Capitolo 9

Il cercapersone di Morelli suonò alle cinque e mezzo di mattina. Joe guardò il display e tirò un sospiro. «Un informatore.»

Strizzai gli occhi nel buio mentre lui si muoveva nella stanza. «Devi proprio andare?»

«No, devo solo fare una telefonata.»

Andò in soggiorno. Ci fu un momento di silenzio. Poi riapparve sulla soglia della camera da letto. «Ti sei alzata stanotte per mettere via il cibo?»

«No.»

«Non c’è più niente sul tavolinetto.»

Bob.

Scesi a fatica dal letto, infilai la vestaglia e mi trascinai in soggiorno per vedere la carneficina.

«Ho trovato un paio di pezzi di fil di ferro» disse Morelli. «A quanto pare Bob si è mangiato sia il cibo che i contenitori.»

Bob faceva avanti e indietro sulla porta di casa. Aveva lo stomaco teso e sbavava.

Perfetto. «Tu fai la tua telefonata e io porto fuori Bob» dissi a Morelli.

Corsi in camera da letto, mi infilai jeans, felpa e gli stivali. Agganciai Bob al guinzaglio e presi le chiavi della macchina.

«Le chiavi della macchina?» chiese Morelli.

«Nel caso mi venisse voglia di una ciambella.»

Ciambella un corno. Bob stava per fare un’enorme cacca da cibo cinese. E l’avrebbe fatta nel giardino di Joyce. Forse sarei anche riuscita ad aizzarglielo contro.

Prendemmo l’ascensore perché non volevo che Bob si muovesse più del necessario. Salimmo di corsa in macchina e rombammo via dal parcheggio.

Bob aveva il muso appiccicato al finestrino. Ansimava e ruttava. Aveva lo stomaco così gonfio che era sul punto di scoppiare.

Schiacciai il pedale dell’acceleratore a tavoletta. «Tieni duro, bel cagnone» dissi. «Ci siamo quasi. Non manca molto.»

Mi fermai con uno stridore di freni davanti a casa di Joyce. Scesi dalla macchina e corsi sul lato passeggero, aprii lo sportello e Bob si catapultò fuori. Entrò come un razzo nel giardino di Joyce, si accucciò e fece una cacca che a occhio e croce poteva pesare due volte lui. Si fermò un secondo e poi vomitò una miscela di cartone e gamberetti in agrodolce.

«E bravo il nostro cagnone!» bisbigliai.

Bob si scrollò un po’ e poi si fiondò di nuovo in macchina. Chiusi bene lo sportello, saltai al posto di guida e ce ne andammo prima che il puzzo potesse arrivare ai nostri nasi. Un altro bel colpo messo a segno.

Morelli era alla macchina per il caffè quando entrai. «Niente ciambelle?» chiese.

«Mi sono dimenticata.»

«Non ti facevo il tipo che si dimentica delle ciambelle.»

«Avevo altro per la testa.»

«Tipo il matrimonio?»

«Sì, anche quello.»

Joe riempì due tazze di caffè e me ne porse una. «Ti sei mai accorta che il matrimonio sembra molto più importante la sera che il mattino?»

«Intendi dire che non ti vuoi più sposare?»

Morelli si appoggiò al piano della cucina e sorseggiò il caffè. «Non ti preoccupare, non ti libererai di me così facilmente.»

«Ci sono molte cose di cui non abbiamo mai parlato.»

«Tipo?»

«I bambini. Supponiamo che abbiamo dei bambini e poi scopriamo che non ci piacciono?»

«Se riusciamo a farci piacere Bob, allora ci può piacere tutto» disse Morelli.

Bob era nel soggiorno a leccare il laniccio della moquette.


Eddie DeChooch chiamò dieci minuti dopo che Morelli e Bob erano usciti per andare al lavoro.

«Come la mettiamo?» chiese. «Vuoi fare un accordo?»

«Voglio il Luna.»

«Quante volte devo dirti che non ce l’ho? E non so neanche dove sia. E non ce l’ha nessuno di quelli che conosco. Forse si è spaventato e se ne è andato.»

Non sapevo cosa dire perché anche quella era una possibilità.

«Lo stai tenendo al fresco, vero?» disse DeChooch. «Deve mantenersi bene. Sennò ci vado di mezzo io.»

