49 La Fortezza delle Rocce Fredde

Rand si guardò intorno aggrottando le sopracciglia. A un chilometro e mezzo di distanza vi era un gruppo di alte montagnole dai fianchi spogli, o forse una sola tempestata di spaccature. A sinistra la terra si snodava in macchie di erba e piante spinose senza foglie, cespugli sparsi pieni di aculei e alberi bassi, fra colline aride e gole frastagliate, oltre grandi colonne di pietra fino alle montagne irregolari in lontananza.

A destra era lo stesso, tranne la pianura di argilla giallastra spaccata e le montagne più vicine. Avrebbe potuto essere una qualsiasi parte del deserto che aveva visto da quando aveva lasciato il Chaendaer.

«Dove?» chiese Rand.

Rhuarc lanciò un’occhiata ad Aviendha che stava guardando Rand come se fosse uscito di senno. «Vieni. Lascia che siano i tuoi occhi a mostrarti Rocce Fredde.» Calandosi lo shoufa sulle spalle il capoclan si girò e balzò a testa nuda verso una fessura fra le rocce davanti a loro.

Gli Shaido si erano già fermati, e ora andavano in giro incominciando a montare le tende. Heirn e i Jindo seguirono Rhuarc al trotto con i muli da soma, scoprendosi il capo e gridando, le Fanciulle scortavano gli ambulanti incitando i conducenti a far affrettare le pariglie e a seguire i Jindo. Una delle sapienti sollevò la gonna fino alle ginocchia e si unì a Rhuarc — a Rand sembrava Amys, a giudicare dai capelli chiari, certamente Bair non poteva muoversi con tanta agilità — ma il resto del gruppo delle Sapienti mantenne il passo originario. Per un attimo sembrò che Moiraine volesse andare verso Rand, quindi esitò, discutendo con una delle altre Sapienti, i capelli ancora coperti dallo scialle. Alla fine l’Aes Sedai affiancò Egwene guidando la giumenta bianca accanto alla grigia e allo stallone nero di Lan, proprio davanti ai gai’shain vestiti di bianco che guidavano gli animali da soma. Si stavano comunque dirigendo nella stessa direzione di Rhuarc e gli altri.

Rand si chinò per offrire una mano ad Aviendha, e quando la donna scosse il capo Rand le disse: «Se faranno tutto quel rumore, non riuscirò a sentirti da laggiù. Che succede se faccio un errore da ignorante perché non posso sentire cosa dici?»

Borbottando lanciò un’occhiata alle fanciulle vicino ai carri degli ambulanti, quindi sospirò e afferrò il braccio di Rand, il quale la issò, ignorando le proteste indignate di Aviendha, e la lanciò dietro di sé in sella a Jeade’en. Ogni volta che cercava di montare in sella da sola riusciva quasi a farlo cadere. Le diede un momento per sistemarsi la gonna ingombrante, che adesso era sopra le ginocchia, quindi spronò il pezzato al piccolo trotto. Era la prima volta che Aviendha montava un cavallo con un’andatura più veloce che al passo. Strinse forte Rand in vita.

«Se mi fai sembrare sciocca davanti alle mie Sorelle, abitante delle terre bagnate...» ringhiò contro la sua schiena.

«Perché dovrebbero pensare che sei una sciocca? Ho visto Bair, Amys e le altre cavalcare con Moiraine ed Egwene, a volte, per parlare.»

Dopo un momento Aviendha rispose: «Accetti i cambiamenti più facilmente di me, Rand al’Thor.» Non sapeva cosa concludere da quella risposta.

Quando raggiunse Rhuarc, Heirn e Amys, un po’ più avanti dei Jindo urlanti, fu sorpreso nel vedere Couladin correre con loro, i capelli rosso fiamma scoperti. Aviendha tirò giù sulle spalle lo shoufa di Rand. «Quando entri in una fortezza il volto deve essere ben visibile, te l’ho già detto. E fare rumore. Siamo stati avvistati da molto e sanno chi siamo, ma è l’usanza, per mostrare che non stai tentando di prendere la fortezza di sorpresa.»

