41 Fra i Tuatha’an

La prima cosa che videro fu un gruppo di carri leggermente verso sud, come piccole case su ruote, alte scatole di legno dipinte e laccate con tonalità vivacissime di rosso, azzurro, verde e giallo, tutte sistemate in un largo circolo attorno a delle querce dai grossi rami. La musica proveniva da lì. Perrin aveva sentito dire che c’erano dei Calderai, dei Girovaghi, nei Fiumi Gemelli, ma sino ad allora non li aveva visti. Cavalli barcollanti brucavano l’erba alta.

«Dormirò altrove» disse rigido Gaul quando vide che Perrin intendeva andare ai carri, e si allontanò senza aggiungere una parola.

Bain e Chiad parlarono a bassa voce, ma con premura, a Faile. Perrin sentì abbastanza per sapere che stavano cercando di convincerla a trascorrere la notte con loro in qualche boschetto e non con ‘i Perduti’. Sembravano atterriti all’idea di parlare con i Calderai, e ancor più di mangiare o dormire con loro. Faile aumentò la presa sulla gamba di Perrin mentre rifiutava, con calma ma fermamente. Le due Fanciulle aggrottarono le sopracciglia, occhi azzurri che incontrarono occhi grigi molto preoccupati, ma prima che i carri dei Girovaghi si avvicinassero troppo, si allontanarono appresso a Gaul. Sembravano aver recuperato lo spirito. Perrin sentì Chiad suggerire di indurre Gaul a giocare a una cosa chiamata ‘il bacio della Fanciulla’. Entrambe ridevano quando le oltrepassò.

Uomini e donne erano al lavoro nel campo, segando, riparando i finimenti, cucinando, lavando gli indumenti, sollevando un carro per rimpiazzare una ruota. I bambini correvano giocando o danzavano alla musica di una mezza dozzina di uomini che suonavano il violino o il flauto. Dai più grandi ai più piccoli, i Calderai indossavano abiti anche più colorati dei carri, in combinazioni che facevano male agli occhi, secondo lui scelte alla cieca. Nessun uomo sano di mente avrebbe scelto di indossare quei colori, nemmeno molte donne.

Mentre il gruppo sgangherato si avvicinava ai carri, cadde il silenzio, la gente si fermò dove si trovava per guardarli con espressione preoccupata, le donne afferravano i neonati e i bambini correvano a nascondersi dietro gli adulti, guardando da sotto le gambe o infilando i volti nelle gonne. Un uomo magro con i capelli grigi e corti avanzò e si inchinò mestamente, con entrambe le mani premute sul petto. Indossava una giubba azzurro chiaro dal collo alto e dei pantaloni a sbuffo verde quasi fosforescenti infilati negli stivali. «Siete i benvenuti ai nostri fuochi. Conoscete la canzone?»

Per un momento, cercando di non far muovere il moncone di freccia che aveva in corpo, Perrin poté solo fissarlo. Conosceva quest’uomo, il Mahdi, il Cercatore, di questo gruppo. Quante possibilità? si chiese. Di tutti i Calderai del mondo, quante possibilità c’erano che si trattasse di gente che conosco? Le coincidenze lo mettevano a disagio. Quando il Disegno produceva delle coincidenze, sembrava che la Ruota forzasse gli eventi. Comincio a pensare come una maledetta Aes Sedai, si disse Perrin. Non riuscì a inchinarsi, ma ricordava il rituale. «Il tuo benvenuto mi riscalda lo spirito, Raen, come i tuoi fuochi riscaldano la carne, ma non conosco la canzone.» Faile e Ihvon lo guardarono stupiti, non più dei ragazzi dei Fiumi Gemelli. A giudicare dai mormorii che aveva sentito provenire da Ban, Tell e gli altri, aveva appena fornito loro un nuovo argomento di conversazione.

