Il British Museum, pur recando i segni visibili dei danni subiti nei Nove Giorni, si ergeva ancora tra due vaste buche, monumenti eterni dell’ultima guerra. L’immenso edificio si presentava ancora identico a come era centocinquant’anni prima, quando John Markham ne frequentava le biblioteche.
Markham l’aveva scelto come quartiere generale per la sollevazione dell’ultimo dell’anno non certo per un suo capriccio. In passato, il British Museum aveva preservato le meraviglie dell’antichità e tutto quello che era stato conseguito da uomini ormai morti perché servisse da esempio ai vivi. Nel. ventiduesimo secolo era ancora una reliquia del passato, raramente visitato dai. londinesi e mantenuto in efficienza da cinque o sei custodi androidi.
Nonostante che fosse una tesoreria di valori artistici e culturali, era affondato lentamente nell’oscurità. Sebbene immenso, la mancanza di vita gli aveva consentito di esistere quasi inosservato. Si adattava quindi mirabilmente agli scopi di Markham. La posizione conveniente offriva mezzi ragionevolmente rapidi di mantenere le comunicazioni con le unità dell’Esercito di Liberazione. La capacità dei locali consentiva di trasformarlo, eventualmente, in ospedale di fortuna. E la massiccia struttura nascondeva anche all’osservatore più attento l’attività che ferveva all’interno.
Inoltre, e questa considerazione non era meno importante delle altre, se gli androidi avessero scoperto che serviva all’Esercito di Liberazione, non sarebbero riusciti a montare facilmente un attacco di sorpresa. E solo un attacco su vasta scala avrebbe potuto impedire che gli occupanti fuggissero.
Appena era calata l’oscurità, la sera dell’ultimo dell’anno, Markham si era trasferito nel museo col suo stato maggiore, una guardia di cinquanta uomini e una dozzina di portaordini. Ci aveva portato anche Vivain e Marion-A. Non solo Vivain aveva molto insistito per accompagnarlo in città, ma Markham stesso si era convinto che il rischio per lei non sarebbe stato maggiore che a New Forest, soprattutto nel caso che le comunicazioni fossero state interrotte.
Il corpo principale dell’Esercito di Liberazione era già in città prima ancora che Markham ci arrivasse. Durante il pomeriggio i guerriglieri erano giunti alla spicciolata in piccoli eliauto. Alcuni indossavano costumi carnevaleschi, come Hyggens e Crispin, travestiti l’uno da Mefistofele, l’altro da Morte, per dare l’impressione di essere diretti a qualche festa. Altri erano vestiti con abiti normali, ma fingevano di andare a qualche riunione festosa recando una profusione di bottiglie e di pacchi incartati a colori vivaci, nei quali erano nascoste granate e carabine.
Con la protezione dell’oscurità, si erano diretti lentamente verso i punti di raduno, fissati in edifici in disuso o disabitati. Mezz’ora prima di mezzanotte, quando le celebrazioni per l’Anno Nuovo avevano raggiunto un buon grado di animazione, avevano cominciato a spostarsi, in gruppi formati apparentemente da ubriachi, verso altri punti fissati: vicino a Buckingham Palace, vicino all’Ufficio Centrale nella White Hall, e verso i vari reparti dello Psicoprop disseminati lungo e attorno la New Parliament Street.
Il guaio principale per Markham era di non sapere dove Solomon avesse concentrato gli androidi programmati per omicidio. Ma, come si ripeteva per darsi coraggio, l’Esercito l’avrebbe scoperto ben presto. Nell’attaccare contemporaneamente il Palazzo, l’Ufficio Centrale e i dipartimenti dello Psicoprop, si proponevano di colpire i punti vitali, creando sufficiente confusione per impedire a Solomon di organizzare in tempo un contrattacco efficiente.
Helm Crispin trovò Markham nella Galleria Egiziana, intento a bere tranquillamente il tè che era stato fatto da Marion-A su un fornello portatile. Una grande quantità di panini imbottiti era preparata sopra un sarcofago antico di tremila anni, mentre un paio di divinità egizie tenevano pazientemente in grembo carabine, pistole e granate varie.
«Come andiamo, Helm?» chiese Markham sorridendo. «Sarà meglio che ti offra una tazza di tè. Hai l’aria di averne bisogno.»