Rand annuì ma tenne la lingua a freno. Né Rhuarc né gli altri tre con lui emettevano un verso, e nemmeno Aviendha. D’altro canto i Jindo facevano abbastanza rumore da essere sentiti per chilometri.

Couladin si voltò verso di lui. Il disprezzo balenò sul viso abbronzato, e qualcos’altro. Odio e disprezzo se li aspettava, ma il divertimento? Cos’era che Couladin trovava divertente?

«Stupido Shaido» mormorò Aviendha. Forse aveva ragione, forse il divertimento era riferito a lei che cavalcava. Ma Rand non lo credeva.

Mat galoppò appresso a loro sollevando una nuvola di polvere gialla e marrone, il capello ben calzato e la lancia appoggiata alla staffa, come una lancia vera e propria. «Cos’è questo posto, Rand?» chiese ad alta voce, per essere sentito sopra le grida. «Tutte queste donne direbbero ‘muoviti più veloce. Più veloce’» rispose Rand guardando la facciata della roccia torreggiante della montagna. «Potresti difendere quella cosa per anni, immagino, se hai le riserve alimentari, ma non è simile alla Pietra, o al Tora Harad.»

«Il Tora cosa?»

Mat sollevò le spalle prima di rispondere. «Solo qualcosa di cui ho sentito parlare una volta.» Si alzò sulle staffe per guardare i Jindo e la carovana di ambulanti. «Almeno sono ancora con noi. Mi chiedo quanto passerà prima che finiscano i commerci e se ne vadano.»

«Non prima di Alcair Dal. Rhuarc dice che c’è una specie di fiera ogni volta che si incontrano i capiclan, anche se sono solamente due o tre. Con tutti e dodici, non credo che Kadere e Keille vorranno perdersela.»

Mat non sembrava compiaciuto della notizia.

Rhuarc fece loro strada verso la fessura più ampia nella roccia liscia, larga dieci o dodici passi nel punto più ampio e ombreggiata dalle altezze delle fiancate mentre diventava sempre più profonda, scura e anche fresca sotto un filo di cielo. Sembrava strano ritrovarsi in tanta ombra. Le grida degli Aiel decrebbero, amplificate dalle pareti grigio-marrone, e quando di colpo cessarono, il silenzio, rotto solamente dall’acciottolio degli zoccoli dei muli e lo scricchiolio delle ruote dei carri lontano, sembrò assordante.

Svoltarono un’altra curva e la fessura si allargò aprendosi di colpo in un’ampia gola, lunga e quasi dritta. Da ogni lato, grida acute uscirono dalle bocche di centinaia di donne. Una folla fitta si addensava lungo la strada, donne con gonne ingombranti, scialli avvolti sulle teste e uomini che indossavano giubbe e pantaloni grigio-marrone, il cadin’sor, e c’erano anche Fanciulle della Lancia che agitavano le braccia in segno di benvenuto, battendo sulle pentole o qualsiasi cosa facesse rumore.

Rand rimase a bocca aperta, e non solo per il pandemonio. Le pareti della gola erano verdi, per via di strette terrazze che si trovavano fino a metà altezza su entrambi i pendii. Si accorse in un secondo momento che non tutte erano terrazze. Si trattava di piccole case dal tetto piatto di pietra grigia o argilla gialla che sembravano praticamente una sopra all’altra, in gruppetti separati da sentieri, e su ogni tetto c’era un piccolo giardino di fagioli, peperoni, meloni e piante mai viste. Le galline, più rosse di quelle che conosceva, razzolavano libere, insieme a una strana specie di polli, più grossi e punteggiati di grigio. Bambini, la maggior parte vestita come gli adulti, e gai’shain in bianco andavano in giro con delle grosse brocche di argilla, annaffiando le piante. Gli Aiel non avevano città, così gli era sempre stato detto, ma questo sembrava almeno un grosso villaggio, anche se il più strano che avesse mai visto. Il clamore era troppo forte perché potesse porre le domande che gli venivano in mente — come per esempio cosa fossero quei frutti rotondi, troppo rossi e lucenti per essere mele, che crescevano su bassi cespugli dalle foglie chiare, o quegli strani steli dalle foglie larghe con dei lunghi e grossi germogli gialli. Aveva vissuto troppo a lungo in una fattoria per non chiederselo.

