Capitolo 7

Entrai lentamente nel garage e feci un giro in cerca della Cadillac. Percorsi avanti e indietro ogni settore, ma invano. E meno male, perché non avrei saputo cosa fare se avessi trovato Choochy. Non mi sentivo in grado di catturarlo da sola. E al solo pensiero di accettare il patto di Ranger avevo un orgasmo, seguito a ruota da un attacco di panico.

E se avessi passato la notte con Ranger? Che cosa sarebbe successo? Supponiamo che fosse stato tanto incredibile da far sembrare tutti gli altri uomini delle nullità. Supponiamo che a letto fosse stato meglio di Joe. Non che Joe fosse un pappamolle. Era semplicemente un essere umano, cosa che non ero sicura di poter dire a proposito di Ranger.

E il mio futuro? Avrei sposato Ranger? No. Ranger non era fatto per il matrimonio. Diavolo, se è per questo neanche Joe lo era.

E poi c’era da considerare l’altro lato della questione. Supponiamo che io non fossi stata all’altezza. Involontariamente strizzai gli occhi. Ah! Sarebbe stato terribile. Oltremodo imbarazzante.

Supponiamo che lui non fosse stato all’altezza. Addio fantasie. A che cosa avrei pensato allora quando eravamo soli io e il getto caldo della doccia che mi massaggiava il collo?

Scossi la testa per snebbiarmi il cervello. Non volevo prendere in considerazione l’idea di una notte con Ranger. Troppo complicato.

Era ora di cena quando tornai a casa dei miei. Valerie non era più a letto e ora se ne stava seduta al tavolo, con indosso un paio di occhiali scuri. Angie e il Luna stavano mangiando panini al burro di arachidi davanti alla televisione. Mary Alice galoppava per casa, sbuffando e strofinando gli zoccoli sulla moquette. La nonna si era vestita per la veglia. Mio padre stava a testa china sulla polpetta che aveva davanti. E mia madre era a capotavola, nel bel mezzo di una caldana coi fiocchi. Aveva il viso arrossato, i capelli umidi e appiccicati sulla fronte e lo sguardo si spostava freneticamente per la stanza, sfidando chiunque ad alludere che fosse in preda ai fastidi della menopausa.

La nonna ignorò mia madre e mi passò la salsa di mele. «Speravo proprio che venissi a cena. Mi farebbe comodo un passaggio per la veglia.»

«Certo» dissi. «Avevo intenzione di andarci anch’io.»

Mia madre mi guardò con un’espressione addolorata.

«Che c’è?» le domandai.

«Niente.»

«Cosa?»

«I vestiti. Se vai alla veglia della famiglia Ricci vestita così non farò altro che rispondere al telefono per tutta la settimana. Che dirò alla gente? Penseranno che non ti puoi permettere dei vestiti decenti.»

Abbassai lo sguardo sui jeans e gli stivali. A me sembravano decenti, ma non avevo intenzione di discutere con una donna in piena menopausa.

«Io ho dei vestiti che potresti mettere» disse Valerie. «Anzi, vengo con te e la nonna. Ci divertiremo! Da Stiva servono anche dei dolci?»

Deve esserci stato uno scambio in ospedale. Non è possibile che io abbia una sorella che pensa a una veglia funebre come a un posto dove ci si va a divertire.

Valerie saltò su dalla sedia e mi trascinò al piano di sopra tenendomi per mano. «Ho l’abbigliamento fatto apposta per te!»

Non c’è niente di peggio che indossare i vestiti di qualcun altro. Be’, forse una carestia mondiale o un’epidemia di tifo, ma a parte quello, i vestiti presi in prestito non stanno mai bene. Valerie è un paio di centimetri più bassa di me e pesa qualche chilo in meno. Portiamo lo stesso numero di scarpe, ma i nostri gusti in fatto di vestiti non potrebbero essere più diversi. Indossare gli abiti di Valerie alla veglia dei Ricci è un po’ come andare a una festa mascherata la notte di Halloween.

Valerie tirò fuori dal suo armadio una gonna. «Ta-daa!» fece. «Non è meravigliosa? È perfetta. E ho anche una camicetta che ci sta alla perfezione. E pure le scarpe perfette. È tutto un completo.»