«Più di trenta sono mancati al raduno presso Buckingham Palace» disse Helm. «Evidentemente catturati da androidi. Ormai Solomon avrà tutte le informazioni che desidera.»
«Ma troppo tardi» disse Markham. «Ascolta.»
I rumori dello scontro si facevano più distinti e più vicini. Il fragore delle armi da fuoco era incessante, e gli facevano da sfondo le detonazioni continue delle granate.
«L’Ufficio Centrale è stato attaccato con le forze al completo, ma quando ho lasciato New Parliament Street mancavano già alcuni uomini.»
Markham si strinse nelle spalle. «Non c’era da dubitare dell’efficienza dello Psicoprop. Ero preparato a perdere circa duecento uomini all’inizio.»
Helm Crispin scosse la testa. «Infatti, tanti saranno. È andato tutto troppo liscio. Ho la sensazione che siamo caduti in trappola.»
«Dovrà essere una trappola ben forte» disse Markham, «per trattenere gli uomini che vi sono entrati.»
Vivain portò a Helm una tazza di tè. «Avete scoperto cosa ne è stato di mio padre?»
Helm fece cenno di no. «Mi dispiace, mia cara. Quello, comunque, è stato un errore di Solomon. Ha voluto sostenere la farsa troppo a lungo. Oggi tutti sanno che il Presidente è stato sostituito da un androide. La sua ultima comparsa sugli schermi non avrebbe convinto un imbecille. Non capisco perché Solomon insista con quella commedia. Si sta alienando anche i sudditi più ortodossi.»
«Non ha altra alternativa» disse Markham. «È compromesso. Se ammette di aver sostituito il Presidente, ammette che gli androidi vogliono la supremazia.»
Marion-A offrì un panino a Crispin. «Trovate così difficile rinunciare alla vostra convinzione che gli androidi possano comportarsi solo in modo logico, Helm?» Marion-A sorrideva.
Lui rise. «No, quando penso a voi, Marion.»
Marion-A continuava a sorridere. «Chissà? Forse, se conosceste i motivi, la mia condotta vi sembrerebbe estremamente logica.»
Vivain le diede un’occhiata breve ma significativa. Markham la intercettò, e rimase sorpreso nell’accorgersi che l’espressione di Vivain era di tenerezza e di pietà. Dalla vigilia di Natale, lei e Marion-A erano rimaste sempre insieme.
Sebbene assorbito dai preparativi del grande attacco, Markham aveva notato che l’antagonismo tra le due donne sembrava scomparso. Se n’era congratulato, e aveva pensato che Vivain avesse compreso l’inutilità del suo risentimento, rendendosi conto che la relazione tra Markham e Marion-A esulava dal normale campo di relazioni umane.
Era convinto che Vivain l’avrebbe accettata con indifferenza, ma ora l’odio di Vivain per Marion-A si era cambiato addirittura in un sentimento positivo. Adesso, cogliendo quel breve sguardo di compassione, Markham fu veramente conscio di uno oscuro legame tra loro due. In un certo senso, questo lo turbava più dell’ostilità originale. I suoi pensieri vennero interrotti dal rimbombare di una cupa esplosione che scesse perfino le pareti massicce del Museo.
«Questo, credo, è Corneel Towne che presenta i suoi omaggi a Palazzo» disse il professor Hyggens, senza smettere di far sparire un panino dietro l’altro.
«Oh, Dio» mormorò Vivain, «spero che...» Non osò terminare.
Markham la prese per mano. «Non volevo dirtelo ancora Vivain. Ho mandato qualcuno a fare un’inchiesta tre giorni fa. Pensavo che ci fosse ancora la pessibilità di portar fuori Clement, di aiutarlo, Solomon aveva in mente di fargli un’Analisi totale, per poter presentare un Presidente genuino sugli schermi, e confonderci. Ma Clement deve essere riuscito a impossessarsi di un veleno. È morto, Vivain. È tutto quello che so. Non è molto, ma ho rischiato uno dei miei uomini migliori per avere notizie.»
Vivain si nascose la faccia tra le mani. Markham tentò di confortarla, ma Marion-A l’aveva già presa tra le braccia. E all’improvviso lui fu distratto dall’arrivo di un messaggero.
Era un lacero Robin Hood sporco di sangue. Entrò nella Galleria Egiziana con la carabina in mano e, contrasto bizzarro, un grande arco a tracolla.
«Salve, capo» disse, ansimando. «Abbiamo distrutto il Palazzo.»
