Capitolo 14

Chiusi la telefonata con Morelli e mi feci dare l’indirizzo da Mary Maggie. Ora avevo un problema. Non avevo nessuno che venisse con me. Era sabato sera e Lula aveva un appuntamento con un uomo. Ranger sarebbe venuto, ma non volevo disturbarlo a così poca distanza dalla sparatoria. E poi c’era sempre un prezzo da pagare. Mi vennero le palpitazioni solo a pensarci. Quando gli stavo vicino e gli ormoni cominciavano a lavorare lo desideravo da impazzire. Quando eravamo distanti, la possibilità di andare a letto con Ranger mi spaventava a morte.

Se avessi aspettato fino a domani sarei rimasta un passo indietro rispetto alla polizia. Rimaneva una sola persona, ma il pensiero di lavorare a un caso insieme a lui mi faceva venire i sudori freddi. Quella persona era Vinnie. Quando aveva aperto l’agenzia aveva effettuato le catture tutte da solo. Con il passare del tempo, l’attività era cresciuta e così aveva assunto altro personale e lui aveva cominciato ad occuparsi dell’amministrazione. Ogni tanto fa anche lui una cattura, ma non è quello che preferisce. Vinnie è un bravo garante, ma gira voce che come cacciatore di taglie non sia la persona più corretta del mondo.

Guardai l’orologio. Dovevo prendere una decisione. Non volevo rimandare troppo e dover tirare Vinnie giù dal letto.

Feci un bel respiro e composi il numero.

«Ho una pista su DeChooch» dissi a Vinnie. «Vorrei verificarla ma non ho nessuno che mi faccia da appoggio.»

«Ci vediamo in ufficio tra mezz’ora.»

Parcheggiai la moto sul retro, vicino alla Cadillac blu notte di Vinnie. Dentro, le luci erano accese e la porta sul retro era aperta. Vinnie si stava fissando una pistola alla gamba quando entrai. Come si addice a un buon cacciatore di taglie era vestito di nero, con tanto di giubbotto in kevlar. Io, d’altro canto, avevo un paio di jeans, una T-shirt verde oliva con una vecchia camicia di flanella blu navy indossata a mo’ di giacca. La pistola era a casa, nel barattolo dei biscotti. Speravo che Vinnie non mi chiedesse della pistola. La odio, quella pistola.

Mi lanciò un giubbotto e me lo infilai.

«Giuro che non capisco come tu riesca a portare a termine le tue catture» disse Vinnie guardandomi.

«Questione di fortuna» gli risposi.

Gli diedi l’indirizzo e lo seguii in macchina. Non avevo mai lavorato con Vinnie prima e provai una strana sensazione. Il nostro rapporto è sempre stato antagonistico. Sappiamo troppe cose l’uno dell’altra per essere amici. E sappiamo anche che, all’occorrenza, saremmo entrambi tanto spietati da usare ciò di cui siamo a conoscenza per nuocere all’altro. Okay, la verità è che non sono così spietata. Ma so come fare una minaccia efficace. Forse lo stesso vale per Vinnie.

L’abitazione di Soba si trovava in un quartiere che risaliva probabilmente agli anni Settanta. Ampi spazi e alberi alti. Le case erano classiche costruzioni con ingresso su due livelli, garage per due macchine e giardini sul retro ben recintati per tenere alla larga cani e bambini.

In gran parte delle case le luci erano accese, e immaginai gli adulti che dormivano davanti alle TV mentre i bambini erano nelle loro camere a fare i compiti o a navigare in Internet.

Vinnie rimase col motore acceso davanti a casa di Soba.

«Sei sicura che sia questo il posto?» mi chiese.

«Mary Maggie ha detto che ci è venuta per una festa e che corrispondeva alla descrizione che ha fornito la nonna.»

«Oh cavolo» disse Vinnie «sto per fare irruzione in una casa su indicazione di una lottatrice di wrestling. E neanche una casa qualsiasi. La casa di Pinwheel Soba.» Fece un altro mezzo giro dell’isolato e parcheggiò. Scendemmo dalla macchina e tornammo a piedi verso la casa. Rimanemmo un momento sul marciapiede a guardare le case vicine, in ascolto di eventuali rumori che potessero indicare la presenza di qualcuno all’esterno.

«Le finestrelle del piano inferiore hanno le persiane nere» dissi a Vinnie. «Sono serrate proprio come le ha descritte la nonna.»

