SANSA

Vennero a prenderla il terzo giorno.

Lei scelse un vestito di lana grigia, dal taglio semplice ma con elaborati ricami alla scollatura e alle maniche. Senza le cameriere ad aiutarla, le sue dita erano goffe e maldestre nel chiudere i fermagli d’argento. C’era Jeyne Poole confinata con lei, ma in quel momento aveva gli occhi gonfi e arrossati dal pianto ed era del tutto inutile, non riusciva a smettere di singhiozzare d’angoscia per la sorte di suo padre.

«Sono certa che tuo padre sta bene» la rassicurò Sansa quando fu finalmente riuscita ad abbottonare il vestito nel modo giusto. «Chiederò alla regina di consentirti di vederlo.» Aveva pensato che quella cortesia avrebbe dato sollievo a Jeyne, ma questa sollevò su di lei gli occhi rossi e riprese a piangere con maggiore intensità. Che bambina piccola era.

Il primo giorno, però, anche Sansa aveva pianto. Perfino dietro le mura massicce del fortino di Maegor, con la porta della stanza chiusa e sbarrata, era stato molto difficile non essere terrorizzata quando il massacro era iniziato. Pressoché ogni giorno della sua vita era stato scandito dal cozzare delle spade, acciaio contro acciaio nel cortile degli addestramenti di Grande Inverno, ma sapere che questo cozzare di spade era reale rendeva tutto assai diverso. Ciò che Sansa aveva udito non assomigliava a niente che avesse mai udito prima di quel momento, e c’erano anche altri suoni: gemiti di dolore, bestemmie feroci, invocazioni di aiuto, lamenti di feriti, di morenti. Nelle ballate dei menestrelli, mai i cavalieri gridavano o invocavano pietà.

Sansa aveva pianto, aveva implorato chiunque si trovasse oltre la porta di dirle cosa stava accadendo, aveva chiamato suo padre, septa Mordane, il re, il suo galante principe. Se anche gli uomini che montavano la guardia alla porta l’avevano udita, non le avevano risposto. La porta era stata aperta solo nel cuore della notte, quando Jeyne Poole, picchiata e tremante di terrore, era stata spinta dentro. «Stanno uccidendo tutti!» le aveva gridato la figlia dell’attendente di Grande Inverno. E dopo, Jeyne non aveva fatto altro che parlarle di orrori senza fine. Il Mastino aveva sfondato la porta della sua stanza con una mazza da guerra. Nella torre del Primo Cavaliere c’erano cadaveri dappertutto e i gradini erano viscidi di sangue. Sansa si era asciugata le lacrime e si era fatta forza per confortare l’amica. Erano andate a dormire nello stesso letto, abbracciate una all’altra, come due sorelle.

Il secondo giorno era stato anche peggiore. La stanza nella quale Sansa e Jeyne erano state confinate si trovava in cima alla torre più alta del fortino di Maegor. Dalla finestra, Sansa aveva visto che la pesante grata di ferro del portone principale del fortino era abbassata e il ponte levatoio era sollevato, di modo che il profondo fossato asciutto che circondava la costruzione la isolava all’interno della più vasta Fortezza Rossa. Guardie Lannister armate di picche e balestre si aggiravano sulle mura. Il massacro si era concluso e sulla Fortezza Rossa incombeva un silenzio sepolcrale. Gli unici suoni erano i gemiti e i singhiozzi di Jeyne Poole.

Avevano dato loro da mangiare: formaggio, pane appena sfornato e latte a colazione, pollo arrosto e verdure a pranzo, manzo e zuppa d’orzo per cena. Però i servi che avevano portato i pasti avevano ignorato tutte le domande di Sansa. Quella sera, alcune donne avevano portato degli abiti prelevati dalle sue stanze nella torre del Primo Cavaliere e alcune delle cose di Jeyne, ma sembravano terrorizzate quanto Jeyne. Non appena Sansa aveva cercato di parlare, erano fuggite come se avessero di fronte due appestate. E le guardie fuori della porta avevano continuato a rifiutarsi di farle uscire.

«Vi prego, devo parlare alla regina» aveva insistito Sansa, le medesime parole che aveva ripetuto fino alla nausea a chiunque fosse apparso quel giorno. «Anche lei vuole parlare con me, so che lo vuole. Vi prego, ditele che voglio vederla. E se non lei, il principe Joffrey, per gentilezza. Il principe e io ci sposeremo, quando avremo l’età adatta.»