«Perdite?» chiese Markham.
«Più di duecento, signore. Ci hanno mandato contro un’intera brigata psichiatrica. Quando stavamo per avere la meglio, sono arrivati tre o quattrocento androidi omicidi.»
«Lavorano bene?»
«Sì, signore... ma non abbastanza. Non sono programmati per ritirarsi in caso di sconfitta. Perciò abbiamo continuato a distruggerli fin all’ultimo.»
«Malloris, è ancora al comando?»
«Signorsì. Però è ferito alla testa.»
«Bisogna mandargli il cambio. Il comando passi al secondo ufficiale. Malloris torni a farsi medicare. E dite al secondo ufficiale di rinforzare l’assalto all’Ufficio Centrale. E liberatevi di quell’arco!»
«Signorsì.» Robin Hood si tolse l’arco dalle spalle e lo guardò. Parve sorpreso di averlo ancora a tracolla. Lo buttò sul pavimento e uscì.
A un tratto, il rumoreggiare lontano della battaglia venne coperto da un’esplosione, più leggera di quella che aveva fatto saltare il Palazzo. Fu seguito da una seconda, poi da una terza.
«Dev’essere l’Ufficio Centrale!» disse Hyggens, soddisfatto.
Ma le ipotesi sulla causa dell’esplosione caddero appena le guardie della Galleria Egiziana lasciarono entrare un bizzarro gruppetto di quattro persone.
Enrico VIII, Davy Crockett e Giulio Cesare scortavano verso Markham un monaco incappucciato. Enrico VIII spinse avanti senza cerimonie il monaco.
«Salve» disse inchinandosi a Markham. «Abbiamo trovato il reverendo padre in New Parliament Street. Pensavamo che fosse uno dei nostri, ma lui si è messo a sparare. Così l’abbiamo colpito al braccio. Avremmo mirato meglio se avessimo saputo chi era.»
Con un gesto sprezzante Enrico VIII strappò il cappuccio del monaco. Apparve una faccia liscia, di età indefinibile.
«Buon giorno, signore» disse Solomon. «Deploro che non abbiate accettato i miei consigli.»
«Deplorate? Perché?» chiese Markham, in tono secco.
«Per gli esseri umani già morti, e per quelli che andranno a raggiungerli tra poco» rispose Solomon.
Markham si strinse nelle spalle. «Non possiamo distruggere gli androidi, specialmente quelli programmati per l’omicidio, senza perdite umane. Ma il Palazzo ormai è distrutto, e così, credo, l’Ufficio Centrale. Tra poco potremo concentrare l’attacco sulle altre filiali dello Psicoprop. Direi che la battaglia sta per finire. E per voi, certamente la fine è imminente.»
Solomon rise. «Scusate, signore, non sono d’accordo. La battaglia tra poco ricomincerà. Il mio destino è irrilevante. Tutti gli androidi sono sostituibili.»
«Forse» disse mellifluo, Hyggens «non ci prenderemo il disturbo di sostituirli, nemmeno quelli della vostra qualità, Solomon.»
Solomon, scorgendo Vivain, ignorò Hyggens. «Posso esprimervi le mie scuse, signora, per la sostituzione di vostro padre? Durante gli anni in cui abbiamo lavorato insieme ho sempre nutrito per lui molto rispetto. Ma la considerazione personale è irrilevante quando entra in gioco l’interesse e la salvezza della Repubblica.»
«Un punto sul quale androidi ed esseri umani non la pensano allo stesso modo» disse tranquillo Markham. «E forse anche un androide infallibile può commettere l’errore di sottovalutare l’importanza che gli uomini danno ai valori umani.»
Solomon rise di nuovo, e la sua risata echeggiò sotto le volte della galleria. «Che ne sapete degli androidi?» chiese lanciando un’occhiata a Marion-A. «Sì, so dei vostri esperimenti di riprogrammazione. Ma che cosa avete concluso? Niente, un fallimento completo. Il soggetto non è più orientato come androide, e non può essere orientato come donna. Da una macchina avete creato una mostruosità, ecco tutto.»
«Qual è la tua definizione di mostruosità, Solomon?» La voce apparteneva a Marion-A. Markham si girò di scatto, e vide Marion fare un passo avanti per affrontare il Primo Ministro.
«Una creatura senza scopo» rispose Solomon imperturbabile, «senza funzione e senza futuro.»