«Tranquillo. È al fresco. Non immagini quanto si sia mantenuto bene. Trovami il Luna e lo vedrai coi tuoi occhi.» E riagganciai.

Di che accidenti parlava?

Telefonai a Connie ma non era ancora arrivata in ufficio. Le lasciai un messaggio chiedendole di richiamarmi e poi feci una doccia. Mentre ero sotto il getto d’acqua feci un breve resoconto della mia vita. Stavo dando la caccia a un anziano depresso che mi stava facendo passare per tonta. Due dei miei amici erano scomparsi senza lasciare tracce. A giudicare dalla mia faccia, dovevo essere reduce da un incontro con George Foreman. Avevo un abito da sposa che non intendevo indossare e una sala che non intendevo usare. Morelli voleva sposarmi. E Ranger voleva… Al diavolo, non volevo pensare a cosa Ranger aveva voglia di farmi. Oh sì, c’era anche Melvin Baylor, che per quel che ne sapevo era ancora sul divano dei miei.

Uscii dalla doccia, mi vestii, mi concentrai il minimo indispensabile sui capelli e Connie chiamò.

«Hai più sentito tua zia Flo o tuo zio Bingo?» le chiesi. «Devo sapere cosa è successo a Richmond. Devo capire cosa stanno cercando tutti quanti. È qualcosa che deve essere tenuto al fresco. Medicinali, forse.»

«Come sai che deve stare al fresco?»

«DeChooch.»

«Gli hai parlato?»

«Mi ha chiamato lui.» Certe volte la mia stessa vita mi sembra incredibile. Ho un MC che mi telefona. È o non è strano?

«Vedrò cosa posso scoprire» disse Connie.

Poi chiamai la nonna.

«Mi servono delle informazioni su Eddie DeChooch» dissi. «Magari potresti chiedere un po’ in giro.»

«Che cosa vuoi sapere?»

«Ha avuto un guaio a Richmond e adesso sta cercando qualcosa. Voglio sapere cos’è questo qualcosa.»

«Ci penso io!»

«Melvin Baylor è ancora là?»

«No. È tornato a casa.»

Salutai la nonna e qualcuno bussò alla porta. La socchiusi appena e guardai fuori. Era Valerie. Indossava una giacca nera di sartoria e dei pantaloni sportivi con una camicia bianca inamidata e una cravatta da uomo a righe rosse e nere. Le ciocche spettinate alla Meg Ryan erano tirate dietro le orecchie.

«Un nuovo look» dissi. «Qualche motivo particolare?»

«Oggi è il mio primo giorno da lesbica.»

«Sì, certo.»

«Dico sul serio. Mi sono detta, perché aspettare? Voglio ricominciare tutto da capo. Ho deciso di non perdere tempo. Voglio trovarmi un lavoro. E voglio trovarmi una ragazza. Non c’è motivo di rimanere a casa a piagnucolare per una relazione andata male.»

«Non credevo che dicessi sul serio l’altra sera. Hai mai avuto qualche… ehm, esperienza omosessuale?»

«No, ma quanto mai sarà difficile?»

«Non so se questa cosa mi piace» dissi. «Sono abituata a essere la pecora nera della famiglia. Questa faccenda potrebbe cambiare la mia posizione.»

«Non essere sciocca» ribatté Valerie. «Non importerà a nessuno se divento lesbica.»

Valerie era stata in California davvero troppo.

«A ogni modo» continuò «ho un colloquio di lavoro. Vado bene così? Voglio essere sincera riguardo al mio nuovo orientamento sessuale, ma non voglio neanche sembrare troppo mascolina.»

«Non vuoi un look esageratamente lesbico.»

«Esatto. Voglio un look lesbico ma chic al tempo stesso.»

Visti i miei limitati orizzonti alla voce relazioni lesbiche, non ero sicura di come fosse un look lesbico-chic. Le lesbiche che conoscevo le avevo viste perlopiù in televisione.

«Non mi convincono le scarpe» proseguì. «Le scarpe sono sempre così difficili.»

Portava dei graziosi sandali di vernice nera a tacco basso. Sulle unghie aveva uno smalto rosso vivo.

«Dipende da che tipo di scarpe decidi di mettere: da uomo o da donna» dissi. «Sei una lesbica donna o una lesbica uomo?»

«Ci sono due tipi di lesbiche?»

«Non lo so. Non ti sei informata in proposito?»

