ordine.»

«Falla finita, stronzo» disse Keith. «Non ci credo che sia stata una coincidenza che tu mi abbia chiesto di spostare la nave. I waldahudin non avrebbero potuto attaccare in massa se noi fossimo stati lì a vederli sbucare uno dopo l’altro dalla scorciatoia.»

«Ti dico invece che è una coincidenza» replicò Jag.

Keith si girò verso la postazione delle operazioni interne. «Lianne, cancella immediatamente ogni autorità di comando per Jag Kandaro em-Pelsh. E considera concluso qualsiasi lavoro egli abbia avviato.»

I tasti emisero dei bip quando furono toccati. «Fatto» disse Lianne.

«Non hai l’autorità per compiere un atto simile» disse Jag.

«Fammi causa» ribatté Keith. Guardò il waldahud. «Io mi sono schierato tra chi era contrario ad assegnare qualunque parte della Starplex a strutture militari umane, ma se fosse andata così adesso potremmo almeno buttarti un salvagente.» Guardò le luccicanti telecamere che galleggiavano sulle due serie di sedie della galleria oltre le postazioni. «Phantom, registra un nuovo protocollo. Nome: arresti domiciliari. Autorità in grado di autorizzarlo, G.K. Lansing. Parametri: gli individui agli arresti domiciliari non hanno accesso alle aree di lavoro; Phantom non aprirà loro nessuna porta che conduca in queste aree. Essi hanno inoltre la proibizione di usare apparecchiature per le comunicazioni esterne, nonché di dare a Phantom ordini che oltrepassino il livello quattro.»

“Protocollo stabilito.”

«Registra quanto segue: da questo momento, ore 7:52, e finché l’ordine non verrà revocato da me personalmente, Jag Kandaro em-Pelsh è agli arresti domiciliari.»

“Registrato.”

La voce di Keith era controllata. «Adesso puoi abbandonare il ponte.»

Jag incrociò nuovamente le due coppie di braccia dietro la schiena. «Non credo che tu abbia il diritto di escludermi da questa stanza.»

«Un attimo fa volevi andartene» disse Keith. «Ovviamente parliamo di quando avevi l’autorità di lanciare una scialuppa e fuggire verso l’armata.»

Rombo aveva lasciato la postazione delle operazioni esterne ed era rotolato accanto alla consolle del direttore. Molte luci saltellarono qua e là sulla rete di sensori, i cui fili erano diventati gialli: il colore della rabbia. «Do il mio appoggio a Keith» disse la flemmatica voce britannica. «Tu hai compromesso tutto ciò per cui abbiamo lavorato. Lascia il ponte di tua volontà, Jag, altrimenti ti sbatterò fuori io.»

«Non puoi farlo. È contrario al codice operativo aggredire un essere senziente.»

Quando Rombo cominciò a muoversi verso Jag, aveva tutta l’aria di un rullo compressore vivente. «Stai a vedere» disse.

Jag mantenne il suo atteggiamento di sfida. Rombo ridusse ulteriormente la distanza che li separava, mentre le ruote con i bordi di quarzo riflettevano la luce stellare dell’ologramma che li avvolgeva tutti. I tentacoli-corde dell’ib emersero dal fascio in cui erano normalmente riposti e sferzarono l’aria come serpi infuriate. Solo allora Jag fece dietro front. Il panorama stellare di fronte a lui si spalancò e il waldahud uscì. La porta si chiuse.

Keith fece a Rombo un cenno di ringraziamento, poi domandò: «Thor, stato delle navi waldahud?»

Thorald Magnor rispose volgendo la testa di lato: «Assumendo che non abbiano niente di più dei normali laser per azioni di polizia, saremo a distanza di tiro fra tre minuti.»

«Quanto manca perché le nostre navi siano pronte per il lancio?»

Le luci di Rombo lampeggiarono una risposta mentre lui tornava alla sua postazione. «Due sono già pronte. Le altre tre… direi quattro minuti al massimo.»

«Voglio che siano lanciate tutte contemporaneamente. L’intera forza dev’essere fuori entro 240 secondi.»

«Agli ordini.»

«Saremo comunque in minoranza, otto contro cinque» osservò Thor.

Keith si accigliò. «Lo so, ma soltanto le nostre cinque più veloci navette sono attrezzate per essere pilotate da delfini. Rombo, non appena le navette saranno fuori dai moli, voglio piena potenza per gli schermi di forza. Taglia i motori, sposta tutta l’energia sugli schermi.»

«Agli ordini.»

«Lianne» continuò Keith «voglio mandare un messaggio a Tau Ceti con un altro Watson. Questo sparalo con un tubo guidamassa. Spediscilo in un’orbita di trasferimento che lo porti alla scorciatoia semplicemente per inerzia: voglio che per tutto il tragitto non faccia uso di energia.»

«Per arrivare alla scorciatoia in questo modo il Watson ci metterebbe tre giorni» fece notare Lianne.

«Me ne rendo conto. Calcola la traiettoria. Quanto tempo ho prima del lancio delle navi?»

«Due virgola cinque minuti» rispose Rombo.

Keith annuì e premette il pulsante privacy che eresse intorno alla sua postazione quattro doppie pareti a schermo di forza, vuote all’interno per impedire la propagazione dei suoni.

«Phantom» disse «cerca tutte le registrazioni delle ricerche effettuate da Gaf Kandaro em-Weel e dai suoi collaboratori, in particolare il materiale mai tradotto dal waldahudar.»

“Sto cercando. Ricerca completata.”

«Fammi vedere titoli e riassunti in inglese.»

Keith esaminò riga per riga i testi che comparvero sullo schermo. «Scarica in un Watson gli articoli numero 2, 19 e… vediamo, meglio aggiungere anche il 21, per sicurezza. Codifica tutto con la parola chiave “Kassabian”: K-A-S-S-A-B-I-A-N. Registra quanto segue e inseriscilo nel watson come messaggio non codificato:»


Da Keith Lansing a Valentina Ilianov, Provost, Nuova Pechino. Val, siamo attaccati da navi waldahud e non sarei sorpreso se tra poco toccasse a voi. Sono venuto a sapere che in teoria esiste un sistema per distruggere una scorciatoia, appiattendo lo spazio-tempo che la circonda e impedendole in tal modo di ancorarsi nello spazio normale. Se a un certo punto le forze d’invasione waldahud saranno prossime a sconfiggere la vostra flotta, forse sarete disposti a considerare la possibilità di distruggere l’uscita della vostra scorciatoia. Questo atto, è chiaro, isolerebbe il sistema Sole — Epsilon Indi — Tau Ceti dal resto della galassia e priverebbe le forze waldahud di ogni via di ritirata. Pensaci bene prima di farlo, amica mia. La tecnica si può desumere dagli articoli allegati al messaggio. Li ho codificati e la chiave è il cognome della donna sulla quale tutti e due abbiamo fantasticato molti anni fa. Fine.


“Fatto” disse Phantom.

Keith premette un pulsante e gli schermi scomparvero. «Lancia il watson,Lianne» disse.

«Agli ordini.»