«Okay. Ora entriamo e queste sono le possibilità. Potremmo aver sbagliato edificio, nel qual caso siamo nei guai per aver spaventato a morte qualche povera famiglia innocente. Oppure abbiamo la casa giusta e quel pazzo di DeChooch ci spara.»

«Grazie per avermelo fatto presente. Mi sento molto meglio ora.»

«Hai un piano?» domandò Vinnie.

«Sì. Che ne dici se tu vai a suonare il campanello e a vedere se c’è qualcuno in casa? Io ti aspetto qui e ti faccio da appoggio.»

«Ho un’idea migliore. Perché non ti pieghi e ti faccio vedere io il mio piano.»

«Non ci sono luci accese in casa» dissi. «Credo che non ci sia nessuno.»

«Magari stanno dormendo.»

«Magari sono morti.»

«Quella sì che sarebbe una bella cosa» disse Vinnie. «I morti non sparano.»

Mi incamminai sul prato. «Vediamo se ci sono luci accese sul retro.»

«Ricordami di non pagare più garanzie per gente anziana. Sono inaffidabili. Non ragionano normalmente. Basta che si dimentichino di prendere un paio di pasticche e te li ritrovi che nascondono cadaveri nel capanno degli attrezzi e rapiscono vecchie signore.»

«Niente luci accese anche sul retro» dissi. «Che facciamo? Come te la cavi con le violazioni di domicilio con scasso?»

Vinnie tirò fuori dalla tasca due paia di guanti di gomma usa e getta e ce li infilammo.

«Ho una discreta esperienza in materia» disse. Andò alla porta sul retro e provò a tirare la maniglia. Chiusa a chiave. Si girò per guardarmi e mi sorrise. «Un gioco da ragazzi.»

«Sei capace di manomettere la serratura?»

«No, ma posso infilare la mano nel buco dove prima c’era un pannello di vetro.»

Mi avvicinai a Vinnie. Aveva ragione: uno dei vetri sulla porta era stato rimosso.

«Forse DeChooch aveva perso la chiave» disse Vinnie.

Già. Come se ne avesse mai avuta una. Buona idea quella di usare la casa libera di Soba.

Vinnie girò il pomello della porta dall’interno e la aprì. «Inizia lo spettacolo» disse sottovoce.

Avevo in mano la torcia e il cuore mi batteva più veloce del solito. Non ancora all’impazzata, ma andava decisamente a un bel ritmo.

Perlustrammo velocemente il piano superiore facendo luce con la torcia più piccola e decidemmo che DeChooch non era passato di lì. La cucina non sembrava essere stata usata, il frigorifero era spento ed era stato lasciato aperto. Le camere da letto, il soggiorno e la sala da pranzo erano in perfetto ordine, ogni cuscino al suo posto, i vasi di cristallo sui tavoli in attesa di raccogliere mazzi di fiori. Pinwheel Soba non si faceva mancare proprio nulla.

Considerate le persiane ben chiuse all’esterno e le pesanti tende all’interno decidemmo di accendere le luci al piano di sotto. Era esattamente come l’avevano descritto la nonna e Maggie. Sembrava di essere a casa di Tarzan. Mobili tappezzati con tessuti leopardati e zebrati. E poi, tanto per confondere le cose, carta da parati con raffigurati uccelli che vivono solo in America meridionale e centrale.

Il frigorifero era spento e vuoto, ma dentro era ancora fresco. I pensili erano vuoti. I cassetti anche. La spugna nello scolapiatti era ancora umida.

«Ci è sfuggito per poco» disse Vinnie. «Se ne è andato e direi che non ha intenzione di tornare.»

Spegnemmo le luci e stavamo per andarcene quando sentimmo il rumore della porta automatica del garage che si apriva. Eravamo nella parte abitabile del seminterrato. Tra noi e il garage c’erano un breve corridoio e un ingresso con una rampa di scale che saliva al piano di sopra. La porta che conduceva al garage era chiusa. Da sotto la porta chiusa filtrò una striscia di luce.

«Oh merda!» sussurrò Vinnie.

La porta che dava sul garage si aprì ed ecco controluce la sagoma di DeChooch. Entrò nell’ingresso e accese le luci alla base delle scale e guardò dritto verso di noi. Rimanemmo immobili come cervi abbagliati dalle luci di un’auto. Passò qualche secondo prima che spegnesse le luci e si mettesse a correre su per le scale. Probabilmente voleva arrivare alla porta principale al primo piano, invece andò oltre ed entrò in cucina, il tutto piuttosto in fretta per essere un anziano.