Valerie è sempre stata la regina dei completi. Ha sempre scarpe e borse abbinate. Anche gonne e camicette sono sempre abbinate. E Valerie riesce perfino a indossare un foulard senza sembrare un’idiota.

Cinque minuti più tardi, Valerie mi aveva vestito dalla testa ai piedi. La gonna era color malva e verde limone, con un motivo a gigli rosa e gialli. Era di stoffa trasparente e arrivava a metà polpaccio. Probabilmente sarebbe stata benissimo a mia sorella a Los Angeles, ma io mi sentivo come una tenda per doccia anni Settanta. Il sopra era una camicetta bianca di cotone elasticizzato con maniche appena accennate e pizzo intorno al collo. Ai piedi avevo sandali rosa a strisce con sette centimetri di tacco.

Mai in vita mia avevo pensato di poter indossare delle scarpe rosa.

Mi guardai nello specchio a figura intera e trattenni una smorfia.


«Guardate un po’» disse la nonna quando arrivammo da Stiva. «C’è il pienone. Saremmo dovute arrivare prima. Tutti i primi posti davanti alla bara saranno già stati occupati.»

Eravamo nell’ingresso, e a malapena riuscivamo a muoverci tra il fiume di persone che entravano e uscivano dalle salette dove erano venute a porgere l’estremo saluto. Erano le sette in punto e se fossimo arrivate prima ci sarebbe toccato fare la fila come a un concerto rock.

«Non riesco a respirare» disse Valerie. «Mi schiacceranno come un insetto. Le mie bimbe rimarranno orfane.»

«Devi pestare i piedi e dare calci nei polpacci» disse la nonna «e poi vedi come si tengono alla larga.»

Benny e Ziggy erano appena oltre la porta della saletta numero uno. Se Eddie fosse passato di lì non se lo sarebbero fatto sfuggire. C’era anche Tom Bell, responsabile delle indagini del caso Ricci, oltre a metà della popolazione del Burg.

Sentii una mano sul sedere e quando mi girai di scatto mi ritrovai davanti il viso arrapato di Ronald DeChooch. «Ehi, ragazza» mi disse «mi piace questa gonnellina trasparente. Scommetto che non porti le mutandine.»

«Stammi a sentire, brutto sacco di merda senza uccello» gli dissi «se mi tocchi un’altra volta il sedere ti faccio sparare.»

«Ha fegato, la ragazza» commentò Ronald. «Mi piace.»

Nel frattempo, Valerie era scomparsa, risucchiata dalla folla che avanzava. E la nonna era davanti a me che si faceva strada verso la bara. Le bare chiuse sono una situazione pericolosa, perché pare che i coperchi si aprano automaticamente quando c’è la nonna in circolazione. Meglio rimanerle vicino e controllare che non tiri fuori una lima dalla borsetta per manomettere la chiusura.

Constantine Stiva, l’impresario di pompe funebri più gettonato del Burg, adocchiò la nonna e corse a mettersi di guardia, arrivando prima di lei davanti alla defunta.

«Edna» le disse, annuendo e mostrandole il tipico sorriso da impresario di pompe funebri «che piacere rivederti.»

Una volta a settimana la nonna creava il caos da Stiva, ma Stiva non aveva intenzione di giocarsi una futura cliente che non era più una giovincella e che per giunta aveva messo l’occhio, per il suo riposo eterno, su una bara tra le più costose, di mogano intagliato a mano.

«Mi sembrava giusto venire a porgere un saluto» disse la nonna. «Io e Loretta eravamo nello stesso gruppo.»

Stiva si era saggiamente frapposto tra la nonna e Loretta. «Certo. Molto gentile da parte tua.»

«Vedo che è un altro di quei funerali a bara chiusa» disse la nonna.

«Volontà della famiglia» rispose Stiva con voce vellutata come crema e un’espressione placida in viso.

«Immagino sia meglio così, visto che le hanno sparato e poi l’hanno fatta a pezzetti con l’autopsia.»

Stiva tradì una punta di nervosismo.

«Peccato che abbiano dovuto fare l’autopsia» continuò la nonna. «Loretta ha ricevuto cinque colpi al petto e avrebbe potuto avere un funerale a bara aperta se non fosse che nell’autopsia ti tirano fuori il cervello, il che immagino renda difficile fare una bella acconciatura.»

Le tre persone che erano nei paraggi trattennero il fiato e si affrettarono alla porta.