Al tramonto del secondo giorno avevano udito i lenti rintocchi di una grande campana. La sua voce profonda, risonante, aveva riempito Sansa di timore. La campana aveva continuato a suonare, e dopo un po’ le avevano fatto eco altre campane, quelle del Grande Tempio di Baelor sulla sommità della collina di Visenya. Il loro suono era dilagato sull’intera città come un rombo di tuono, quasi un avviso della tempesta che stava per scatenarsi.

«Ma che cos’è?» aveva chiesto Jeyne tappandosi le orecchie. «Perché suonano le campane?»

«Il re è morto.» Sansa non aveva idea di come faceva a saperlo, eppure ne era certa. Quel lento rimbombare senza fine aveva riempito la loro stanza, carico della sofferenza di un coro funebre. Un nemico aveva forse preso d’assalto la Fortezza Rossa assassinando re Robert? Era forse questo il motivo di tutti quei combattimenti?

Sansa era andata a dormire piena di dubbi, di paure, d’inquietudine. Il suo bel principe Joffrey era il re adesso? Oppure anche lui era stato assassinato? Aveva paura per lui e per suo padre. Se solo qualcuno le avesse detto cosa stava succedendo…

Quella notte aveva fatto un sogno. Joffrey era seduto sul Trono di Spade e lei era al suo fianco, con un fastoso abito intessuto d’oro. In capo lei portava una corona, e tutti coloro che conosceva venivano a inginocchiarsi al suo cospetto, rendendole omaggio.

La mattina seguente, la mattina del terzo giorno, ser Boros Blount della Guardia reale venne da lei per scortarla dalla regina.

Ser Boros era brutto, con torace largo e gambe corte e tozze, naso rincagnato, guance cascanti, radi capelli grigi. Quel giorno era vestito di velluto bianco e il suo mantello candido era trattenuto da un fermaglio a forma di leone. La spilla era d’oro massiccio, con occhi di rubino. «Hai un bellissimo aspetto questa mattina, ser Boros» lo complimentò Sansa. Una lady ricorda sempre le buone maniere e lei aveva deciso di comportarsi da vera lady, a ogni costo.

«Posso dire lo stesso di te, mia signora» rispose ser Boros con voce incolore quanto la sua cappa. «Vieni con me. Sua maestà ti attende.»

C’erano alcune guardie fuori della porta. Armigeri Lannister con mantelli porpora ed elmi sormontati dal leone. Nel superarli, Sansa si costrinse a rivolgere loro un cortese sorriso. Da quando, due giorni prima, ser Arys Oakheart l’aveva condotta là dentro, era la prima volta che le veniva consentito di uscire. «È per tenerti al sicuro, mia dolce fanciulla» le aveva detto la regina Cersei. «Mai Joffrey mi perdonerebbe se accadesse qualcosa alla sua diletta.»

Sansa si aspettava che ser Boros la scortasse fino agli appartamenti reali, invece la condusse fuori del fortino di Maegor. Il ponte era stato abbassato. Alcuni operai stavano calando un uomo appeso a funi nelle profondità del fossato asciutto. Sansa sbirciò in basso e vide un cadavere impalato su uno degli impressionanti spuntoni d’acciaio che sporgevano dal fondo. Distolse rapida lo sguardo, timorosa di chiedere, di guardare troppo a lungo, di scoprire che si trattava di qualcuno che conosceva.

La regina Cersei era nella sala del Concilio ristretto, seduta alla testa del lungo tavolo ingombro di pergamene, candele, blocchi di ceralacca. Quella stanza era una delle più sontuose che Sansa avesse mai visto. Guardò piena di meraviglia il pannello della porta, finemente istoriato, e le due sfingi gemelle ai suoi lati.

Fu un altro cavaliere della Guardia reale, ser Mandon Moore, dall’espressione stranamente opaca, a farli entrare. «Maestà, ho portato la ragazza» disse ser Boros.

Sansa aveva sperato che anche Joffrey fosse presente, ma non c’era. In compenso c’erano tre consiglieri del re: lord Petyr Baelish alla sinistra della regina, il gran maestro Pycelle all’altro capo del tavolo, lord Varys, olezzante di fiori, che gironzolava tra loro. Tutti erano vestiti di nero, notò Sansa, provando una sensazione di paura. Il colore del lutto…

La regina indossava un abito di seta nera dal collo alto il cui corpetto, dal seno alla gola, era disseminato di un centinaio di rubini scuri. Erano stati tagliati a forma di lacrima, quasi che la regina stesse piangendo sangue.