Rhuarc e Heirn rallentarono il passo, come anche Couladin, ma solo per una camminata veloce, infilando le lance nei finimenti della custodia dell’arco che avevano in spalla. Amys corse avanti ridendo come una ragazzina, mentre gli uomini continuavano ad avanzare regolarmente attraverso la gola affollata e le grida delle donne della fortezza vibravano nell’aria quasi sopraffacendo il clangore delle pentole. Rand li seguiva, come gli aveva detto di fare Aviendha. Mat sembrava che volesse voltarsi e tornarsene da dove era venuto.

In fondo alla gola le pareti convergevano, creando una scura rientranza profonda. Il sole non ne raggiungeva mai il retro, come gli aveva spiegato Aviendha, e le rocce lì erano sempre fredde, da cui il nome della fortezza. Davanti all’ombra Amys si fermò con un’altra donna sopra a un masso appiattito come una piattaforma.

La seconda donna, snella, con le gonne ampie, i capelli biondi raccolti da una fascia che le arrivavano fin sotto la vita e con una punta di bianco sulle tempie, sembrava più grande di Amys e certamente più che bella, con alcune rughe sottili agli angoli degli occhi grigi. Era vestita come Amys, un semplice scialle marrone sulle spalle, collane e braccialetti d’oro e avorio lavorato non più belli né più ricchi dei suoi, ma questa era Lian, la padrona di casa della Fortezza delle Rocce Fredde.

Le grida fluttuanti e acute diminuirono fino a svanire quando Rhuarc si fermò davanti alla roccia, un passo più vicino di Heirn e Couladin. «Chiedo il permesso di entrare nella tua fortezza, padrona di casa» annunciò con un tono di voce forte e trascinante.

«Hai il mio permesso, capoclan» rispose la donna bionda con voce formale e altrettanto forte. Sorridendo aggiunse con voce molto più calda: «Ombra del mio cuore, avrai sempre il mio permesso.»

«Ti ringrazio, padrona di casa del mio cuore.» Nemmeno quello sembrava particolarmente formale.

Heirn fece un passo avanti. «Padrona di casa, chiedo il permesso di venire sotto il tuo tetto.»

«Hai il mio permesso, Heirn» ripose Lian all’uomo tarchiato. «Sotto il mio tetto ci sono acqua e ombra per te. La setta dei Jindo è sempre la benvenuta qui.»

«Ti ringrazio, padrona di casa.» Heirn diede una pacca sulle spalle di Rhuarc e si allontanò per unirsi alla sua gente. A quanto pareva, le cerimonie aiel erano corte e dirette.

Con una camminata tracotante Couladin raggiunse Rhuarc. «Chiedo il permesso di accedere alla tua fortezza, padrona di casa.»

Lian batté le palpebre guardandolo cupa. Alle spalle di Rand, da centinaia di gole si sollevò un mormorio e un brusio stupito. Di colpo nell’aria vi fu un’improvvisa sensazione di pericolo. Anche Mat la percepì, e cominciò a toccare la lancia e a girarsi per vedere cosa stesse facendo la massa di Aiel.

«Cosa succede?» chiese Rand voltandosi con calma. «Perché non dice nulla?»

«Couladin ha rivolto la domanda come se fosse un capoclan» sussurrò incredula Aviendha. «L’uomo è uno sciocco. Deve essere pazzo! Se lei si rifiuta, significherà guai con gli Shaido, e potrebbe farlo per un insulto di questa portata Non un antagonismo di sangue — lui non è il loro capoclan, per quanto sia gonfia la sua testa — ma problemi.» Fra un respiro e l’altro la voce di Aviendha divenne più dura. «Non hai ascoltato, vero? Non hai ascoltato! Avrebbe potuto rifiutare l’ingresso anche a Rhuarc e lui sarebbe dovuto andare via. Spezzerebbe il clan, ma è un suo diritto. Può rifiutare l’ingresso anche a Colui che viene con l’Alba, Rand al’Thor. Le donne non sono impotenti fra noi, non come le vostre donne delle terre bagnate che devono essere regine o nobili o altrimenti danzare per un uomo se desiderano mangiare!»

