Capitolo 15

Per andare alle veglie serali, la nonna di solito si veste in modo elegante. Le piace indossare scarpe décolleté di vernice nera e gonne a ruota, nel caso ci sia qualche bell’uomo da conquistare. In onore della motocicletta, quella sera si era messa pantaloni sportivi e scarpe da tennis.

«Mi servono dei vestiti da biker» disse. «Ho appena riscosso l’assegno della pensione e come prima cosa domattina vado a fare shopping, ora che so che hai questa Harley.»

Montai in sella alla moto. Mio padre aiutò la nonna a salire dietro di me. Girai la chiave dell’accensione, mandai su di giri il motore e le vibrazioni si trasmisero attraverso le marmitte.

«Pronta?» urlai alla nonna.

«Pronta» mi urlò in risposta.

Percorsi Roosevelt Street fino a Hamilton Avenue e in due minuti avevamo già parcheggiato la moto davanti alle pompe funebri di Stiva.

Aiutai la nonna a scendere e le tolsi il casco. Si allontanò dalla moto e si sistemò i vestiti. «Capisco perché alla gente piacciono le Harley» disse. «Ti danno una bella svegliata alle parti basse, vero?»

Rusty Kuharchek era nella sala numero tre e la scelta di quella collocazione indicava che la famiglia di Rusty era andata al risparmio. Le morti violente e quelli che acquistavano le bare di lusso in mogano, intagliate a mano e piombate erano degne di una veglia nella sala numero uno.

Lasciai la nonna con Rusty e le dissi che sarei ritornata di lì a un’ora. L’appuntamento era davanti al tavolo dei biscotti.

Era una bella serata e avevo voglia di camminare. Passeggiai lungo la Hamilton e tagliai dentro il Burg. Non era del tutto buio. In un altro mese la gente si sarebbe seduta in veranda a quell’ora della sera. Mi dissi che stavo passeggiando per rilassarmi, magari per pensare. Ma dopo poco mi ritrovai davanti a casa di Eddie DeChooch, per giunta senza essere minimamente rilassata. Il fatto di non essere riuscita a effettuare la cattura mi infastidiva.

La metà casa di DeChooch sembrava completamente abbandonata. Nella metà della famiglia Margucci guardavano un quiz in TV con il volume al massimo. Mi diressi verso la porta di casa della signora Margucci e bussai.

«Che bella sorpresa» disse quando mi vide. «Mi domandavo come stessero andando le cose tra te e DeChooch.»

«È ancora in libertà» dissi.

Angela commentò con un verso. «Quello è un furbo.»

«L’ha visto? Ha sentito rumori a casa sua?»

«È come se fosse scomparso dalla faccia della terra. Non sento neanche mai squillare il telefono.»

«Magari do un’occhiatina in giro.»

Percorsi il perimetro della casa, guardai in garage, mi fermai davanti al capanno degli attrezzi. Avevo con me la chiave di casa di DeChooch e così entrai. Non c’era nulla che indicasse che lui fosse passato di lì. Il tavolo della cucina era coperto da un mucchio di posta inevasa.

Bussai di nuovo alla porta di Angela. «È lei che ritira la posta di DeChooch?»

«Sì. Gliela lascio in casa tutti i giorni e controllo che sia tutto a posto. Non so cos’altro fare. Pensavo che Ronald sarebbe passato per ritirarla, ma non l’ho visto.»

Quando tornai alle pompe funebri, la nonna era al tavolo dei biscotti che parlava con il Luna e Dougie.

«Piccola» disse il Luna.

«Siete qui per incontrare qualcuno?» gli chiesi.

«Negativo. Siamo qui per i biscotti.»

«Quest’ora è volata in un lampo» disse la nonna. «C’è ancora un sacco di gente con cui non ho scambiato neanche una parola. Hai fretta di tornare a casa?» mi chiese.

«Potremmo accompagnarla a casa noi» disse Dougie alla nonna. «Non ce ne andiamo mai prima delle nove perché quella è l’ora in cui Stiva tira fuori i biscotti ripieni al cioccolato.»

Ero combattuta. Non volevo restare ma non sapevo se potevo fidarmi di lasciare la nonna al Luna e a Dougie.

Presi Dougie da parte. «Non voglio che nessuno si metta a fumare erba.»

«Niente erba» mi assicurò.

«E non voglio che portiate la nonna in un locale di spogliarelli.»

«Niente spogliarelli.»

«E non voglio neanche che rimanga coinvolta in qualche furto.»

«Ehi, mi sono ravveduto» disse Dougie.

«Okay» dissi «conto su di te.»


Alle dieci ricevetti una telefonata di mia madre.

«Dov’è tua nonna?» mi chiese. «E perché non sei insieme a lei?»

«Avrebbero dovuto riaccompagnarla a casa in auto degli amici.»

«Quali amici? Hai perso tua nonna un’altra volta?»

Maledizione. «Ti richiamo.»

Riattaccai e ricevetti subito un’altra telefonata. Era la nonna.