«Sansa, mia dolce bambina.» Cersei Lannister le sorrise e a Sansa parve il sorriso a un tempo più gentile e triste dell’universo. «So che hai chiesto di me. Sono dolente di non aver potuto vederti prima, ma le cose sono state quanto mai convulse, e non ho proprio avuto un momento libero. Confido però che la mia gente si sia presa cura di te, sì?»

«Tutti sono stati gentili e cortesi, maestà, molti ringraziamenti per avermelo chiesto» rispose Sansa educatamente. «Solo, ecco, nessuno ci ha detto niente su quanto è accaduto…»

«Ci?» Cersei sembrò perplessa.

«Abbiamo messo con lei la figlia dell’attendente» spiegò ser Boros. «Non sapevamo che farne.»

«La prossima volta, chiedete» disse la regina in tono aspro, la fronte aggrottata. «Lo sanno gli dei con che genere di storie ha riempito la testa della nostra Sansa.»

«Jeyne è spaventata» disse Sansa. «Continua a piangere. Le ho promesso che avrei chiesto se poteva vedere suo padre.»

L’anziano gran maestro Pycelle abbassò lo sguardo.

«Suo padre sta bene, non è vero?» chiese Sansa, preoccupata. C’erano stati combattimenti, questo lei lo sapeva, ma chi mai avrebbe fatto del male a un attendente? Vayon Poole non portava neppure la spada.

«Non permetterò che la cara Sansa sia inutilmente turbata.» La regina Cersei passò lo sguardo da uno all’altro dei suoi consiglieri. «Che cosa faremo della sua piccola amica, miei lord?»

«Penso senz’altro di poterle trovare io una sistemazione» disse lord Petyr protendendosi in avanti.

«Non in città» dichiarò la regina.

«Mi prendi per uno sciocco?»

Cersei ignorò il commento. «Ser Boros, scorta questa ragazza agli appartamenti di lord Petyr, e dà istruzioni ai suoi di tenervela finché lui non andrà a occuparsene. Dille che penserà Ditocorto ad accompagnarla da suo padre, questo dovrebbe calmarla. Voglio che al ritorno di Sansa nella sua stanza sia già andata via.»

«Come tu comandi, maestà.» Ser Boros eseguì un profondo inchino, girò sui tacchi e se ne andò con la cappa bianca che agitava l’aria dietro di lui.

«Non capisco.» Sansa era confusa. «Dov’è il padre di Jeyne? Per quale motivo è lord Baelish a doverla portare da lui invece di ser Boros?» Sansa aveva promesso a se stessa di comportarsi da vera lady, cortese quanto la regina ma anche forte quanto sua madre, lady Catelyn. Eppure era di nuovo spaventata. Per un attimo, credette di non riuscire a trattenere le lacrime. «Dove volete mandarla? È una brava ragazza, non ha fatto nulla di male.»

«Ti ha turbata, tesoro» disse la regina affettuosamente. «Non possiamo permettere che ciò accada. Ma ora, non un’altra parola su di lei. Lord Baelish farà in modo che Jeyne sia trattata bene, te lo prometto.» Diede qualche colpetto sulla sedia accanto alla propria. «Siediti vicino a me, Sansa. Desidero parlarti.»

Sansa si accomodò a fianco della regina. Di nuovo, Cersei le sorrise, ma questo non la fece sentire affatto meglio. Varys continuava a intrecciare le dita morbide, il gran maestro Pycelle teneva le palpebre sonnacchiose fisse sulle carte di fronte a lui, ma Sansa poteva sentire su di sé gli occhi di Ditocorto. E c’era qualcosa nel modo in cui quell’uomo basso la guardava che la fece sentire come se non avesse vestiti addosso. Le venne la pelle d’oca.

«Mia dolce Sansa.» La regina le pose sul polso una mano morbida. «Sei così bella. Spero tu sappia quanto Joffrey e io ti amiamo.»

«Davvero?» Sansa era senza fiato. Dimenticò Ditocorto. Il suo principe l’amava. Nient’altro aveva importanza.