«Che aspetto aveva?» chiese la nonna a Stiva. «Avresti potuto fare qualcosa se non fosse stato per la faccenda del cervello?»

Stiva prese mia nonna per un gomito. «Perché non andiamo nell’ingresso dove c’è meno gente e possiamo mangiare qualcosa?»

«Buona idea. Un biscotto non mi dispiacerebbe. Tanto qui non c’è niente da vedere.»

Li seguii e mentre andavo mi fermai a parlare con Ziggy e Benny.

«Non si farà vedere» dissi. «Non è tanto pazzo.»

Ziggy e Benny risposero con una scrollata di spalle all’unisono.

«Non si sa mai» fece Ziggy.

«Cosa è successo ieri con il Luna?»

«Voleva vedere il circolo» disse Ziggy. «È uscito dal tuo appartamento per prendere una boccata d’aria, abbiamo cominciato a parlare e poi sai com’è, una cosa tira l’altra.»

«Già, non volevamo mica rapire il ragazzo» aggiunse Benny. «E non vogliamo che la vecchia della famiglia Morelli ci faccia il malocchio. Non che crediamo in quel genere di stregonerie, intendiamoci, ma meglio non rischiare.»

«Abbiamo sentito dire che ha fatto il malocchio a Carmine Scallari e che da quel momento, be’, non è più riuscito a farlo» mi informò Ziggy.

«Si dice che abbia anche provato con quella nuova medicina, ma non c’è stato niente da fare» disse Benny.

Benny e Ziggy rabbrividirono involontariamente. Non volevano ritrovarsi nella stessa brutta situazione di Carmine Scallari.

Guardai verso l’ingresso e scorsi Morelli. Se ne stava da un lato, schiena contro il muro, a passare in rassegna la folla. Aveva un paio di jeans, scarpe da tennis nere e T-shirt nera sotto una giacca sportiva in tweed. Così vestito aveva un aspetto asciutto e predatore. Gli uomini gli si avvicinavano per parlare del più e del meno e poi se ne andavano. Le donne lo guardavano da lontano, chiedendosi se fosse tanto pericoloso quanto sembrava, se meritasse la cattiva reputazione che aveva.

Incrociò il mio sguardo dall’altra parte della stanza e piegò il dito nel gesto universalmente usato per dire vieni qui. Quando gli fui vicino mi cinse le spalle con un braccio, come a voler significare un senso di possesso, e mi diede un bacio sul collo, appena sotto l’orecchio. «Dov’è il Luna?»

«Sta guardando la TV con le figlie di Valerie. Sei qui perché speri di prendere Eddie?»

«No. Sono qui perché spero di prendere te. Penso che dovresti lasciare il Luna a dormire dai tuoi e tu potresti venire a casa mia.»

«Proposta allettante, ma sono con la nonna e Valerie.»

«Sono appena arrivato» disse Joe. «Tua nonna è riuscita a scoperchiare la bara?»

«È stata intercettata da Stiva.»

Morelli seguì con il dito il pizzo lungo la cucitura della scollatura. «Mi piace questo pizzo.»

«Che mi dici della gonna?»

«La gonna sembra una tendina per la doccia. Ha un che di erotico. Mi sto domandando se indossi la biancheria intima.»

Oddio! «È la stessa, identica cosa che mi ha detto Ronald DeChooch.»

Morelli si guardò intorno. «Non l’ho visto quando sono entrato. Non sapevo che Ronald e Loretta facessero parte dello stesso giro.»

«Forse Ronald è qui per lo stesso motivo per cui sono qui Ziggy, Benny e Tom Bell.»

Ci si avvicinò tutta sorridente la signora Dugan. «Congratulazioni» disse. «Ho sentito che vi sposate. Sono emozionata per voi. Ed è una bella fortuna che l’Associazione nazionale dei polacchi vi abbia messo a disposizione la PNA Hall per il ricevimento. Tua nonna deve aver fatto carte false per accaparrarsela.»

La PNA Hall? Guardai Morelli e alzai gli occhi al cielo mentre lui scuoteva la testa in silenzio.

«Chiedo scusa» dissi alla signora Dugan «devo trovare nonna Mazur.»

Attraversai a testa bassa il mare di gente fino alla nonna. «La signora Dugan mi ha appena detto che abbiamo affittato la PNA Hall per il ricevimento» le bisbigliai all’orecchio. «È la verità?»