«L’ho trovato!» disse.

«Chi?»

«Eddie DeChooch. Mentre ero alla veglia ho avuto un’illuminazione e ho capito dove avrei trovato Choochy questa sera.»

«Dove?»

«A ritirare l’assegno della pensione. Tutti al Burg ritirano la pensione lo stesso giorno. Ed è stato ieri, solo che ieri DeChooch era impegnato a distruggere la macchina. Così mi sono detta che probabilmente aspettava che si facesse buio e che sarebbe passato oggi a ritirare l’assegno. E come volevasi dimostrare, è esattamente quello che ha fatto.»

«Dov’è adesso?»

«Be’, ora arriva la parte complicata. È andato a casa sua a prendere la posta e quando abbiamo cercato di catturarlo ha tirato fuori una pistola e ci siamo tutti spaventati e siamo corsi via. Il Luna però non è stato abbastanza veloce e ora è nelle mani di Eddie.»

Sbattei ripetutamente la testa sul piano della cucina. Forse mi avrebbe fatto bene continuare a sbatterla così. Tonc, tonc, tonc.

«Avete chiamato la polizia?» le chiesi.

«Non sapevamo se fosse una buona idea, considerato che il Luna potrebbe avere con sé qualche sostanza illegale. Credo che Dougie mi abbia parlato di un certo pacchetto che il Luna tiene dentro la scarpa.»

Perfetto. «Arrivo subito» dissi. «Non fate nulla finché non arrivo.»

Afferrai la borsa, corsi lungo il corridoio e le scale, uscii dall’edificio e saltai in sella alla moto. Frenai con una derapata nel vialetto di accesso di Angela Margucci e guardai in giro per cercare la nonna. Vidi che era insieme a Dougie e si nascondevano dietro una macchina sul lato opposto della strada. Indossavano costumi da supereroi e intorno al collo si erano appuntati un asciugamano da bagno a mo’ di mantella.

«Niente male quegli asciugamani» dissi.

«Lottiamo contro il crimine» disse la nonna.

«Sono ancora dentro?» chiesi.

«Sì. Ho parlato con Choochy dal cellulare di Dougie» disse la nonna. «Ha detto che lascerà andare il Luna solo se gli procuriamo un elicottero e poi un aereo che lo aspetti a Newark per portarlo in Sud America. Mi sa che ha bevuto.»

Composi il numero dal mio cellulare.

«Voglio parlarti» dissi.

«Mai. Non fino a che non mi date un elicottero.»

«Non avrai nessun elicottero se tieni il Luna in ostaggio. Non importa a nessuno se gli spari. Lascia andare il Luna e verrò io al posto suo. Sono un ostaggio migliore per un elicottero.»

«Okay» accettò DeChooch. «Mi sembra ragionevole.»

Come se ci fosse qualcosa di ragionevole in tutta quella faccenda.

Il Luna uscì con addosso il suo costume da supereroe e asciugamano. DeChooch gli tenne una pistola puntata in testa finché non uscì sulla veranda.

«È un po’, come dire, imbarazzante» disse il Luna. «Voglio dire, che figura ci fa un supereroe che lotta contro il crimine a essere fregato da un vecchio?» Guardò DeChooch. «Niente di personale, amico.»

«Accompagna la nonna a casa» dissi al Luna. «Mia madre è in pensiero per lei.»

«Adesso?»

«Sì. Subito.»

La nonna era ancora dall’altra parte della strada e non volevo gridare, così la chiamai al cellulare. «Me la vedo io con Eddie» dissi. «Tu, il Luna e Dougie dovreste andare subito a casa.»

«Non mi sembra una buona idea» disse la nonna. «Credo che dovrei restare.»

«Grazie, ma sarà tutto più semplice se mi muovo da sola.»

«Devo chiamare la polizia?»

Guardai DeChooch. Non mi sembrava né pazzo né arrabbiato. Era solo stanco. Se avessi fatto intervenire la polizia, DeChooch si sarebbe messo sulla difensiva e avrebbe potuto fare un gesto sconsiderato, per esempio spararmi. Se avessimo parlato un po’ con calma, forse sarei riuscita a convincerlo a consegnarsi. «La risposta è no» dissi.

Chiusi la comunicazione e io e DeChooch rimanemmo sulla veranda finché la nonna, il Luna e Dougie non furono andati via.

«Va a chiamare la polizia?» chiese DeChooch.

«No.»

«Pensi di riuscire ad arrestarmi da sola?»

«Non voglio che qualcuno si faccia male. Me compresa.» Lo seguii in casa. «Non penserai seriamente che arrivi un elicottero, vero?»

Fece un gesto di disgusto con la mano e si spostò in cucina. «L’ho detto solo per impressionare Edna. Dovevo pur dire qualcosa. Pensa che io sia un fuggitivo di tutto rispetto.» Aprì il frigorifero. «Non c’è niente da mangiare. Quando mia moglie era ancora in vita c’era sempre qualcosa da mangiare.»