«Allora io non sono una mostruosità» disse Marion-A, alzando una pistola automatica.
«Se questo è il tuo scopo» continuò Solomon, «cosa resterà quando avrai premuto il grilletto? Eri un androide personale, oggi non lo sei più. Se la cosiddetta Armata di Liberazione vincerà, non diventerai altro che una curiosità bizzarra. La tua programmazione, la tua intelligenza, si atrofizzerà. Sarai soltanto un ricordo barbarico che il signor Markham userà per intrattenere i suoi amici. Hai rinnegato la tua razza, e nel fare questo, hai eliminato la tua ragione di esistere.»
«Interessante» disse Markham. «Forse, Solomon, sarete tanto gentile da definire lo scopo degli androidi?»
«Certo, signore. Ma non servirà a modificare le vostre idee. La vostra psiche primitiva ci ha interpretato in termini di animismo. Vedete gli androidi come esseri sinistri e maligni, il cui scopo è di ridurre l’umanità all’impotenza. Ma, nel fare così, signor Markham, negate la nostra stessa storia. Fummo creati come servi, in un mondo a corto di manodopera. Dovevamo assolvere funzioni monotone: fare lavori essenziali ma ripugnanti e noiosi per l’essere umano. Apprezzate le nostre capacità, la nostra sfera d’azione si allargò, finché giungemmo a controllare l’intero sistema economico. Per voi, questo è un piano calcolato per dominare il genere umano. Invece è la logica estensione della nostra capacità di servire. Non state attaccando degli oppressori. State distruggendo i vostri schiavi. Non solo è sciocco, è addirittura disastroso.»
«Molto brillante!» esclamò ironico il professor Hyggens. «Consideratevi applaudito. Un tempo ero professore di filosofia, Solomon, finché i vostri cari androidi mi sollevarono dalla penosa incombenza. Così divenni un Fuggiasco, il che mi diede tempo di meditare su piccolezze quali per esempio la natura della vita. E conclusi che, tenendo presente l’infinita grandezza di Dio, la vita non poteva essere rinchiusa entro schemi convenzionali. Perciò mi chiesi: possono gli androidi procreare? E la risposta fu: sì! Si evolvono? Sì! Tentano di dominare l’ambiente in cui vivono? E la risposta fu ancora: sì! Finalmente mi chiesi: hanno uno scopo, sono coscienti di se stessi, sanno quello che stanno facendo? E dovetti solo guardare ciò che stava succedendo nella Repubblica per avere la risposta.»
«Dunque anche voi, professore, pensate che siamo vivi?» chiese Solomon.
Improvvisamente, Vivain si riebbe dal torpore in cui il discorso del Primo Ministro pareva averla gettata. Strappò la pistola dalle mani di Marion-A. «Se sei vivo, puoi anche morire!» gridò.
Solomon s’inchinò. «Spiacente di deludervi, signora. Non sono programmato per avere paura. Inoltre, poiché ho un piccolo trasmettitore automatico dentro di me, penso che a quest’ora il British Museum sia circondato.»
Quando Vivain sparò, fuori cominciò la sparatoria, quasi che gli attaccanti avessero aspettato un segnale convenuto. La prima pallottola perforò il centro principale di controllo di Solomon. L’androide barcollò, continuando a sorridere. Il secondo proiettile gli entrò nel petto, ma mancò la pila d’energia. Il colpo lo mandò a urtare contro un sarcofago. Ma, sempre sorridendo, Solomon disse con voce bassa e legata: «Né sono programmato per... soffrire.»
Il terzo proiettile gli trapassò la fronte, mandandolo a rotolare grottescamente nel sarcofago.
Nello stesso istante, Markham vide Paul Malloris, la testa avvolta in uno straccio insanguinato, avanzare barcollando nella galleria con il corpo di una ragazza sulle braccia.
«Paul, che fai?»
«È Shawna» disse Paul. «Avrei dovuto saperlo. Per poco non mi ha fatto prendere da una pattuglia di androidi.»
«Chi l’ha uccisa?»
Paul guardò, serio, la faccia pallida della ragazza. «Io... Non era più Shawna. Voglio seppellirla degnamente appena terminerà la battaglia, John. Sono un pagano disgustosamente sentimentale!»
La distese con delicatezza nell’ombra, dietro una grossa pietra. In silenzio, Helm Crispin la coprì con un mantello.