«Allora continueremo a cercare» intonò l’uomo magro. «Com’era, così sarà, se riusciremo a ricordare, cercare e trovare.» Facendo una smorfia guardò i volti insanguinati che lo osservavano, distogliendo lo sguardo dalle armi. I Girovaghi non toccavano nulla che considerassero un’arma. «Siete i benvenuti ai nostri fuochi. Ci sarà acqua calda, bende e impiastri. Tu conosci il mio nome...» aggiunse guardando Perrin con viso indagatore «Ma certo, i tuoi occhi.»

La moglie di Raen si era avvicinata mentre l’uomo parlava, una donna paffuta con i capelli grigi ma le guance lisce, più alta del marito. La giubba rossa e la gonna gialla della donna con lo scialle dalle frange verdi urtava gli occhi, ma aveva dei modi materni. «Perrin Aybara!» esclamò. «Mi sembrava di averti riconosciuto. Elyas è con te?»

Perrin scosse il capo. «Non lo vedo da molto, Ila.»

«Conduce una vita violenta» osservò tristemente Raen. «Come te. Una vita violenta è macchiata anche se è lunga.»

«Non cercare di portarlo sulla Via della Foglia là in piedi, Raen» lo apostrofò Ila, ma gentilmente. «È ferito. Tutti loro lo sono.»

«A cosa sto pensando?» mormorò Raen. Alzando la voce chiamò gli altri. «Venite, gente. Venite e aiutate. Sono feriti. Venite ad aiutare.»

Uomini e donne si riunirono rapidamente, mormorando frasi di simpatia mentre aiutavano i feriti a smontare da cavallo, guidandoli verso i carri, trasportandoli quando era necessario. Wil e altri sembravano preoccupati a essere separati, ma Perrin non lo era. La violenza era la cosa più lontana dai Tuatha’an. Non avrebbero alzato una mano contro nessuno, nemmeno per difendersi.

Perrin dovette accettare l’aiuto di Ihvon per smontare da cavallo. Quell’azione gli mandò stilettate di dolore lungo tutto il fianco. «Raen,» disse leggermente senza fiato «non dovresti essere qua fuori. Abbiamo combattuto dei Trolloc a meno di otto chilometri da qui. Porta la tua gente a Emond’s Field. Lì saranno al sicuro.»

Raen esitò — sembrava sorpreso — prima di scuotere il capo. «Anche se lo desiderassi, la gente non vorrebbe, Perrin. Cerchiamo di non accamparci nemmeno vicino al più piccolo dei villaggi, non solo perché gli abitanti potrebbero falsamente accusarci di aver rubato qualsiasi cosa abbia perduto o di cercare di convincere i loro bambini a seguire la Via della Foglia. Dove gli uomini hanno costruito dieci case assieme, c’è terreno per la violenza. I Tuatha’an lo sanno fin dai tempi della Frattura. La salvezza giace nei nostri carri e nel movimento continuo, sempre alla ricerca della canzone.» Sul viso dell’uomo apparve un’espressione malinconica. «Ovunque sentiamo notizie di violenza, Perrin. Non solo qui nei Fiumi Gemelli. Nel mondo c’è una sensazione di cambiamento, di distruzione. Certamente troveremo presto la canzone. Altrimenti non credo che succederà mai.»

«Troverai la canzone» rispose calmo Perrin. Forse aborrivano troppo la violenza per essere sopraffatti da un ta’veren, forse anche un ta’veren non poteva combattere la Via della Foglia. Una volta anche a lui era sembrata attraente. «Spero davvero che ci riuscirai.»

«Sarà quel che sarà» rispose Raen. «Tutte le cose muoiono quando giunge il loro momento. Forse anche la canzone.» Ila abbracciò il marito per confortarlo, ma i suoi occhi tradivano preoccupazione.

«Vieni» lo invitò, cercando di nascondere il proprio disagio. «Dobbiamo portarti dentro. Gli uomini parleranno se loro giubbe si incendiano.» A Faile disse: «Sei bella, bambina. Forse dovresti stare attenta a Perrin. Lo vedo solo in compagnia di belle ragazze.» Faile rivolse a Perrin un’occhiata diretta, soppesandolo, quindi cercò subito di dissimulare.

