54 Nel palazzo

Seduta in fondo al carro a ruote alte trainato lungo una di quelle contorte vie di Tanchico da quattro uomini sudati, Elayne guardava imbronciata attraverso il velo sudicio che la copriva dagli occhi al mento, scalciando irritata con i piedi nudi. Ogni sobbalzo sulle pietre della pavimentazione la scuoteva fino in cima ai capelli. Più si aggrappava ovunque per mantenersi salda, peggio era. Invece non sembrava che Nynaeve fosse disturbata, saltava come Elayne, ma con una lieve espressione cupa e gli occhi bassi, pareva appena consapevole di quanto accadeva. Egeanin, appiccicata all’altro fianco di Nynaeve, velata e con i capelli scuri acconciati in treccine che le arrivavano sino alle spalle, affrontava ogni sobbalzo facilmente a braccia conserte. Alla fine Elayne imitò la donna Seanchan. Non poteva evitare di andare addosso a Nynaeve, ma non sembrava più che i denti inferiori avrebbero spaccato i superiori.

Sarebbe stata felice di camminare, anche scalza, ma Bayle Domon sosteneva che non sarebbe sembrato appropriato, la gente si sarebbe chiesta perché delle donne non erano sul carro quando c’era spazio e l’ultima cosa che volevano era attirare l’attenzione. Naturalmente lui non era sballottolato come un sacco di rape, camminava davanti al carro con dieci dei venti marinai che aveva scelto come scorta. Di più sarebbero sembrati sospetti, sosteneva. Elayne subodorava che non ne avrebbe portati così tanti se non fosse stato per la sua presenza e quella delle altre due donne.

Il cielo senza nuvole era ancora grigio, anche se il sole era sorto prima che si mettessero in viaggio. Le strade erano ancora per la maggior parte vuote e silenziose, tranne per il rumore del carro e lo scricchiolio dell’asse. Con il sole alto la gente si sarebbe avventurata fuori, ma adesso vedeva solo gruppi di uomini con i pantaloni a sbuffo e i cappelli conici che se ne andavano in giro furtivi, con l’aspetto di chi era stato in giro a non fare nulla di buono mentre era ancora buio. La vecchia tela lanciata sopra al carico del carro era sistemata in modo tale che tutti potessero vedere che copriva solo tre grandi ceste eppure anche così uno o l’altro di quei piccoli gruppi si fermavano come dei branchi di cani randagi, alzando simultaneamente i visi velati e girando gli occhi per seguire il carro. Evidentemente venti uomini con le spade da arrembaggio e i randelli erano troppi da affrontare, perché tutti alla fine si allontanavano di corsa.

Le ruote entrarono in una grande buca dove le pietre della pavimentazione erano state divelte durante una delle ultime sommosse. Il carro si allontanò da Elayne che quasi si morse la lingua quando si incontrarono nuovamente con un forte schiocco. Egeanin e le braccia conserte! Afferrando il bordo del carro guardò torva la donna Seanchan. E vide che aveva le labbra serrate e adesso afferrava anche lei il bordo del carro.

«Non è lo stesso che stare in piedi sul ponte di una nave, dopo tutto» osservò questa sollevando le spalle.

Nynaeve fece una lieve smorfia e cercò di allontanarsi dalla donna Seanchan, anche se era difficile riuscirci senza finire in braccio a Elayne. «Parlerò con mastro Bayle Domon» mormorò, come se il carro non fosse stato la prima ragione a motivarla. Un altro sobbalzo le fece chiudere la bocca.

Tutte e tre indossavano abiti di grezza lana marrone, sottile ma ruvida e non molto pulita: le povere donne di campagna vestivano come dei sacchi informi in confronto alla seta aderente di Rendra. Rifugiate dalla campagna che si guadagnavano il cibo meglio che potevano, ecco cosa dovevano sembrare. Il sollievo di Egeanin quando vide l’abito per la prima volta era stato palese e quasi strano quanto la sua presenza sul carro. Elayne non credeva che quest’ultima cosa fosse concepibile. C’erano state molte discussioni — così le chiamavano gli uomini — nella camera dei fiori cadenti, ma lei e Nynaeve avevano sostenuto la maggior parte delle loro sciocche opposizioni e ignorato il resto. Loro due dovevano entrare nel Palazzo del Panarca e al più presto possibile. A quel punto Domon aveva sollevato un’altra obiezione, una che non era sciocca come il resto.

«Non potete andare al palazzo da sole» mormorò il barbuto contrabbandiere fissandosi le mani sul tavolo. «Dite che non incanalerete a meno che non dobbiate per non avvisare queste Aes Sedai Nere.» Nessuno di loro aveva visto la necessità di menzionare una dei Reietti. «Per cui avrete bisogno di muscoli per manovrare una mazza se ce ne è bisogno e di occhi per guardarvi le spalle. I servitori mi conoscono, a palazzo. Ho anche portato regali al vecchio Panarca. Verrò con voi.» Scuotendo il capo gridò: «Mi state facendo mettere la testa sul ceppo del boia perché vi ho lasciate a Falme. Fortuna toccami se non lo state facendo! Be’, adesso lo faccio, non potete obiettare! Verrò con voi.»

«Sei uno sciocco Illianese» intervenne disgustato Juilin prima che lei o Nynaeve potessero aprire bocca. «Credi che questi tipi di Tarbon ti lasceranno girare indisturbato nel palazzo come ti pare? Un contrabbandiere trasandato di Illian? So come si comportano i servitori, come inchinare il capo e far credere a qualche nobile dalla testa vuota...» si schiarì velocemente la gola e proseguì veloce senza guardare Nynaeve o lei! «Dovrei essere io ad andare con loro.»

Thom rise degli altri due uomini. «Pensate di poter passare per abitanti di Tarabon? Io posso. Questi sistemeranno tutto in un baleno.» Si toccò i lunghi baffi. «D’altro canto non potete andare in giro per il Palazzo del Panarca con randelli e bastoni. Un più... sottile... metodo di protezione è richiesto in questo caso.» Fece uno svolazzo con la mano e apparve d’improvviso un pugnale, che passò velocemente fra le dita per svanire altrettanto velocemente su per la manica, almeno così pensava Elayne.

«Sapete tutti cosa dovete fare» scattò Nynaeve «e non potete farlo cercando di proteggerci come un paio di oche per il mercato!» Respirando profondamente proseguì con tono più pacato. «Se ci fosse un modo per far sì che uno di voi potesse venire con noi, apprezzerei gli occhi in più, se non altro, ma non si può fare. Dobbiamo andare da sole a quanto pare e questo è tutto quello che ho da dire.»

«Posso accompagnarvi io» annunciò Egeanin improvvisamente da dove Nynaeve l’aveva piazzata nell’angolo della stanza. Tutti si voltarono a guardarla, lei li guardò in risposta come se non fosse sicura di quanto aveva detto. «Queste donne sono Amiche delle Tenebre. Dovrebbero essere consegnate alla giustizia.»

Elayne era semplicemente stupita per l’offerta, ma Nynaeve con gli angoli della bocca che le erano sbiancati, sembrava pronta a picchiare la donna. «Credi che ci fideremmo di te, Seanchan?» disse freddamente. «Prima che andremo via verrai rinchiusa al sicuro in qualche magazzino, non mi importa di quante voci...»