La regina sorrise di nuovo. «Io ormai ti considero come una mia figlia. E so quanto amore tu nutri per Joffrey.» Scosse il capo, addolorata. «Temo però di avere gravi notizie riguardo a tuo padre. Sii forte, mia piccola.»

Il tono calmo della regina le mise i brividi. «Che cosa c’è?»

«Tuo padre è un traditore, cara» dichiarò lord Varys.

Il gran maestro Pycelle alzò il suo vetusto capo. «Con questi miei orecchi ho udito lord Stark giurare al nostro amato re Robert di proteggere i giovani principi come se fossero i suoi figli. Eppure, nel momento in cui il re è trapassato, ha riunito il Concilio ristretto per togliere al principe Joffrey quel trono che gli spetta di diritto.»

«No!» Sansa non riuscì a trattenersi. «Non farebbe mai una cosa del genere! Mai!»

La regina prese un documento. La pergamena era strappata, irrigidita dal sangue disseccatosi su di essa, ma il sigillo spezzato era quello di suo padre, il meta-lupo impresso su ceralacca chiara. «L’abbiamo trovata sul comandante della Guardia personale di tuo padre. È una lettera diretta a lord Stannis Baratheon, fratello del mio defunto marito, nella quale egli viene invitato a prendere la corona.»

«Maestà, ti prego, si tratta di un orribile sbaglio!» L’improvviso panico stava dando a Sansa le vertigini. «Ti scongiuro, va’ a chiamare mio padre, lui te lo dirà! Mai avrebbe scritto una lettera simile: re Robert era suo amico!»

«Tanto credeva anche Robert» rispose Cersei. «Questo tradimento gli avrebbe spezzato il cuore. Misericordiosi sono stati gli dei a far sì che non vivesse abbastanza per vederlo.» Sospirò profondamente. «Sansa, mio tesoro, tu devi capire in quale terribile posizione ci ha messo il gesto di tuo padre. Tu, naturalmente, sei innocente, noi tutti siamo consapevoli di ciò, ma al tempo stesso sei la figlia di un traditore. Come posso permetterti di sposare mio figlio?»

«Ma io lo amo!» Confusa, spaventata, Sansa quasi balbettava. Cosa intendevano farle? Cos’avevano fatto a suo padre? Non era questo il modo in cui avrebbero dovuto andare le cose. Lei doveva sposare Joffrey, erano promessi, lei aveva addirittura sognato l’evento. Non era giusto che il suo principe le venisse portato via a causa di qualcosa che aveva fatto suo padre.

«Io so bene che tu lo ami, mia cara» disse Cersei con voce così gentile, così delicata. «Per quale altra ragione, se non per amore, saresti venuta da me per informarmi del piano di tuo padre per allontanarti da noi?»

«È stato per amore!» disse Sansa con foga. «Mio padre non voleva neppure permettermi di dirvi addio!» Era una brava bambina, una bambina obbediente, ma quella mattina, sfuggendo a septa Mordane e sfidando il lord suo padre, si era sentita cattiva quanto Arya. Fino a quel momento, mai aveva compiuto un gesto altrettanto temerario e mai l’avrebbe compiuto se non avesse amato Joffrey quanto lo amava. «Voleva riportarmi a Grande Inverno e darmi in sposa a qualche cavaliere di campagna, ma è solo Joffrey che io voglio. Gliel’ho detto, ma ha rifiutato di ascoltarmi.» Il re sarebbe stato la sua ultima speranza. Il re poteva ordinare al lord suo padre di lasciarla ad Approdo del Re in modo che potesse sposare il principe Joffrey. Sansa sapeva che aveva il potere di farlo, ma il re la spaventava, con quella sua voce alta e rimbombante, ubriaco il più delle volte. Anche se avesse acconsentito a vederla, probabilmente l’avrebbe rispedita da lord Eddard. Così era andata dalla regina e le aveva aperto il cuore. Cersei Lannister l’aveva ascoltata con affetto e ringraziata… dopo di che, ser Arys Oakheart l’aveva accompagnata fino a quella stanza nel fortino di Maegor e aveva sistemato le guardie. Qualche ora dopo, aveva avuto inizio il massacro. «Ti prego, maestà» concluse Sansa «tu devi lasciarmi sposare Joffrey. Sarò una buona moglie per lui, vedrai. Sarò una regina come te, lo giuro.»