«Lucilie Stiller l’aveva prenotata per il cinquantesimo anniversario di matrimonio dei suoi genitori, ma la madre è morta ieri notte. Appena l’abbiamo saputo, non ci siamo lasciate sfuggire la sala. Non sono fortune che capitano tutti i giorni!»

«Non voglio un ricevimento alla PNA Hall.»

«Tutti vogliono un ricevimento alla PNA Hall» disse la nonna. «È il posto migliore del Burg.»

«Non voglio una cosa in grande. Voglio fare il ricevimento nel giardino sul retro.» Oppure faccio a meno del ricevimento. Non sono neanche sicura se ci sarà un matrimonio!

«E se piove? Dove mettiamo tutte le persone?»

«Non voglio molti invitati.»

«Ci saranno un centinaio di persone solo nella famiglia di Joe» fece la nonna.

Morelli era alle mie spalle. «Mi sta venendo un attacco di panico» gli dissi. «Non riesco a respirare. Mi si sta gonfiando la lingua. Soffoco.»

«Un bel soffocamento è proprio quello che ci vuole» rispose lui.

Guardai l’orologio. La veglia sarebbe andata avanti ancora per un’ora e mezzo. Con la mia solita fortuna, Eddie sarebbe arrivato non appena me ne fossi andata via.

«Ho bisogno di un po’ d’aria» dissi. «Vado fuori per un paio di minuti.»

«Ci sono delle persone con cui non ho ancora parlato» disse la nonna. «Ti raggiungo più tardi.»

Joe mi seguì fuori e restammo in veranda, a respirare l’aria che veniva dalla strada, felici di lasciarci alle spalle l’odore di garofani e inalare a pieni polmoni i gas di scarico delle auto. L’illuminazione era accesa e in strada c’era un flusso costante di traffico. Dall’impresa di pompe funebri dietro di noi arrivavano suoni festosi. Non era musica rock, ma un sottofondo costante di voci e risate. Ci sedemmo su un gradino a guardare il traffico, tenendoci compagnia in silenzio. Eravamo lì a rilassarci quando la Cadillac bianca ci passò davanti.

«Era Eddie DeChooch?» chiesi a Morelli.

«Mi è sembrato lui» rispose.

Nessuno dei due si mosse. Non potevamo fare molto se DeChooch ci passava davanti in macchina. Le nostre auto erano a due isolati da lì.

«Dovremmo fare qualcosa per arrestarlo» dissi.

«A cosa pensavi?»

«Be’, ormai è troppo tardi, ma avresti dovuto sparare a una gomma.»

«Me lo ricorderò per la prossima volta.»

Cinque minuti dopo eravamo ancora seduti lì e DeChooch ci passò davanti un’altra volta.

«Gesù» disse Joe. «Cos’ha questo tipo?»

«Forse sta cercando parcheggio.»

Morelli balzò in piedi. «Vado a prendere il fuoristrada. Tu entra e avvisa Tom Bell.»

Joe partì e io andai da Bell. Sulle scale incrociai Myron Birnbaum. Un momento. Myron Birnbaum se ne stava andando. Stava per liberare un posto macchina e DeChooch stava cercando parcheggio. E conoscendo Myron Birnbaum ero praticamente certa che avesse parcheggiato poco distante. Non dovevo fare altro che tenere il posto di Birnbaum finché DeChooch non fosse arrivato. DeChooch avrebbe parcheggiato e io lo avrei intrappolato. Maledizione, quanto ero intelligente.

Seguii Birnbaum e, proprio come pensavo, aveva parcheggiato all’angolo, a tre macchine di distanza dalle pompe funebri di Stiva, ben incastrato tra una Toyota e un SUV Ford. Aspettai che uscisse dal parcheggio e poi saltai nello spazio che si era liberato facendo segno di andarsene alle macchine che volevano occuparlo. Eddie DeChooch vedeva a malapena oltre il paraurti anteriore della sua auto e quindi non c’era pericolo che mi individuasse da lontano. Il mio piano era tenergli il posto e poi nascondermi dietro il SUV quando la Cadillac si fosse avvicinata.

Sentii un clop clop di tacchi sul marciapiede e quando mi girai vidi che Valerie stava venendo verso di me.

«Che succede?» chiese. «Stai tenendo il posto per qualcuno? Vuoi che ti aiuti?»