«Giuro sulla mia speranza di raggiungere un titolo superiore» la interruppe Egeanin mettendosi le mani sul cuore, una sull’altra, «che non vi tradirò in nessun modo, che vi obbedirò e vi guarderò le spalle fino a quando non sarete al sicuro fuori dal Palazzo del Panarca.» Quindi si inchinò tre volte, profondamente e formalmente. Elayne non aveva idea di cosa significasse ‘speranza di raggiungere un titolo superiore’, ma la donna seanchan lo aveva fatto suonare impegnativo.

«Può farlo» osservò Domon con riluttanza. Guardò Egeanin e scosse il capo. «Fortuna toccami se ci sono più di due o tre dei miei uomini sui quali scommetterei, moneta per moneta, contro di lei.»

Nynaeve fissò una delle sue mani che stringeva con forza una mezza dozzina delle lunghe treccine, quindi quasi deliberatamente le tirò.

«Nynaeve,» le disse Elayne con fermezza «tu per prima hai ammesso che ti piacerebbe avere un paio di occhi in più e io sono decisamente d’accordo. A parte questo, se dobbiamo farlo senza incanalare, non mi dispiacerebbe avere qualcuno che può occuparsi di una guardia impicciona in caso di bisogno. Non sono in grado di colpire degli uomini a mani nude e nemmeno tu. Ti ricordi come combatte Egeanin, vero?»

Nynaeve lanciò un’occhiataccia alla donna seanchan e poi a Elayne, quindi fissò gli uomini come se tutti d’accordo avessero complottato alle sue spalle. Alla fine però annuì.

«Bene» concluse Elayne. «Mastro Domon, questo significa tre vestiti, non due. Adesso sarà meglio che andiate. Vogliamo essere in cammino in mattinata.»

La fermata brusca del carro distolse Elayne dalle sue fantasticherie. Dei Manti Bianchi stavano interrogando Domon. Qui le strade convergevano in una piazza dietro al Palazzo del Panarca, una piazza molto più piccola di quella frontale. Oltre, il palazzo si stagliava in colonne di marmo bianco, torri slanciate circondate da merlettature di pietra, cupole bianche coperte d’oro e sormontate da guglie d’oro e banderuole segnavento. Le strade da entrambi i lati erano molto più larghe che la maggior parte di quelle di Tanchico e più dritte.

Il lento scalpiccio dei cavalli sulle ampie pietre della pavimentazione annunciò l’arrivo di un altro cavaliere, un uomo alto con un elmetto lucido, l’armatura risplendente sotto al mantello bianco con il sole raggiato dorato e il pastorale rosso cremisi. Elayne abbassò la testa, i quattro nodi di rango sotto al sole lo identificavano come Jaichim Carridin. L’uomo non l’aveva mai vista, ma se pensava che lo stesse fissando si sarebbe chiesto perché. Gli zoccoli attraversarono la piazza senza fermarsi.

Anche Egeanin stava a testa bassa, ma Nynaeve guardò apertamente l’Inquisitore. «Quell’uomo è molto preoccupato di qualcosa,» mormorò «spero non abbia sentito...»

«La Panarca è morta!» gridò la voce di un uomo da qualche parte nella piazza. «L’hanno uccisa!»

Non c’era modo di dire chi avesse gridato, o da dove. Le strade che Elayne riusciva a vedere erano bloccate dai Manti Bianchi a cavallo.

Guardando indietro per la strada che avevano appena risalito con il carro desiderò che le guardie interrogassero Domon più velocemente. La gente stava riunendosi alla prima curva, parlando e scrutando verso la piazza. Sembrava che Thom e Juilin avessero fatto un buon lavoro spargendo le voci durante la notte. Adesso se soltanto i fatti non dirompevano mentre se ne stavano sedute nel mezzo degli eventi... se scoppiava un tumulto in quel momento... La sola cosa che impediva alle mani di tremare era la presa ferrea lungo il bordo del carro. Luce, la ressa qua fuori e l’Ajah Nera all’interno, forse Moghedien... sono così spaventata che ho la bocca secca, pensò. Anche Nynaeve ed Egeanin guardavano la folla che cresceva in fondo alla strada e non battevano ciglio, tantomeno tremavano. Non mi comporterò da codarda. Non lo farò! si disse.

Il carro si mosse in avanti ed Elayne emise un sospiro di sollievo. Ci mise un momento per rendersi conto di aver sentito lo stesso suono provenire dalle altre due donne.

Davanti a un cancello non più grande del carro Domon venne interrogato nuovamente da uomini con gli elmetti conici, sui pettorali di metallo un albero dorato. Soldati della Legione del Panarca. Stavolta l’interrogatorio fu breve. A Elayne sembrò di vedere una piccola borsa cambiare di mano e quindi furono all’interno, spostandosi sul pavimento del cortile davanti alle cucine.

Tranne Domon, i marinai rimasero fuori con i soldati.

Elayne balzò giù non appena il carro si fermò, saltellando a piedi nudi sul pavimento. Le pietre irregolari erano dure. Era difficile credere che la sottile suola di una scarpa facesse tanta differenza. Egeanin tornò nel carro per passare le ceste fuori, Nynaeve si mise la prima in spalla, sostenendola con una mano dalla parte inferiore, l’altra sopra la spalla per afferrarne il bordo. Lunghi peperoni bianchi, un po’ avvizziti nel viaggio dalla Saldea, riempivano la cesta quasi fino in cima.

Mentre Elayne prendeva la sua, Domon si diresse in fondo al carro facendo finta di ispezionare le ceste.

«I Manti Bianchi e la Legione del Panarca sembrano pronti a esplodere» mormorò toccando i peperoni. «Il luogotenente ha detto che la Legione potrebbe proteggere la Panarca da sola se la maggior parte delle forze non fosse stata mandata agli anelli fortificati. Jaichim Carridin ha accesso al cospetto della Panarca ma non il loro capitano della Legione. E non gradiscono il fatto che tutte le guardie all’interno appartengono alla Vigilanza Civile. Un uomo sospettoso potrebbe dire che qualcuno vuole che i soldati della Panarca si controllino a vicenda più di qualsiasi altra cosa.»

«È un bene saperlo» mormorò Nynaeve senza guardarlo. «Ho sempre sostenuto che si possono scoprire cose utili ascoltando i pettegolezzi degli uomini.»

Domon sbuffò acido. «Vi accompagnerò dentro, poi devo tornare indietro dai miei uomini per accertarmi che non vengano presi nella sommossa.» Ogni marinaio di tutte le navi che Domon aveva in porto era fuori per le strade attorno al palazzo.

Sistemandosi la cesta in spalla, Elayne seguì le altre due donne dietro Domon, a testa bassa e sobbalzando a ogni passo fino a quando non camminò sulle mattonelle marrone rossiccio della cucina. L’odore di spezie, carne cotta e salse colmava la stanza.

«Pepe dei ghiacci per la Panarca» annunciò Domon. «Un regalo di Bayle Domon, un buon proprietario di navi di questa città.»