Perrin riuscì ad arrivare fino al carro di Raen — giallo bordato di rosso, i raggi erano rossi e gialli dentro cerchioni rossi, e fuori c’erano dei bauli degli stessi colori vicino a un fuoco da cucina al centro del campo — ma quando mise il piede sul primo dei gradini di legno sul retro, le ginocchia cedettero. Ihvon e Raen dovettero trasportarlo dentro, seguiti subito da Faile e Ila, e lo distesero sul letto ricavato sul lato frontale del carro, lasciando appena lo spazio per la porta scorrevole che portava al sedile del guidatore. Era davvero come una piccola casa, c’erano anche delle tendine rosa pallido davanti alle due finestrelle da entrambi i lati del carro. Rimase sdraiato a fissare il soffitto. Anche qui i Calderai usavano i loro colori. Il soffitto era laccato azzurro cielo, gli armadi verdi e gialli. Faile slacciò la cintura e rimosse l’ascia e la faretra mentre Ila frugava in uno degli armadi. A Perrin non interessava cosa stessero facendo.

«Chiunque può essere colto di sorpresa» osservò Ihvon. «Usala come lezione, ma non prendertela troppo a cuore. Nemmeno Artur Hawkwing ha vinto tutte le battaglie.»

«Artur Hawkwing» Perrin cercò di ridere, ma divenne un lamento. «Sì» disse alla fine. «Certamente non sono Artur Hawkwing, vero?»

Ila lanciò un’occhiataccia al Custode — o piuttosto alla sua spada, sembrava trovarla anche peggiore dell’ascia di Perrin — quindi si diresse vicino al letto con un tampone fatto di bende ripiegate. Una volta sfilata la camicia di Perrin dal moncone della freccia, trasalì. «Non credo di avere la competenza sufficiente per rimuovere questa cosa. È conficcata a fondo.»

«Uncinata» disse Ihvon con un tono colloquiale. «I Trolloc non usano spesso gli archi, ma quando lo fanno le frecce sono uncinate.»

«Fuori» ordinò con fermezza la donna paffuta, girandogli intorno. «Anche tu, Raen. Curare i malati non è una faccenda da uomini. Vai a vedere se Moshea ha montato la ruota al carro.»

«Buona idea» rispose Raen. «Forse domani ci metteremo in movimento. Lo scorso anno viaggiare è stato duro» confidò a Perrin. «Giù fino a Cairhien, poi indietro nel Ghealdan, quindi su ad Andor. Domani, credo.»

Quando la porta rossa si chiuse alle spalle sue e di Ihvon, Ila si rivolse preoccupata a Faile. «Se è uncinata, non credo di poterla rimuovere. Ci proverò se devo, ma se c’è qualcuno nelle vicinanze che ne sa di più di certe cose...»

«C’è qualcuno a Emond’s Field» la rassicurò Faile. «Ma è sicuro lasciargliela in corpo fino a domani mattina?»

«Più sicuro che farmi tagliare, forse. Posso preparargli una mistura per il dolore e un impiastro contro le infezioni.»

Guardando le due donne Perrin esordì: «Ehi, vi ricordate di me? Sono proprio qui. Smettetela di parlare come se non esistessi.»

Le donne lo scrutarono per un momento.

«Tienilo fermo» si rivolse Ila a Faile. «Va bene che parli, ma non farlo muovere. Potrebbe peggiorare la situazione.»

«Ci penserò io» rispose Faile.

Perrin strinse i denti e fece del suo meglio per cooperare nel farsi togliere giubba e camicia, ma le donne dovettero fare la maggior parte del lavoro. Si sentiva debole come il peggior ferro battuto, pronto a piegarsi a qualsiasi pressione. Dieci centimetri di asta spessa come un pollice spuntavano quasi sopra all’ultima costola, da uno squarcio coperto di sangue rappreso. Gli appoggiarono la testa su un cuscino, non volendo per un motivo non precisato che si guardasse. Faile lavò la ferita mentre Ila preparava il balsamo usando un pestello e un mortaio di pietra semplice pietra grigia levigata, la prima cosa che aveva visto nel campo dei Calderai che non fosse di un colore vivace. Sistemarono il balsamo attorno alla freccia e lo fasciarono per mantenerlo in posa.