Io e Vinnie ci buttammo all’inseguimento su per le scale, spintonandoci nel buio. Arrivammo in cima e alla mia destra vidi il lampo di un colpo d’arma da fuoco e bang, DeChooch sparò alla cieca contro di noi. Lanciai un grido mentre mi buttavo a terra e cercavo di mettermi al riparo.

«Sono il tuo garante» gridò Vinnie. «Molla la pistola, DeChooch, brutto vecchio rincoglionito!»

DeChooch rispose con un altro colpo. Sentii il rumore di qualcosa che si rompeva e altre imprecazioni uscirono dalla bocca di Vinnie. Poi Vinnie aprì il fuoco.

Ero dietro al divano con le mani sulla testa. Era come se Vinnie e DeChooch stessero giocando al tiro al bersaglio al buio. Vinnie aveva una Glock da quattordici colpi. Non so che arma avesse DeChooch ma tra tutti e due sembrava che fosse in atto un mitragliamento. Ci fu una pausa e poi sentii Vinnie buttare in terra un caricatore e inserirne un altro nella pistola. Almeno mi sembrò che fosse Vinnie. Difficile a dirsi, considerato che ero ancora accucciata dietro al divano.

Il silenzio sembrava ancora più assordante degli spari. Misi fuori la testa e socchiusi gli occhi in quella oscurità fumosa. «Ci sei?»

«Ho perso DeChooch» sussurrò Vinnie.

«Forse l’hai ucciso.»

«Un momento. Cos’è questo rumore?»

Era la porta automatica del garage che si apriva.

«Cazzo!» urlò Vinnie. Corse verso le scale, nel buio scivolò sul primo gradino e cadde col sedere sul pianerottolo. Si tirò faticosamente in piedi, spalancò la porta principale e puntò la pistola. Sentii uno stridore di ruote e Vinnie chiuse la porta sbattendola. «Maledizione, merda, cazzo!» esclamò Vinnie, attraversando a passo pesante l’ingresso e proseguendo di sopra. «Non posso credere che mi sia sfuggito! Mi è passato davanti mentre stavo ricaricando la pistola. Cazzo, cazzo, cazzo!»

Considerato l’accanimento con cui aveva pronunciato quei cazzo, temevo che gli scoppiasse una vena in testa.

Accese una luce e ci guardammo intorno. Lampade in frantumi, pareti e soffitti sforacchiati, tappezzeria stracciata dai fori delle pallottole.

«Porca miseria» disse Vinnie. «Sembra ci sia stata una guerra.»

Suono di sirene in lontananza. La polizia.

«Me ne vado» disse Vinnie.

«Non so se è una buona idea fuggire dalla polizia.»

«Non sto fuggendo dalla polizia» chiarì Vinnie facendo le scale due alla volta. «Sto fuggendo da Pinwheel Soba. Credo che sarebbe un’ottima idea se questa faccenda rimanesse tra noi due.»

Aveva ragione.

Ci fiondammo verso la parte più buia del cortile e attraversammo la proprietà dietro la casa di Soba. C’erano luci che si accendevano e spegnevano in tutte le verande dell’isolato. Cani che abbaiavano. E io e Vinnie che ansimavamo, correndo da un cespuglio all’altro. Quando ormai dalla macchina ci separava solo un giardino, uscimmo dall’ombra e prendemmo a camminare con calma. Tutta l’attività si svolgeva a metà isolato, davanti a casa di Soba.

«Ecco perché non si parcheggia mai davanti alla casa dove si deve fare irruzione» disse Vinnie.

Una cosa da ricordare.

Salimmo in macchina. Vinnie girò lentamente la chiave dell’accensione e ce ne andammo da bravi e onesti cittadini. Arrivammo all’angolo e Vinnie guardò verso la casa di Soba.

«Gesù» disse «mi è venuto duro.»


Il sole faceva capolino da dietro le tende della camera da letto e stavo giusto pensando di alzarmi quando qualcuno bussò alla porta. Mi ci volle un minuto per trovare i vestiti, e nel frattempo i colpi alla porta si trasformarono in urla.

«Ehi, Steph, ci sei? Siamo il Luna e Dougie.»

Andai ad aprirgli e le loro facce contente e piene di beata vitalità mi fecero venire in mente il muso di Bob.

