Quando verso mezzogiorno tornò nel suo appartamento di Knightsbridge, Markham trovò Marion-A in piccolo allarme. Ne scattò fuori appena lui le rivolse la parola. E senza alcuna logica, Markham provò un senso di colpa: sentiva il bisogno di spiegarsi o di giustificarsi. Si meravigliò nell’accorgersi che la sua spiegazione degenerava in una serie di piccole bugie. Rimase anche più meravigliato nel rendersi conto che la spiegazione non era necessaria, che una macchina non sapeva che farsene delle sue scuse, e che quindi non aveva fatto altro che mentire a se stesso.
«Vuoi mangiare qui, John, o preferisci andare fuori?»
Era oscuramente compiaciuto che lei si fosse ricordata di chiamarlo John. Sentiva che questo significava qualcosa. E nello stesso tempo si schernì per quell’eccesso di fantasia.
«Sì, mangerò a casa» rispose. «Ho proprio bisogno di starmene in un posto quieto e tranquillo. Ti rendi conto che ho avuto ben pochi momenti di respiro da quando ho lasciato il Risanatorio?»
Marion-A fece uno dei suoi sorrisi rigidi. «Sarebbe consigliabile prendere la vita con più calma.»
Lui rise. «E tu che ne sai della vita?»
«Soltanto quello che è stato incluso nella mia programmazione, John. So che gli esseri umani non hanno una tolleranza illimitata per la correlazione sensi-elementi. Ragione per cui non è consigliabile sperimentare nuovi stimoli a grande rapidità per lunghi periodi.»
«Una dichiarazione clinica e oggettiva» disse Markham. «Cosa accadrà se ingoierò i nuovi stimoli a grandi bocconi?»
Pensava che la metafora l’avrebbe lasciata perplessa, ma evidentemente i programmi di Marion-A comprendevano la valutazione e l’estensione della metafora.
«Saranno mal digeriti, e vi sentirete male» rispose calmissima.
Lui meditò sulla risposta. C’era del buon senso, senza dubbio. «Oggi pomeriggio» disse «farò un bel sonno. Stasera, mi piacerebbe fare un giro per Londra. Potremmo addirittura concederci il lusso di pranzare fuori.»
«Desideri che ti accompagni, John?»
«Se ti fa piacere... ma può una cosa far piacere a un androide, Marion?»
Lei sorrise di nuovo. «Espletare le mie funzioni produce un equilibrio di potenziale che potrebbe essere messo in relazione con la sensazione biologica di piacere.»
«Ora so che sei soltanto una macchina» disse lui, in tono irritato.
Marion-A cominciò ad apparecchiare per il pranzo. «Volete che vi faccia compagnia durante il pasto, signore?»
Si voltò a guardarla, incuriosito. «Mi sono fatto una teoria, Marion. Tu dici John quando mi approvi, e mi chiami signore quando mi disapprovi. Ti sembra una buona teoria, questa?»
Lei lo guardò, inespressiva. «Non posso offrire un’opinione valida... John. Non sono programmata per approvare o disapprovare. Ma sono consapevole della incompatibilità tra i due modi di rivolgermi, specialmente da quando mi avete chiesto di chiamarvi John in privato. Forse, dato che la richiesta era in conflitto con la mia programmazione base, questo ha prodotto una leggera instabilità.»
«E forse» disse Markham «gli androidi sono più sensibili di quanto credano. Non occorre che mangi anche tu, Marion. Però mi piacerebbe se restassi a chiacchierare con me.»
Durante il pasto, lei gli si sedette di fronte, osservandolo tutta seria mentre lui mangiava. Markham le parlava del più e del meno, informandosi soprattutto sulla vita sociale moderna. Marion-A rispondeva con precisione, ma senza aggiungere niente di sua spontanea volontà. Né faceva in modo da incoraggiare la conversazione facendo domande a sua volta.
Markham si versò una seconda tazza di caffè e prese la sigaretta che Marion-A gli porgeva in silenzio.
«Vorrei sviluppare in te il senso della curiosità» le disse bruscamente. «Mi piacerebbe che tu fossi un po’ più indipendente.»
«Penso» rispose inaspettatamente Marion-A «che tu voglia rendermi più umana. Non è una cosa ben fatta, John.»
«Hai la capacità di valutare una situazione e prendere decisioni. Puoi mettere in relazione i fatti col tempo e immagazzinare notizie. Perché non dovresti poter fare anche il resto?»
«Perché non rientra nei miei programmi.»
Markham rise. «Non è nel programma di un bambino umano capire le formule atomiche o la geometria non-Euclidea. Ma i bambini crescono e lo fanno.»
«Io non posso crescere.»
«Fisicamente no, e forse nemmeno spiritualmente. Ma intellettualmente, sì.»
Lei sorrise. «Mi pare che tu stia sopravvalutando le funzioni degli androidi, John.»
«Un corno» disse lui, improvvisamente rabbuiato. «Scommetto quello che vuoi che l’errore più grande dell’umanità sta appunto nel sottovalutare gli androidi.»
«Perché dici questo?»
«Ah!» esclamò lui, trionfante. «Una domanda basata sulla curiosità! O è qualcosa di più?»
Marion-A si alzò. «Sei stanco» disse. «È tempo che tu vada a riposare.»
«Nonché l’evasione» disse lui, divertito. «Voi androidi potete tenere l’umanità appesa a un filo, Marion. Ma noi abbiamo ancora due armi segrete. L’intuizione e l’astuzia.»
Marion-A rise. Era la prima volta che lui la sentiva ridere. Il suono della risata era gradevole e incredibilmente personale. Ne fu sorpreso.
«Caro John» disse lei, con voce straordinariamente espressiva «forse anche l’intuizione e l’astuzia hanno i loro equivalenti meccanici.»
«Ora sono davvero impressionato!» esclamò lui.
«Dormi» consigliò Marion-A con un improvviso ritorno di serietà. «Il sonno cancellerà i tuoi timori... Quando vuoi che ti svegli, John?»
«Quando la stella della sera ornerà come una gemma il seno calmo del cielo.»
Marion-A sorrise. «Allora ti sveglierò alle otto» disse, poi andò nella stanza da letto, chiuse le tende e spostò l’interruttore delle luci nascoste sul chiarore azzurrognolo e smorzato.
Markham rimase seduto al suo posto, meditando sulla breve incursione di Marion-A nel campo dell’ironia. Aveva l’assurda sensazione che l’androide fosse molto su di morale. Ma come diavolo poteva un androide essere su di morale? Aveva inoltre la sensazione assurda che questo dipendesse dal fatto che lui aveva detto di volerla portare fuori la sera.