Versai l’acqua nella macchina del caffè e riempii il filtro. Aprii un po’ di sportelli e trovai una scatola di biscotti. Ne misi un po’ su un piatto e mi sedetti al tavolo della cucina con Eddie DeChooch.

«Hai l’aria stanca» dissi.

Annuì. «Non avevo un posto dove dormire ieri sera. Volevo ritirare la pensione questa sera e prendermi una stanza in un albergo da qualche parte, ma Edna si è presentata con quei due buffoni. Non me ne va una dritta.» Prese un biscotto. «Non riesco neanche ad ammazzarmi. Questa prostata del cazzo. Fermo la Cadillac sui binari. Rimango lì seduto per morire e cosa succede? Mi viene da pisciare. Mi viene sempre da pisciare. Così esco e vado dietro un cespuglio ed ecco che arriva il treno. Quante possibilità ci sono che accada una cosa del genere? E poi non sapevo cosa fare e ho avuto paura. Sono fuggito via come un maledetto codardo.»

«È stato uno schianto allucinante.»

«Sì, l’ho visto. Cavolo, deve aver trascinato la Cadillac per quasi cinquecento metri.»

«Dove hai preso l’altra macchina?»

«L’ho fregata.»

«Allora c’è qualcosa che ti riesce ancora bene.»

«Le uniche cose che mi funzionano sono le dita. Non ci vedo. Non ci sento. Non riesco a pisciare.»

«Si può rimediare.»

Si mise a giocherellare con il biscotto. «Ci sono cose che non si possono rimediare.»

«La nonna mi ha detto tutto.»

Alzò gli occhi, sorpreso. «Ti ha detto tutto? Gesù Cristo. Certo che le donne sono proprio delle gran chiacchierone.»

Versai due tazze di caffè e ne diedi una a DeChooch. «Hai interpellato un medico?»

«Non voglio andare dal medico. Prima ancora che tu riesca a dire due parole, loro già cominciano a toccarti e ti dicono di fare un trapianto. Non ho nessuna intenzione di ritrovarmi con un pene trapiantato.» Scosse la testa. «Mi sembra impossibile parlare con te di queste cose. Perché lo sto facendo?»

Gli sorrisi. «Con me si parla bene.» E anche perché aveva un alito all’alcol etilico. DeChooch beveva un sacco. «Mentre parliamo, perché non mi racconti di Loretta Ricci?»

«Porca miseria, quella sì che era una focosa. Venne a portarmi uno di quei pasti a domicilio e me la ritrovai addosso. Continuavo a dirle che non ero più buono a niente ma lei non ne voleva sapere. Disse che era capace di farlo… sì, insomma, a tutti. Così ho pensato, che diamine, non ho niente da perdere, giusto? E così eccola che si abbassa e incomincia a lavorare con un certo successo. E poi, proprio quando è lì lì per succedere, cade su un fianco e muore. Credo che le sia venuto un infarto per la fatica. Ho cercato di rianimarla ma ormai era morta. Ero così maledettamente arrabbiato che le ho sparato.»

«Non ti farebbe male imparare a controllare la rabbia» dissi.

«Già, me lo dicono tutti.»

«Non c’erano tracce di sangue. Né fori di pallottole.»

«Mi hai preso per un dilettante?» Corrugò il viso e una lacrima gli scese sulla guancia. «Sono proprio depresso» disse.

«Scommetto che so qualcosa che ti tirerà su.»

Mi guardò come se gli sembrasse impossibile.

«Hai presente il cuore di Louie D?»

«Sì.»

«Non era il suo cuore.»

«Stai scherzando?»

«Giuro su Dio.»

«E di chi era?»

«Era un cuore di maiale. L’ho comprato dal macellaio.»

DeChooch sorrise. «Hanno messo un cuore di maiale dentro a Louie e l’hanno seppellito così?»

Feci sì con la testa.

Cominciò a ridacchiare. «E allora che fine ha fatto il vero cuore di Louie D?»

«Se l’è mangiato un cane.»

DeChooch scoppiò a ridere. E continuò finché non gli venne un attacco di tosse. Quando riacquistò il controllo e smise di ridere e tossire abbassò lo sguardo. «Gesù, ho un’erezione.»

Gli uomini hanno erezioni nei momenti più impensati.

«Guardalo» disse. «Guardalo! È una bellezza. È duro come un sasso.»

Guardai in basso. Era un’erezione niente male.

«Chi l’avrebbe mai detto?» dissi. «Va’ a pensare.»

DeChooch era raggiante. «Evidentemente non sono poi così vecchio, dopo tutto.»

Andrà in galera. Non ci vede. Non ci sente. Non riesce a fare una pisciata che duri meno di un quarto d’ora. Ma poi ha un’erezione e tutti gli altri problemi diventano sciocchezze. La prossima volta voglio rinascere uomo. Le priorità sono così nette. La vita è così semplice.

Mi saltò all’occhio il frigorifero di DeChooch. «Per caso hai preso un arrosto dal freezer di Dougie?»