«No. Pensavo semplicemente che le lesbiche fossero unisex.»

Se aveva già dei problemi a essere lesbica quando aveva ancora addosso i vestiti, non osavo immaginare cosa sarebbe successo una volta che se li fosse tolti.

«Ho un colloquio per un lavoro al centro commerciale» disse Valerie. «E poi ne ho un altro in centro. Mi chiedevo se non potessimo fare cambio di macchina. Voglio fare buona impressione.»

«Che auto hai adesso?»

«La Buick del ’53 di zio Sandor.»

«Una macchina truccata» commentai. «Fa molto lesbica. Molto più della mia CR-V.»

«Non ci avevo mai pensato.»

Mi sentivo un po’ in colpa perché a dire il vero non sapevo se una Buick del ’53 fosse il genere di auto preferito dalle lesbiche. Era solo che non mi andava per niente di fare cambio. Odio quella Buick del ’53.

La salutai e le feci gli auguri mentre se ne andava ancheggiando. Rex era uscito dalla sua lattina e mi guardava. Le cose erano due: o pensava che fossi molto intelligente oppure che fossi uno schifo di sorella. Difficile dirlo con i criceti. È per questo che sono gli animali domestici ideali.

Presi la mia borsa nera di cuoio a tracolla, afferrai la giacca in denim e chiusi la porta a chiave. Era ora di tornare da Melvin Baylor. Mi sentivo un tantino nervosa. Eddie DeChooch era inquietante. Non mi piaceva la scioltezza con cui sparava alle persone da un momento all’altro. E ora che ero tra i minacciati mi piaceva ancora meno.

Scesi guardinga le scale e attraversai in fretta l’ingresso. Guardai oltre le porte a vetri, verso il parcheggio. Di DeChooch nemmeno l’ombra.

Dall’ascensore uscì il signor Morganstern.

«Salve, bellezza» disse. «Wow. A quanto pare sei finita contro una porta.»

«Fa parte del mio lavoro» gli risposi.

Il signor Morganstern era molto anziano. Probabilmente andava per i duecento.

«Ieri ho visto andar via il tuo amichetto. Sarà un po’ strambo, ma ha stile. Non si può non ammirare uno che ha stile» disse.

«Quale amichetto?»

«Quel Luna. L’unico che si veste da Superman e ha i capelli castani e lunghi.»

Il mio cuore perse un colpo. Non mi era venuto in mente che qualcuno dei miei vicini potesse sapere qualcosa del Luna. «Quando l’ha visto? A che ora?»

«Era mattina presto. Il forno qui vicino apre alle sei e ho fatto in tempo ad andare e tornare, quindi direi che erano le sette quando ho visto il tuo amico. Usciva proprio mentre io entravo. Era con una signora e sono saliti tutti e due su una grossa limousine nera. Non sono mai salito su una limousine. Dev’essere una bella esperienza.»

«Le ha detto qualcosa?»

«Mi ha detto: “Amico”…»

«Che aspetto aveva? Stava bene, sembrava preoccupato?»

«No. Aveva la faccia di sempre. Quella da scimunito, per capirci.»

«E com’era la donna?»

«Una bella donna. Non tanto alta, capelli castani. Giovane.»

«Quanto giovane?»

«Sulla sessantina, forse.»

«Per caso la limousine aveva qualche scritta? Il nome della ditta che le noleggia, per esempio.»

«Non mi pare. Era una semplice limousine nera.»

Feci dietrofront, risalii di sopra e cominciai a chiamare le varie ditte di noleggio limousine. Mi ci volle mezz’ora per telefonare a tutti i numeri in elenco. Solo due avevano noleggiato delle auto il mattino precedente. Si trattava di due Town, entrambe dirette all’aeroporto. Nessuna delle due era stata prenotata o prelevata da una donna.

Un altro buco nell’acqua.

Andai a casa di Melvin e bussai alla porta.

Melvin venne ad aprire con una busta di mais congelato in testa. «Sto morendo» disse, «Mi sta per esplodere la testa. Ho gli occhi in fiamme.»

Aveva una bruttissima cera. Peggio di quella del giorno prima, che era già pessima. «Ripasso più tardi» gli dissi. «Non bere più, d’accordo?»

Cinque minuti dopo ero in ufficio. «Ehi» fece Lula. «Guardate un po’. Oggi hai gli occhi tra il nero e il verde. Buon segno.»