Keith osservò la scatola di metallo allontanarsi dalla Starplex, alla deriva. Il cuore gli batteva forte. Se Val avesse deciso di usare quella tecnica ci sarebbe stata un’altra conseguenza che Keith non le aveva ricordato esplicitamente: anche lui e Rissa, e gli altri terrestri a bordo della Starplex, non avrebbero mai più rivisto le loro case.

«Ci siamo» esclamò Rombo. «Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno. Lancio del PDQ. Tre. Due. Uno. Lancio del Rum Runner. Tre. Due. Uno. Lancio del Marc Garneau. Tre. Due. Uno. Lancio del Dakterth. Tre. Due. Uno. Lancio del Lunga Marcia.»

I lampi di fusione dei dieci motori gemelli rischiararono il cielo olografico quando le cinque sonde furono espulse dal disco centrale della Starplex. Le navi waldahud in avvicinamento erano ormai abbastanza vicine da poter essere visualizzate direttamente e non come triangoli colorati.

«Schermi di forza al massimo» comunicò Rombo.

«Apri cinque finestre negli schermi di forza e invia quanto segue, come messaggio laser in codice, a ciascuna delle nostre navi» ordinò Keith. «Nessuno deve fare fuoco a meno che i waldahudin non sparino a noi per primi. Forse basterà una dimostrazione di forza per convincerli a ritirarsi.»

«Hanno già liquidato uno dei nostri Watson» disse Thor.

Keith annuì. «Però se anche creature senzienti dovessero diventare bersagli, allora dovranno essere i waldahudin a cominciare.»

«Messaggio in arrivo» avvertì Lianne.

«Vediamolo.»

Apparve la faccia di Gawst. «Ultima possibilità, Lansing. Dichiara la resa della Starplex.»

«Nessuna risposta» disse Keith. Lanciò un’occhiata a un monitor. La Starplex era ancora orientata in modo che la serie inferiore di telescopi guardasse la stella verde e i caccia in avvicinamento.

«La nave di Gawst si avvicina velocemente» disse Thor. «Le altre sette stanno attestandosi a circa 9 mila chilometri da qui.»

«Tenetevi forte!» gridò Keith.

«Sta sparando!» esclamò Thor. «Un colpo contro i nostri schermi di forza. Nessun danno.»

«Quanto a lungo possiamo deflettere i suoi laser?» domandò Keith.

«Per altri quattro colpi, forse cinque» rispose Lianne.

«Le altre navi waldahud si stanno avvicinando. Tentano di circondarci» avvertì Thor.

«Vuoi che le nostre sonde attacchino?» chiese Rombo. Keith non rispose. «Direttore, vuoi che le nostre sonde attacchino?»

«Non credo che Gawst sparerebbe davvero» disse Keith, incerto.

«Si stanno collocando su posizioni geodesiche equidistanti intorno a noi» comunicò Thor. «Se tutte e otto le navi spareranno contemporaneamente, usando la stessa lunghezza d’onda, schiacceranno i nostri campi. Non rimarrà nessuna direzione in cui deviare l’energia.»

Gli ologrammi dei piloti delfini e dei loro artiglieri fluttuavano sopra la consolle di Keith. «Permettimi di impegnare la nave più vicina» suggerì Rissa, che era a bordo della Rum Runner con Lunga Bottiglia.

Keith tenne gli occhi chiusi per un secondo. Quando li riaprì, era arrivato a una decisione. «Fallo» disse.

«Fuoco sul bozzolo-motore» disse Rissa.

Phantom tracciò una linea rossa sulla sfera olografica per rappresentare l’invisibile raggio del laser geologico, scagliato dalla prua della Rum Runner a trafiggere la nave waldahud. Il raggio incise il bozzolo-motore nel senso della lunghezza e dalla nave fu eiettata una lingua di plasma.

«Ehi» esclamò Rissa con un sorriso di trionfo. «Tutto quel tempo passato a tirare con l’arco non è stato poi così inutile.»

«Gawst ha sparato ancora contro la Starplex» annunciò Thor. «E una delle altri navi punta contro la Rum Runner.»

«Allontanati da lì, Lunga Bottiglia» disse Keith. La Rum Runner fece una manovra identica alla capriola all’indietro di un delfino e completò la mossa azionando i laser in direzione della nave in arrivo, la quale sbandò per evitare ogni contatto con il raggio.

«La nave di Gawst ha due laser, uno a tribordo e uno a babordo» disse Thor. «E li sta usando entrambi sul nostro radiotelescopio inferiore… è in gamba, accidenti. Fa in modo che l’antenna parabolica focalizzi i raggi sulla nostra strumentazione.»

«Fai ballare la Starplex» disse Keith. «Liberati di lui.»

Le stelle sulla bolla olografica danzarono a destra e a sinistra.

«Ci è rimasto incollato» disse Thor. «Scommetto che… ehi, ce l’ha fatta. Anche con la massima schermatura un po’ dei suoi laser sono penetrati, e la parabolica ha focalizzato i raggi. Ha fatto fuori la schiera di sensori del ponte 70, e inoltre…»

La Starplex tremò e Keith ne fu sconvolto: su quella nave non aveva mai sentito un simile scossone. «I sette vascelli waldahud superstiti ci stanno sparando a turno» annunciò Thor.

«Keith a tutte le sonde: attaccate i waldahudin. Costringeteli a interrompere l’aggressione alla Starplex.»

«I nostri schermi cederanno fra sedici secondi» avvertì Lianne.

Nel display olografico Keith vide il PDQ e il Lunga Marcia aprire il fuoco su due navi waldahud. Contemporaneamente, i waldahudin cercavano di mantenere attivo un unico schermo di forza per proteggersi dagli aggressori mentre continuavano a far fuoco sulla Starplex, ma le imprevedibili manovre delle sonde rendevano impossibile mantenere lo schermo nella giusta angolazione. La luce delle esplosioni cominciò a oltrepassarlo.

Risuonò un allarme. “Imminente cedimento del campi di forza” annunciò Phantom.

All’improvviso, e silenziosamente, una delle navi waldahudin esplose. La Marc Garneau aveva rinunciato al suo bersaglio e si era portata sulla nave impegnata dalla PDQ, che sulla prua non era protetta da schermi di forza. Keith chinò il capo. I primi caduti della battaglia… e, considerato che i laser erano azionati a mano, nessuno avrebbe mai saputo se l’artigliere Helena Smith-Tate aveva preso volutamente di mira l’habitat o se aveva sbagliato il colpo contro il bozzolo-motore.

«Due fuori, ne restano sei» commentò Thor.

«Cedimento dei campi di forza» annunciò Lianne.

Le cinque navi pilotate dai delfini cominciarono a sfrecciare in ogni direzione, con le armi che sparavano a casaccio. Il display olografico si riempì di un intrico di raggi laser: rossi per le forze del Commonwealth, azzurri per gli aggressori.

In quel momento il vascello di Gawst cominciò a ruotare intorno all’asse poppa-prua, girando come un cacciavite. «Che diavolo sta facendo?» domandò Keith.