«Sì. Da principio credevo che fosse il cuore. Era tutto avvolto nella pellicola trasparente ed era buio in cucina. Ma poi mi sono reso conto che era troppo grosso e quando l’ho guardato meglio ho visto che era un arrosto. Ho pensato che non gli sarebbe dispiaciuto troppo se l’avessi tenuto, e poi l’idea di mangiare l’arrosto non mi dispiaceva. Solo che non sono mai riuscito a cucinarlo.»

«Mi spiace dovertelo dire» dissi a DeChooch «ma dovresti seguirmi alla polizia.»

«Non posso» rispose. «Rifletti. Cosa penseranno… Eddie DeChooch catturato da una ragazza.»

«Non è certo la prima volta.»

«Non nel mio lavoro. Non riuscirei a mandarlo giù. Sarei messo in ridicolo. Sono un uomo. Devo essere consegnato da un duro, uno come Ranger.»

«No. Non Ranger. Non è disponibile. Non sta bene.»

«Be’, questa è la mia richiesta. Voglio Ranger. Non se ne fa niente se non viene Ranger.»

«Mi piacevi di più prima che avessi l’erezione.»

DeChooch sorrise. «Già, sono di nuovo in sella, bellezza.»

«E se ti consegnassi spontaneamente?»

«Quelli come me non si consegnano. Forse i giovani. Ma quelli della mia generazione hanno delle regole. Abbiamo un codice.» La pistola era davanti a lui sul tavolo. La prese e inserì un caricatore pieno. «Vuoi essere responsabile del mio suicidio?»

Oh cavolo.

In soggiorno c’era una lampada da tavolo accesa e la cucina era illuminata dalla plafoniera sul soffitto. Il resto della casa era al buio. DeChooch era seduto con la schiena rivolta verso la porta che dava sul soggiorno buio. Come il fantasma di una storia del terrore, con appena un leggero fruscio di vestiti, Sophia si materializzò sulla soglia. Rimase lì un momento, ondeggiando leggermente, e per un attimo pensai che potesse davvero trattarsi di un’apparizione, il frutto della mia fervidissima immaginazione. Teneva una pistola all’altezza della vita. Mi guardò dritto negli occhi, puntò, e prima che potessi avere una reazione, sparò. Bang!

A DeChooch sfuggì di mano la pistola, un fiotto di sangue gli uscì dalla testa e crollò a terra.

Qualcuno urlò. Credo di essere stata io.

Sophia ridacchiò sommessamente, aveva le pupille ridotte a capocchie di spillo. «Vi ho fatto una bella sorpresa, eh? Vi guardavo dalla finestra. Tu e Chooch seduti al tavolo a mangiare biscotti.»

Non dissi nulla. Temevo che se avessi aperto la bocca avrei cominciato a balbettare, sbavare o forse a pronunciare suoni gutturali incomprensibili.

«Oggi hanno messo Louie sotto terra» disse Sophia. «Non ho potuto prendere parte al funerale per colpa vostra. Avete rovinato tutto. Tu e Chooch. È lui che ha cominciato tutto e deve pagare. Non mi sono potuta occupare di lui finché non ho riavuto il cuore, ma ora è giunto il suo momento. Occhio per occhio.» Un’altra risatina. «E sarai tu ad aiutarmi. Se fai un buon lavoro, magari ti lascio andare. Che ne dici?»

Credo di aver annuito, ma non ne sono sicura. Non mi avrebbe mai lasciato andare. Lo sapevamo tutte e due.

«Occhio per occhio» disse Sophia. «È la parola di Dio.»

Mi venne da vomitare.

Sorrise. «Vedo dalla tua faccia che hai capito cosa intendo fare. Non c’è altro modo, non ti pare? Se non facciamo così saremo dannati per sempre, disonorati per sempre.»

«Lei ha bisogno di un medico» sussurrai. «Ha subito troppi stress. Non ragiona come dovrebbe.»

«Che ne sai di come si deve ragionare? Parli con Dio, sei guidata dalla Sua parola?»

La fissai, mentre mi sentivo il cuore battere forte in gola e alle tempie.

«Io parlo con Dio» disse. «Faccio quello che Lui mi dice di fare. Sono uno strumento nelle Sue mani.»

«Sì, va bene, ma Dio è uno buono. Di certo non vorrebbe che lei facesse qualcosa di brutto.»

«Faccio quello che è giusto» disse Sophia. «Elimino il male alla fonte. Ho l’anima di un angelo vendicatore.»

«Come lo sa?»

«Me lo ha detto Dio.»

Mi saltò in mente un nuovo, terribile pensiero. «Louie sapeva che lei parla con Dio? Che lei è uno strumento di Dio?»

Sophia si immobilizzò.

«Quella stanza nella cantina… la cella di cemento dove ha tenuto il Luna e Dougie. Louie l’ha mai rinchiusa in quella stanza?»

La pistola le tremava in mano e le brillavano gli occhi. «È sempre difficile per coloro che credono. I martiri. I santi. Stai cercando di sviarmi, ma non funziona. So quello che devo fare. E adesso mi aiuterai. Voglio che ti metta in ginocchio e gli sbottoni la camicia.»