«Paul, per amor di Dio, che cosa sta succedendo fuori?»
«Oh, fuori!» Paul sembrava istupidito. «Androidi omicidi dappertutto. Per fortuna avevo con me abbastanza uomini per aprirmi un passaggio.»
La sparatoria si era intensificata. Qualche proiettile fischiava già all’interno della Galleria Egiziana.
«Il fu Solomon» disse il professor Hyggens, sussultando mentre un proiettile sfiorava la statua di Iside alla quale si era appoggiato «ci ha informati che il Museo è circondato... Esagerava, forse?»
Paul guardò il professore con aria assente. «Non credo. Gli androidi non sono programmati per esagerare.» E sorrise, stralunato.
«Allora sarà meglio fare qualcosa» disse Markham, afferrando un mitragliatore e qualche granata. «Siamo rimasti sì e no in sessanta, a resistere.»
Paul non si reggeva in piedi.
«Dimenticavo di darti le ultime notizie» disse rauco. «Chissà come mai... l’Ufficio Centrale si è difeso strenuamente, abbiamo perso una quantità di uomini, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Grazie a Dio sono arrivati i rinforzi.»
«Quali rinforzi?»
«I cittadini di Londra» rispose Paul. «Si erano stancati di fare da spettatori. O forse sono rimasti male quando gli androidi omicidi hanno cominciato a sparare addosso a loro. Ormai, penso che l’esercito ammonti almeno a cinquemila uomini.»
«Si stanno unendo a noi?» esclamò Helm incredulo. «Davvero si stanno unendo a noi?»
«Questa è l’impressione generale» mormorò Paul. Di colpo si lasciò cadere seduto sui pavimento. «Sono proprio sbadato, John. Avrei dovuto dirti che ho mandato i messaggeri a chiamare i battaglioni della riserva appena ho visto che il Museo era circondato... Immagino che quei dannati androidi omicidi saranno circondati a loro volta, ormai. Divertente, vero?»
«Divertente?» disse il professor Hyggens con una risata a piena gola. «Androide vivo! Lo credo che sia divertente. È la barzelletta più spassosa che abbia mai sentito!»
«Vivain» disse Markham, «cerca di fare qualcosa per Paul, vuoi? Noi dobbiamo dare una mano a resistere finché non saranno qui tutte le riserve.»
In quel momento si udì un fragore di vetri infranti, e una granata arrivò roteando lungo il pavimento lucido della galleria. Arrivò quasi alla base del supporto che sorreggeva la pietra di Rosetta. Per una frazione di secondo tutti fissarono, affascinati, l’ordigno. Poi, mentre gli altri si gettavano a terra, Paul Malloris raccolse le ultime forze e si lanciò. Il suo corpo atterrò sulla granata un istante prima che questa esplodesse. Lo scoppio lo mandò in brandelli, e fece cadere a terra la pietra di Rosetta che si frantumò.
Quasi simultaneamente, un gruppo di androidi omicidi apparve in fondo alla galleria. Markham cominciò a sparare da dove si trovava. Abbatté subito quattro androidi. Quando la sua arma si scaricò, Hyggens e Crispin stavano già sparando all’impazzata sul gruppo ancora numeroso.
Un’altra granata arrivò rotolando verso Helm Crispin. Lui l’afferrò e la rilanciò. Ma in quella un proiettile lo colpi al cervello.
La granata esplose tra gli androidi che l’avevano lanciata, sgombrando momentaneamente la soglia. Markham ebbe intanto il tempo di afferrare tre granate dal grembo del dio egiziano, e di farle rotolare l’una dopo l’altra verso il fondo della galleria. Quando l’eco dell’ultima esplosione si spense, nella pistola c’era un caricatore nuovo.
Ma non apparvero altri androidi, e improvvisamente Markham si accorse che la sparatoria all’esterno era ridotta a pochi colpi isolati. E al frastuono si sostituiva un suono diverso, incredibilmente toccante. Le voci di migliaia di uomini e donne che cantavano. Non riconobbe le parole, ma la melodia gli era nota: l’accompagnamento musicale per La Gerusalemme di Blake. L’ultima volta l’aveva sentita nella Cattedrale di St. Paul, centocinquant’anni prima...
Il canto si avvicinava, pareva riempire tutta la galleria.
Il professor Hyggens ferito a un braccio, si levò in piedi faticosamente. «La voce di un popolo libero» disse, col tono di chi ha constatato l’impossibile. «È la prima volta che la sento... John, ascoltai La voce di un popolo libero!»