«Stanotte io e Raen dormiremo sotto al carro» decise alla fine la donna Tuatha’an, pulendosi le mani. Guardando torva il moncone di freccia che spuntava dalle bende, scosse il capo. «Una volta pensavo che forse avrebbe trovato la Via della Foglia. Credevo fosse un ragazzo gentile.»

«La Via della Foglia non è per tutti» rispose gentilmente Faile, ma Ila scosse nuovamente il capo.

«È per tutti,» puntualizzò Ila altrettanto gentile e vagamente triste, «se solo la conoscessero.»

Quindi se ne andò e Faile sedette lungo il bordo del letto tamponandogli il viso con un panno ripiegato. Sembrava sudasse molto.

«Ho preso una cantonata» disse Perrin dopo un po’. «No, è troppo poco. Non conosco la parola appropriata.»

«Non hai preso una cantonata» rispose Faile con fermezza. «Hai fatto ciò che al momento sembrava la cosa giusta. Era giusta, non riesco a immaginare come abbiano fatto ad andare dietro di noi. Gaul non è uno da commettere errori sulla posizione dei nemici. Ihvon aveva ragione, Perrin. Chiunque può ritrovarsi in circostanze che sono cambiate senza che se ne accorgesse. Hai tenuto tutti insieme. Ci hai portati fuori.»

Perrin scosse forte la testa e così facendo il dolore aumentò. «Ihvon ci ha portati fuori. Quello che ho fatto io è stato far uccidere ventisette uomini» disse amareggiato, cercando di sedersi per guardarla in faccia. «Alcuni di loro erano amici miei, Faile. E io li ho fatti uccidere.»

Faile si lanciò di peso sulla spalla di Perrin per farlo rimanere sdraiato. La facilità con cui lo aveva fermato era un metro per misurare la sua debolezza. «Ci sarà abbastanza tempo per questo domani,» lo apostrofò Faile, fissandolo in viso, «quando dovremo rimetterti a cavallo. Ihvon non ci ha portati fuori, non credo che a lui importasse particolarmente che chiunque altro ne uscisse, a parte te e lui. Quegli uomini si sarebbero sparpagliati in ogni direzione se non fosse stato per te, e a quel punto saremmo stati tutti abbattuti. Non sarebbero rimasti insieme per Ihvon, un estraneo. Per quanto riguarda i tuoi amici...» sospirando Faile si sedette nuovamente. «Perrin, mio padre sostiene che un generale può prendersi cura dei viventi o piangere i defunti, ma non può fare entrambe le cose.»

«Non sono un generale, Faile. Io sono uno sciocco fabbro che credeva di poter usare altre persone per aiutarlo a farsi giustizia, o forse vendicarsi. Lo voglio ancora, ma non voglio usare più nessun altro.»

«Pensi che i Trolloc andranno via perché tu hai deciso che le tue motivazioni non sono abbastanza pure?» La voce accalorata della ragazza gli fece alzare la testa, ma lei la spinse di nuovo sul cuscino abbastanza duramente. «Saranno meno spregevoli? Hai bisogno di un motivo più puro per combatterli oltre quello che sono? Un’altra cosa che sostiene mio padre. Il peccato peggiore che un generale possa commettere, peggio che commettere un errore di valutazione, peggio della sconfitta, peggiore di qualsiasi altra cosa, è abbandonare quelli che lo seguono.»

Qualcuno bussò alla porta e un giovane snello e di bell’aspetto con una giubba a righe verdi e rosse infilò la testa nel carro. Lanciò un sorriso a Faile, tutto denti bianchi e fascino, prima di guardare Perrin. «Nonno ha detto che eri tu. Credo che questo sia il vostro luogo di provenienza, quello di cui parlava Egwene.» Aggrottò improvvisamente le sopracciglia in segno di disapprovazione. «I tuoi occhi. Vedo che alla fine hai seguito Elyas per correre con i lupi. Ero certo che non avresti mai trovato la Via della Foglia.»