«Ti abbiamo portato delle ciambelle» disse Dougie porgendomi una grossa busta bianca. «E poi abbiamo qualcosa da dirti.»

«Già» disse il Luna «aspetta di sentire questa. È una vera forza. Io e Dougie stavamo parlando e pensiamo di aver capito cosa è successo al cuore.»

Appoggiai la busta sul piano della cucina e prendemmo una ciambella ciascuno.

«È stato il cane» disse il Luna. «Il cane della signora Belski, Spotty, si è mangiato il cuore di Louie.»

Rimasi paralizzata con mezza ciambella in bocca.

«Vedi, DeChooch aveva fatto un accordo con il vecchio Dougie perché portasse il cuore a Richmond» disse il Luna. «Solo che DeChooch non disse niente a Dougie tranne che il frigo doveva essere consegnato alla signora D. Così il vecchio Dougie lasciò il frigo sul sedile anteriore della Batmobile, con l’intenzione di partire presto l’indomani. L’unico problema fu che verso mezzanotte a me e al mio compagno d’appartamento Huey venne voglia di un po’ di gelato, il gusto speciale all’amarena di Ben Jerry, e così prendemmo in prestito la Batmobile per andarlo a cercare. Visto che la Batmobile ha solo due posti, lasciai il frigo nella veranda sul retro.»

Dougie stava ghignando. «È una storia assolutamente eccezionale» disse.

«A ogni modo, io e Huey riconsegnammo la macchina prestissimo il mattino dopo perché Huey doveva essere al lavoro allo Shoppers Warehouse. Accompagnai Huey e quando parcheggiai l’auto nel cortile di Dougie vidi che il frigo era semiaperto e Spotty stava masticando qualcosa. Non gli diedi molto peso. Spotty sta sempre a frugare nella spazzatura. Così rimisi il frigo in macchina, me ne andai a casa, e guardai i programmi TV del mattino. A proposito, Katie Couric è proprio carina.»

«Poi io portai il frigo vuoto a Richmond» disse Dougie.

«Spotty ha mangiato il cuore di Louie D» dissi.

«Proprio così» confermò il Luna. Finì la sua ciambella e si pulì le mani sulla camicia. «Be’, dobbiamo andare. Abbiamo delle cose da fare.»

«Grazie per le ciambelle.»

«Ehi, figurati.»

Rimasi in cucina per dieci minuti, cercando di assimilare quelle nuove informazioni e domandandomi se avessero un significato nell’ordine naturale delle cose. È questo che succede quando mandi irreparabilmente all’aria il tuo karma? Un cane ti mangia il cuore? Non riuscii a giungere a una conclusione, quindi optai per una doccia, nel caso potesse aiutarmi.

Chiusi a chiave la porta d’ingresso e mi trascinai verso il bagno. Ero arrivata a malapena in soggiorno quando ci fu un’altra serie di colpi alla porta e prima che potessi arrivarci, la porta fu aperta con una tale forza da far saltare la catenella di sicurezza dalla sua sede. Seguì una raffica di imprecazioni che riconobbi subito come uscite dalla bocca di Morelli.

«Buongiorno» dissi, sbirciando la catenella che penzolava ormai inutilmente.

«Non è un buon giorno neanche con il massimo sforzo di immaginazione» disse Joe. I suoi occhi erano scuri e semichiusi e la bocca serrata. «Non sei andata a casa di Pinwheel Soba ieri sera, vero?»

«No» dissi, scuotendo la testa. «Io no.»

«Bene. Come pensavo… perché qualche imbecille ci è andato e ha combinato un macello. L’ha distrutta a suon di pallottole. In realtà si sospetta che due persone si siano sfidate lì dentro nella sparatoria del secolo. Sapevo che non potevi essere così fottutamente stupida.»

«Hai indovinato.»

«Gesù Cristo, Stephanie» urlò «cosa avevi in testa? Che accidenti è successo?»

«Non sono stata io, ricordi?»

«Oh già. Dimenticavo. Be’, allora cosa pensi che stesse facendo quel qualcun altro a casa di Soba?»

«Immagino stessero cercando DeChooch. E poi magari l’hanno trovato ed è scoppiata una discussione animata.»

«E DeChooch è scappato?»

«Direi di sì.»

«Per fortuna non sono state rilevate altre impronte oltre a quelle di DeChooch, perché altrimenti chiunque sia stato tanto fottutamente stupido da sparare a destra e a manca a casa di Soba non sarebbe nei guai solo con la polizia, ma dovrebbe anche rendere conto a Soba.»