«Altro pepe dei ghiacci?» osservò una donna robusta con una treccia scura, un grembiule bianco e l’onnipresente velo, alzando appena lo sguardo dal vassoio d’argento dove stava disponendo un tovagliolo bianco piegato artisticamente fra piatti di sottile porcellana dorata del Popolo del Mare. C’erano una dozzina o più di donne con il grembiule in cucina, come anche un paio di ragazzi che giravano gli spiedi su due dei sei camini, ma chiaramente questa era la capocuoca. «Be’, la Panarca sembra aver gradito l’ultimo invio. Là, nel magazzino.» Indicò vagamente Verso una delle porte dal lato opposto della stanza. «Adesso non ho tempo da sprecare con voi.»

Elayne mantenne gli occhi bassi mentre seguiva Nynaeve ed Egeanin, sudando, e non per il calore di fornelli e camini. Una donna magra con un abito di seta verde stava in piedi vicino a uno dei grandi tavoli, grattando le orecchie di un gatto pelle e ossa che leccava della crema da un piatto di porcellana. Il gatto la identificava, come anche il viso stretto e il naso largo. Marillin Gemalphin, una volta dell’Ajah Marrone, adesso appartenente alla Nera. Se avesse alzato lo sguardo dal gatto, se veramente avesse prestato attenzione alla loro presenza, non avrebbe avuto bisogno di incanalare: da così vicino la capacità era percepibile.

Il sudore gocciava dalla punta del naso di Elayne quando chiuse la porta del magazzino alle sue spalle con un fianco. «L’hai vista?» chiese a bassa voce, lasciando quasi cadere la cesta in terra. Un ornamento alla greca scolpito sulle pareti intonacate proprio sotto al soffitto lasciava filtrare una luce debole dalla cucina. File di alti scaffali riempivano il pavimento della grande stanza, carichi di sacchi e reti di ortaggi e grandi vasi di spezie. Barili e botti erano ovunque, e dai ganci pendevano una dozzina di agnelli e altrettante oche. Secondo lo schizzo del piano inferiore che Domon e Thom avevano disegnato, questo era il magazzino più piccolo del palazzo. «È disgustoso» osservò Elayne. «So che Rendra mantiene la cucina rifornita, ma almeno lei compera ciò di cui ha bisogno e che può permettersi. Questa gente ha fatto la fame mentre...»

«Trattieni il tuo risentimento fino a quando potrai fare qualcosa a riguardo» la interruppe Nynaeve secca. Aveva appoggiato la cesta in terra e si stava togliendo l’abito da contadina. Egeanin era già in sottoveste. «L’ho vista. E se vuoi che venga qui a controllare cos’è questo vocio, continua a parlare.»

Elayne tirò su con il naso, ma lasciò perdere. Non aveva fatto chissà quanto rumore. Togliendosi il vestito fece cadere dalla cesta qualche peperone e quanto vi era nascosto sotto. Fra le altre cose, un vestito bianco con i lacci verdi, con un delicato ricamo di lana sopra il seno sinistro, un albero verde dai rami aperti sopra il bordo di un trifoglio. Il velo sudicio fu rimpiazzato da uno pulito, di lino lavorato sottile quasi quanto la seta. Le scarpe bianche con le suole morbide furono le benvenute sui piedi feriti dalla camminata dal carro alla cucina.

La donna seanchan era stata la prima a spogliarsi ma fu l’ultima a indossare i nuovi abiti bianchi, borbottando tutto il tempo cose senza senso come ‘indecente’ e ‘da serva’. Gli abiti erano quelli delle inservienti, ma così potevano andare ovunque, e in un palazzo di solito ce ne erano troppe per notarne tre in più. E se per sbaglio... Elayne si ricordava di aver esitato a indossare abiti di fattura di Tarabon in pubblico, ma ci si era abituata abbastanza presto, e anche questa lana sottile non poteva essere aderente come la seta. Egeanin sembrava avere idee molto ferree sulla modestia.

Alla fine però anche lei aveva indossato l’abito e quelli da contadine erano stati riposti nelle ceste e coperti con i peperoni.

Marillin Gemalphin era andata via dalla cucina, anche se il gatto malconcio ancora leccava la crema dal piatto sul tavolo. Elayne e le altre due si mossero dalla porta che conduceva nel palazzo.

Una delle aiutocuoche guardava male il gatto, con le mani sugli ampi fianchi. «Mi piacerebbe strangolare questo gatto» mormorò, e le trecce marrone chiaro ondeggiarono mentre scuoteva il capo furiosa. «Mangia la crema e siccome ne ho aggiunta una goccia sulla mia colazione, sono stata messa a pane e acqua!»

«Considerati fortunata se non sei in strada o appesa alla forca.» La capocuoca non sembrava comprensiva. «Se una dama sostiene che hai rubato, allora lo hai fatto, anche se si tratta della crema del gatto, capito? Voi, lì!»

Elayne e le amiche rimasero di sasso al grido.

La donna con la lunga treccia agitò un mestolo verso di loro. «Entrate nella mia cucina e andate a spasso come se si trattasse di un giardino, scrofe pigre che non siete altro. Siete venute a prendere la colazione di lady Ispan, sì? Se non gliela portate per quando si sveglia, imparerete a scattare. Be’?» Indicò il vassoio d’argento sul quale stava lavorando prima, adesso coperto da un tovagliolo di lino.

Non potevano parlare, se avessero aperto bocca le prime parole avrebbero rivelato che non erano di Tarabon. Pensando velocemente Elayne le rivolse una riverenza da servitrice e prese il vassoio, una cameriera che trasportava qualcosa stava lavorando e probabilmente non sarebbe stata fermata per fare qualcos’altro. Lady Ispan? Non un nome insolito a Tarabon, ma c’era una Ispan sulla lista delle Sorelle Nere.

«Così vuoi prendermi in giro, eh, brutta vacca?» gridò la donna robusta e si mosse dal tavolo agitando minacciosamente il grosso mestolo.

Non poteva fare nulla se non voleva farsi scoprire, nulla se non restare e lasciare che la colpisse o scappare. Elayne scattò fuori della cucina con il vassoio, Nynaeve ed Egeanin le furono alle calcagna. Le grida della cuoca le seguirono, ma fortunatamente non la cuoca. L’immagine di loro tre che scappavano per il palazzo inseguite dalla grossa donna fece venire voglia a Elayne di ridere istericamente. Prenderla in giro? si chiese. Era certa di averle rivolto lo stesso inchino che era stato offerto a lei mille volte.

Altri magazzini erano allineati lungo lo stretto corridoio che partiva dalle cucine e alti ripostigli per le scope e le ramazze, secchi e sapone, stracci per pulire i tavoli e ogni genere di cose. Nynaeve in uno trovò uno spolverino. Egeanin prese un gruppo di asciugamani da un altro, un grosso pestello di pietra e un mortaio. Nascose il pestello sotto agli asciugamani.

«Un randello fa comodo a volte» spiegò quando vide che Elayne sollevava un sopracciglio. «Specialmente quando nessuno si aspetta che tu lo abbia.»

Nynaeve tirò su con il naso ma non disse nulla. Aveva appena riconosciuto la presenza di Egeanin da quando aveva acconsentito che andasse con loro.