«Neanche per sogno!»

«E invece sì. Fallo subito o ti sparo. Ti sparo prima su un piede e poi sull’altro. Poi ti sparo in un ginocchio. E continuerò così finché o ti deciderai a farlo o morirai.»

Prese la mira e capii che stava dicendo la verità. Mi avrebbe sparato senza il minimo rimorso. E avrebbe continuato a spararmi finché non fossi morta. Mi alzai, appoggiandomi al tavolo per non cadere. Completamente irrigidita andai verso DeChooch e mi inginocchiai accanto a lui.

«Avanti» incalzò. «Sbottonagli la camicia.»

Gli misi la mano sul petto ancora caldo, e lo sentii respirare appena. «È ancora vivo!»

«Meglio ancora» disse Sophia.

Non riuscii a trattenere un brivido e cominciai a sbottonargli la camicia. Un bottone alla volta. Lentamente. Per guadagnare tempo. Le mie dita erano impacciate. Riuscivano a malapena a eseguire quel compito.

Una volta sbottonata la camicia, Sophia allungò una mano dietro di sé e prese un coltello da macellaio dal blocco di legno sul piano della cucina. Gettò il coltello a terra sul pavimento accanto a DeChooch. «Tagliagli la maglietta.»

Presi in mano il coltello, soppesandolo. Se fosse stato un film, in una mossa fulminea avrei affondato il coltello nel corpo di Sophia. Invece era la vita reale e non avevo idea di come usare un coltello né di come muovermi abbastanza in fretta da schivare un proiettile.

Avvicinai il coltello alla maglietta bianca. Ero andata completamente nel pallone. Mi tremavano le mani e sentivo il sudore sotto le ascelle e sulla testa. Diedi il primo colpo e poi feci scorrere il coltello per tutta la lunghezza della maglia, denudando il petto bitorzoluto di DeChooch. Mi sentivo come se avessi dentro un fuoco acceso e avvertivo un doloroso senso di oppressione.

«Ora tiragli fuori il cuore» disse Sophia con voce calma e ferma.

Alzai lo sguardo su di lei e vidi che aveva un’espressione serena… a eccezione del terrore che i suoi occhi incutevano. Era convinta di fare la cosa giusta. Probabilmente aveva in testa delle voci che la rassicuravano mentre mi abbassavo su DeChooch.

Una goccia colò sul petto di DeChooch. Poteva essere uscita dalla mia bocca o dal naso. Ero troppo spaventata per indovinare. «Non so come si fa» dissi. «Non so come arrivare al cuore.»

«Ce la farai.»

«Non posso.»

«Fallo e basta!»

Scossi la testa.

«Vuoi dire una preghiera prima di morire?» mi chiese.

«Quella stanza nella cantina… l’ha rinchiusa spesso laggiù? Pregava quando era lì?»

La tranquillità sembrò abbandonarla. «Diceva che ero pazza, ma il pazzo era lui. Non aveva fede. Dio non parlava con lui.»

«Non avrebbe dovuto rinchiuderla in quella stanza» dissi, provando un forte senso di rabbia per quell’uomo che aveva rinchiuso la moglie schizofrenica in una cella di cemento invece di farla curare da uno specialista.

«È arrivata l’ora» disse Sophia puntandomi addosso la pistola.

Guardai verso DeChooch, chiedendomi se potessi ucciderlo per salvarmi la pelle. Quanto era forte il mio istinto di sopravvivenza? Spostai lo sguardo sulla porta della cantina. «Ho un’idea» dissi. «DeChooch ha degli utensili elettrici in cantina. Potrei tagliargli la cassa toracica se avessi una motosega.»

«È ridicolo.»

Saltai in piedi. «No, è proprio quello che mi serve. L’ho visto fare in TV, in uno di quei programmi di medicina. Torno subito.»

«Fermati!»

Ero arrivata alla porta della cantina. «Ci vorrà soltanto un minuto.» Aprii la porta, accesi la luce e feci il primo gradino.

Mi seguiva a una certa distanza con la pistola. «Non andare così veloce» disse. «Scendo insieme a te.»

Facemmo i gradini insieme, lentamente, per evitare di inciampare. Attraversai la cantina e presi la motosega portatile che si trovava sul banco da lavoro di DeChooch. Le donne vogliono bambini. Gli uomini vogliono attrezzi da lavoro.

«Torniamo di sopra» disse, in agitazione per il fatto di trovarsi in una cantina e ansiosa di andarsene.

Risalii lentamente i gradini, trascinando i piedi, sentendola agitarsi alle mie spalle. Avevo la pistola puntata dietro la schiena. Era troppo vicina. Stava rischiando, ma voleva andarsene dalla cantina. Arrivai in cima alla scala e mi girai di scatto, colpendola in mezzo al petto con la motosega.