Il fatto che continuasse a urlarmi addosso cominciava a darmi sui nervi. «Benone» dissi con la mia voce da sindrome premestruale. «Nient’altro?»

«Sì, c’è dell’altro. Ho incontrato Dougie e il Luna giù nel parcheggio. Mi hanno detto che tu e Ranger li avete salvati.»

«E allora?»

«A Richmond.»

«E allora?»

«E Ranger è rimasto ferito?»

«Una ferita superficiale.»

Morelli serrò ancora di più le labbra. «Gesù.»

«Avevo paura che si venisse a sapere del cuore di maiale e che potessero andarci di mezzo il Luna e Dougie.»

«Davvero encomiabile, ma non mi fa sentire meglio. Cristo, mi sta venendo l’ulcera. Per colpa tua bevo bottiglie intere di Maalox. Odio tutto questo. Odio dover passare le giornate a chiedermi in quale assurda situazione ti trovi e chi sta cercando di spararti.»

«Quanto sei ipocrita. Sei un poliziotto.»

«A me non spara mai nessuno. Le uniche volte che devo preoccuparmi di non rimediare una pallottola sono quando sto con te.»

«Che cosa mi stai dicendo?»

«Ti sto dicendo che devi scegliere tra me e il lavoro.»

«Be’, indovina un po’, non ho intenzione di trascorrere il resto della mia vita con uno che mi dà degli ultimatum.»

«Bene.»

«Bene.»

E se ne andò sbattendo la porta. Mi piace pensare a me come a una persona stabile, ma questa volta era troppo. Piansi fino a non avere più lacrime, poi mangiai tre ciambelle e feci una doccia. Mi asciugai ma mi sentivo ancora a pezzi, così decisi di ossigenarmi i capelli. Cambiare look fa bene, non è vero?


«Li voglio biondi» dissi al signor Arnold, l’unico parrucchiere che ero riuscita a trovare aperto di domenica. «Biondo platino. Voglio assomigliare a Marilyn.»

«Cara» disse Arnold «con questi capelli non assomiglierai a Marilyn. Assomiglierai ad Art Garfunkel.»

«Faccia come le ho detto.»


Il signor Morganstern era nell’atrio quando tornai. «Wow» fece «assomigli a… come si chiama?»

«Garfunkel?»

«No. Quella cantante con le tette a forma di cono gelato.»

«Madonna.»

«Sì, proprio lei.»

Entrai in casa e andai dritta al bagno per guardarmi i capelli allo specchio. Mi piacevano. Erano diversi. Da puttanella, ma di classe.

Sul piano della cucina si era accumulata una pila di posta che avevo lasciato inevasa. Presi una birra per festeggiare la mia nuova capigliatura e cominciai a passare in rassegna la posta. Bollette, bollette, nient’altro che bollette. Sfogliai il libretto degli assegni. Non avevo abbastanza soldi. Dovevo assolutamente catturare DeChooch.

La mia idea era che anche DeChooch avesse un problema di soldi. Niente più percentuali sulle scommesse. Niente ricavi dall’affare delle sigarette. Poco o niente dallo Snake Pit. E ora non aveva più né una macchina né un posto dove vivere. Mi correggo, non aveva più la Cadillac. Ma se ne era andato con un’altra auto. Non ero riuscita a vedere di che tipo fosse.

C’erano quattro messaggi nella mia segreteria. Non li avevo controllati perché temevo che fossero di Joe. Suppongo che la verità sia che nessuno dei due è pronto per il matrimonio. E che invece di affrontare la vera questione stiamo cercando il modo di sabotare la nostra relazione. Non parliamo di cose importanti come i figli o il nostro lavoro. Rimaniamo sulle nostre posizioni e ci urliamo contro.

Forse non è il momento giusto per sposarci. Non voglio fare la cacciatrice di taglie per il resto della mia vita, ma di sicuro adesso non voglio fare la casalinga. E poi non voglio proprio sposarmi con uno che mi dà degli ultimatum.

E forse Joe deve pensare bene a che tipo di moglie vuole. È cresciuto in una tradizionale famiglia italiana con una madre casalinga e un padre autoritario. Se vuole una moglie di quello stampo, non sono fatta per lui. Chissà, forse un giorno potrei fare la casalinga, la madre di famiglia, ma proverò sempre a volare dal tetto del garage. Sono fatta così.