La risposta fu evidente quando Phantom disegnò i due raggi provenienti dai cannoni laser gemelli di Gawst: con la nave in rotazione, i raggi formavano un cilindro di luce coerente… trasformando una coppia di armi a effetto puntiforme in un dispositivo a largo raggio. Gawst puntava all’insù, verso la faccia inferiore del disco centrale, proprio sotto uno dei quattro generatori principali della nave.

«Se non commette qualche errore» disse Thor con ammirazione, malgrado tutto «riuscirà a estrarre il generatore numero 2 come un geologo farebbe con una carota di roccia.»

«Sposta la nave!» esclamò Keith.

Il campo stellare roteò. «Ci provo, ma Gawst ci ha agganciati con un raggio trattore…»

La nave sussultò ancora e un’altra sirena lanciò l’allarme. Lianne fece ruotare la sedia per portarsi faccia a faccia con Keith. «C’è una breccia sullo scafo interno, all’altezza del ponte 40, dove il fondo del ponte oceano si unisce al cilindro centrale. L’acqua sta scendendo attraverso il cilindro nei ponti inferiori.»

«Cristo!» esclamò Keith. «Che cos’avevano bevuto gli ib quando hanno installato i nuovi habitat inferiori?»

La rete di Rombo diventò nuovamente gialla di rabbia e i punti luminosi lampeggiarono infuocati. «Domando scusa?» sbottò.

Keith sollevò le mani. «Volevo solo dire che…»

«Il lavoro è stato eseguito “alla perfezione”» sillabò Rombo. «Ma i progettisti della nave non hanno mai pensato che avremmo affrontato una battaglia.»

«Sono spiacente» disse Keith. «Lianne, qual è la procedura in una situazione come questa?»

«Non esiste nessuna procedura» rispose Lianne. «Il ponte oceano è considerato a prova di falla.»

«È possibile contenere l’acqua con campi di forza?» suggerì Keith.

«Non per molto tempo» disse Lianne. «I campi di forza che usiamo nei moli d’attracco sono abbastanza intensi da mantenere l’aria alla giusta pressione contro il vuoto. Ma ogni metro cubo d’acqua ha una tonnellata di massa. Contro una pressione simile, soltanto gli emettitori di campo esterni alla nave potrebbero farcela, e anche se Gawst non li avesse sovraccaricati non ci sarebbe comunque modo di dirigerli all’interno. Se si spegne la gravità artificiale nel disco centrale e su tutti i ponti sottostanti, almeno l’acqua non si accumulerà in basso.»

«Buona idea» approvò Keith. «Lianne, provvedi.»

“Intervento di sicurezza” disse la voce di Phantom. “L’ordine è respinto.”

Keith lanciò un’occhiata alla coppia di telecamere di Phantom sulla sua consolle. «Che diavolo…?»

«È per gli ib» disse Rombo. «Il nostro sistema circolatorio è alimentato dalla gravità: se venisse spenta, noi moriremmo.»

«Maledizione! Lianne, quanto tempo ci vuole per far spostare tutti gli ib dai ponti 41-70 a quelli superiori?»

«Trentaquattro minuti.»

«Fai iniziare lo sgombero. E porta fuori dal ponte oceano tutti i delfini, ma di’ loro di portarsi dietro l’apparato respiratorio nel caso che dovessimo mandarli di sotto, nelle aree inondate.»

«Se fai cominciare l’evacuazione dal ponte 70» disse Thor «puoi togliere la gravità soltanto lì, all’inizio, e poi continuare con i ponti successivi.»

«Non farebbe nessuna differenza» affermò Lianne. «Ora che l’acqua fosse arrivata così lontano, avrebbe ormai abbastanza inerzia per continuare a muoversi verso il basso anche se non ci fosse più la gravità a farla cadere.»

«Ci sono rischi di corto circuito elettrico?» domandò Keith.

«Ho già spento tutti i sistemi elettrici nelle zone inondate» disse Lianne.

«Se il ponte oceano fosse completamente prosciugato, quanti ponti inferiori si riempirebbero con la sua acqua?» domandò Thor.

«Il cento per cento» rispose Lianne.

«Davvero?» esclamò Keith. «Accidenti!»

«Il ponte oceano contiene 686 mila metri cubi d’acqua» disse Lianne consultando i dati sul suo monitor. «Anche contando tutte le zone sigillate tra un ponte e l’altro, il volume complessivo della nave al di sotto del disco centrale è soltanto di 567 mila metri cubi.»

«Chiedo scusa, ma mi sembra che il PDQ sia nei guai» intervenne Rombo, agitando una corda verso un punto della bolla olografica: due navi waldahud convergevano verso la nave sonda, con i laser in piena attività.

Keith divise la sua attenzione tra il display olografico e il monitor della consolle che mostrava il procedere dell’inondazione.

«Aspetta» disse Rombo. «La Dakterth sta arrivando alle spalle delle due navi che hanno attaccato la PDQ. Dovrebbe riuscire a distogliere da lei un po’ di potenza di fuoco.»

«Come va l’evacuazione?» domandò Keith.

«Siamo nei tempi previsti» rispose Lianne.

«Ci sono perdite di acqua nello spazio?»

«No, la falla è soltanto interna.»

«Fino a che punto sono a prova d’acqua le porte interne?»

«Be’, quelle scorrevoli tra le stanze si chiudono ermeticamente, ma non sono molto robuste» disse Lianne. «Dopo tutto, quei pannelli sono progettati in modo che basti un calcio per farli uscire dalle guide, per essere usati come uscite di emergenza in caso di incendio. Il peso dell’acqua li farebbe saltare in un attimo.»

«Qual è stato il genio che ha avuto questa idea?» domandò Thor.

«Credo che abbia collaborato anche al progetto del Titanic» borbottò Keith.

La nave traballò di nuovo, ondeggiando avanti e indietro. Nel display olografico si vide un pezzo cilindrico del disco centrale della Starplex, alto quanto dieci ponti, allontanarsi roteando nella notte. «Gawst ha tranciato il generatore numero 2» fece rapporto Lianne. «Avevo fatto evacuare quella zona del toroide ingegneria non appena il laser aveva cominciato a scavare, quindi non ci sono perdite. Però se riesce a fare altrettanto con un altro generatore, la nave non potrà più entrare nell’iperspazio, neanche allontanandosi a sufficienza dalla stella.»

Un’esplosione di luce attirò l’attenzione di Keith. La Dakterth aveva reciso il bozzolo-motore da una delle navi waldahud che avevano attaccato la PDQ. Il bozzolo si allontanò roteando. Sembrò sul punto di scontrarsi contro il nucleo cilindrico staccato dalla Starplex, ma era soltanto un’illusione indotta dalla prospettiva.

«E se scaricassimo l’acqua nello spazio?» propose Rombo.

«Per farlo dovremmo scavare noi stessi un buco nel ponte oceano» disse Lianne.

«In quale punto sarebbe più facile farlo?» domandò Keith.

Lianne consultò il progetto della nave. «La parete posteriore del molo d’attracco 16. Dietro c’è il toroide ingegneria, ovviamente, ma in quel punto il toroide contiene una stazione di filtraggio per il ponte oceano. In altre parole è pieno d’acqua, quindi basta scavare un buco nella parete del molo per riversarvi l’acqua.»