«Joyce si è fatta vedere?»

«È arrivata un quarto d’ora fa» rispose Connie. «Era furiosa, farneticava di gamberetti in agrodolce.»

«Era impazzita» disse Lula. «Non si capiva niente. Non l’ho mai vista così fuori di sé. Immagino che tu non ne sappia niente di gamberetti in agrodolce…»

«No. Io no.»

«Come sta Bob? Lui ne sa qualcosa di gamberetti in agrodolce?»

«Bob sta bene. Ha avuto un problemino di digestione stamattina, ma ora è tutto risolto.»

Connie e Lula si scambiarono un cinque.

«Lo sapevo!» esclamò Lula.

«Sto facendo un giro per controllare delle case» dissi. «C’è qualcuno che vuole venire con me?»

«Oh-oh» fece Lula. «Quando cerchi compagnia è perché sei preoccupata che qualcuno ti stia dando la caccia.»

«Può darsi che Eddie DeChooch mi stia cercando.» Probabilmente mi stavano cercando anche altre persone, ma Eddie DeChooch sembrava il più pazzo e quello che avrebbe potuto spararmi con più probabilità. Anche se l’anziana con gli occhi spaventosi cominciava a fargli una discreta concorrenza.

«Dovremmo essere in grado di gestire Eddie DeChooch» disse Lula mentre tirava fuori la borsa dall’ultimo cassetto dell’archivio. «Dopo tutto è solo un povero vecchio pazzo e un po’ depresso.»

Che va in giro con una pistola.

Io e Lula ci fermammo come prima cosa dai coinquilini del Luna.

«Il Luna è qui?» domandai.

«No. Non si è visto. Forse è da Dougie. Ci va spesso.»

La tappa successiva fu a casa di Dougie. Avevo preso le chiavi di Dougie quando avevano sparato al Luna e non gliele avevo più restituite. Aprii la porta principale e insieme a Lula ci intrufolammo in casa. Sembrava tutto nella norma. Tornai in cucina e guardai dentro il frigorifero e il freezer.

«Che stai facendo?» chiese Lula.

«Niente, solo una controllatina.»

Uscite da casa di Dougie ci dirigemmo verso quella di Eddie DeChooch. Il nastro della polizia che delimitava la scena del delitto non c’era più e la metà casa di DeChooch era buia e sembrava disabitata.

Parcheggiai ed entrammo in casa. Anche qui, tutto nella norma. Giusto per curiosità diedi un’occhiata nel frigorifero e poi nel freezer. E fu lì che trovai un arrosto.

«Vedo che hai un debole per l’arrosto» disse Lula.

«Dougie ne aveva uno nel freezer e gli è stato rubato.»

«Oh-oh.»

«Potrebbe essere quello che è stato rubato.»

«Fammi capire bene. Pensi che Eddie DeChooch si sia intrufolato in casa di Dougie per rubare l’arrosto?»

A sentirlo suonava un po’ assurdo. «Potrebbe essere» dissi.

Andammo al circolo sociale e poi in chiesa, facemmo un giro nel parcheggio sotterraneo di Mary Maggie, un passaggio veloce alla Ace Pavers per finire con la casa di Ronald DeChooch nella zona nord di Trenton. Il nostro giro in macchina aveva coperto gran parte di Trenton e l’intero quartiere del Burg.

«Io ho chiuso» disse Lula. «Ho bisogno di un po’ di pollo fritto. Quello del Cluck in a Bucket, ultrapiccante e ultraunto. E voglio anche focacce e insalata russa e uno di quei frappè così densi che ti sembra di risucchiarti le budella quando provi a tirar su con la cannuccia.»

Il Cluck in a Bucket è ad appena un paio di isolati dall’ufficio. Hanno un enorme pollo girevole impalato su un’asta che spunta fuori dal parcheggio non asfaltato, e preparano degli ottimi cestini di pollo fritto.

Io e Lula ne prendemmo uno e ci sedemmo a un tavolo.

«Fammi capire bene, allora» disse Lula. «Eddie DeChooch va a Richmond per prelevare delle sigarette. Mentre DeChooch è a Richmond, Louie D tira le cuoia e qualcosa va storto. Non sappiamo cosa.»

Scelsi un pezzo di pollo e annuii.