Allora tiriamo fuori un po’ di coraggio, bionda, mi dissi. Questa è la nuova Stephanie, riveduta e corretta. Ascolta i messaggi in segreteria. Sii temeraria.

Riavvolsi il primo e lo ascoltai: era di mia madre.

«Stephanie? Sono la mamma. Ho un bell’arrosto per cena. E per dolce ci sono i pasticcini con sopra gli zuccherini. Alle ragazze piacciono i pasticcini.»

Nel secondo messaggio, la boutique di Tina mi avvisava nuovamente che l’abito da sposa era arrivato.

Il terzo era di Ranger che mi ragguagliava su Sophia e Christina. Christina si era presentata in ospedale con tutte le ossa della mano rotte. La sorella gliel’aveva spaccata con un batticarne per liberarla dalla manetta. Non riuscendo a sopportare il dolore, Christina era uscita allo scoperto mentre Sophia era ancora latitante.

Il quarto messaggio era di Vinnie. Le accuse contro Melvin Baylor erano state ritirate e Melvin si era comprato un biglietto di sola andata per l’Arizona. La sua ex moglie aveva assistito all’attacco di follia che Melvin aveva sfogato contro la sua macchina e, a quanto pare, si era spaventata. Se Melvin era capace di riservare quel trattamento alla sua macchina, chi poteva prevedere cosa avrebbe fatto in seguito? Così la donna aveva costretto la madre a ritirare la denuncia e si era accordata con Melvin per una liquidazione in contanti. Qualche volta dare di matto conviene.

Quelli erano i messaggi, dunque. Nessuno di Morelli. Curioso come funziona la mente delle donne. Adesso ero depressa perché Joe non aveva chiamato.

Dissi a mia madre che sarei andata a cena. E poi telefonai alla boutique per dire a Tina che avevo deciso di non prendere l’abito. Dopo aver riagganciato mi sentii più leggera di dieci chili. Il Luna e Dougie stavano bene. La nonna stava bene. Io ero bionda e non avevo un abito da sposa. Lasciando da parte i miei problemi con Morelli, non potevo chiedere di meglio alla vita.

Feci un pisolino prima di partire per casa dei miei. Quando mi svegliai i capelli avevano preso una piega strana e così feci la doccia. Dopo essermi lavata e asciugata i capelli, assomigliavo ad Art Garfunkel. Anzi, era come se i capelli mi fossero esplosi.

«Non m’importa» dissi alla mia immagine riflessa allo specchio. «Sono la nuova Stephanie, riveduta e corretta.» Era una bugia, ovviamente. Alle ragazze del New Jersey importa eccome.

Indossai un paio di jeans neri, stivali neri e una maglia rossa a coste a maniche corte. Andai in soggiorno e trovai Benny e Ziggy comodamente seduti sul divano.

«Abbiamo sentito il rumore della doccia aperta e non volevamo disturbarti» disse Benny.

«Già» fece Ziggy «e poi dovresti proprio rimettere a posto la catenella di sicurezza. Non si sa mai chi ti può entrare in casa.»

«Siamo appena tornati dal funerale di Louie D e abbiamo saputo tutto di come hai trovato il finocchietto e il suo amico. È stato terribile quello che ha fatto Sophia.»

«Era pazza anche quando Louie era ancora vivo» disse Ziggy. «Meglio non farle mai un torto. Ha qualcosa che non va in testa.»

«E dovresti porgere a Ranger i nostri migliori auguri. Speriamo che non abbia niente di grave al braccio.»

«Louie D è stato seppellito con il suo cuore?»

«Ronald l’ha portato immediatamente all’impresario delle pompe funebri, l’hanno messo a posto e poi hanno ricucito tutto come se non fosse successo niente. Poi Ronald ha seguito il carro funebre fino a Trenton per il funerale di oggi.»

«Nessuna traccia di Sophia?»

«C’erano dei fiori sulla tomba, ma non è venuta alla cerimonia.» Scosse la testa. «Un sacco di agenti di polizia in servizio. Un peccato per la privacy.»

«Immagino che tu stia ancora cercando Choochy» disse Benny. «Dovresti stare attenta con lui. È un po’…» Benny fece un movimento circolare con l’indice sulla testa, a significare una rotella fuori posto. «Non come Sophia, però. Chooch è una brava persona in fondo.»

«Colpa dell’ictus e dello stress» disse Ziggy. «Lo stress non va sottovalutato. Se hai bisogno di aiuto con Choochy dovresti chiamarci. Magari potremmo fare qualcosa.»