Keith rifletté per qualche secondo, poi capì. «D’accordo» disse. «Mandate immediatamente al molo 16 qualcuno con un laser geologico.» Si girò verso Rombo. «So che gli ib hanno bisogno della gravità, ma che succederebbe se togliessimo la gravità artificiale e mettessimo la nave in rotazione su se stessa?»

«Forza centrifuga?» disse Lianne. «La gente dovrebbe camminare sulle pareti.»

«Già. E allora?»

«Be’, i ponti sono a forma di croce, quindi l’apparente forza di gravità aumenterebbe spostandosi verso l’esterno del braccio.»

«Però impedirebbe all’acqua di scendere lungo il cilindro centrale» disse Keith. «Invece si schiaccerebbe contro le pareti più esterne del ponte oceano. Thor, ce la fai a mettere la nave in rotazione con i propulsori Acs?»

«Certo che ce la faccio.»

Keith guardò Rombo. «Di quanta gravità hanno bisogno gli ib per far funzionare il sistema circolatorio?»

Rombo sollevò le sue corde. «Secondo i dati sperimentali dovrebbe bastare un ottavo di G.»

«Sotto il ponte 55» intervenne Lianne «anche alle estremità dei bracci non ci sarebbe gravità apparente a sufficienza, a nessun ragionevole ritmo di rotazione.»

«Però dovremmo far evacuare gli ib soltanto da quindici ponti, anziché da quaranta» fece notare Keith. «Lianne, informa tutti di ciò che intendiamo fare. Thor, quando non sarà più rimasto nessun ib sotto il ponte 55 comincia a far ruotare la nave. E quando avrà preso velocità, togli la gravità artificiale.»

«Agli ordini.»

«È probabile che la gente non occuperà le stanze alle estremità dei bracci, a causa delle finestre» disse Lianne.

«Perché?» s’informò Keith. «Sono trasparenti, ma sono anche fatte di materiale composito al carbonio: non si romperanno se qualcuno ci camminerà sopra.»

«Certo che no» confermò Lianne. «Ma quelle finestre hanno un’angolazione di 45 gradi, perché quello è l’angolo con cui sono tagliati i moduli abitativi. Sarà difficile restarvi in piedi, quando la gravità artificiale le farà diventare pavimenti in forte pendenza.»

Keith annuì. «Giusto. Trasmettilo come consiglio.»

«Ci penso io.»

Parlò la testa olografica di Lunga Bottiglia, che pilotava la Rum Runner. «In acque inquinate siamo. Surriscaldando si stanno i motori.»

Keith rivolse all’ologramma un cenno di assenso. «Fai quello che puoi. Se necessario allontanati da noi, forse nessuno vi seguirà.»

La Starplex vibrò ancora una volta. «Gawst ha cominciato a scavare il disco centrale sotto il generatore numero 3» annunciò Rombo. «E un’altra delle sue navi sta scavando il disco sull’altra faccia, all’altezza del generatore numero 1.»

«Inizia la rotazione, Thor.»

L’ologramma del cielo stellato cominciò a roteare. La nave ebbe uno scossone. «Abbiamo colto Gawst di sorpresa» disse Thor. «I suoi laser vagano sull’intera superficie del disco centrale.»

Si fece sentire Lianne: «Jessica Fong è in posizione nel molo d’attracco 16, Keith.»

«Fammela vedere.»

Sull’ologramma del cielo stellato, che ora ruotava a sconcertante velocità, comparve una scena incorniciata: l’interno del molo d’attracco, dove una donna in tuta spaziale fluttuava a mezz’aria. Con un cavo era agganciata alla parete posteriore, quella che confinava con il toroide ingegneria, e il cavo era mantenuto teso dalla rotazione della nave. La stessa rotazione spingeva in fuori la donna, verso il centro del boccaporto incurvato. Il pavimento del molo, segnato dalle strisce che indicavano le zone di atterraggio, si trovava a più di una decina di metri sotto i suoi piedi, mentre il soffitto, coperto di pannelli luminosi e alloggiamenti per gli argani, si trovava a una decina di metri sopra la sua testa.

«Canale aperto» disse Keith. Poi: «Okay, Jessica. Oltre la parete posteriore del molo, nel toro ingegneria, c’è una stazione di filtraggio del ponte oceano, piena d’acqua. Dall’altra parte la stazione si apre sull’oceano. Tu dovrai scavare un bel buco nella parete posteriore del molo. Attenta, però: l’acqua uscirà con la forza di un maglio.»

«Capisco» disse Jessica. Portò le mani alla vita e lasciò andare un altro po’ di cavo. Keith la guardò col fiato sospeso mentre si muoveva nell’aria lungo il molo. Non sprecava un attimo: a ogni istante si vedevano comparire altri metri di cavo. Alla fine la donna raggiunse la parte opposta del molo e sbatté contro la superficie curva del boccaporto che dava sullo spazio. Per un terribile momento, Keith pensò che fosse rimasta priva di conoscenza a causa dell’impatto, invece si riprese quasi subito e si diede da fare per mettere in posizione il massiccio laser geologico. Faceva fatica a tenere immobile l’unità. Quando infine sparò, il primo colpo attraversò il suo stesso cavo tagliandolo proprio nel mezzo: quindici metri di filo di nylon le precipitarono addosso, mentre gli altri quindici sferzarono l’aria ben lontano dalla sua testa, simili a un magro serpente giallo. Adesso era inchiodata al centro del portello spaziale a causa della rotazione della nave.

Il secondo colpo di Fong fu altrettanto disastroso, dal momento che centrò una scatola di collegamento del sistema d’illuminazione del molo. L’intera scena fu avvolta dalle tenebre.

«Jessica!»

«Sono sempre qui, Keith. Dio mio, quanto sono goffa.»

Nella cornice non si distingueva altro che buio… buio, e poi uno sfrigolio color rubino, quando il laser colpì la parete posteriore. Keith guardò il metallo illuminarsi, ammorbidirsi, incresparsi…

E poi…

Il rumore scrosciante dell’acqua, come quello di una pompa antincendio ad alta pressione. Jessica continuò ad azionare il laser, aprendo sulla parete un gigantesco squarcio di forma quadrata: un buco qui, uno spostamento di un centimetro, un altro buco, uno spostamento, e così via, senza interruzione.

Si accesero le luci di emergenza, che immersero l’hangar in una penombra rossastra. L’acqua marina erompeva dalla parete. Il quadrato di metallo della paratia venne piegato, poi strappato del tutto e volò libero nel molo sotto la spinta del geyser d’acqua che lo seguiva.

Keith si rannicchiò su stesso. Sembrava quasi che il pezzo di paratia stesse per schiacciare Jessica, che già era stata colpita con violenza da alcuni schizzi d’acqua. Anche lei, però, l’aveva visto arrivare. Alle spalle della donna un’esplosione di fiamme bruciacchiò la parete. Jessica era stata abbastanza previdente da indossare una tuta dotata di razzi e proprio in quel momento, appena in tempo, li azionò per spararsi verso l’alto. Il molo si stava riempiendo d’acqua: il fondo era adesso la parete del boccaporto e l’acqua saliva verso l’interno della nave. Ben presto Jessica si ritrovò schiacciata contro il boccaporto.