La regina si volse verso il concilio. «Miei lord, qual è il vostro pensiero riguardo alla sua invocazione?»

«Povera piccola» mormorò Varys. «Un amore così puro, così innocente. Maestà, sarebbe crudele che non venisse corrisposto, tuttavia… che possiamo fare?» Le sue mani grassocce scivolarono l’una contro l’altra, in un gesto che non lasciava spazio alla speranza. «Suo padre è sottoposto a giudizio per alto tradimento.»

«Chi nasce dal seme del tradimento, finirà con lo scoprire quanto il tradimento venga naturale» sentenziò il gran maestro Pycelle. «Oggi ella è ancora un tenero virgulto, ma tra dieci anni, chi può dire quali tradimenti lei stessa potrà ordire?»

«No!» Sansa era inorridita. «Io non… Mai potrei… Mai tradirei Joffrey! Io lo amo! Lo giuro!»

«Quanto è commovente» disse lord Varys. «Ma, ahimé, è pur vero che il sangue è più forte dei giuramenti.»

«A me ricorda sua madre, non suo padre» intervenne quietamente lord Baelish. «Guardatela. I capelli, gli occhi. È la copia di Catelyn alla sua età.»

La regina la guardò, turbata, eppure in quegli splendidi occhi verdi Sansa poté vedere gentilezza. «Mia piccola» disse «se io potessi veramente credere che sei diversa da tuo padre, nulla mi regalerebbe più gioia del darti in sposa al mio Joffrey. Io so che lui ti ama con tutto il cuore.» Sospirò. «Purtroppo, temo che lord Varys e il gran maestro Pycelle siano nel giusto. Il sangue si farà sentire. Se solo ricordo come tua sorella scatenò quella sua belva contro mio figlio…»

«Io non sono come Arya! È lei ad avere nelle vene il sangue dei traditori, non io. Io sono buona. Chiedilo a septa Mordane: lei te lo dirà. Tutto quello che voglio è essere la moglie leale e amorevole di Joffrey.»

Sansa sentì sul proprio volto lo sguardo penetrante della regina. «Credo, mia piccola, che tu sia convinta di quanto dici.» Si girò verso gli altri. «Miei lord, se il resto della famiglia Stark scegliesse di rimanere leale alla corona, ciò contribuirebbe molto ad acquietare i nostri timori.»

Il gran maestro Pycelle si accarezzò l’imponente barba bianca, le folte sopracciglia aggrottate. «Lord Stark ha tre figli maschi.»

«Non sono che ragazzini» disse lord Baelish scrollando le spalle. «È di lady Catelyn e dei Tully che io mi preoccuperei di più.»

La regina prese la mano di Sansa tra le proprie. «Mia piccola, tu sai scrivere, non è vero?»

Sansa annuì nervosamente. Sapeva leggere e scrivere molto meglio di tutti i suoi fratelli, ma con i conti era un vero disastro.

«Ne sono lieta. Può darsi, dopo tutto, che per te e per Joffrey ci sia ancora speranza…»

«Cosa vuoi che faccia?»

«Devi scrivere una lettera alla lady tua madre e un’altra a tuo fratello, il maggiore… come si chiama?»

«Robb.»

«Non c’è dubbio che la notizia del tradimento di tuo padre li raggiungerà presto. Meglio che sia tu a dargliela. Devi spiegare loro in che modo tuo padre ha tradito il suo re.»

Sansa voleva disperatamente Joffrey, ma non credeva di avere il coraggio di fare ciò che la regina le stava chiedendo. «Ma lui non ha mai… Io non… Maestà, non saprei cosa dire.»

«Ti diremo noi cosa scrivere, mia piccola.» La regina le diede incoraggianti colpetti sulla mano. «È molto importante che tu convinca lady Catelyn e tuo fratello Robb a mantenere la pace del re.»

«Qualora non lo facessero, andrebbero incontro a un duro castigo» affermò il gran maestro Pycelle. «In nome dell’amore che hai per loro, devi insistere che rimangano sul cammino della saggezza.»