«Choochy torna a Trenton con le sigarette, ne consegna un po’ a Dougie e poi si fa arrestare mentre cerca di portare il resto delle sigarette a New York.»

Annuii ancora.

«Poi Loretta Ricci muore e Chooch ci scappa.»

«Esatto. E poi Dougie scompare. Benny e Ziggy cercano Chooch. Chooch cerca qualcosa. Anche in questo caso, non sappiamo cosa. E qualcuno ruba l’arrosto di Dougie.»

«E adesso è scomparso anche il Luna» disse Lula. «DeChooch credeva che il Luna avesse quel qualcosa. Hai detto a Chooch che quel qualcosa l’avevi tu, e lui ti ha offerto dei soldi ma niente Luna.»

«Proprio così.»

«È la stronzata più grossa che abbia mai sentito» concluse Lula affondando i denti in una coscia di pollo. Smise di parlare e di masticare e spalancò gli occhi. «Uuh» fece. Poi cominciò ad agitare le braccia e a stringersi la gola.

«Stai bene?» le chiesi.

Si strinse ancora di più la gola.

«Battile dietro la schiena» consigliò qualcuno seduto a un altro tavolo.

«Non funziona» intervenne qualcun altro. «Bisognerebbe fare la manovra di Heimlich.»

Corsi alle spalle di Lula e provai a stringerla con le braccia sotto le ascelle per fare la famosa manovra, ma le mie braccia non erano abbastanza lunghe.

Da dietro il bancone uscì un tipo robusto, abbracciò Lula da dietro e diede una stretta.

«Oooh» fece Lula. E dalla bocca le volò un pezzo di pollo che andò a colpire in testa un ragazzino due tavoli più avanti.

«Devi dimagrire» dissi a Lula.

«Ho l’ossatura robusta» mi rispose.

Tutto tornò alla normalità e Lula cominciò a succhiare il frappè.

«Mentre stavo per morire mi è venuta un’idea» disse Lula. «Quello che devi fare è piuttosto chiaro. Devi dire a DeChooch che hai deciso di accettare i soldi. Poi lo becchiamo quando viene a ritirare quella cosa. E dopo che l’abbiamo preso lo facciamo parlare.»

«Finora non abbiamo avuto troppa fortuna.»

«Sì, ma che cosa hai da perdere? Alla fine lui non prenderà un bel niente.»

Vero.

«Dovresti chiamare Mary Maggie la lottatrice di wrestling e dirle che sei pronta a trattare» suggerì Lula.

Pescai il cellulare dalla borsa e feci il numero di Mary Maggie, ma non rispose nessuno. Lasciai nome e numero di telefono nella segreteria chiedendo di essere richiamata.

Stavo riponendo il cellulare nella borsa a tracolla quando Joyce entrò come una furia nel fast food.

«Ho visto la tua macchina nel parcheggio» disse Joyce. «Pensi di trovare DeChooch standotene qui a mangiare pollo?»

«Se ne è appena andato» disse Lula. «Avremmo potuto catturarlo, ma ci è sembrato troppo facile. Ci piacciono le sfide.»

«Voi due non sapete neanche cosa sia, una sfida» sibilò Joyce. «Siete due fallite. Ciccia e Svampita. Mi fate pena.»

«Già, faremo anche pena, ma non siamo noi ad avere problemi con i gamberetti in agrodolce» disse Lula.

Il commento colse Joyce alla sprovvista, incerta se Lula fosse coinvolta in quell’ignobile misfatto o se la stesse semplicemente provocando.

Il cercapersone di Joyce trillò. Joyce controllò sul display e atteggiò le labbra a un sorriso. «Devo andare. Ho una pista su DeChooch. È un peccato che voi due sciacquette non abbiate niente di meglio da fare che stare qui ad abbuffarvi. Anche se, a giudicare dal vostro aspetto, immagino che sia la cosa che vi riesce meglio.»

«Già, invece a giudicare dal tuo aspetto la cosa che ti riesce meglio è recuperare bastoncini e ululare alla luna» disse Lula.

«Fottiti» fece Joyce e scappò via verso la sua auto.

«Mmm» fece Lula. «Mi aspettavo qualcosa di più originale. Mi sa che Joyce è un po’ fuori forma oggi.»

«Sai cosa dovremmo fare? Dovremmo seguirla.»

Lula stava già raccogliendo il cibo rimasto sul piatto. «Mi leggi nel pensiero» disse.