Pronunciò una breve esclamazione, sparò alla cieca e ruzzolò giù per le scale. Non rimasi a vedere quello che era successo. Saltai oltre la porta, la sbattei con forza e la chiusi a chiave. Poi lasciai la casa di corsa. Attraversai la porta principale che avevo malauguratamente lasciato aperta quando avevo seguito DeChooch in cucina.

Bussai forte a casa di Angela Margucci, urlandole di venire ad aprire. Angela venne alla porta e quasi la buttai a terra tanta era la foga con cui entrai. «Chiuda a chiave» dissi. «Chiuda tutte le porte e vada a prendermi il fucile di sua madre.» Poi corsi al telefono a chiamare la polizia.

La polizia arrivò prima che potessi riacquistare il controllo e tornare nella casa. Non aveva senso tornare se le mani mi tremavano così tanto da non riuscire a tenere fermo il fucile.

Due agenti entrarono nella metà casa di DeChooch e qualche minuto dopo autorizzarono il personale medico a entrare. Sophia era ancora nella cantina. Si era rotta un’anca e probabilmente aveva qualche costola incrinata. Pensai che quella delle costole incrinate fosse una bella ironia della sorte.

Seguii il personale dell’ambulanza e rimasi interdetta quando arrivai in cucina. DeChooch non era sul pavimento.

L’agente Billy Kwiatkowski era stato il primo a entrare. «Dov’è DeChooch?» gli chiesi. «L’ho lasciato sul pavimento accanto al tavolo.»

«Non c’era nessuno in cucina quando sono entrato» disse.

Guardammo entrambi la scia di sangue che portava alla porta sul retro. Kwiatkowski accese la torcia e andò verso il cortile. Tornò dopo qualche minuto.

«Difficile seguire la scia nell’erba con questo buio, ma c’è dell’altro sangue nel vicoletto dietro al garage. È probabile che abbia lasciato la macchina là dietro e che se ne sia andato.»

Incredibile. Stramaledettamente incredibile. Quell’uomo era come uno scarafaggio… bastava accendere la luce e lui spariva.

Rilasciai la mia deposizione e me ne andai. Ero preoccupata per la nonna. Volevo accertarmi che fosse al sicuro. E volevo sedermi nella cucina di mia madre. E soprattutto, volevo un pasticcino.


La casa dei miei ardeva di luci quando accostai per parcheggiare. Erano tutti nella stanza sul davanti a guardare il notiziario in TV. E conoscendo la mia famiglia, erano tutti alzati ad aspettare Valerie.

La nonna saltò su dal divano quando mi vide entrare. «L’hai preso? Hai preso DeChooch?»

Feci no con la testa. «È scappato.» Non mi andava di scendere nei dettagli.

«È straordinario» disse la nonna, sprofondando nuovamente sul divano.

Andai in cucina a prendere un pasticcino. Sentii aprire e chiudere la porta di casa e Valerie entrò in cucina e si abbandonò a sedere al tavolo. Aveva i capelli lisciati dietro le orecchie e cotonati sulla parte alta. Versione lesbica e bionda di Elvis.

Spostai davanti a lei il piatto dei pasticcini e mi sedetti. «Allora? Come è andato l’appuntamento?»

«Un disastro. Non è il mio tipo.»

«Qual è il tuo tipo?»

«Non le donne, a quanto pare.» Scartò uno dei pasticcini al cioccolato. «Janeane mi ha baciato ma non è successo niente. Poi mi ha baciato di nuovo, un bacio quasi… appassionato.»

«Quanto appassionato?»

Valerie diventò rosso fuoco. «Mi ha dato un bacio con la lingua!»

«E allora?»

«Strano. È stato molto strano.»

«Allora non sei lesbica?»

«Direi di no.»

«Ehi, ci hai provato. Chi non risica, non rosica» dissi.

«Pensavo che potesse essere qualcosa a cui ci si abitua col tempo. Ti ricordi per esempio quando eravamo piccole e mi facevano schifo gli asparagi? Be’, adesso li adoro.»

«Forse devi darti un po’ più di tempo. Del resto ti ci sono voluti vent’anni per farti piacere gli asparagi.»

Valerie ci rifletté su mentre mangiava il pasticcino.

Entrò la nonna. «Che succede qui? Mi sto perdendo qualcosa?»

«Mangiamo i pasticcini» dissi.

La nonna ne prese uno e si sedette. «Hai provato la moto di Stephanie?» chiese a Valerie. «Ci sono montata sopra questa sera e mi ha fatto formicolare le parti intime.»

Valerie per poco non si strozzò con il pasticcino.

«Forse ti conviene smettere di essere lesbica e comprarti una Harley» dissi a Valerie.

Entrò in cucina mia madre. Guardò il piatto dei pasticcini e tirò un sospiro. «Li avevo fatti per le ragazze.»

«Siamo ragazze anche noi» disse la nonna.

Mia madre si sedette e prese un pasticcino. Ne scelse uno alla vaniglia con gli zuccherini colorati. Rimanemmo tutte a bocca aperta. Mia madre non mangiava quasi mai un pasticcino tutto intero. Di solito mangiava quelli che si erano rotti a metà o che avevano la glassa rovinata. Mangiava i biscotti sbriciolati e le frittelle bruciate da un lato.