«La lady tua madre deve trovarsi in grave ansia per la tua sorte» riprese la regina. «Devi comunicarle che stai bene e che ci prendiamo cura di te, che sei trattata bene e che ogni tuo desiderio è esaudito. Invitali a venire ad Approdo del Re e a giurare fedeltà a Joffrey nel momento in cui salirà al trono. Se faranno questo… ebbene, sarà per noi la conferma che nel tuo sangue non c’è il veleno del tradimento. E quando tu perverrai alla fioritura del tuo essere donna, davanti agli occhi degli dei e degli uomini andrai sposa al re nel Grande Tempio di Baelor.»

“… andrai sposa al re…” Quelle parole le fecero battere il cuore più in fretta, eppure Sansa ancora esitava. «Ecco, se potessi… vedere mio padre, parlargli di…»

«Di tradimento?» suggerì lord Varys.

«Mi deludi, Sansa.» Adesso, gli occhi della regina Cersei erano diventati duri come pietre. «Ti abbiamo detto dei crimini perpetrati da tuo padre. Se davvero sei leale quanto dici di essere, a che scopo vuoi vederlo?»

«Io… volevo solo…» Sansa sentì le lacrime inondarle gli occhi. «Lui è… vi prego… ferito oppure… oppure…»

«Lord Eddard sta bene» disse la regina.

«Ma… che ne sarà di lui?»

«Questa» annunciò ponderosamente il gran maestro Pycelle «è decisione che spetta al re.»

Il re! Sansa ricacciò indietro le lacrime. Era Joffrey il re, adesso. E il suo valoroso principe non avrebbe mai fatto del male a suo padre, qualsiasi cosa lui avesse fatto. Se lei fosse andata da lui invocando clemenza, lui l’avrebbe ascoltata. Doveva ascoltarla, l’amava, la stessa regina gliel’aveva appena confermato. Sarebbe stato necessario che Joff infliggesse comunque una punizione a suo padre, gli altri lord se lo sarebbero aspettato, ma forse l’avrebbero rimandato a Grande Inverno oppure esiliato in una delle Città Libere al di là del mare Stretto. Sarebbe stato solo per qualche anno. Finché Joffrey e lei non si fossero sposati. Nel momento in cui fosse stata regina, Sansa era certa di poter persuadere Joffrey a far tornare suo padre e a concedergli il perdono.

Solo che… se sua madre o Robb avessero compiuto a loro volta atti di tradimento, quali chiamare a raccolta i vessilli di guerra o rifiutare di giurare fedeltà o qualsiasi altra cosa, tutto sarebbe finito male. Il suo Joffrey era buono e gentile, Sansa questo lo sentiva nel profondo del cuore, ma contro chi si ribella, un re dev’essere severo. Lei doveva fare in modo che loro capissero, a qualsiasi costo.

«Io, ecco… Scriverò quelle lettere.»

«Sapevo che l’avresti fatto.» Cersei si protese verso di lei con un sorriso più radioso dell’alba e la baciò sulla guancia. «Joffrey sarà così orgoglioso di te quando gli dirò di quale buon senso, di quale coraggio tu abbia dato prova quest’oggi.»


Ne scrisse quattro, di lettere. A sua madre, lady Catelyn Stark; ai suoi fratelli a Grande Inverno; a sua zia, lady Lysa Arryn, al Nido dell’Aquila; infine a suo nonno, lord Hoster Tully, a Delta delle Acque. Quando ebbe finito, le dita tutte macchiate d’inchiostro le dolevano per i crampi. Lord Varys aveva il sigillo di suo padre. Sansa fece ammorbidire la ceralacca chiara alla fiamma di una candela e la fece colare con attenzione sulla pergamena, poi osservò l’eunuco imprimere il meta-lupo della Casa Stark su ciascuna lettera.

Ser Mandon Moore la riaccompagnò nella stanza in cima alla torre più alta del fortino di Maegor. Di Jeyne Poole e di tutte le sue cose era scomparsa ogni traccia. Niente più singhiozzi, pensò con sollievo. Però tutto sembrava più freddo, ora che Jeyne se n’era andata, anche dopo che ebbe acceso il fuoco. Portò una sedia vicino al camino, prese uno dei suoi libri preferiti e si lasciò trasportare nel mondo delle romantiche avventure di Florian e Jonquil, di lady Shella e del cavaliere dell’Arcobaleno, del valoroso principe Aemon e del suo impossibile amore per la regina di suo fratello.

A notte ormai inoltrata, mentre stava scivolando nel sonno, Sansa si rese conto di aver dimenticato di chiedere di sua sorella.

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