Nel momento preciso in cui Joyce stava uscendo dal parcheggio, noi uscimmo dal fast food e salimmo sulla CR-V. Lula teneva sulle ginocchia il cestino di pollo e focacce, infilammo i frappè negli appositi reggibicchieri e partimmo.

«Scommetto che è una gran bugiarda» disse Lula. «Scommetto che non c’è nessuna pista. Probabilmente sta andando al centro commerciale.»

Mi tenni a un paio di auto di distanza in modo da non farmi individuare, e io e Lula rimanemmo con gli occhi incollati al parafango posteriore del SUV di Joyce. Dal lunotto si intravedevano due teste. C’era qualcuno seduto davanti, accanto a Joyce.

«Non sta andando al centro commerciale» osservai. «Sta andando nella direzione opposta. Sembrerebbe che si stia dirigendo in centro.»

Dieci minuti dopo cominciai ad avere una brutta sensazione riguardo alla destinazione di Joyce.

«So dove sta andando» dissi a Lula. «Sta andando a parlare con Mary Maggie Mason. Qualcuno deve averle detto della Cadillac bianca.»

Seguii Joyce nel parcheggio sotterraneo, mantenendomi a distanza. Parcheggiai due corsie più in là e io e Lula rimanemmo zitte e buone a guardare.

«Oh-oh» fece Lula «eccola. Lei e il suo portaborse. Stanno andando a parlare con Mary Maggie.»

Maledizione. Conosco Joyce fin troppo bene. So come lavora. Entrerà a tutta birra con la pistola puntata e perlustrerà stanza dopo stanza, dicendo che si tratta di un’irruzione del tutto legittima.

È proprio questo il genere di comportamento da cui deriva la cattiva reputazione dei cacciatori di taglie. E come se non bastasse, a volte funziona. Se Eddie DeChooch si sta nascondendo sotto il letto di Mary Maggie, Joyce lo troverà.

Da quella distanza non riuscivo a vedere bene il suo socio. Avevano entrambi T-shirt nera e pantaloni neri multitasche e dietro la maglietta, in giallo brillante, era scritto RISCOSSIONE GARANZIE.

«Cavolo» disse Lula «hanno un’uniforme. Come mai noi non abbiamo un’uniforme?»

«Forse perché non vogliamo sembrare cretine?» «Già. Stavo pensando più o meno la stessa cosa.» Saltai fuori dalla macchina e chiamai Joyce. «Ehi Joyce! Aspetta un minuto. Voglio parlarti.»

Joyce si girò sorpresa. Strizzò gli occhi quando mi vide e disse qualcosa al suo socio. Non riuscii a sentire cosa. Joyce schiacciò il pulsante di avvio dell’ascensore. Le porte si aprirono e lei e il suo socio scomparvero.

Lula e io arrivammo qualche secondo dopo che le porte si erano chiuse. Prememmo il pulsante e aspettammo qualche minuto.

«Sai cosa penso?» disse Lula. «Non credo che l’ascensore arriverà. Penso che Joyce lo stia tenendo occupato.»

Prendemmo le scale e salimmo dapprima veloci, poi sempre più lentamente.

«Ho qualcosa che non va alle gambe» disse Lula arrivate al quinto piano. «Ho le gambe di gomma. Non vogliono più funzionare.»

«Non ti fermare.»

«Per te è facile. Devi trascinare per le scale un corpo pelle e ossa, ma guarda cosa tocca fare a me.»

Per me non era per niente facile. Sudavo e riuscivo a malapena a respirare. «Dobbiamo metterci in forma» dissi. «Dovremmo andare in palestra.»

«Faccio prima a darmi fuoco.»

Lo stesso valeva anche per me.

Barcollammo via dalle scale e ci ritrovammo sul pianerottolo del settimo piano. La porta dell’appartamento di Mary Maggie era aperta e Joyce e la padrona di casa stavano urlando.

«Se non esci di qui immediatamente chiamo la polizia» urlò Mary Maggie.

«Io sono un’agente» le gridò Joyce per tutta risposta.

«Ma davvero? E dov’è il distintivo?»

«È qui, sulla catenina che ho al collo.»

«Quello è falso. L’hai comprato per corrispondenza. Ti avverto, chiamo la polizia e gli dico che ti spacci per piedipiatti.»