«Wow» le dissi «stai mangiando un pasticcino tutto intero.»

«Me lo merito» rispose mia madre.

«Scommetto che hai guardato un’altra volta Oprah Winfrey in TV» le disse la nonna. «Mi accorgo sempre se hai guardato Oprah in TV.»

Mia madre si mise a giocherellare con la carta. «Non è solo questo…»

Smettemmo tutte di mangiare e la fissammo.

«Ricomincio a studiare» disse. «Ho fatto domanda al Comune e ho appena saputo di essere stata accettata. Studierò part time. Hanno dei corsi serali.»

Feci un sospiro di sollievo. Temevo volesse annunciare che stava per farsi un piercing sulla lingua o magari un tatuaggio. O addirittura che voleva andarsene di casa e seguire un circo. «È eccezionale» dissi. «A che corso ti sei iscritta?»

«Per il momento si tratta di un corso generico» disse mia madre. «Ma un giorno mi piacerebbe diventare infermiera. Ho sempre pensato di essere portata per fare l’infermiera.»


Era quasi mezzanotte quando tornai al mio appartamento. La scarica di adrenalina era ormai passata e ora mi sentivo esausta. Avevo fatto il pieno di pasticcini e latte ed ero pronta a scivolare sotto le coperte e dormire per una settimana. Presi l’ascensore e quando le porte si aprirono sul mio piano uscii e rimasi immobile come una statua. Non credevo ai miei occhi. In fondo al corridoio, davanti alla porta di casa mia, era seduto Eddie DeChooch.

DeChooch si tamponava la testa con un grosso asciugamano fissato con la cintura dei pantaloni, con la fibbia ben allacciata all’altezza della tempia. Alzò gli occhi quando mi avvicinai a lui, ma non si alzò in piedi né mi sorrise, non mi sparò e neanche mi salutò. Rimase lì seduto con lo sguardo fisso.

«Devi avere un mal di testa coi fiocchi» dissi.

«Non mi farebbe schifo un’aspirina.»

«Perché non sei entrato da solo? Lo fanno tutti.»

«Non ho gli attrezzi. Ci vogliono gli attrezzi giusti.»

Lo aiutai a mettersi in piedi e lo feci entrare in casa. Lo misi a sedere sulla sedia comoda del soggiorno e tirai fuori la bottiglia mezza vuota di liquore che la nonna aveva lasciato nascosta nel mio armadio quando era rimasta da me per un paio di giorni.

DeChooch ne buttò giù tre dita e riacquistò un po’ di colore.

«Cristo, credevo che volessi aprirmi come un’oca per il pranzo della domenica» disse.

«Ci è mancato poco. Quando sei rinvenuto?»

«Quando parlavate di segarmi le costole. Gesù. Se ci ripenso mi formicolano le palle.» Fece un altro sorso dalla bottiglia. «Me ne sono andato appena voi due avete cominciato a scendere le scale.»

Era proprio da ridere. Avevo attraversato la cucina così velocemente che non mi ero neanche accorta che DeChooch non c’era più. «Che succede adesso?»

Si lasciò nuovamente andare sulla sedia. «Ho girato per un po’ con la macchina. Volevo andarmene, ma mi fa male la testa. Mi ha portato via mezzo orecchio. Sono stanco. Accidenti quanto sono stanco. Ma sai una cosa? Non sono poi tanto depresso. E così ho pensato, che diamine, vediamo cosa riesce a fare per me il mio avvocato.»

«Vuoi che ti consegni alla polizia?»

DeChooch sgranò gli occhi. «Che diavolo, no! Voglio che sia Ranger a consegnarmi. È solo che non so come contattarlo.»

«Dopo tutto quello che abbiamo passato, mi merito almeno di portare a buon fine l’arresto.»

«Ehi, e a me chi ci pensa? Ho solo metà orecchio!»

Feci un sospiro profondo e chiamai Ranger.

«Mi serve aiuto» dissi. «Ma è una cosa un po’ strana.»

«Come sempre.»

«Sono qui con Eddie DeChooch che non vuole essere portato alla polizia da una donna.»

Sentii Ranger ridacchiare all’altro capo del telefono.

«Non c’è niente da ridere» dissi.

«È perfetto.»

«Mi aiuti o no, allora?»

«Dove sei?»

«A casa mia.»

Non era il genere di aiuto a cui avevo pensato e non mi sembrava che tra noi il patto fosse ancora in piedi. A ogni modo, con Ranger non si poteva mai dire. A dire il vero, non ero del tutto sicura che fosse serio quando aveva parlato del prezzo da pagare se mi avesse aiutato.

Venti minuti più tardi Ranger era alla porta. Era vestito in pantaloni militari neri con tanto di cintura multiuso completa di tutto. Dio solo sa da cosa l’avevo distolto. Mi guardò e fece una smorfia. «Bionda?»