Un’anziana alla guida di una Oldsmobile vecchia dieci anni si fermò vicino al posto vuoto e mise la freccia destra.

«Mi dispiace» le dissi, facendole segno di spostarsi. «Questo posto è occupato.»

L’anziana mi gesticolò di togliermi di mezzo.

Feci no con la testa. «Provi al parcheggio.»

Valerie era di fianco a me e agitava le braccia indicando il parcheggio: in quel momento sembrava uno di quei tipi che dirigono gli aeroplani sulle piste. Era vestita quasi come me, ma con un diverso abbinamento di colori. Le sue scarpe erano color lavanda.

L’anziana suonò il clacson e cominciò a entrare lentamente nello spazio che stavo tenendo occupato. Valerie fece un salto all’indietro ma io misi le mani sui fianchi, fissai la donna e non mi spostai di un millimetro.

C’era un’altra anziana sul sedile del passeggero. Tirò giù il finestrino e mise fuori la testa. «Questo è il nostro parcheggio.»

«È un’operazione di polizia» spiegai. «Dovrà parcheggiare da qualche altra parte.»

«Sei un’agente di polizia?»

«Mi occupo di latitanti sotto cauzione.»

«Esatto» intervenne Valerie. «Questa è mia sorella e si occupa di latitanti sotto cauzione.»

«Non ha niente a che fare con la polizia» protestò l’anziana donna.

«La polizia sarà qui a minuti» le dissi.

«Io penso che tu sia una gran bugiarda e che stia tenendo il posto per il tuo fidanzato. Nessuno impegnato in un’operazione di polizia si vestirebbe come te.»

La Oldsmobile era già entrata per un terzo nel parcheggio e con la parte anteriore occupava metà della strada. Con la coda dell’occhio vidi muoversi qualcosa di bianco e prima che potessi reagire, DeChooch andò a sbattere contro la Oldsmobile. La Oldsmobile fu sbalzata in avanti e andò a sbattere contro il retro del SUV, mancandomi per un pelo. La Cadillac sbandò contro il quadrante posteriore sinistro della Oldsmobile e vidi che DeChooch si sforzava di mantenere il controllo. Si girò e mi guardò dritto in faccia, rimanemmo tutti sospesi nel tempo per un attimo, poi ripartì.

Maledizione!

Le due anziane forzarono le portiere della Oldsmobile e riuscirono faticosamente a scendere dall’auto.

«Guarda la mia macchina!» gridò la donna alla guida. «È da buttare!» Mi costrinse a girarmi. «È tutta colpa tua. Guarda cosa hai fatto. Ti odio.» E mi colpì la spalla con la borsetta.

«Ahi» esclamai «mi ha fatto male.»

Era più bassa di me di qualche centimetro ma aveva qualche chilo in più. I capelli erano corti e permanentati di fresco. Doveva avere sui sessant’anni. Sulle labbra aveva un rossetto rosso acceso, si era disegnata le sopracciglia con una matita marrone scuro e aveva due cerchi di fard rosa sulle guance. Sicuramente non era del Burg. Forse Hamilton Township.

«Avrei dovuto prenderti sotto quando ne avevo l’opportunità» disse.

Mi colpì di nuovo con la borsetta, ma questa volta la presi per la cinghia e gliela tolsi di mano con uno strattone.

Dietro di me sentii Valerie fare un piccolo verso di sorpresa.

«La mia borsa» gridò la donna. «Ladra! Aiuto. Mi ha preso la borsa!»

Intorno a noi aveva cominciato a radunarsi una piccola folla. Gente che passava di lì in auto e gente che era andata a far visita alla defunta. L’anziana prese uno degli uomini che stava sull’esterno dell’assembramento. «Vuole rubarmi la borsa. Ha provocato l’incidente e ora mi sta rubando la borsa. Chiami la polizia.»

Dal gruppo saltò fuori la nonna. «Che sta succedendo? Sono appena arrivata. Cos’è tutto questo casino?»

«Mi ha rubato la borsa» mentì la donna.

«Non è vero» risposi.

«E invece sì»

«E invece no!»

«Me l’hai rubata» ripeté e mi spinse indietro con una manata sulla spalla.

«Tenga giù le mani da mia nipote» disse la nonna.

«Sì. Da mia sorella» intervenne Valerie.