Benny annuì. Dovevo chiamarli.

«Mi piacciono i capelli» disse Ziggy. «Ti sei fatta la permanente, vero?»

Si alzarono e Benny mi diede una scatola. «Ti ho portato del croccante. Estelle l’ha portato dalla Virginia.»

«Qui da noi non si trova croccante buono come quello che hanno in Virginia» disse Ziggy.

Li ringraziai per il croccante e chiusi la porta alle loro spalle. Lasciai passare cinque minuti in modo che si allontanassero dall’edificio, poi presi la giacca di pelle nera, la borsa e dopo aver chiuso tutto me ne andai.


Mia madre guardò dietro di me quando venne ad aprire la porta. «Dov’è Joe? Dov’è la tua macchina?»

«L’ho scambiata con la moto.»

«La moto sul marciapiede?»

Feci sì con la testa.

«Sembra una di quelle che usano gli Hell’s Angels.»

«È una Harley.»

Fu allora che se ne accorse. Dei capelli. Spalancò gli occhi e rimase a bocca aperta. «I capelli» sussurrò.

«Ho pensato di provare qualcosa di nuovo.»

«Mio Dio, assomigli a…»

«Madonna?»

«Art Garfunkel.»

Lasciai casco, giacca e borsa nel guardaroba dell’ingresso e presi il mio posto a tavola.

«Sei arrivata giusto in tempo» disse la nonna. «Perdiana! Guardate che roba. Assomigli a quel cantante.»

«Lo so» replicai. «Lo so.»

«Dov’è Joseph?» chiese mia madre. «Credevo venisse a cena.»

«Abbiamo… rotto.»

Tutti smisero di mangiare, eccetto mio padre. Anzi, ne approfittò per servirsi un’altra porzione di patate.

«È impossibile» disse mia madre. «Hai un abito da sposa.»

«L’ho disdetto.»

«Joseph lo sa?»

«Sì.» Cercai di comportarmi con nonchalance, concentrata sul piatto, e chiesi a mia sorella di passarmi i fagiolini. Posso farcela, mi dissi. Sono bionda. Posso fare qualsiasi cosa.

«Sono i capelli, vero?» chiese mia madre. «Ha annullato il matrimonio per colpa dei capelli.»

«Sono stata io ad annullare il matrimonio. E non mi va di parlarne.»

Suonò il campanello e Valerie fece un salto. «È per me. Ho un appuntamento.»

«Un appuntamento!» disse mia madre. «È meraviglioso. Sei qui da così poco e hai già un appuntamento.»

Mentalmente alzai gli occhi al cielo. Mia sorella è un’incapace. Ecco cosa succede a fare sempre la brava ragazza. Non si impara mai l’importanza della menzogna e dell’inganno. Non ho mai portato a casa i ragazzi con cui uscivo. Ci si incontra ai centri commerciali così eviti di far venire un infarto ai tuoi quando il ragazzo di turno si presenta con tatuaggi e piercing sulla lingua. O, nel caso specifico, è una lesbica.

«Questa è Janeane» disse Valerie, presentandoci una donna di bassa statura con i capelli scuri. «Ci siamo conosciute quando sono andata a fare il colloquio in banca. Non ho avuto il lavoro ma Janeane mi ha chiesto se volevamo uscire insieme.»

«È una donna» disse mia madre.

«Sì, siamo lesbiche» disse Valerie.

Mia madre perse i sensi. Bum. Stesa sul pavimento.

Tutti si alzarono di scatto per correre da mia madre.

Aprì gli occhi ma non mosse neanche un muscolo per almeno trenta secondi. Poi urlò: «Una lesbica! Madre di Dio. Frank, tua figlia è lesbica!».

Mio padre guardò Valerie di traverso. «Quella che porti è la mia cravatta?»

«Hai un gran bel coraggio» disse mia madre, ancora supina a terra. «Tutti questi anni, in cui sei stata normale e con un marito, hai abitato in California. E adesso che sei qui diventi lesbica. Non basta che tua sorella vada in giro a sparare alle persone? Che razza di famiglia è questa?»

«Non sparo mai a nessuno» dissi.

«Scommetto che ci sono un sacco di lati positivi nell’essere lesbiche» disse la nonna. «Se sposi una lesbica non devi mai preoccuparti che qualcuno lasci alzato il sedile del cesso.»