Quando il molo fu pieno del tutto, Keith le parlò ancora. «Benissimo. Adesso girati e apri un buco di dieci centimetri sul portello. Tienici il laser appoggiato, se non vuoi bollire in tutta quell’acqua.»

«Seguirò il consiglio» ribatté lei, con la tuta spaziale diventata ora una tuta da sub. Si girò per fronteggiare il boccaporto e impugnò il cono di metallo grigio che costituiva il laser geologico come un martello pneumatico. Poi si sparò in mezzo ai piedi. Ben presto parte del boccaporto brillò di un colore rosso ciliegia, poi arrivò al calor bianco, poi…


La Starplex girava nella notte come una trottola, mentre la stella verde traeva bagliori dal suo scafo.

Le cinque navi waldahud superstiti si avvicinarono. Due di esse venivano da sopra, le altre tre dal basso e si dirigevano verso l’anello dei moli. Senza dubbio la grande nave ruotava troppo velocemente perché i piloti waldahud notassero il puntino incandescente al centro del portello del molo 16, un puntino che aumentò il suo splendore, s’infiammò e bruciò fino a spegnersi. Poi, all’improvviso…

L’acqua cominciò a sprizzare nello spazio, scagliata lontano dalla nave in rapida rotazione. Non appena colpì il vuoto si trasformò in vapore ma quando si accumulò abbastanza vapore da fornire la giusta pressione l’acqua si ricondensò in liquido: i granuli per la formazione delle gocce furono forniti dal plancton, dai cristalli di sale e dai detriti oceanici. Subito dopo, grazie al campo di materia oscura che schermava la luce della stella verde, l’acqua liquida diventò ghiaccio…

Milioni e milioni di schegge di ghiaccio furono scagliate lontano dalla Starplex ad alta velocità, spinte dalla forza esplosiva dell’acqua che continuava a uscire e dalla forza centrifuga della nave in rotazione. Come innumerevoli diamanti che, sullo sfondo notturno, luccicavano verdi nella luce della stella vicina…

La prima nave waldahud fu colpita da uno sbarramento di pezzi di ghiaccio e la sua stessa velocità si aggiunse a quella dei proiettili, creando tutte le condizioni per una vera collisione ad alta velocità. I primi cinque o sei frammenti furono deviati dagli schermi di forza della nave, schermi progettati per proteggere il vascello contro i rari impatti dei micrometeoriti nello spazio interstellare, non per affrontare una grandinata. Poi…

Le pallottole di ghiaccio affondarono nello scafo waldahud come zanne nella carne squarciando l’habitat ed espellendo l’aria, che si congelò e si aggiunse alla tempesta nello spazio.

Sul ponte, Keith gridò: «Adesso, Thor! Fai ballare la nave.»

Thor eseguì. Un nuovo fiotto di pezzi di ghiaccio venne espulso a una diversa angolazione e si scontrò con una seconda nave waldahud, facendola a pezzi. Poi una terza nave esplose, un fiore silenzioso sullo sfondo oscuro, quando le pallottole ghiacciate bucarono il serbatoio che conteneva il carburante per le manovre atmosferiche.

Thor fece ondeggiare la nave nella direzione opposta, scagliando le pallottole di ghiaccio verso la quarta nave superstite. A quel punto, però, il pilota aveva escogitato una controstrategia: ruotò la sua nave in modo che il cono di scarico del motore a fusione puntasse verso la Starplex, poi azionò il motore principale facendo fondere il ghiaccio in gocce d’acqua, che si misero a bollire e divennero vapore prima di colpire la nave. Il pilota di una delle navi rimanenti, però, non aveva intuito la manovra, o forse era troppo occupato a salvarsi la pelle dirigendosi di corsa verso la scorciatoia: scelse una rotta che lo portò proprio nel cono di scarico dell’altra nave, dove fu avvolto da fiamme al calor bianco che fecero esplodere il vascello. Rimanevano soltanto due navi, una delle quali era quella di Gawst.

L’anello in espansione di pallottole d’acqua deviò dalla Starplex la maggior parte dei rottami della nave, ma l’equipaggio del vascello waldahud che aveva tentato il trucco del cono di scarico non fu altrettanto fortunato. Un grande e contorto pezzo di scafo si scontrò con la loro nave. L’impatto la fece roteare lontano, priva di controllo… proprio verso il campo di materia oscura. Il pilota sembrò sul punto di riprendere il controllo quando fu a qualche milione di chilometri dalla più vicina delle grandi sfere gassose, ma a quel punto era già stato catturato dal suo campo gravitazionale. Ci sarebbero volute ore perché la traiettoria giungesse alla sua mortale conclusione, ma la nave era condannata a sfracellarsi sul matos… e, a quella velocità, anche il morbido impatto caratteristico degli scontri tra materia normale e materia oscura sarebbe stato sufficiente per polverizzare il vascello.

La nave di Gawst era ancora indenne, essendosi ancorata con un raggio trattore sotto il disco centrale. Thor non aveva alcun modo di dirigere lì il flusso di pallottole ghiacciate. Comunque, la Starplex avrebbe potuto continuare a ruotare finché la nave di Gawst non avesse terminato il carburante, se necessario…

“Oh-oh.” Così Phantom tradusse il lampeggiare di luci sulla ragnatela di Rombo.

Thor alzò gli occhi. «Maledizione!» esclamò.

Dal bordo inferiore della stella verde erano spuntati uno… due… “cinque” altri caccia waldahud. Gawst non era stato così sciocco da concentrare tutte le sue forze nel primo attacco. Uno dei nuovi arrivati era un gigante, almeno dieci volte più grande delle sonde.

Le cinque navi pilotate dai delfini della Starplex si erano disperse per evitare lo sbarramento di ghiaccio. Adesso però stavano ritornando in formazione e si dirigevano verso la forza d’attacco in avvicinamento, decisi a raggiungerla prima che questa potesse impegnare la nave-madre.

Poi…

«Che diavolo succede?» esclamò Keith, aggrappandosi ai braccioli.

«Cristo!» disse Thor. «Cri-i-i-isto!»

Il vasto campo di materia oscura aveva cominciato a muoversi, sulle prime lentamente ma ora con velocità crescente. Sembrò allungare tozzi tentacoli rotanti, verdastri dalla parte che dava sulla stella verde, neri come l’inchiostro dall’altra. I tentacoli crebbero fino a estendersi per milioni di chilometri, tubi di ghiaia con sfere grandi quanto pianeti distribuite sulla loro lunghezza come nocche di dita eteree.

Le sonde della Starplex deviarono sopra o sotto i tentacoli. I piloti waldahud si trovarono con le navi trascinate in rotte irregolari, incapaci di compensare l’attrazione gravitazionale dei tentacoli. Nell’ologramma sferico, Keith vide le navi attaccanti vagare su percorsi erratici, da ubriachi, spinte fuori rotta da centinaia di masse gioviane nei nastri di materia oscura.