Perrin lo conosceva, Aram, il nipote di Da e Raen. Non gli piaceva, sorrideva come Wil. «Vai via Aram, sono stanco.»

«Egwene è con te?»

«Egwene adesso è un’Aes Sedai, Aram» gridò «e ti strapperebbe il cuore con l’Unico Potere se le chiedessi di ballare. Vai via!»

Aram batté le palpebre e chiuse velocemente la porta. Con lui fuori.

Perrin lasciò ricadere indietro la testa. «Sorride troppo» borbottò. «Non posso tollerare un uomo che sorride troppo.» Faile soffocò una risata, e lui la guardò sospettoso. La ragazza stava mordendosi il labbro inferiore.

«Ho qualcosa in gola che mi dà fastidio» spiegò con la voce strozzata, alzandosi velocemente. Si affrettò verso l’ampio scaffale ai piedi del letto dove Ila aveva preparato l’impiastro e rimase in piedi rivolgendogli le spalle, versando acqua da una brocca rossa e verde in una tazza azzurra e gialla. «Vuoi qualcosa da bere anche tu? Ila ha lasciato questa polvere per il dolore. Ti aiuterà a dormire.»

«Non voglio nessuna polvere» rispose. «Faile, chi è tuo padre?»

La ragazza irrigidì la schiena. Dopo un momento si voltò con la tazza in entrambe le mani e un’espressione illeggibile negli occhi a mandorla. Trascorse un altro minuto prima che dicesse: «Mio padre è Davram della Casata Bashere, lord di Bashere, Tyr e Sidona, Guardiano del Confine della Macchia, Difensore della Terra del Cuore, maresciallo generale della regina Tenobia di Saldea. E suo zio.»

«Luce! Cos’era tutta quella storia del commerciante di legna, o pellicce? Mi sembra che una volta abbia anche commerciato pepe dei ghiacci.»

«Non era una bugia» rispose dura, quindi con voce più remissiva aggiunse: «Solamente non tutta la verità. La tenuta di mio padre produce legname, legni pregiati, pepe dei ghiacci, pellicce e altro. I castaidi le vendono per lui, per cui in un certo qual modo commercia in questi beni.»

«Perché non me lo hai detto? Nascondere cose. Mentire. Sei una lady!» La guardò cupo e accusatore. Questo non se lo aspettava. Un mercante minore, un ex soldato forse, ma non questo. «Luce, cosa stai combinando andandotene in giro come Cercatrice del Corno? Non dirmi che lord Bashere e tutto il resto ti ha lasciata andare a caccia di avventure.»

Sempre con la tazza in mano Faile si sedette nuovamente vicino a Perrin. Per un qualche motivo sembrava molto concentrata sul suo viso. «I miei due fratelli più grandi sono morti, Perrin. Uno combattendo i Trolloc, l’altro cadendo da cavallo durante una battuta di caccia. Questo mi ha resa la più grande, il che vuol dire che ho dovuto studiare contabilità e commercio. Mentre i miei fratelli più giovani imparavano a fare i soldati e venivano preparati per le avventure, io ho dovuto imparare come gestire le tenute! È il dovere del più grande. Dovere! È monotono, grigio e noioso. Immersa nelle carte e la cancelleria.

«Quando papà portò Maedin con sé al Confine della Macchia — è più giovane di me di due anni — fu più di quanto potessi sopportare. Alle ragazze non viene insegnata la scherma, o l’arte della guerra in Saldea, ma papà aveva scelto un vecchio soldato dal suo primo comando come mio valletto ed Eran era sempre più che contento di insegnarmi a usare i pugnali e a lottare a mani nude. Credo lo divertisse. In ogni caso, quando papà portò Maiden con sé, giunsero le voci del raduno per la Grande Caccia, così io... sono andata via. Ho scritto una lettera a mia madre spiegandole tutto e... sono andata via. Raggiunsi Illian in tempo per prestare il giuramento del Cercatore...» raccogliendo il panno deterse nuovamente il sudore dalla fronte di Perrin. «Dovresti davvero dormire se ci riesci.»