«Non mi spaccio per nessuno» ribatté Joyce. «Non ho mai detto di essere un’agente della polizia di Trenton. Sono un’agente per la riscossione di garanzie.»

«Mi sembri più l’agente di un circo» sibilò Lula.

Ora che ero più vicina, riconobbi la persona che era con Joyce. Si trattava di Janice Molari. Eravamo state compagne di scuola. Janice era una brava persona. Mi domandavo cosa ci facesse con Joyce.

«Stephanie» disse Janice. «Chi non muore si rivede.»

«Ci siamo viste l’ultima volta al matrimonio di Loretta Beeber.»

«Come va?» chiese Janice.

«Benone. E a te come va?»

«Benone. I miei figli vanno tutti a scuola ormai, così ho pensato che potevo lavorare part rime.»

«Da quanto stai con Joyce?»

«Più o meno da due ore» rispose. «È il mio primo lavoro.»

Joyce aveva una pistola fissata alla coscia e ci teneva sopra la mano. «Dimmi, che ci fai qui Plum? Mi stai seguendo per imparare i trucchi del mestiere?»

«Ora basta» disse Mary Maggie. «Tutti fuori! Subito!»

Joyce spinse Lula verso la porta. «L’hai sentita. Muoviti.»

«Ehi» fece Lula dando una botta a Joyce sulla spalla. «A chi hai detto di muoversi?»

«Lo sto dicendo a te, barile di lardo» fu la risposta.

«Sempre meglio essere un barile di lardo che vomito di gamberetti in agrodolce e cacca di cane» disse Lula.

Joyce fece un verso di stupore. «Come lo sai? Non ti ho raccontato tutto.» Aveva gli occhi sbarrati. «Ecco! Sei stata tu!» Oltre alla pistola, Joyce aveva una cintura multiuso completa di manette, spray per autodifesa, scacciacani e manganello. Estrasse la scacciacani dalla cintura e la caricò. «Adesso te la faccio pagare» disse Joyce. «Ti friggo. Te la tengo addosso finché non mi si scarica la batteria e non ti riduco in una poltiglia di grasso liquefatto.»

Lula abbassò lo sguardo sulle mani. Niente borsa. Le avevamo lasciate in macchina. Si infilò le mani nelle tasche. Anche lì, nessuna arma. «Oh-oh» fece.

Joyce le si scagliò contro e Lula strillò, si girò di scatto e corse via lungo il corridoio, in direzione delle scale. Joyce si lanciò subito all’inseguimento. E ci mettemmo tutte a correre dietro a loro due. Io per prima, seguita da Mary Maggie e quindi da Janice. Forse Lula non era un granché a salire le scale, ma una volta preso l’abbrivio, in discesa diventava assolutamente imprendibile. Era un treno merci in corsa.

Lula arrivò al parcheggio sotterraneo e oltrepassò svelta la porta. Era quasi giunta alla macchina quando Joyce la raggiunse e le puntò addosso la scacciacani. Lula si fermò di scatto, ondeggiò sul posto per un secondo e crollò a terra come un sacco di cemento. Joyce si avvicinò per spararle un altro colpo ma io la bloccai da dietro. La scacciacani le sfuggì di mano e cademmo entrambe a terra. Fu allora che Eddie DeChooch entrò nel garage sotterraneo alla guida della Cadillac bianca di Mary Maggie.

Janice lo avvistò per prima. «Ehi, è lui il vecchio della Cadillac bianca?» chiese.

Io e Joyce alzammo la testa per guardare. DeChooch avanzava lentamente in cerca di un parcheggio libero.

«Vai via!» urlò Mary Maggie a DeChooch. «Vai via dal parcheggio!»

Joyce riuscì a mettersi in piedi e partì di corsa verso DeChooch. «Prendilo!» urlò Joyce a Janice. «Non farlo scappare.»

«Prendilo?» chiese Janice, che era in piedi accanto a Lula. «È pazza o cosa? Come dovrei prenderlo?»

«Non voglio che succeda nulla alla mia macchina» urlò Mary Maggie rivolta a Joyce e a me. «Era la macchina di mio zio Ted.»

Lula intanto si era messa carponi e sbavava. «Cosa?» disse. «Chi?»

Io e Janice aiutammo Lula a tirarsi in piedi. Mary Maggie stava ancora urlando a DeChooch, il quale continuava a non accorgersi di nulla.