Rand scosse leggermente il capo. Ogni volta che era sul punto di rimproverarsi per quanto poco aveva imparato sugli Aiel, Aviendha gli ricordava quanto poco sapeva lei di chiunque non fosse Aiel. «Un giorno mi piacerebbe presentarti alla Cerchia delle Donne di Emond’s Field. Sarebbe... interessante... sentirti spiegare quanto siano prive di potere.» Sentì che Aviendha cambiava posizione nel tentativo di guardarlo in faccia e Rand rimase cautamente inespressivo. «Forse anche loro ti spiegheranno qualcosa.»

«Hai il mio permesso...» iniziò Lian — Couladin sorrise, pavoneggiandosi — «... di venire sotto il mio tetto. Acqua e ombra verranno trovate per te.» Delle fievoli esclamazioni da centinaia di bocche divennero un suono abbastanza forte.

L’uomo dai capelli rosso fiamma tremò come se fosse stato colpito, il viso rosso per la rabbia. Non sembrava che sapesse cosa fare. Fece un passo di sfida in avanti, fissando Lian e Amys, stringendosi gli avambracci come se cercasse di tenere le mani lontane dalle lance, quindi si girò su se stesso e tornò tra la folla, guardando torvo da una parte e dall’altra sfidando chiunque a parlare. Alla fine si fermò non lontano da dove era partito, fissando Rand. Il carbone non avrebbe potuto essere più rovente di quegli occhi azzurri.

«Come uno senza amici e da solo» sussurrò Aviendha. «Gli ha dato il benvenuto di un mendicante. L’insulto più brutto per lui, e gli altri Shaido non sono stati ammessi.» Improvvisamente colpì Rand così forte fra le costole che questo grugnì. «Muoviti, abitante delle terre bagnate. Hai tutto l’onore che ho lasciato nelle tue mani, tutti sapranno che sono stata io a insegnarti quello che sai! Muoviti!»

Sollevando una gamba smontò da Jeade’en e si incamminò accanto a Rhuarc. Io non sono un Aiel, pensò. Non li capisco e non posso permettermi di farmeli piacere troppo. Non posso.

Nessuno degli altri uomini lo aveva fatto, ma lui si inchinò davanti a Lian: così era stato educato. «Padrona di casa, chiedo il permesso di venire sotto il tuo tetto.» Sentì Aviendha trattenere il respiro. Avrebbe dovuto dire l’altra frase, quella di Rhuarc. Il capoclan strinse gli occhi preoccupato guardando la moglie, e il viso rosso di Couladin gli rivolse un sorriso sprezzante. I mormorii della folla sembravano interrogativi.

La padrona di casa fissò Rand anche più duramente di come aveva fatto con Couladin, squadrandolo da cima a fondo, lo shoufa appoggiato sulle spalle di una giubba di lana rossa che certamente non sarebbe mai stata indossata da un Aiel. Guardò Amys con aria interrogativa, la quale annuì.

«Una tale modestia» rispose lentamente Lian «sta bene in un uomo. Gli uomini sanno di rado dove trovarla.» Allargando la gonna scura gli rivolse la riverenza, un po’ goffa — non era una cosa che lo donne aiel facevano — ma era pur sempre una riverenza, in risposta all’inchino. «Il Car’a’carn ha il permesso di entrare nella mia fortezza. Per il capo dei capi, c’è sempre acqua e ombra a Rocce Fredde.»

Un altro grido si sollevò dalla folla di donne, ma se fosse per lui o per la cerimonia, Rand non lo sapeva. Couladin si fermò a fissarlo con odio implacabile, quindi se ne andò, colpendo Aviendha mentre smontava in modo sgraziato dallo stallone pezzato. Couladin si fuse rapidamente tra la folla che si stava disperdendo.