Dentro al Palazzo i corridoi si allargarono e divennero più alti, le pareti bianche erano decorate con fregi e i soffitti con degli arabeschi dorati che risplendevano. Lunghi tappeti brillanti erano disposti sul pavimento di mattonelle bianche. Delle lampade ornate d’oro emanavano luce e profumo da una fragranza d’olio. A volte i corridoi si aprivano su cortili circondati da viottoli e da sottili colonne scanalate, sovrastati da balconi con i parapetti di pietra lavorata. Delle grandi fontane zampillavano, pesci rossi, bianchi e dorati nuotavano sotto alle ninfee dai grandi fiori bianchi. Completamente diverso dalla città.

Ogni tanto incontravano altri inservienti, uomini e donne vestiti di bianco, albero e foglia ricamati su una spalla, che si affrettavano con i loro incarichi, o uomini con le giubbe grigie e i capelli conici della Vigilanza Civile che portavano bastoni o mazze. Nessuno si rivolgeva a loro o le guardava due volte, non tre cameriere chiaramente impegnate.

Alla fine giunsero alle strette scale della servitù segnate sulla mappa.

«Ricordati» le rammentò con calma Nynaeve «se ci sono soldati davanti alla porta, vai via. Se non è sola, vai via. Non è affatto il motivo più importante della nostra presenza qui.» Inspirò profondamente costringendosi a guardare Egeanin. «Se lasci che le accada qualcosa...»

Da fuori giunse il suono flebile di una tromba. Un momento dopo un gong risuonò all’interno e degli ordini gridati provennero dal corridoio. In fondo apparvero uomini con gli elmetti di acciaio che correvano.

«Forse non dovremo preoccuparci dei soldati alla porta» disse Elayne. La rivolta era iniziata nelle strade. Le voci messe in giro da Thom e Juilin avevano raggruppato la folla. I marinai di Domon l’avevano incitata. Rimpiangeva di essere ricorsa a un tale sotterfugio, ma le noie avrebbero fatto uscire la maggior parte delle guardie dal palazzo, forse tutte se erano fortunate. Quella gente là fuori non lo sapeva, ma stavano combattendo una battaglia per salvare la loro città dall’Ajah Nera e il mondo dall’Ombra. «Egeanin dovrebbe venire con te, Nynaeve. La tua parte è la più importante. Se qualcuna di noi ha bisogno di aiuto, sei tu.»

«Non ho bisogno di una Seanchan!» Mettendosi in spalla il piumino come fosse una lancia Nynaeve si incamminò lungo il corridoio. Davvero non camminava come una cameriera. Non con quel passo da militare.

«Non dovremmo procedere con il nostro incarico?» chiese Egeanin. «La sommossa non manterrà la loro totale attenzione a lungo.»

Elayne annuì, Nynaeve adesso non era più visibile, avendo svoltato un angolo.

Le scale erano strette e nascoste nel muro, per fare in modo che i servitori venissero visti il meno possibile. I corridoi al secondo piano erano simili a quelli del primo, tranne che un arco a doppia punta avrebbe immesso facilmente su un balcone di pietra bianca o una stanza. Sembrava ci fossero molti meno servitori man mano che si dirigevano verso il lato occidentale del palazzo, e questi lanciavano loro delle occhiate occasionali. Con loro somma gioia il corridoio fuori dagli appartamenti della Panarca era vuoto. Nessun soldato davanti alle tre porte intagliate inserite nella cornice a punta doppia. Non che sarebbe andata via se ci fossero stati i soldati, non importa cosa aveva detto a Nynaeve, ma rendeva le cose più semplici.

Un momento dopo non ne era più così sicura. Avvertiva che qualcuna stava incanalando in quelle stanze. Non un flusso forte, ma decisamente qualcuno stava usando il Potere, o forse era un flusso bloccato. Poche donne conoscevano il trucco di legare un flusso.

«Cosa succede?» chiese Egeanin.

Elayne si accorse di essersi fermata. «Una delle Sorelle Nere si trova là dentro.» Una o più? Solo una che incanalava. Si avvicinò alla porta. Una donna stava cantando nella stanza. Appoggiò l’orecchio alla porta intagliata sentendo parole rauche, soffocate ma comprensibili.

I miei seni sono rotondi e anche i miei fianchi.

Posso mettere a terra tutto l’equipaggio di una nave.

Stupita si fece indietro, i piatti di porcellana scivolarono sul vassoio sotto al panno. Era forse andata alla stanza sbagliata? No, aveva imparato a memoria il disegno della pianta. E poi dell’intero palazzo le sole porte intagliate con l’albero appartenevano alla camera della Panarca.

«Allora dobbiamo andare via» osservò Egeanin. «Non puoi fare nulla senza avvisare le altre della tua presenza.»

«Forse posso. Se mi sentono incanalare, penseranno che si tratti di chiunque sia là dentro.» Aggrottando le sopracciglia si morse il labbro inferiore. In quante erano nella stanza? Poteva fare almeno tre o quattro cose contemporaneamente con il Potere, qualcosa che solo Egwene e Nynaeve potevano eguagliare. Scorse una lista di regine dell’Andor che avevano mostrato coraggio di fronte a un grande pericolo, finché non si rese conto che essa comprendeva tutte le regine dell’Andor. Un giorno sarò regina, posso essere coraggiosa come loro, si disse. Preparandosi spiegò: «Spalanca le porte, Egeanin, quindi abbassati così posso vedere tutto.» La donna Seanchan esitò. «Spalanca le porte.» Elayne fu sorpresa della sua voce. Non aveva cercato di renderla speciale in alcun modo, ma era calma, quieta, autorevole. Ed Egeanin annuì, fece quasi un inchino e aprì immediatamente le porte.

le mie cosce sono forti, forti come la catena di un’ancora.

I miei baci possono...

La cantante dalle trecce scure, in piedi avvolta da flussi di Aria fino al collo e con indosso un abito di seta rossa di Tarabon intriso di sudore, si interruppe quando vide che si apriva la porta. Una donna dall’aspetto fragile, in un abito azzurro chiaro a collo alto di taglio di Cairhien seduta su una panca, smise di seguire la canzone con la testa, e l’oltraggio rimpiazzò il sorriso del viso volpino.

Il bagliore di saidar circondava già Temaile, ma non ebbe alcuna possibilità. Spaventata da quanto vide, Elayne abbracciò la Vera Fonte e scagliò un flusso d’Aria, intessendole attorno una rete dalle spalle alle caviglie, poi fu il turno di uno schermo di Spirito che immise fra la donna e la Vera Fonte. Il bagliore attorno a Temaile svanì e lei volò sulla panca come se fosse stata colpita da un cavallo al galoppo, gli occhi rivolti in alto, per atterrare infine sulla schiena, svenuta, a tre passi di distanza sul tappeto verde e oro. La donna con le treccine scure sobbalzò quando i flussi che la legavano svanirono, e si toccò incredula mentre passava lo sguardo da Temaile alle due sconosciute.