I tentacoli crebbero a velocità sorprendente. Keith aveva ancora difficoltà con il concetto di macrovita in grado di prosperare nello spazio, ma sapeva benissimo che quasi tutte le forme viventi sono in grado di muoversi in fretta, quando vogliono…

I piloti delle navi waldahud in arrivo cominciarono a capire di essere nei guai. Uno di loro interruppe una manovra di attacco nei confronti della Starplex e prese ad allontanarsi con una brusca virata. Un altro accese i razzi frenanti e gli scarichi accesero nel buio quattro nuvole di scintille color rubino. I matos continuarono però ad allungare verso di loro lunghe dita evanescenti nella notte.

Se le navi fossero state in grado di entrare nell’iperspazio, sarebbero riuscite a fuggire. Ma il pozzo gravitazionale della stella verde, oltre a quelli creati dai matos (superficiali ma tuttavia significativi), non lo permettevano.

Il più lontano dei nuovi aggressori si trovava ora solo a qualche chilometro da un tentacolo di materia oscura. Keith osservò mentre la distanza si riduceva a zero e la nave scompariva nella nube di ghiaia.

Thor fornì un diagramma che mostrava la posizione del caccia nel tentacolo… il quale adesso non si allungava più. Anzi, si contraeva, e la sua forza di gravità trascinava all’indietro anche il vascello waldahud.

Ben presto una seconda escrescenza di materia oscura avviluppò un’altra nave waldahud. Un terzo caccia tentava disperatamente di togliersi di là: Keith vide i lampi delle cariche esplosive quando la nave espulse i suoi sistemi d’arma nel tentativo di diminuire la propria massa totale. Ma la materia oscura continuava a guadagnare terreno.

Nel frattempo, i due tentacoli che avevano già catturato navi continuavano a contrarsi e… che stranezza… avevano cominciato a ripiegarsi su se stessi, arcuandosi come cobra di cenere.

Infine venne presa la terza navetta e anche quel dito grigio cominciò a contrarsi. La nave waldahud più grande fu presa di mira anch’essa, da sopra e da sotto, da due diversi tentacoli di materia oscura. Soltanto la quinta nave, tra le nuove arrivate, sembrava avere qualche possibilità di fuga. Ma Keith si sentì battere forte il cuore quando si accorse che Rissa e Lunga Bottiglia le erano alle calcagna. Si vide davanti agli occhi la faccia di suo figlio, che a diciannove anni era ancora un ragazzo, malgrado la barbetta caprina. Come avrebbe fatto a dirgli che sua madre era stata uccisa?

I due tentacoli si erano inarcati in semicerchi, che rivolgevano la gobba verso la stella verde. Nell’esatto momento in cui il grande vascello fu racchiuso dai due raggi convergenti che gli davano la caccia, la prima delle due dita di materia oscura balzò in avanti come una frusta. Il caccia waldahud ne fu avvolto e poi subito scagliato via, e cominciò a roteare. Keith vide lampeggiare i puntini luminosi dei propulsori Acs, ma la rotazione della nave continuò immutata come se…

Keith s’irrigidì. Santo Dio!

…come se fosse stata scagliata a tutta forza verso la stella verde.

Il vascello continuò a ruotare senza interruzione mentre la distanza con la stella verde diminuiva rapidamente. Il pilota riuscì infine a riprendere il controllo ma era ormai troppo vicino alla palla di fuoco del diametro di 1,5 milioni di chilometri. Già le eruzioni stellari lambivano il proiettile in arrivo…

…e la nave si vaporizzò nell’alta atmosfera della stella.

Keith gridò: «Rombo, chiama le sonde!»

«Canale aperto.»

«Ritornate alla Starplex!» ordinò Keith. «A tutte le navi, ritornate immediatamente alla Starplex.»

Quattro sonde accusarono ricevuta del messaggio e cambiarono rotta, ma la quinta continuò a dirigersi verso il suo obiettivo.

«Rissa!» urlò Keith. «Torna indietro!»

Di colpo la seconda frusta di materia oscura schioccò nella notte, mandando un’altra nave waldahud a schiantarsi contro la stella verde. La testa di Keith continuava a scattare a destra e a sinistra, tra i due orrori gemelli: la nave di Rissa che si allontanava dalla Starplex e la corsa a capofitto del caccia verso la distruzione.

La Rum Runner ruotava come la punta di un trapano nell’avvicinarsi al vascello nemico. I colpi dei cannoni laser posteriori della nave waldahud continuavano a mancare la sonda o a rimbalzare sui suoi schermi di forza. A un certo punto, però, il fuoco di sbarramento si interruppe: con ogni probabilità, anche i waldahudin a bordo della nave in fuga erano assorbiti dallo spettacolo che tutti stavano contemplando.

La seconda nave che i matos avevano scagliato verso il sole stava rapidamente raggiungendo la sua destinazione. Dallo scafo emersero le scialuppe di salvataggio, ma i loro deboli motori non erano nemmeno in grado di metterle in orbita intorno alla stella. L’ultima cosa che i waldahudin condannati videro sui loro monitor furono probabilmente le strane macchie solari a forma di manubrio sulla superficie stellare, chiazze grigio-scuro su un inferno di giada liquida.

Il PDQ e il Dakterth stavano raggiungendo la Starplex. Dovevano però avvicinarsi da sopra o da sotto per evitare la grandine espulsa dal disco della nave. Rombo usò i raggi trattori per trascinarle sulla superficie piatta del disco centrale: non era possibile farle arrivare ai portelli dei moli d’attracco, lo impediva il ghiaccio, ma c’erano morse per soste di emergenza su entrambe le facce del disco.

La Rum Runner era ancora in caccia. «Rissa!» urlò Keith nel microfono. «Per l’amor di Dio, Rissa, torna a casa!»

Di colpo il laser della Rum Runner entrò in azione e Phantom, diligentemente, ne tracciò il raggio sul display olografico. La lama di luce attraversò il cielo stellato. La perfetta mira di Rissa aveva staccato con un sol colpo il bozzolo-motore dallo scafo. Il bozzolo si allontanò roteando nella notte, circondato da un alone di gas che brillava di luce smeraldina. Poi, all’improvviso…

Il bozzolo s’infiammò, divenne persino più lucente delle stella vicina, come per un’esplosione da fusione nucleare. Lunga Bottiglia mise in atto un folle salto mortale rovesciato per sfuggire alla bolla di plasma in espansione, poi puntò verso la Starplex diritto come un raggio laser. La nave waldahud priva di motore prese una traiettoria angolata, guidata solo dall’inerzia.

La terza frusta di materia oscura schioccò, spedendo un altro caccia waldahud attraverso il firmamento. Mentre passava, Keith notò che parecchie piastre del suo scafo erano state deliberatamente espulse: evidentemente l’equipaggio aveva preferito aprire la nave al vuoto, piuttosto che cuocere vivo durante la caduta nel sole verde.