Prendendola sottobraccio, io da una parte e Valerie dall’altra, aiutammo la mamma a rialzarsi.

«Ecco fatto» disse Valerie, tutta contenta. «Va meglio?»

«Meglio?» fece mia madre. «Meglio?»

«Be’, ora noi andiamo» disse Valerie, indietreggiando verso l’ingresso. «Non aspettatemi alzati. Ho la chiave.»

Mia madre si scusò, andò in cucina e spaccò un altro piatto.

«Non sapevo che spaccasse i piatti così» dissi alla nonna.

«Stasera metto sotto chiave tutti i coltelli, non si sa mai» rispose lei.

Seguii mia madre in cucina e la aiutai a raccogliere i pezzi.

«Mi è scivolato di mano» disse.

«Proprio come pensavo.»

A casa dei miei sembra che non cambi mai niente. La cucina sembra la stessa di quando ero piccola. Le pareti sono state riverniciate e ci sono delle tende nuove. Lo scorso anno è stato rinnovato il linoleum. Gli elettrodomestici vengono sostituiti con degli altri man mano che si rompono e non si possono più riparare. Ma le novità finiscono qui. Mia madre cuoce le patate nella stessa casseruola da trentacinque anni. Anche gli odori sono gli stessi. Cavolo, salsa di mele, budino al cioccolato, arrosto di agnello. E anche le abitudini sono le stesse. Come quella di sedersi al tavolo piccolo in cucina per pranzo.

Io e Valerie facevamo i compiti al tavolo della cucina sotto l’occhio vigile di mia madre. Sembra che il tempo si sia fermato. Entro in cucina e mi viene voglia di sandwich tagliati a triangolo proprio come quando ero bambina.

«Non ti stanchi mai della tua vita?» chiesi a mia madre. «Non c’è mai un momento in cui ti andrebbe di fare qualcosa di diverso?»

«Come per esempio saltare in macchina e continuare a guidare finché non arrivo all’Oceano Pacifico? Radere al suolo la cucina? Divorziare da tuo padre e sposare Tom Jones? No, non penso mai a queste cose.» Tolse il coperchio dal piatto del dolce e guardò i suoi pasticcini. Metà al cioccolato con glassa bianca e metà alla vaniglia con glassa al cioccolato. Zuccherini di tutti i colori sulla glassa bianca. Bisbigliò qualcosa che al mio orecchio arrivò come pasticcini del cazzo.

«Come?» chiesi. «Non ho sentito.»

«Non ho detto niente. Vai a sederti.»

«Speravo che potessi accompagnarmi alle pompe funebri questa sera» mi disse la nonna. «C’è la veglia per Rusty Kuharchek da Stiva. Sono andata a scuola con Rusty. Sarà una bella serata.»

Non avevo nient’altro da fare. «Certo, ma dovrai metterti dei pantaloni comodi. Ho la Harley.»

«Una Harley? Da quando hai una Harley?» domandò la nonna.

«Ho avuto un problema con la macchina così Vinnie mi ha prestato una moto.»

«Ti proibisco di portare tua nonna su una motocicletta» disse mia madre. «Cadrà e si ammazzerà.»

Molto saggiamente mio padre non parlò.

«Non le succederà niente» garantii. «Ho un casco in più.»

«È sotto la tua responsabilità» disse mia madre. «Se le succede qualcosa, ci vai tu a farle visita alla casa di riposo.»

«Forse potrei comprarmi una moto» rifletté la nonna. «Quando ti ritirano la patente della macchina, il divieto di guidare vale anche per le moto?»

«Sì!» urlammo tutti all’unisono. Nessuno voleva che nonna Mazur tornasse a girare in strada.

Mary Alice aveva cenato per tutto il tempo con la faccia nel piatto perché i cavalli non hanno mani. Quando alzò il viso, era una maschera di purè di patate e salsa. «Cos’è una lesbica?» chiese.

Rimanemmo tutti paralizzati.

«È quando una ragazza esce con le femmine anziché con i maschi» disse la nonna.

Angie si allungò per prendere il latte. «Si pensa che l’omosessualità sia causata da un cromosoma anormale.»

«Giusto quello che stavo per dire» disse la nonna.

«E i cavalli?» chiese Mary Alice. «Ci sono lesbiche anche tra i cavalli?»

Ci scambiammo delle occhiate. Eravamo imbarazzati.

Mi alzai dal mio posto. «Chi vuole un pasticcino?»

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