«Fatevi gli affari vostri» urlò la donna rivolta alla nonna e a Valerie.

La donna diede una spinta alla nonna la quale gliene restituì un’altra e fu così che cominciarono a prendersi a schiaffi mentre Valerie se ne stava da un lato a gridare.

Feci un passo avanti per dividerle e nella confusione di minacce e braccia che si agitavano qualcuno mi diede una botta sul naso. Mi si riempì il campo visivo di tante piccole lucciole e mi cedette un ginocchio. La nonna e l’anziana smisero di picchiarsi e mi offrirono fazzolettini uniti a consigli su come bloccare il sangue che mi colava dal naso.

«Qualcuno chiami un’ambulanza» gridò Valerie. «Chiamate il pronto soccorso. Un medico. Le pompe funebri.»

Arrivò Morelli e mi tirò in piedi. «Direi che possiamo cancellare la boxe dalla lista di possibili professioni alternative.»

«Ha cominciato la donna anziana.»

«A giudicare dal tuo naso direi che l’anziana ha anche concluso.»

«Ha avuto fortuna.»

«Ho incrociato DeChooch che andava a tutta velocità in direzione opposta» mi informò. «Non sono riuscito a girare in tempo per inseguirlo.»

«È la storia della mia vita.»


Quando il naso smise di sanguinare Morelli caricò me, la nonna e Valerie nella mia CR-V e ci seguì fino a casa dei miei. Dopodiché ci fece un bel saluto con la mano, preferendo non essere nei paraggi quando mia madre ci avrebbe visto. Avevo macchiato di sangue la gonna e la camicetta di Valerie. La gonna aveva anche un piccolo strappo. Mi ero sbucciata un ginocchio, ancora sanguinante. E avevo un principio di occhio nero. La nonna era più o meno nelle stesse condizioni, ma non aveva né l’occhio nero né la gonna strappata. In compenso le era successo qualcosa ai capelli che adesso le stavano diritti in testa, facendola assomigliare a Don King, il manager di Tyson.

Dato che al Burg le notizie viaggiano alla velocità della luce, quando arrivammo a casa mia madre aveva già risposto a sei telefonate sull’argomento e sapeva della rissa in ogni minimo dettaglio. Aveva la bocca serrata quando entrammo e andammo di corsa in cucina a prendere del ghiaccio per il mio occhio.

«Non è andata poi così male» disse Valerie a mia madre. «La polizia ha sistemato tutto. Quelli dell’ambulanza hanno detto che secondo loro il naso di Stephanie non è rotto. E comunque non c’è molto da fare con i nasi rotti, giusto Stephanie? Magari puoi metterci un cerotto.» Prese il ghiaccio dalle mani di mia madre e se lo mise in testa. «C’è qualcosa di alcolico in casa?»

Il Luna arrivò in tutta tranquillità dalla sua postazione davanti alla TV. «Piccola» disse. «Che succede?»

«Una scaramuccia per un parcheggio.»

Il Luna annuì. «È sempre una questione di file da rispettare, vero?» E così dicendo, se ne tornò davanti alla TV.

«Non avrai intenzione di lasciarlo qui, vero?» chiese mia madre. «Non viene a vivere qui anche lui, è così?»

«Credi che potrebbe funzionare?» domandai in tono speranzoso.

«No!»

«Allora immagino che non potrò lasciarlo.»

Angie distolse lo sguardo dalla TV. «È vero che sei stata colpita da una vecchietta?»

«È stato un incidente» le risposi.

«Quando si viene colpiti alla testa, il colpo fa gonfiare il cervello. Le cellule cerebrali muoiono e non si rigenerano.»

«Non è un po’ tardi per stare davanti alla televisione?»

«Non devo andare a letto perché domani non devo andare a scuola» disse Angie. «Non ci siamo iscritte alla nuova scuola. E poi siamo abituate a stare alzate fino a tardi. Mio padre era spesso a cena fuori per lavoro e potevamo stare su finché non tornava a casa.»

«Solo che adesso se ne è andato» intervenne Mary Alice. «Ci ha lasciato per andare a letto con la baby sitter. Una volta li ho visti che si baciavano e papà aveva una forchetta nei pantaloni che gli spuntava all’infuori.»

«Le forchette a volte fanno di questi scherzi» disse la nonna.