Poi, il doppio dito che aveva avviluppato la grande nave waldahud prese a ruotare intorno al suo asse centrale, tracciando sulle prime un disegno simile a quello di una galassia spirale, ma continuando ad accelerare senza interruzione. Phantom mostrò la posizione della nave sepolta in un braccio della massa rotante. La rotazione divenne ancora più rapida, finché, come un atleta che lancia un disco, la materia oscura scagliò lontano la nave gigantesca. Il pilota cercò di riprendere il controllo per non scontrarsi con il sole, ma non appena iniziò a modificare la sua rotta mentre le bianche fiamme di fusione si stagliavano contro l’inferno verde, una gigantesca prominenza s’inarcò oltre la fotosfera e inghiottì la nave.

«Quattro delle nostre cinque sonde sono al sicuro, agganciate al nostro scafo» comunicò Rombo. «E la Rum Runner sarà di ritorno tra 11 minuti.»

Keith si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. «Eccellente. Ormai i ponti inferiori dovrebbero essere sgombri, vero?»

«Sta salendo proprio adesso l’ultimo ascensore» disse Lianne. «Diamogli altri trenta secondi.»

«Va bene. Mantieni i ponti inferiori a zero G, perché non siano invasi dall’acqua. Thor, interrompi la rotazione della nave.»

«Agli ordini.»

«Direttore» disse Rombo «la nave di Gawst si è attaccata al nostro scafo. Si tiene in posizione usando un raggio trattore.»

Keith sorrise. «Divertente… un prigioniero di guerra.» Parlò ad alta voce. «Eccellente lavoro. Lo dico a tutti, Thor, Lianne, Rombo… eccellente.» Fece una pausa. «Grazie a Dio, i matos si sono schierati con noi. Direi che vale la pena di essere in buoni rapporti con la materia che costituisce la maggior parte dell’universo. Oltretutto…»

«Cristo!» Era la voce di Thor.

Keith si girò di scatto verso il pilota. Aveva parlato troppo presto: i tentacoli di materia oscura si stavano chiudendo sulla Starplex, adesso.

«Tocca a noi» disse Rombo.

«Ma noi siamo diversi ordini di grandezza più grossi delle navi waldahud» commentò Thor. «Dici che possono buttarci nella stella?»

«Soltanto un terzo della materia oscura ha partecipato all’attacco contro le forze waldahud» osservò Rombo. «Se si muovesse tutta contemporaneamente contro di noi… Phantom, possono farlo?»

“Sì.”

«Chiama Occhio di Gatto» disse Keith. «Ci conviene parlargli.»

«La frequenza è vuota» disse Rombo. «Sto trasmettendo… nessuna risposta.»

«Thor, portaci via di qui.»

«Rotta?»

Keith rifletté per mezzo secondo. «Verso la scorciatoia.» Ma subito si rese conto che i tentacoli di materia oscura si erano già interposti tra la Starplex e quell’invisibile punto nello spazio. «No, ordine annullato» sbottò. «Portaci nella direzione opposta, verso la stella verde. E fai venire qui Jag, Phantom.»

“Mi ha ordinato di non farlo entrare in questa stanza, signore” ribatté il computer.

«Lo so. Ti ho appena dato nuove istruzioni. Fallo scendere qui subito.»

Ci fu un minuto di silenzio mentre Phantom conferiva con Jag. «Allora, arriva?»

«Che cos’hai in mente?» domandò Rombo. La materia oscura si avvicinava alla Starplex da tre lati, come una mano che si chiude su un insetto.

«Un modo per battercela, spero… se non restiamo uccisi nel tentativo.»

Il panorama stellato si aprì ed entrò Jag. Per la prima volta Keith vide una traccia di umiltà sulla faccia del waldahud: Jag, con ogni probabilità, aveva assistito alla battaglia spaziale e aveva visto i suoi compatrioti scagliati nella stella di smeraldo. Ma una parte del suo antico atteggiamento di sfida si affacciò nella voce, quando guardò Keith con aria sospettosa e disse: «Che cosa vuoi da me?»

«Voglio» rispose Keith mantenendo la voce rigidamente controllata «far carambolare la Starplex intorno alla stella verde e scaraventarla nella scorciatoia da dietro.»

«Santo Dio» esclamò Thor.

Jag ringhiò, esprimendo un sentimento simile nella sua lingua.

«Si può fare?» domandò Keith. «Funzionerebbe?»

«Ehm… non lo so» rispose Jag. «Mi ci vorrebbero diverse ore per fare i calcoli.»

«Non abbiamo ore a disposizione, al massimo minuti. Funzionerà?»

«Non… sì. Forse.»

«Anguria Scavata» chiamò Keith «ritrasferisci il controllo alla postazione di Jag.»

«Subito» disse il delfino.

Jag si accomodò al suo solito posto. «Computer centrale» abbaiò «mostra sul monitor la nostra attuale traiettoria.»

“Le è interdetto l’uso di ogni apparecchiatura, fatta eccezione per le necessità domestiche.”

«Correzione» sbottò Keith. «Gli arresti domiciliari di Jag sono sospesi fino a nuovo avviso.»

Il diagramma richiesto comparve. Jag lo esaminò con la massima cura. «Magnor?»

«Sì?» disse Thor.

«Abbiamo al massimo dieci minuti prima di essere inglobati. Ci serviranno tutti i nostri razzi ventrali. Copia il mio monitor 6 nella modalità touch-screen.»

Thor premette alcuni pulsanti. «Fatto.»

Con una delle sue dita piatte, Jag tracciò un arco lungo il diagramma. «Ce la fai a seguire questa rotta?»

«Con pilotaggio manuale, vuoi dire?»

«Certo, manuale. Non abbiamo il tempo di programmarla.»

«Be’… Ce la farò.»

«Vai. Parti immediatamente!»

«Direttore?»

«Fra quanto la Rum Runner sarà ancorata al nostro scafo?»

«Quattro minuti» rispose Rombo.

«Non abbiamo il tempo di aspettarla» esclamò Jag.

Keith si girò per ribattere, ma rinunciò subito. «Alternative?» domandò, rivolgendosi senza distinzione a chiunque si trovasse sul ponte.

«Potrei mettere un raggio trattore sulla Rum Runner» suggerì Rombo. «Non riuscirò a tirarla dentro prima che colpiamo la scorciatoia, ma dovrebbe bastare per trascinarla con noi. Poi Lunga Bottiglia dovrebbe riuscire a imboccare la scorciatoia con i suoi mezzi.»

«Va bene. Thor, portaci via di qui.»

La Starplex scattò verso la stella secondo una traiettoria molto angolata. «Propulsori a pieno regime» disse Thor.

«Ce un altro problema che dobbiamo risolvere» disse Jag rivolto a Keith. «Ci sono buone probabilità che io riesca a portare la nave alla scorciatoia, ma quando arriveremo avremo solo il tempo per tuffarci al suo interno. Non riusciremo a rallentare né a calibrare l’angolo di avvicinamento, e con gli iperscopi del ponte 70 danneggiati non posso nemmeno prevedere da quale uscita sbucheremo. Potremmo arrivare a qualunque destinazione.»

Le dita di materia oscura continuavano ad allungarsi sulla Starplex. «Fra qualche minuto, qualunque destinazione sarà preferibile a questo posto» fece osservare Keith. «Portaci via di qui, e basta.»