Legando i flussi che bloccavano Temaile, Elayne corse nella stanza, scandagliandosi alla ricerca di altre donne dell’Ajah Nera. Alle sue spalle Egeanin chiuse la porta. Non sembrava ci fosse qualcun’altra. «Era sola?» chiese alla donna vestita di rosso. La Panarca, secondo la descrizione di Nynaeve. Nynaeve aveva anche parlato di una canzone.

«Non sei... una di loro?» chiese Amathera esitante; gli occhi scuri notarono i vestiti delle donne. «Anche voi siete Aes Sedai?» Sembrava dubbiosa malgrado la dimostrazione su Temaile. «Ma non con loro?»

«Era sola?» scattò Elayne e Amathera sobbalzò.

«Sì, sola. Sì, lei...» la Panarca fece una smorfia. «Le altre mi hanno fatta sedere sul trono e pronunciare le parole che sceglievano per me. Le divertiva che a volte impartissi giustizia e a volte terribili ingiustizie, un governo che provocherà un conflitto per generazioni se non posso raddrizzare i torti. Ma lei!» La bocca si dischiuse in un ringhio. «L’hanno messa di guardia con me. Mi faceva del male senza motivo se non per farmi piangere. Mi ha fatto mangiare un vassoio intero di pepe dei ghiacci senza lasciarmi bere una goccia d’acqua fino a quando non l’ho pregata in ginocchio, e lei rideva! Nei sogni mi sollevava in cima alla Torre del Mattino per le caviglie e poi mi lasciava cadere. Un sogno, ma sembrava reale, e ogni volta mi lasciava cadere gridando molto vicino al suolo. E rideva! Mi ha fatto imparare danze oscene e canzoni sporche e rideva quando mi diceva che prima che se ne fossero andate mi avrebbe fatta cantare e danzare per intrattenere...» Con un grido come un gatto furastico si scagliò sopra la panca e sulla donna legata, schiaffeggiandola selvaggiamente, colpendola con i pugni.

Egeanin, a braccia conserte davanti alla porta, sembrava pronta a lasciarla fare, ma Elayne inviò dei flussi di Aria attorno alla vita di Amathera. Con sua sorpresa fu in grado di sollevare la donna priva di sensi e metterla in piedi. Forse imparare a usare quei flussi pesanti da Jorin aveva incrementato la sua forza.

Amathera prese Temaile a calci, rivolgendo lo sguardo furioso verso Elayne ed Egeanin quando la mancò. «Sono la Panarca di Tarabon e intendo imporre giustizia a questa donna!» Adesso sulle labbra aveva un’espressione davvero offesa. La donna non aveva contegno, o consapevolezza della sua posizione? Aveva lo stesso potere del re, una governante!

«E io sono l’Aes Sedai che ti ha soccorsa» rispose freddamente Elayne. Rendendosi conto che aveva ancora in mano il vassoio, lo appoggiò subito in terra. Sembrava che la donna avesse problemi a vedere oltre l’abito bianco da servitrici senza che glielo dicesse. Il viso di Temaile era rosso, si sarebbe svegliata con dei lividi. Senza dubbio meno di quanti ne meritasse. Elayne desiderava che ci fosse modo di portare Temaile con loro. Di consegnarne anche una sola alla giustizia della Torre. «Siamo venute — correndo un considerevole rischio! — a liberarti e portarti fuori da qui. Allora potrai raggiungere il lord capitano della Legione del Panarca, Andric, il suo esercito, e cacciare via queste donne. Forse saremo abbastanza fortunate da riuscire a portarne qualcuna in giudizio. Ma prima dobbiamo condurti in salvo.»

«Non ho bisogno di Andric» mormorò Amathera. Elayne avrebbe giurato che aveva quasi detto «adesso». «Ci sono i soldati della mia Legione intorno al palazzo. Lo so. Non mi è stato permesso di parlare con loro, ma quando mi vedranno e sentiranno la mia voce, faranno quello che va fatto, sì? Voi Aes Sedai non potete usare l’Unico Potere per fare del male...» si interruppe guardando furiosa Temaile ancora svenuta. «Non potete usarlo come un’arma, vero, sì? Lo so.»

Elayne rimase sorpresa quando si accorse che stava tessendo sottili flussi di Aria, uno per ogni treccina di Amathera. Le trecce salirono in aria e la donna dalla bocca offesa non poté fare altro che seguirle in punta di piedi. Elayne la fece camminare fino ad averla proprio davanti a sé, con gli occhi scuri sgranati e indignati. «Adesso mi ascolterai, Panarca Amathera di Tarabon» disse fredda. «Se provi a camminare fuori e andare dai tuoi soldati, le amiche di Temaile potrebbero benissimo infilarti in un sacco e riconsegnarti a lei. Peggio, scopriranno che io e la mia amica siamo qui e questo non posso permetterlo. Usciremo di qui di soppiatto e se non acconsenti, ti legherò, ti imbavaglierò e ti lascerò qui accanto a Temaile per farti ritrovare dalle sue amiche.» Doveva esserci il modo di portare via anche Temaile. «Mi hai capita?»

Amathera annuì leggermente, trattenuta. Egeanin emise un verso di approvazione.

Elayne rilasciò i flussi e i talloni della donna atterrarono sul tappeto. «Adesso vediamo se riusciamo a trovare qualcosa da farti indossare che sia consono per andare via indisturbate.» Amathera annuì nuovamente, ma la bocca era più offesa che mai. Elayne sperava che per Nynaeve le cose andassero meglio.

Nynaeve entrò nella grande sala delle esposizioni con la moltitudine di colonne agitando il piumino. Questa collezione probabilmente andava sempre spolverata e certamente nessuno avrebbe guardato due volte la donna che eseguiva quel lavoro. Si girò intorno e gli occhi le caddero sulle ossa di quello che sembrava un cavallo dalle zampe lunghe con il collo che sosteneva il teschio all’altezza di sei metri. L’ampia stanza era vuota ma qualcuno poteva entrare in qualsiasi momento. La servitù che doveva fare le pulizie sul serio, Liandrin o tutte le sue amiche per cercare l’oggetto. Sempre impugnando il piumino si affrettò verso il piedistallo di pietra bianca sul quale erano esposti la collana e i braccialetti nero opaco. Non si era accorta che aveva trattenuto il respiro fino a quando non espirò vedendo che quegli oggetti erano ancora lì. Il tavolo di vetro nel quale era custodito il cuendillar era a cinquanta passi di distanza, ma questo veniva prima. Scavalcando la spessa corda toccò la grossa collana. Sofferenza, agonia e dolore la pervasero, voleva piangere. Che tipo di oggetto poteva assorbire quel dolore? Ritirando la mano fissò furiosa il metallo nero.

Doveva controllare un uomo che poteva incanalare. Liandrin e le sue Sorelle Nere volevano usarlo per controllare Rand, per votarlo all’Ombra, per costringerlo a servire il Tenebroso. Qualcuno del suo villaggio, controllato e usato dalle Aes Sedai! Ajah Nera, ma Aes Sedai come Moiraine con i suoi schemi! Egeanin, che mi ha fatto piacere una sporca Seanchan! pensò.

L’incongruità improvvisa dell’ultimo pensiero la colpì. Di colpo si rese conto che stava cercando di arrabbiarsi abbastanza per incanalare. Abbracciò la Fonte e il Potere la colmò. Una cameriera con l’albero e la foglia entrò nella stanza.