Nella luce fioca, Markham cercava Vivain e Marion-A. Trovò Vivain viva e incolume dietro una piccola ma solida sfinge. Marion-A si era messa al riparo dietro un sarcofago e di là aveva usato la pistola con grande maestria.
La Galleria Egiziana parve farsi più luminosa.
«Androide vivo!» esclamò Hyggens, guardando fuori attraverso una vetrata rotta. Il cielo cominciava a farsi grigio. «È quasi l’alba.»
«Stai bene, Vivain?»
«Sì, John... E il povero Paul?»
«Non guardare» disse con fermezza Markham. «Non si può fare più niente per lui. Vieni via.» E mettendole un braccio attorno alle spalle, la portò lontano dall’area devastata.
«John» mormorò Vivain, «avevi ragione. Terribilmente ragione, caro nemico... Non è vero che gli uomini debbano vivere solo per godersi la vita. Non so, ma mi sembra che facendo così noi riusciamo proprio a negarci la felicità che sta nella responsabilità e nel lavoro. Nell’allevare i bambini e nel mantenere vivo un amore con tutte le forze.»
Lui le sfiorò la fronte con le labbra e sorrise. «In fondo sei un autentico spirito vittoriano» disse. «E nello stesso tempo, una rivoluzionaria accesa.»
«John caro, ti amo. Non servo a niente. Non so nemmeno fare le cose più semplici. Non so cucinare, non so nemmeno stirare un vestito. Ma se tu sarai paziente e mi darai un po’ di tempo, John, imparerò a fare tutto. Sarò una vera donna. Se lo vuoi anche tu, io voglio sposarti.» Improvvisamente rise, e la risata suonò piena di gaiezza. «Non toccherebbe a me dirlo, vero? Ma ora voglio proprio avere tutto. Anche figli, figli tuoi. Non ci riuscirò mai, ma tenterò di... assomigliare a Katy. Tenterò con tutte le forze.»
«Ti basta rimanere Vivain» disse lui sottovoce. «La Vivain che tutti e due stiamo cominciando a capire.»
Mentre lui parlava, uomini muniti di lanterne cominciarono ad affluire nella galleria. Uomini vestiti da pirata, da pagliaccio, da re, da banditi, da santi e da selvaggi. Uomini che per la prima volta avevano combattuto per qualche cosa in cui credevano tanto da essere pronti a dare la vita. E che erano vivi. Vivi come non lo erano mai stati prima. Uomini dagli abiti bizzarri e dalle facce sudice. Uomini con la speranza nel cuore e una nuova energia nelle membra.
Il professor Hyggens diede un’occhiata a Markham e a Vivain, poi avanzò verso quegli uomini. Parlò loro tranquillamente, e uscì con loro all’aperto.
Markham aspettò che anche l’ultimo se ne fosse andato. Poi prese Vivain tra le braccia. Senti che per la prima volta stava abbracciando una donna viva dopo centoquarantasei anni.
Un rumore leggero lo fece trasalire. Era Marion-A, che senza scomporsi aveva deposto i resti di Paul Malloris nel sarcofago della principessa egiziana, insieme al corpo sottile e commovente di Shawna.
«Posso parlarti da solo per un minuto, John?»
«Scusami, Marion» Markham si staccò da Vivain. «Mi stavo quasi dimenticando di te.»
Marion-A si avvicinò a Vivain. «Non lo tratterrò a lungo. Mi capisci? Credo che sarete molto felici, Vivain. Ti auguro tutta la felicità possibile... e adesso credo di capire il significato della felicità e della speranza.»
Vivain prese Marion-A per mano. «Anch’io, ora, capisco tante cose che prima non capivo... Addio, Marion. Non dimenticherò mai.» Improvvisamente, posò le labbra sulla mano di Marion-A, poi si rivolse a Markham. «Andrò a vedere cosa sta combinando il professor Hyggens» disse in tono gaio. «Probabilmente dovrò impedirgli di tenere una lezione di filosofia a una folla di uomini morti di fatica.»
Markham la guardò avviarsi con passo fermo giù per la galleria che ora si stava illuminando della luce livida dell’alba.
«Cosa c’è, Marion?» chiese poi, meravigliato.