«Una decisione impulsiva.»

«Altre sorprese?»

«Niente di cui abbia voglia di parlare adesso.»

Entrò in casa e alzò un sopracciglio nel vedere DeChooch.

«Non sono stata io.»

«È grave?»

«Sopravviverò» disse DeChooch «ma fa un male cane.»

«È spuntata Sophia e gli ha fatto saltare un orecchio» spiegai a Ranger.

«E adesso dov’è?»

«La polizia l’ha arrestata.»

Ranger prese DeChooch sotto braccio e lo aiutò ad alzarsi. «Di sotto c’è Tank che ci aspetta nel SUV. Portiamo Chooch al pronto soccorso e lo facciamo tenere in osservazione per questa notte. Starà meglio lì che in galera. Possono tenerlo sotto chiave in ospedale.»

DeChooch era stato furbo a insistere per avere Ranger. Ranger riusciva a fare l’impossibile.

Dopo che se ne furono andati chiusi la porta a chiave. Accesi la TV e passai in rassegna i canali uno dopo l’altro. Niente wrestling né hockey. Niente film interessanti. La bellezza di cinquantotto canali e niente da guardare.

Avevo un sacco di cose per la testa ma non mi andava di ragionare su nessuna. Vagai per casa, infastidita e allo stesso tempo sollevata dal fatto che Morelli non avesse chiamato.

Non avevo niente da fare. Avevo trovato tutti. Non avevo casi in sospeso. Lunedì avrei riscosso quello che mi spettava da Vinnie e avrei potuto pagare un altro mese di bollette. La mia CR-V era dal meccanico. Ancora non avevo ricevuto il preventivo. Con un po’ di fortuna avrebbe pagato l’assicurazione.

Feci una bella doccia calda e quando uscii mi chiesi chi fosse la bionda allo specchio. Non io, pensai. Probabilmente la settimana seguente sarei andata dal parrucchiere per farmi tingere di nuovo i capelli del loro colore originale. È sufficiente una bionda in famiglia.

L’aria che entrava dalla finestra aperta della camera da letto aveva il sapore dell’estate, così decisi di mettermi a letto in mutandine e T-shirt. Niente più camicie di flanella fino al prossimo novembre. Mi infilai una maglietta bianca e via sotto il piumone. Spensi la luce e rimasi distesa al buio per un po’, con un senso di solitudine.

Ho due uomini nella mia vita e non so cosa pensare di nessuno dei due. Strano come vanno a finire le cose. Morelli entra ed esce dalla mia vita da quando ho sei anni. È come una cometa che ogni dieci anni viene risucchiata dalla mia corrente gravitazionale, gira vorticosamente nella mia orbita e poi riparte a razzo per tornare nello spazio. I nostri bisogni non sembrano mai essere completamente allineati.

Ranger è una novità nella mia vita. Ha un valore ignoto, è partito come mentore e sta diventando… cosa? Difficile stabilire esattamente cosa Ranger voglia da me. O cosa io voglia da lui. Appagamento sessuale. Oltre a quello non so. Rabbrividii mio malgrado al pensiero di un incontro sessuale con Ranger. So così poco di lui che in un certo senso è come fare l’amore bendati… puro istinto e fisicità. E fiducia. C’è qualcosa in Ranger che infonde fiducia.

I numeri blu dell’orologio digitale fluttuavano nel buio della stanza. Era l’una. Non riuscivo a dormire. Mi balenò in mente l’immagine di Sophia. Chiusi forte gli occhi per allontanarla. Passarono altri minuti insonni. I numeri blu indicavano l’1:30.

Fu allora, nel silenzio della casa, che sentii lo scatto di una serratura che si apriva. Poi l’impercettibile rumore della catenella di sicurezza rotta che penzolava dalla porta di legno. Mi si fermò il cuore. Quando riprese, mi batteva così forte contro il petto che mi si appannò la vista. C’era qualcuno nel mio appartamento.

Erano passi leggeri. Non si muovevano con prudenza. Non si fermavano ogni tanto per rimanere in ascolto, per scrutare l’appartamento buio. Cercai di controllare la respirazione, di regolarizzare il battito cardiaco. Credevo di conoscere l’identità dell’intruso, ma non per questo mi sentivo meno in preda al panico.

Si affacciò sulla porta della mia camera da letto e bussò appena sullo stipite. «Sei sveglia?»

«Adesso sì. Mi hai spaventata a morte.»

Era Ranger.

«Voglio vederti» disse. «Hai una lampada sul comodino?»

«Ce n’è una nel bagno.»

Prese la lampada dal bagno e inserì la spina nella presa sul battiscopa della camera. Non faceva molta luce, ma abbastanza per vederlo bene.

«Allora» dissi, schiacciandomi mentalmente le nocche delle mani. «Che succede? DeChooch sta bene?»

Ranger si tolse la cintura dove teneva la pistola e la lasciò cadere a terra. «DeChooch sta bene, ma noi abbiamo un conto in sospeso.»


FINE
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