Mat scese lentamente da cavallo mentre fissava l’uomo che se ne andava. «Guardati le spalle da quello, Rand» osservò con calma. «Dico sul serio.»

«Tutti me lo dicono» rispose Rand. Gli ambulanti si stavano già organizzando per commerciare al centro della gola e all’entrata, Moiraine e le altre Sapienti vennero accolte da alcune grida e pentole battute, ma niente come le grida che avevano accolto Rhuarc. «Non è di lui che devo preoccuparmi.» Il pericolo non erano gli Aiel. Moiraine da una parte e Lanfear dall’altra. Come potrei essere più in pericolo di così? pensò. Era quasi abbastanza da farlo ridere.

Amys e Lian erano scese dal masso e, con sorpresa di Rand, Rhuarc avvolse le braccia attorno a entrambe. Erano tutte e due alte, come sembrava fosse la maggior parte delle donne aiel, ma nessuna delle due superava le spalle del capoclan. «Conosci già mia moglie Amys» si rivolse a Rand «adesso devi conoscere mia moglie Lian.»

Rand si accorse di essere rimasto a bocca aperta e la chiuse velocemente. Dopo che Aviendha gli aveva spiegato che la padrona di casa di Rocce Fredde era la moglie di Rhuarc e si chiamava Lian, era certo di aver frainteso tutti quegli ‘ombra del mio cuore’ sul Chaendaer fra Amys e l’uomo. Allora aveva comunque altre cose per la mente, ma questo...

«Entrambe?» farfugliò Mat. «Luce! Due! Oh, che io sia folgorato! O è l’uomo più fortunato del mondo, o il più grande sciocco della creazione!»

«Credevo» proseguì Rhuarc «che Aviendha vi stesse insegnando le nostre usanze. Sembra che abbia tralasciato parecchio.»

Sporgendosi per guardare oltre suo manto — loro marito — Lian sollevò un sopracciglio guardando Amys, che disse asciutta: «Sembrava la persona giusta per spiegargli ciò che aveva bisogno di sapere. Qualcosa per evitare che ritornasse dalle Fanciulle ogni volta che le volgevamo le spalle. Adesso sembra che dovrò parlarle a lungo in un posto tranquillo. Senza dubbio gli avrà insegnato il linguaggio delle mani di una Fanciulla o come mungere una ‘gara’.»

Arrossendo leggermente Aviendha lanciò indietro la testa, irritata. I capelli rosso scuro le erano cresciuti fin sotto le orecchie, abbastanza da ondeggiare sotto la fascia che aveva in testa. «C’erano questioni più importanti di cui parlare che il matrimonio. In ogni caso l’uomo non ascolta.»

«È stata una brava insegnante» intervenne velocemente Rand. «Ho imparato molto da lei riguardo le vostre usanze e la terra delle Tre Piegature. Linguaggio delle mani? Ogni errore che commetto è mio, non suo.»

Come si fa a mungere una lucertola velenosa? si chiese. Perché? «È stata una brava insegnante, e mi piacerebbe che lo restasse, se va bene.» Per la Luce, perché ho detto una cosa simile? La donna a volte poteva essere molto gradevole, quando si dimenticava chi fosse, il resto del tempo era un fastidio sotto la giubba. Almeno però conosceva chi era stata prescelta dalle Sapienti per tenerlo d’occhio fino a quando si trovava qui.

Amys lo studiò con gli occhi azzurro chiaro acuti come quelli di un’Aes Sedai. Ma in fondo poteva incanalare. Il viso non sembrava più giovane di quanto doveva essere, non senza i segni dell’età, ma forse era Aes Sedai quanto un’Aes Sedai. «Mi sembra una buona combinazione» rispose alla fine. Aviendha aprì la bocca, molto indignata, quindi la chiuse nuovamente, imbronciata, quando le Sapienti si mossero per guardarla. Forse la donna credeva che avrebbe finito di controllarlo una volta raggiunta Rocce Fredde.