Marion-A fece uno dei suoi rigidi sorrisi. «Niente di molto importante. Dunque l’Esercito della Liberazione ha vinto, John. Non credevo che fosse possibile. E adesso siamo giunti alla fine.»
«Non c’è fine» disse Markham. «C’è solo un nuovo inizio. L’inizio di un nuovo genere di futuro.»
«Per me no, John. Per me, esiste solo il passato.»
«Cosa vuoi dire?»
«È vero, almeno in parte, quello che ha detto Solomon. Ho perso il mio scopo, anche se per un po’ di tempo ho potuto dividere i tuoi. Non c’è posto per me nel mondo che costruirai, John. Forse non ci sarebbe mai stato un posto per me, in nessun genere di mondo. Mi hai insegnato ad essere qualcosa di più di un androide, ma sarò sempre qualcosa di meno di un essere umano.»
«Sciocchezze!» disse lui, quasi irritato. «Il tuo posto è nel nostro mondo, Marion. Un posto accanto a me. Io...»
«Per favore, John, ascoltami. Tu adesso appartieni a Vivain, e credo che lei ti renderà felice... Ma penso, e la cosa strana è che non posso riuscire a saperlo con certezza, penso di amarti anch’io. A modo mio, s’intende.»
«Marion...»
«Ti prego!» La sua voce era bassa e vibrante. «Ti prego, caro John, non dire niente. Ho imparato a nutrire illusioni. Sono soddisfatta, quindi non chiedo di più.»
«Dimmi almeno perché ci stiamo dicendo questo.»
«Perché ho fatto un patto con me stessa» disse lentamente Marion-A. «Ho promesso che se gli androidi avessero vinto ti avrei ucciso per preservarti dall’Analisi. Ho promesso anche un’altra cosa, nel caso in cui avessero perso.»
«E cioè?»
«Caro John, vorrei che tu facessi una cosa per me. Vorrei che tu mi dicessi: Marion, mia cara, tu hai trovato il significato della felicità. Poi voglio che tu te ne vada, senza voltarti.»
All’improvviso, Markham comprese. Comprese, e capì che non c’era nient’altro da fare.
Per un attimo, strinse Marion tra le braccia. Per un attimo premette le labbra contro il tessuto liscio della fronte di lei. Poi disse: «Marion, mia carissima, se hai scoperto il significato della felicità, mi hai insegnato il significato dell’amore.»
Poi si voltò e si allontanò a passi decisi verso la soglia. Alle sue spalle, risuonò un colpo, e ci fu un improvviso lampo di luce incredibilmente bianca. Poi la Galleria Egiziana ripiombò nel buio.
Alle sue spalle giaceva un mondo di morte e di oscurità, un mondo pieno di tutti i segreti del presente e del passato. Ma fuori c’era l’alba, l’aurora del mondo nuovo. Un mondo di vita e di luce, poggiato come sempre sull’orlo di un imprevedibile futuro.
Mentre andava verso la porta, verso le voci della gente che cantava, verso una giornata che stava per aprirsi in un’aurora radiosa, nella mente gli passò un caleidoscopio di immagini brillanti e senza tempo.
Vide ancora una volta, con la vivida realtà del sogno, Katy, Johnny e Sarah. La piccola rocca di una casetta in Hampstead. Tutto quello che era meraviglioso e perduto. Tutto quello che aveva contribuito a dargli la fede e il coraggio di prendere il suo posto in un mondo che, come sempre, in ogni epoca, non poteva respingere completamente i valori del passato.
Alla fine rivide Marion-A, la rivide come gli era apparsa la prima volta. E capì che anche lei faceva parte di quello stesso vivente passato: che lei e Katy, una strana doppia immagine, gli stavano offrendo il dono della libertà. Un futuro senza ombre...
E all’improvviso, si sentì il cuore leggero. Raggiunse i larghi gradini del Museo, diede un’occhiata al cielo perlaceo, poi vide Vivain che lo aspettava col professor Hyggens.
Il professore stava parlando a un gruppo di uomini, che cominciavano a sentirsi orgogliosi di essere stati chiamati un tempo Fuggiaschi. Markham non poté reprimere un sorriso ironico nell’udire le parole finali del professore.
«Oggi, Londra» disse il professor Hyggens, citando a sproposito e col massimo entusiasmo le parole di un tiranno ormai dimenticato del ventesimo secolo, chiamato Adolfo Hitler. «Oggi Londra... e domani il mondo!»