Presi le mie cose e il Luna e mi diressi verso casa. Se fossi stata più in forma sarei andata allo Snake Pit, ma per quello dovevo aspettare un altro giorno.

«Spiegami un po’ perché tutti stanno cercando questo Eddie DeChooch» disse il Luna.

«Io lo sto cercando perché non si è presentato in tribunale il giorno fissato per l’udienza. La polizia lo sta cercando perché pensano che sia coinvolto in un omicidio.»

«E lui crede che io abbia qualcosa di suo.»

«Già.» Mentre guidavo guardai il Luna, chiedendomi se avesse qualcosa fuori posto in testa, e se magari qualche informazione importante potesse riaffiorare in superficie.

«Allora che ne pensi?» chiese. «Pensi che Samantha di Vita da strega riesca a fare tutte quelle magie se non storce il naso?»

«No» dissi. «Penso che debba storcere il naso.»

Il Luna espresse il suo serio ragionamento: «È quello che credo anch’io».


Era lunedì mattina e mi sentivo come se mi avesse investito un camion. Sul ginocchio si era formata una crosticina e il naso mi faceva male. Mi trascinai fuori dal letto e zoppicai fino al bagno. Ah! Avevo tutti e due gli occhi neri. Uno era parecchio più nero dell’altro. Mi misi sotto la doccia e ci rimasi forse per un paio d’ore. Quando barcollai fuori, il naso mi faceva meno male, ma gli occhi erano peggio di prima.

Cosa importante da ricordare: due ore sotto la doccia sono da evitare nelle fasi iniziali di un occhio nero.

Mi asciugai i capelli con il phon e li raccolsi in una coda di cavallo. Indossai la mia solita uniforme di jeans e T-shirt elasticizzata e andai in cucina a racimolare la colazione. Da quando Valerie era tornata, mia madre aveva avuto troppo da fare per prepararmi la solita busta di cibo da portare a casa, e così non c’era traccia di torta rovesciata di ananas nel frigorifero. Mi versai un bicchiere di succo d’arancia e infilai una fetta di pane nel tostapane. Era tutto tranquillo nel mio appartamento. Sereno. Bello. Troppo bello. Troppo sereno. Uscii dalla cucina e mi guardai in giro. Tutto sembrava in ordine. Tranne che per il piumone stropicciato e il cuscino sul divano.

Oh, merda! Il Luna non c’era più. Maledizione, maledizione, maledizione.

Corsi alla porta. Era chiusa a chiave. La catenella di sicurezza della serratura era stata rimossa e penzolava. Aprii la porta e guardai fuori. Nessuno lungo il corridoio. Guardai dalla finestra del soggiorno verso il parcheggio. Niente Luna. Nessun soggetto losco né auto. Chiamai a casa del Luna. Nessuna risposta. Gli scrissi un messaggio dicendogli che sarei tornata presto e che avrebbe dovuto aspettarmi. Diavolo, tutti entrano a casa mia forzando la serratura. Fissai il biglietto sulla porta di casa con lo scotch e partii.

La prima tappa fu a casa del Luna. C’erano i suoi due coinquilini, ma lui no. Seconda tappa, casa di Dougie. Un buco nell’acqua. Passai davanti al circolo sociale, a casa di Eddie, e a casa di Ziggy. Tornai nel mio appartamento. Del Luna nessuna traccia.

Chiamai Morelli. «Se ne è andato» dissi. «Era già andato via quando mi sono alzata stamattina.»

«È così grave?»

«Sì, è grave.»

«Terrò gli occhi aperti.»

«Non ci sono stati, ehm…»

«Cadaveri riportati a riva dalle onde? Corpi ritrovati nella discarica? Arti smembrati infilati nella cassetta per le consegne notturne del negozio di video? No. Niente di tutto questo. È stato tutto tranquillo.»

Riagganciai e chiamai Ranger. «Aiuto» dissi.

«Ho sentito dire che ieri sera ti sei fatta malmenare di brutto da un’anziana» rispose. «È proprio arrivato il momento di prendere qualche lezione di autodifesa, bambina. La tua immagine non ci guadagna se ti fai prendere a botte da una vecchietta.»

«Ho problemi ben più gravi da risolvere. Facevo da baby sitter al Luna ed è scomparso.»

«Forse se l’è semplicemente svignata.»

«O forse no.»