Tremando dal bisogno di incanalare Nynaeve attese sollevando il piumino, facendo passare le piume sulla collana e i braccialetti. La cameriera abbassò lo sguardo. Sarebbe andata via in un momento e Nynaeve avrebbe... Cosa? Infilato l’oggetto nel sacchetto appeso alla cintura, ma...

La cameriera sarebbe andata via? Perché credo che se ne vada invece di rimanere a lavorare? si chiese. Guardò la donna che le andava incontro. Chiaro. Senza scopa o spazzolone, senza spolverino e nemmeno uno straccio. Per qualsiasi motivo si trova qui, non può...

Improvvisamente vide chiaramente il viso della donna. Molto bello, incorniciato da trecce scure, sorrideva quasi amichevole ma senza prestarle davvero attenzione. Certamente non minacciandola. Non era proprio lo stesso viso, ma lo conosceva.

Prima che potesse colpirla, scagliando un flusso di Aria potente come un martello per spaccarle il viso, in un istante il bagliore di saidar circondò l’altra donna, i lineamenti cambiarono — adesso erano più regali, orgogliosi, e il volto di Moghedien ricordò, ed era sorpreso, sorpreso che non fosse giunta inattesa, insospettata — e il flusso di Nynaeve venne spezzato di netto. Nynaeve indietreggiò per via del contraccolpo, come se fosse avvenuto fisicamente, e la Reietta le scagliò contro una rete complessa di Spirito con Aria e Acqua. Nynaeve non sapeva a cosa servisse e freneticamente cercò di spezzarlo come aveva visto fare all’altra donna, con un’ondata affilata di Spirito. Per un fugace istante provò una sensazione di amore, devozione, adorazione per la magnifica donna che si era degnata di permetterle...

La tessitura intricata sì divise e Moghedien esitò un istante. Nella mente di Nynaeve rimase una lieve reminiscenza, come un ricordo recente di avere voglia di obbedire, di strisciare compiacente, come era accaduto durante il primo incontro. Ciò surriscaldò la rabbia di Nynaeve. Lo scudo affilato come la lama di un pugnale, già usato da Egwene per schermare Amiqa Nagoyin, si materializzò, più un’arma che uno scudo, colpendo Moghedien — ma venne bloccato, Spirito contro Spirito, poco prima che tagliasse per sempre Moghedien dalla Fonte. Giunse un altro contraccolpo della Reietta, simile a un colpo d’ascia, con l’intenzione di tagliare Nynaeve allo stesso modo. Per sempre. Nynaeve lo bloccò disperata.

Si accorse all’improvviso di essere terrorizzata dietro il velo di rabbia. Bloccare il tentativo dell’altra donna di quietarla per sempre mentre cercava di fare lo stesso assorbì tutte le sue forze. Il Potere ribollì in lei fino a quando credette che sarebbe esplosa, le ginocchia le tremavano per lo sforzo di restare in piedi. Tutto andava in queste due azioni e non sarebbe stata in grado di accendere una candela. L’ascia di Spirito di Moghedien la sfiorò e si ridusse, ma non importava se la donna fosse riuscita a colpirla. Nynaeve non riusciva a vedere nessuna reale differenza fra l’essere quietata da quella donna o essere solamente — solamente! — schermata alla sua mercé. Quella cosa sfiorò il flusso di Potere dalla Fonte dentro di lei, come un pugnale che si librava sul collo allungato di una gallina. L’immagine calzava a pennello e desiderava non averla pensata. In fondo alla testa una vocina farfugliava. Oh, Luce, non lasciare che lo faccia! Luce, ti prego, non quello!

Per un momento pensò di lasciar perdere il tentativo di tagliare Moghedien dalla Fonte — intanto doveva continuare a farlo ridiventare tagliente come una lama, i flussi tessuti non volevano mantenere quel filo — e di usare quella forza per respingere più facilmente l’attacco di Moghedien, forse spezzarlo. Ma se ci avesse provato, l’altra donna non avrebbe avuto bisogno di difendersi, poteva semplicemente aggiungere forza al proprio attacco. Ed era una dei Reietti; non una Sorella Nera. Una donna che era stata Aes Sedai durante l’Epoca Leggendaria, quando le Aes Sedai erano in grado di compiere azioni ora innominabili. Se Moghedien avesse concentrato tutta la sua forza contro di lei...

Un uomo che fosse entrato in quel momento, o una donna non in grado di incanalare, avrebbe visto solo due donne una di fronte all’altra oltre la corda di seta bianca a una distanza di meno di trenta centimetri. Due donne che si fissavano in una grande sala piena di strani oggetti. Ma nulla che suggerisse un duello. Non salti e affondi con le spade come avrebbero fatto gli uomini, niente di fracassato o rotto. Solo due donne in piedi. Ma era pur sempre un duello e forse mortale. Contro una dei Reietti.

«Tutti i miei piani accurati sono rovinati» disse improvvisamente Moghedien con voce tesa e furiosa, con le nocche bianche che stringevano la gonna. «Quantomeno dovrò passare attraverso un incalcolabile sforzo per riportare tutto com’era. Potrebbe non essere possibile. Oh, intendo renderti partecipe, Nynaeve al’Meara. Questo è stato un nascondiglio così intimo, e quelle donne cieche hanno un certo numero di oggetti in loro possesso anche se non sanno...» scosse il capo ritraendo le labbra per snudare i denti in un ringhio. «Credo che stavolta ti porterò con me. Lo so. Ti terrò come oggetto per montare a cavallo. Ti costringeremo a metterti carponi affinché possa passare dalla tua schiena in sella al cavallo. O forse ti consegnerò a Rahvin. Lui ripaga sempre i favori. Adesso si sta divertendo con una graziosa regina, ma le donne graziose sono sempre state la debolezza di Rahvin. Gli piace averne due, tre o quattro per volta che lo servono. Come la prenderesti una cosa simile? Trascorrere il resto della tua vita a competere per ottenere i favori di Rahvin. Vedrai, una volta che ti avrà messo le mani addosso, anche lui conosce qualche trucchetto. Sì, credo che Rahvin ti avrà.»

La rabbia sgorgò da Nynaeve. Il sudore le colò sul viso e le gambe le tremarono, sul punto di cedere, ma la rabbia le dava la forza. Furiosa riuscì a spingere la sua arma di Spirito vicina a tagliare Moghedien dalla Fonte prima che la donna lo bloccasse nuovamente.