«Suppongo che tu sia lady Bashere di qualcosa?» ribatté Perrin. «Come è mai possibile che ti sia piaciuto un semplice fabbro?»

«Il mondo è amore, Perrin Aybara.» La fermezza nella voce di Faile era alla pari con la gentilezza con cui gli tamponava la fronte. «E non credo che tu sia un fabbro tanto comune.» Fece una pausa. «Perrin, cosa intendeva quel tizio con correre con i lupi? Anche Raen ha menzionato quest’Elyas.»

Per un momento Perrin rimase di ghiaccio, senza respiro. L’aveva appena rimproverata per avergli tenuto nascosto qualcosa. Era il risultato della fretta e della rabbia. Martella con la fretta e prima poi ti colpisci un dito. Espirò lentamente e le spiegò tutto. Come aveva incontrato Elyas Machera e come aveva imparato che poteva comunicare con i lupi. Del cambio di colore degli occhi, la vista più acuta, come l’udito e l’olfatto, proprio come i lupi. Le raccontò del mondo dei sogni dei lupi e di quanto gli sarebbe accaduto se avesse perso l’aggancio con l’umanità. «A volte è così facile, specialmente nei sogni, dimentico di essere un uomo, non un lupo. Se una di queste volte non dovessi ricordarmi abbastanza velocemente, perderei la presa e diventerei un lupo. Almeno nella mia mente. Una specie di immagine incompleta di un lupo. Di me non resterebbe nulla.» Si fermò aspettandosi di vederla indietreggiare e andare via.

«Se il tuo udito è davvero così buono» disse con calma «dovrò fare attenzione a quello che dico nelle tue vicinanze.»

Perrin le bloccò la mano che lo tamponava. «Sei stata a sentire mentre parlavo? Cosa penserebbero tuo padre e tua madre? Un fabbro mezzo lupo. Tu sei una lady! Luce!»

«Ho sentito ogni parola. Papà approverebbe. Ha sempre sostenuto che il sangue della nostra famiglia si sta indebolendo, che non è più come ai vecchi tempi. So che pensa che io sia terribilmente tenera.» Sorrise a Perrin con una fierezza degna di qualsiasi lupo. «Naturalmente mia madre ha sempre voluto che sposassi un re che spezzi i Trolloc in due con un colpo di spada. Immagino che la tua ascia andrà ugualmente bene, ma potresti dirle che sei il re dei lupi. Non credo che nessuno si farà avanti per discutere la tua pretesa al trono. In verità credo che lo spaccare i Trolloc in due funzionerà maggiormente su mamma, ma penso che le piacerà molto anche l’altra cosa.»

«Luce!» esclamò rauco. Sembrava quasi sena. No, era seria. Se anche fosse stata solo parzialmente seria, non era certo che sarebbe stato peggio incontrare i Trolloc che i suoi genitori.

«Qua» disse Faile portandogli la tazza d’acqua alle labbra. «Mi sembra che tu abbia la gola secca.» Deglutendo Perrin sputò al sapore amaro. Vi aveva aggiunto la povere di Ila! Cercò di fermarla, ma Faile gli riempì la bocca e a quel punto era una questione di deglutire o strozzarsi. Quando riuscì a spingere via la tazza, ormai gliene aveva fatta bere la metà. Perché le medicine dovevano sempre essere così cattive? Sospettò che le donne lo facessero di proposito. Avrebbe scommesso che l’acqua che bevevano loro non aveva quel sapore. «Ti ho detto che non volevo quella roba, che schifo!»

«Davvero? Allora non ho sentito. Ma che tu lo voglia o no, devi dormire.» Gli accarezzò i capelli ricci. «Dormi, mio Perrin.»

Perrin cercò di ribadire che glielo aveva detto e che lei aveva sentito, ma le parole sembravano annodarsi attorno alla lingua. Gli occhi volevano chiudersi. In realtà non riusciva a tenerli aperti. L’ultima cosa che sentì furono i delicati mormorii di Faile.

«Dormi, mio re dei lupi. Dormi.»

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