«Ha preso la macchina?»

«La sua macchina è ancora nel parcheggio sotto casa mia» dissi.

Ranger rimase un attimo in silenzio. «Chiederò in giro e poi ti farò sapere.»

Chiamai mia madre. «Non hai visto il Luna, vero?» le domandai.

«Cosa?» urlò. «Cosa hai detto?»

In sottofondo sentivo Angie e Mary Alice che correvano per casa. Stavano urlando e sembrava che stessero battendo sulle pentole.

«Che cosa sta succedendo?» urlai al telefono.

«Tua sorella è uscita per un colloquio di lavoro, e le bambine stanno facendo una parata.»

«Sembra più la Terza guerra mondiale. Il Luna è capitato lì da voi stamattina?»

«No. Non lo vedo da ieri sera. È un tipo un po’ strano, vero? Sei sicura che non si droghi?»


Lasciai sulla porta il biglietto per il Luna e andai in ufficio. Connie e Lula erano sedute alla scrivania di Connie e fissavano la porta della tana privata di Vinnie.

Connie mi fece segno di rimanere zitta. «Joyce è dentro con Vinnie» sussurrò. «Sono dentro da dieci minuti ormai.»

«Dovevi essere qui all’inizio quando Vinnie faceva versi da mucca. Ho idea che Joyce lo stesse mungendo» disse Lula.

Dietro le porte chiuse si sentiva gemere e grugnire sommessamente. Poi i grugniti cessarono e Lula e Connie si sporsero in avanti speranzose.

«Questa è la parte che preferisco» disse Lula. «Qui è il momento in cui cominciano con le sculacciate e Joyce abbaia come un cane.»

Mi allungai in avanti con loro, ad ascoltare le sculacciate e sperando di sentire Joyce abbaiare come un cane, imbarazzata ma allo stesso tempo incapace di andarmene.

Mi sentii tirare indietro per la coda. Ranger era entrato alle mie spalle e mi aveva preso per i capelli. «Mi fa piacere vedere che ti ammazzi di lavoro per trovare il Luna.»

«Sssh. Voglio sentire Joyce che abbaia come un cane.»

Ranger mi schiacciò contro di sé e il calore del suo corpo cominciò a invadere il mio. «Non credo che valga la pena aspettare, bambina.»

Ci fu rumore di schiaffi e qualche grido, poi più niente.

«Be’, è stato divertente» disse Lula «ma ogni divertimento ha un prezzo. Joyce entra là dentro unicamente quando vuole qualcosa. E c’è solo un caso importante ancora in sospeso.»

Guardai Connie. «Eddie DeChooch? Vinnie non affiderebbe Eddie a Joyce, giusto?»

«Di solito si abbassa a tanto solo quando c’è di mezzo una bella cavalcata» disse Connie.

«Già, per la parte dello stallone è disposto a tutto» aggiunse Lula.

La porta si aprì e Joyce uscì con stizza dall’ufficio. «Mi servono i documenti su DeChooch» disse.

Feci per avventarmi contro di lei, ma Ranger mi teneva ancora per i capelli e così non andai molto lontano. «Vinnie» urlai «vieni subito qui!»

La porta dell’ufficio di Vinnie si chiuse fragorosamente e si sentì lo scatto della serratura.

Lula e Connie guardarono Joyce di traverso.

«Ci vorrà un po’ per mettere insieme tutte le carte» avvertì Connie. «Forse dei giorni.»

«Nessun problema» disse Joyce. «Tornerò.» Guardò verso di me. «Bello, quell’occhio. Molto attraente.»

Dovevo proprio portare Bob a fare un altro giro nel giardino di Joyce. Forse avrei potuto intrufolarmi in casa e fargli fare i suoi bisogni proprio sul letto.

Ranger mollò la presa sulla mia coda di cavallo ma continuò a tenermi una mano sul collo. Cercai di rimanere calma, ma la sensazione della sua mano sul mio corpo mi ronzava dentro fino alla punta dei piedi e da varie altre parti.

«Nessuno dei miei contatti ha visto qualcuno che corrisponda alla descrizione del Luna» disse Ranger. «Ho pensato che potremmo discutere dell’argomento con Dave Vincent.»

Lula e Connie guardarono verso di me. «Cosa è successo al Luna?»

«È scomparso» risposi. «Proprio come Dougie.»

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