«Così sei riuscita a scoprire quel gioiello alle tue spalle» osservò Moghedien in un momento di equilibrio precario. Sorprendentemente la voce della donna era quasi colloquiale. «Mi chiedo come tu ci sia riuscita. Ma non importa. Sei venuta per prenderlo? Forse per distruggerlo? Non puoi. Non è metallo ma una forma di cuendillar. Neanche il fuoco malefico può distruggere il cuendillar. E se intendi usarlo, ha... dei lati negativi, vogliamo dire? Metti il collare a un uomo che può incanalare e la donna che indossa i bracciali può fargli fare tutto ciò che desidera, vero, ma non impedirà che impazzisca e c’è anche un riflusso. Alla fine riuscirà a controllarti, per cui finirete con il combattere ogni ora. Non sarà molto appetibile quando impazzirà. Certamente puoi passare i bracciali alle altre, affinché nessuna si esponga troppo, ma non significa affidarlo a qualcun’altra. Gli uomini sono sempre propensi alla violenza, sono armi meravigliose. O due donne possono indossare un braccialetto ciascuna, se c’è qualcuna di cui ti fidi abbastanza, questo rallenta considerevolmente l’infiltrazione, a quanto ho capito, ma riduce anche il tuo controllo, anche se lavorate in perfetto unisono. Alla fine ti troverai a combattere per controllarlo, ognuna di voi avrà bisogno di lui per rimuovere i braccialetti, come lui avrà bisogno di voi per rimuovere il collare.» La donna reclinò il capo, sollevando un sopracciglio interrogativa. «Suppongo tu mi stia seguendo, vero? Controllare Lews Therin — Rand al’Thor, come è chiamato adesso — sarebbe molto utile, ma vale il prezzo? Puoi capire perché ho lasciato il collare e i bracciali dove sono.»

Tremando per contenere il Potere, per mantenere i flussi intessuti, Nynaeve aggrottò le sopracciglia. Perché la donna le stava dicendo tutto questo? Pensava che non importasse perché comunque avrebbe vinto? Perché questo cambiamento improvviso dalla rabbia alla conversazione? Anche il viso di Moghedien era sudato. Una gran quantità di sudore le imperlava la fronte ampia e le scorreva sulle guance.

Improvvisamente nella mente di Nynaeve tutto cambiò. Moghedien non era una voce intrisa di rabbia, era una voce piena di sforzo. Di colpo Moghedien non le scagliava contro tutta la sua forza, la stava già usando. La donna si stava sforzando quanto lei. Nynaeve stava affrontando una dei Reietti ed era ben lungi dall’essere spennata come un’oca per la cena, non aveva perso nemmeno una piuma. Stava contrastando una dei Reietti, Potere contro Potere! Moghedien stava cercando di distrarla, per ottenere un’apertura prima che esaurisse la forza! Se solo fosse riuscita a fare lo stesso. Prima di perdere la forza.

«Ti stai chiedendo come faccio a sapere tutto questo? Il collare e i bracciali furono creati dopo che sono... Be’, non ne parleremo. Una volta libera, la prima cosa che ho fatto è stata cercare informazioni su quegli ultimi giorni. Veramente lo scorso anno. Ci sono molti frammenti qui e là che non hanno senso per nessuno che non abbia idea da dove cominciare. L’Epoca Leggendaria. Avete dato alla mia epoca un nome molto pittoresco. Eppure nemmeno le vostre storie più sfrenate fanno riferimento alla metà di quello che era. Ho vissuto per oltre duecento anni quando venne aperto il Foro ed ero ancora giovane, per un’Aes Sedai. Le vostre ‘leggende’ non sono altro che mere imitazioni di cosa avremmo potuto fare. Perché...»

Nynaeve smise di ascoltare. Un modo per distrarre la donna. Anche se avesse pensato a qualcosa da dire, Moghedien sarebbe stata in guardia contro il metodo che lei stessa stava usando. Non poteva sforzarsi per generare nemmeno un sottilissimo flusso, non più di... Moghedien. Una donna dell’Epoca Leggendaria, abituata a usare l’Unico Potere da molto tempo. Forse abituata a fare quasi di tutto con il Potere prima che venisse imprigionata. Nascosta da quando era stata liberata, quanto si era abituata a fare cose senza il Potere?

Le ginocchia di Nynaeve si incurvarono. Lasciò cadere il piumino e si appoggiò al piedistallo per sostenersi. Non aveva un gran bisogno di fingere.

Moghedien sorrise e fece un altro passo avanti. «... Viaggiare in altri mondi, anche in cielo. Lo sai che le stelle sono...» quel sorriso era così sicuro, così trionfante.

Nynaeve prese il collare, ignorando le sconvolgenti emozioni dolorose che fluirono in lei e lo lanciò, tutto in un unico movimento.

La Reietta aveva appena cominciato ad aprire la bocca quando l’ampio circolo nero la colpì in mezzo agli occhi. Non un colpo forte, certo non abbastanza da stordirla, ma inaspettato. Il controllo di Moghedien sui propri flussi vacillò, solo leggermente, per un istante. Ma per quell’istante l’equilibrio fra loro si spostò. Lo scudo di Spirito scivolò fra Moghedien e la Fonte e l’alone che la circondava scintillò.

La donna strabuzzò gli occhi. Nynaeve si aspettava che le sarebbe saltata alla gola, questo è quello che lei avrebbe fatto. Invece Moghedien sollevò la gonna e fuggì.

Senza il bisogno di difendersi, Nynaeve poté tessere con uno sforzo minimo un flusso di Aria attorno alla donna in fuga. La Reietta si immobilizzò a metà strada.

Nynaeve legò subito i flussi. Ci era riuscita. Ho affrontato una Reietta e l’ho battuta, pensò incredula. Guardando la donna bloccata dal collo in giù da un muro d’aria della consistenza della roccia, anche vederla con un piede sospeso era incredibile. Esaminando quanto aveva fatto vide che non era stata una vittoria completa come aveva voluto. I bordi affilati dello scudo si erano levigati prima che colpisse. Moghedien era catturata e schermata, ma non quietata.

Cercando di non vacillare aggirò la donna per andarle di fronte. Moghedien ancora aveva un aspetto regale, ma era quello di una regina molto spaventata che si umettava le labbra con gli occhi che dardeggiavano selvaggiamente. «Se... se mi liberi potremmo raggiungere un accordo. Ti posso insegnare molte cose...»

Nynaeve la interruppe senza pietà, tessendo un bavaglio d’Aria che le bloccò la bocca in posizione aperta. «Un oggetto per montare a cavallo. Non avevi detto questo? Credo che sia davvero una buona idea. Mi piace cavalcare.» Sorrise alla donna che sembrava avere gli occhi quasi fuori dalle orbite.

Davvero un oggetto per montare a cavallo! Una volta che Moghedien fosse stata processata alla Torre e quietata — non c’era dubbio sulla sentenza contro una Reietta — sarebbe stata certamente utilizzata per qualche utile lavoro in cucina, nei giardini o nelle stalle, tranne quando sarebbe stata portata fuori per dimostrare che anche i Reietti non potevano sfuggire alla giustizia e trattata non diversamente da qualsiasi cameriera, oltre a essere tenuta sotto controllo. Ma che pensasse pure che Nynaeve era crudele quanto lei. Che lo pensasse fino a quando non sarebbe stata...

Nynaeve torse le labbra. Moghedien non sarebbe stata processata. Comunque non ora. A meno che non riuscisse a escogitare il sistema di farla uscire dal Palazzo del Panarca. La donna sembrava credere che quella smorfia precedesse qualcosa diretto contro di lei e dagli occhi le sgorgarono delle lacrime. Mosse la bocca cercando di forzare il blocco del bavaglio.