Consegnai Lula a Janice e corsi verso la mia Honda. Avviai il motore e girai nel parcheggio mettendomi dietro a DeChooch. Non so come sperassi di prenderlo, ma mi sembrava la cosa giusta da fare.

Joyce saltò fuori davanti a DeChooch, con la pistola puntata, e gli intimò di fermarsi. DeChooch premette sull’acceleratore e andò avanti. Joyce ruzzolò per mettersi in salvo e sparò un colpo, che mancò DeChooch ma colpì un finestrino posteriore dell’auto.

DeChooch prese a sinistra e svoltò in una corsia di auto parcheggiate. Gli andai dietro, curvando su due ruote mentre lo inseguivo nella sua folle corsa. Stavamo girando in tondo perché DeChooch non riusciva a trovare l’uscita.

Mary Maggie stava ancora urlando. E Lula era in piedi che agitava le braccia.

«Aspettami!» gridò Lula, pronta a scattare di corsa ma senza sapere bene in che direzione.

Feci un giro passandole davanti e Lula saltò a bordo. Lo sportello sul retro si era aperto e Janice si lanciò nel sedile posteriore.

Joyce era tornata a prendere la sua macchina e l’aveva posizionata in modo da bloccare parzialmente l’uscita. Aveva aperto lo sportello sul lato di guida e vi si riparò dietro con la pistola pronta a sparare.

DeChooch riuscì finalmente a imboccare la corsia giusta e si diresse verso l’uscita. Puntava diritto verso Joyce la quale sparò un colpo mancando completamente il bersaglio, poi si buttò di lato quando DeChooch arrivò a tutta velocità scardinando lo sportello dell’auto di Joyce e facendolo volare in aria.

Lanciai subito l’auto all’inseguimento di DeChooch. La parte anteriore destra della Cadillac era piuttosto malconcia, ma era chiaro che a Choochy non importava minimamente. Svoltò su Spring Street e rimasi incollata al suo paraurti. Dalla Spring si immise sulla Broad e improvvisamente ci ritrovammo in mezzo a un ingorgo.

«È nostro» gridò Lula. «Tutti fuori dalla macchina!»

Lula, Janice e io schizzammo via dalla macchina e corremmo a catturare DeChooch. Questo fece una retromarcia veloce e speronò la CR-V, facendola finire contro l’auto che era dietro di noi. Sterzò tutto il volante e si tirò fuori raschiando il paraurti contro l’auto che gli stava davanti.

Lula non smise mai di urlare. «Abbiamo la tua cosa» gridava. «E vogliamo i soldi. Abbiamo deciso che vogliamo i soldi!»

Ma DeChooch sembrò non sentire nulla di tutto ciò. Fece un’inversione a U e se ne andò, avvolgendoci in una nuvola di polvere.

Lula, Janice e io restammo a guardarlo mentre sfrecciava lungo la strada, poi rivolgemmo la nostra attenzione alla CR-V. Era accartocciata come una fisarmonica.

«Adesso sì che mi arrabbio» disse Lula. «Ha fatto versare tutto il mio frappè, e l’ho anche pagato caro.»


«Fammi capire bene» disse Vinnie. «Mi stai dicendo che DeChooch ti ha distrutto la macchina e ha rotto una gamba a Barnhardt.»

«A dire il vero è stato lo sportello della macchina che ha rotto la gamba a Joyce» dissi. «Quando è volato via ha fatto una specie di piroetta in aria e le è piombato sulla gamba.»

«Non ci saremmo accorte di niente se l’autoambulanza non ci fosse passata davanti mentre andava in ospedale. Stavano giusto per rimorchiarci la macchina quando è arrivata l’ambulanza con dentro Joyce tutta legata alla barella» disse Lula.

«E adesso dov’è DeChooch?» domandò Vinnie.

«È una domanda alla quale non sappiamo rispondere» disse Lula. «E visto che non abbiamo mezzi di trasporto non c’è neanche modo di scoprirlo.»

«E la tua macchina?» chiese Vinnie a Lula.

«È dal meccanico. La sto facendo revisionare e poi le danno una passata di vernice. Non me la consegnano prima della prossima settimana.»

Si rivolse a me. «E la tua Buick? Prendi sempre la Buick quando hai problemi con la macchina.»

«Ora la Buick ce l’ha mia sorella.»

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