La nave intraprese una sbandata controllata intorno alla stella. Metà dell’ologramma del ponte era occupato dal globo verde, rendendo visibili i dettagli della sua superficie granulosa e delle sue macchie a forma di manubrio. Gran parte del panorama rimanente era nebbioso, poiché i tentacoli di materia oscura eclissavano le stelle sullo sfondo. «Rombo, hai agganciato bene la Rum Runner?»

«È ancora lontana 400 chilometri e la materia oscura comincia a mettersi in mezzo, però la tengo.»

Keith fece un sospiro di sollievo. «Bel lavoro. Sei riuscito a metterti in contatto con Occhio di Gatto, o con qualche altro matos?»

«Continuano a ignorare le nostre chiamate» rispose Rombo.

«Non possiamo arrivare vicini alla stella quanto vorrei» disse Jag. «Non è rimasta abbastanza acqua nel ponte oceano per una schermatura efficace e gli schermi di forza sono ancora fuori uso. I matos hanno il trenta per cento di probabilità di intrappolarci.»

Keith si sentiva il cuore battere nel petto. La Starplex continuò ad aggirare la stella nella sua rotta a parabola, mentre i tentacoli continuavano ad allungarsi per afferrarla. La Rum Runner era indicata nella olobolla come un quadratino collegato a un raggio trattore giallo. Il campo stellato roteò… avevano sfiorato l’atmosfera della stella e Thor stava mutando l’angolazione della nave.

Infine la Starplex raggiunse la cuspide della parabola e, sfruttando il potente effetto-fionda della stella, si diresse a tutta velocità verso la scorciatoia. Nella bolla olografica, Phantom accentuò la luminosità del raggio trattore giallo, indicando che gli era stata fornita una potenza maggiore. La rotta della Starplex, che si trovava 400 chilometri più vicino alla stella, era significativamente diversa da quella che la Rum Runner avrebbe seguito se fosse stata lasciata alla sua sola forza d’inerzia.

«Due minuti al contatto con la scorciatoia… “adesso”» disse Rombo.

«Non abbiamo mai attraversato una scorciatoia a una velocità simile» osservò Jag. «Né l’ha fatto nessun altro. Dovremmo tutti agganciare le cinture di sicurezza, o almeno aggrapparci a qualcosa.»

«Lianne, trasmetti questa raccomandazione» disse Keith.

«A tutto il personale» risuonò la voce di Lianne, riecheggiando dagli altoparlanti. «Possibilità di turbolenze.»

All’improvviso un grande oggetto di forma irregolare eclissò parte del campo visivo. «È la nave di Gawst» disse Lianne. «Si sta staccando dal nostro scafo. Probabilmente pensa che siamo diventati matti.»

«Potrei bloccarlo con un altro raggio trattore» propose Rombo.

Keith sorrise. «No, lascialo andare. Se è convinto di avere possibilità migliori con i matos, per me va bene.»

«Ottanta secondi, da adesso» disse Rombo. Dall’invisibile pavimento risalirono morse color arancione che si agganciarono alle sue ruote.

«Uno virgola quattro gradi all’impatto, Magnor» disse Jag. «Stai per mancare la scorciatoia.»

«Sto correggendo la rotta.»

«Sessanta secondi.»

«Aggrappatevi tutti» disse Lianne. «Stiamo per…»

Buio. Assenza di peso.

«Maledizione!» La voce di Thor.

Un latrato: parole di Jag, senza la traduzione di Phantom.

Un lampeggiare di luci, l’unica illuminazione nella stanza: era Rombo che diceva chissà cosa.

«Manca l’energia» gridò Thor.

Si accesero le luci rosse di emergenza e altrettanto fece la gravità di emergenza: una priorità, a causa degli ib. Da una parte all’altra della stanza si udirono rumori di tonfi e spruzzi: quando la gravità era mancata, l’acqua nelle vasche dei delfini si era gonfiata in grandi forme a cupola, per ricadere poi dappertutto quando il peso era tornato.

Nessuna bolla olografica circondava più il ponte. Si vedevano invece le pareti grigio-azzurre di plastomero. Keith era ancora seduto sulla sua sedia, mentre Jag era sul pavimento avendo ovviamente perso l’equilibrio nel breve periodo a zero G.

Alle tre postazioni della fila anteriore — operazioni interne, Timone e operazioni esterne — si accesero di luci tornando alla vita. Quelle della fila posteriore erano meno necessarie e rimasero spente, per risparmiare l’energia delle batterie.

«Abbiamo perso la Rum Runner» annunciò Rombo. «Si è staccata quando al raggio trattore è mancata l’energia.»

«Interrompi l’inserimento nella scorciatoia!» esclamò Keith.

«Troppo tardi» disse Thor. «L’attraverseremo per pura forza di inerzia.»

Keith chiuse gli occhi. «In che direzione si è allontanata la Rum Runner?»

«Non sarà possibile calcolarlo finché i sensori non torneranno in attività» disse Rombo. «Noi però la stavamo trainando, quindi adesso dovrebbe muoversi più o meno in linea retta verso la stella verde.»

«Il generatore numero 1 ha ceduto per i danni della battaglia» intervenne Lianne, consultando il monitor. «Passo ai generatori di riserva.»

La voce di Phantom: “Pro-va di avvi-a-men-to. Attivo.”

La bolla olografica si riformò, con un’esplosione di luce che circondò tutti i presenti. Poi tornò il panorama esterno, dominato dalla stella verde e per il resto annebbiato dai tentacoli in avvicinamento di materia oscura. Keith scrutò invano all’esterno, alla ricerca di qualsiasi segno della Rum Runner.

La voce di Thor: «Dieci secondi all’inserimento nella scorciatoia. Nove, otto.»

La voce di Lianne, dall’alto, proveniente dagli altoparlanti per gli annunci pubblici: «Torneremo alla piena operatività fra sessanta secondi. Preparatevi…»

«Due. Uno. Contatto!» Le luci rosse di emergenza si affievolirono e apparve la scorciatoia, simile a un anello viola che s’allargava intorno a loro, sotto i piedi così come sopra la testa, mentre il punto infinitesimo si espandeva per inghiottire la grande nave.

A poppa dell’anello c’era ancora il familiare cielo con la stella verde e la materia oscura all’inseguimento, ma davanti c’era un cielo quasi completamente nero. Il passaggio richiese soltanto pochi secondi, con la Starplex che sfrecciava a una velocità mozzafiato.

Keith rabbrividì quando si rese conto di ciò che era accaduto. Le luci di Rombo rotearono in schemi che denotavano stupore. Lianne emise un flebile singhiozzo. Jag si lisciò la pelliccia, pensieroso.

Tutt’intorno si estendeva una nera vacuità, a eccezione di un indistinto ovale bianco, di tre macchioline bianche più in alto e di una manciata di puntini indistinti sparsi qua e là nella notte.

Erano emersi nel vuoto dello spazio intergalattico. Le macchioline bianche non erano stelle, ma intere galassie.

E nessuna delle tre aveva l’aspetto della Via Lattea.

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