Disgustata di se stessa Nynaeve camminò malferma verso il punto dove giaceva il collare nero, infilandolo velocemente nel sacchetto appeso alla cintura prima che le emozioni desolate racchiuse in esso potessero fare altro che toccarla. Quindi fu il turno dei bracciali, con le stesse sensazioni di sofferenza e dolore. Ero pronta a torturarla anche solo lasciandoglielo credere! Lo merita senza meno, ma non da me. O forse sì? Sono migliore di Egeanin? si chiedeva Nynaeve.

Girò su se stessa, furiosa per aver anche solo considerato l’ipotesi, e oltrepassò Moghedien per dirigersi vero il tavolo circondato da vetri. Doveva esserci un sistema per consegnare la donna alla giustizia.

Nella teca c’erano sette figurine. Sette e nessun sigillo.

Per un momento rimase immobile a fissarla. Una delle figure, uno strano animale vagamente simile a un maiale ma con un muso largo e rotondo e zoccoli grossi come zampe, si trovava al posto del sigillo, al centro del tavolo. Di colpo strinse gli occhi. Non era davvero lì. L’oggetto era ricavato da Aria e Fuoco, con dei flussi così piccoli che facevano sembrare le ragnatele spesse come cavi. Anche concentrandosi li vedeva a malapena. Dubitava che Liandrin o qualcun’altra delle Sorelle Nere avrebbe potuto vederli. Un piccolissimo colpo di Potere e il grosso animale svanì, al suo posto riapparve il sigillo nero e bianco sul sostegno di legno laccato di rosso. Moghedien lo aveva nascosto sotto gli occhi di tutti. Fuoco bucò il vetro, e anche il sigillo finì nel sacchetto. Adesso era sporgente e pesava.

Guardando furiosa la donna sulla punta di un piede, cercò di pensare a qualche sistema di condurre via anche lei. Ma Moghedien non poteva entrare nel sacchetto e Nynaeve sapeva che anche se avesse potuto portare la donna in braccio, quella vista avrebbe attirato l’attenzione. Eppure mentre si incamminava verso la porta ad archi non poté fare a meno di guardarsi indietro a ogni passo. Se solo ci fosse stato un modo. Fermandosi per un ultimo sguardo rammaricato dalla porta, si voltò e andò via.

La porta si apriva su un cortile con una fontana piena di ninfee. Dall’altro lato della fontana una donna snella dalla pelle ramata, con un vestito alla moda di Tarabon di un pallido color crema che avrebbe fatto arrossire Rendra, stava appena sollevando una bacchetta nera scanalata lunga un passo. Nynaeve riconobbe Jeaine Caide. E riconobbe anche la bacchetta.

Disperatamente si lanciò da un lato con tale forza che scivolò sul pavimento di pietra bianca fino a terminare contro una delle sottili colonne. Una barra bianca spessa come una gamba fu scagliata nel punto dove si trovava prima, come se l’aria fosse stata tramutata in metallo fuso, tagliando tutto in direzione della sala delle esposizioni, dove colpì. Frammenti di colonna svanirono semplicemente, manufatti inestimabili cessarono di esistere. Lanciando a caso flussi di Fuoco alle sue spalle, sperando di colpire qualcosa, qualsiasi cosa, nel cortile, Nynaeve attraversò il corridoio carponi. Poco più che ad altezza della vita la barra fendette lateralmente, spezzando entrambe le pareti, e nel mezzo teche, mobiletti e scheletri collassarono fracassandosi. Alcune colonne tremarono, altre caddero, ma gli oggetti sulla linea di quella terribile spada non sopravvivevano per spaccarsi in mille pezzi al suolo. Il tavolo con le pareti di vetro cadde davanti all’asta di metallo fuso e scomparve, lasciando una barra purpurea che sembrava bruciare davanti agli occhi di Nynaeve. Le figurine di cuendillar furono la sola cosa che ricadde da quella barra incandescente, rimbalzando al suolo.

Naturalmente non si ruppero. Sembrava che Moghedien avesse ragione, nemmeno il fuoco malefico poteva distruggere il cuendillar. Quella bacchetta nera era uno dei ter’angreal rubati. Nynaeve ricordava l’avvertimento apposto sulla loro lista da una mano ferma. Produce fuoco malefico. Pericoloso e quasi impossibile da controllare.

Sembrava che Moghedien stesse cercando di gridare attraverso il bavaglio invisibile, agitando freneticamente la testa mentre combatteva i legami di Aria, ma Nynaeve non le rivolse altro che uno sguardo. Non appena il fuoco malefico scomparve si alzò quanto bastava per scrutare lungo il corridoio, fra la spaccatura aperta lungo le pareti della stanza. Vicino alla fontana Jeaine Caide ondeggiava con una mano sulla testa e la bacchetta nera che le stava per cadere dall’altra. Ma prima che Nynaeve potesse colpirla aveva afferrato nuovamente la bacchetta scanalata. Dall’estremità scaturì il fuoco malefico. Distruggendo qualunque cosa lungo il suo percorso attraverso la stanza.

Quasi sdraiandosi in terra Nynaeve strisciò dall’altro lato più velocemente possibile, fra il clangore delle colonne e delle mura che crollavano. Ansimando si infilò in un corridoio aperto attraverso le pareti. Non c’era modo di dire quanto a fondo avesse tagliato il fuoco malefico, forse fin fuori al palazzo. Scavalcando un tappeto coperto di detriti guardò con cautela fuori dalla porta.

Il fuoco malefico era scomparso di nuovo. Nella sala delle esposizioni devastata regnava il silenzio, tranne quando un pezzo di pietra instabile cedeva schiantandosi al suolo coperto di detriti. Non c’era traccia di Jeaine Caide, però gran parte del muro era crollata e il cortile con la fontana si vedeva con chiarezza. Non avrebbe rischiato di andare a vedere se il ter’angreal aveva ucciso la donna che lo aveva usato. Aveva il respiro irregolare, braccia e gambe le tremavano così tanto che fu contenta di rimanere sdraiata per un momento. Incanalare richiedeva energia come qualsiasi altro lavoro, più incanalavi, più consumavi energia.

Più eri debole e meno potevi incanalare. Non era certa che sarebbe stata in grado di affrontare una Jeaine Caide anche se indebolita proprio in quel momento.

Era stata una tale sciocca. Combattere Moghedien con il Potere senza mai pensare che incanalare con quella forza avrebbe fatto sobbalzare ogni Sorella Nera presente nel palazzo. Era fortunata che la donna domanese non fosse arrivata con quel ter’angreal mentre era ancora impegnata contro la Reietta. Molto probabilmente sarebbero morte entrambe prima ancora di accorgersi che era lì.

Di colpo si guardò attorno incredula. Moghedien era scomparsa! Il fuoco malefico non era giunto più vicino di dieci metri da dove si trovava, ma non c’era più. Era impossibile. Era stata schermata.

«Come faccio a sapere che è impossibile?» mormorò Nynaeve. «Per me era impossibile battere una Reietta, eppure l’ho fatto.»

Ancora non c’era traccia di Jeaine Calde.

Alzandosi in piedi si affrettò verso il punto di incontro concordato. Se Elayne non era finita nei guai, avrebbero potuto uscirne salve, dopo tutto.

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