«Devi essere stanco dopo un simile viaggio» Lian si rivolse a Rand, gli occhi grigi erano materni. «E anche affamato. Vieni.» Il sorriso caldo incluse Mat, che era rimasto indietro e incominciava a guardare i carri degli ambulanti. «Vieni sotto al mio tetto.»

Rand prese le bisacce da sella, lasciò Jeade’en alle cure di una gai’shain che prese anche Pips. Mat rivolse un’ultima occhiata ai carri prima di lanciarsi le bisacce da sella in spalla e seguirli.

Il tetto di Lian, la sua casa, si trovava nel punto più alto del lato occidentale, con le pareti ripide della gola che salivano lungo i fianchi almeno per un centinaio di passi. Abitazione del capoclan e della padrona di casa o meno, da fuori sembrava un modesto rettangolo di mattoni di argilla gialla con piccole finestre prive di vetri protette da semplici tendine bianche, un giardino di ortaggi sul tetto e un altro di fronte, su una piccola terrazza oltre uno stretto sentiero di pietre grigie. Abbastanza grande per avere due stanze, forse. Tranne per il gong squadrato di bronzo che pendeva fuori della porta, sembrava molto simile alle altre strutture che Rand vedeva, e dal quel punto di favore era visibile l’intera valle. Una casa piccola e semplice. All’interno era differente. La parte di mattoni era tutta un’unica grande stanza, pavimentata con mattonelle rosso scuro, ma era solo una patte. Scavate nella roccia alle spalle vi erano altre stanze, dal soffitto alto e sorprendentemente fresche, con ampie porte arcuate e lampade d’argento da cui si spandeva un profumo che ricordava le pianure erbose. Rand vide una sola sedia con lo schienale alto, laccata rosso e oro, che non sembrava essere usata spesso. Aviendha l’aveva chiamata la sedia del capo. C’era poco altro legno in vista, oltre alcune casse e scatole laccate o lucidate e piccoli leggii con dei libri appoggiati sopra. Il lettore avrebbe dovuto sdraiarsi in terra. Fra i tappeti dai motivi intricati che coprivano il pavimento e altri dai colori più brillanti sistemati a strati riconobbe alcuni motivi di Tear, Cairhien e Andor, anche Illian e Tarabon, mentre altri disegni gli erano sconosciuti, ampie linee frastagliate e variopinte, o quadrati uniti di colore grigio, marrone e nero. In netto contrasto con la monotonia della valle, c’erano colon vivaci ovunque, arazzi appesi alle pareti che era certo provenissero dall’altro lato della Dorsale del Mondo — forse allo stesso modo in cui gli arazzi avevano lasciato la Pietra di Tear — cuscini di tutte le dimensioni e i colori, spesso decorati con le frange, di seta rossa o dorata. Qua e là in nicchie scavate nelle pareti, c’era un piccolo vaso di porcellana, una ciotola d’argento o un intaglio d’avorio, che rappresentava spesso qualche strano animale o altro. Allora queste erano le ‘caverne’ di cui parlavano i Tarenesi. Avrebbero potuto essere sgargianti come le abitazioni di Tear — o dei Calderai — invece sembravano dignitose, formali e informali allo stesso tempo.

Rivolgendo un sorrisetto ad Aviendha per dimostrarle che aveva ascoltato, Rand estrasse dalle bisacce un regalo per Lian, un leone d’oro finemente lavorato. Era stato saccheggiato da Tear e lo aveva comperato da un Cercatore d’Acqua Jindo, ma se lui era il governante di Tear, forse era come rubare a se stesso. Dopo un momento di esitazione, anche Mat produsse un dono, una collana di Tairen di fiori d’argento, senza dubbio proveniente dalla stessa fonte e senza dubbio destinata a Isendre.

«Di squisita fattura» sorrise Lian tenendo in mano il leone. «Mi è sempre piaciuto il lavoro artigianale di Tairen. Rhuarc mi portò due pezzi molti anni fa.» Con una voce che sarebbe andata bene per una massaia che ricordava alcune deliziose bacche zuccherine, disse al marito: «Le prendesti dalla tenda di un Sommo signore proprio prima che Laman venisse decapitato, vero? Un peccato che non raggiungesti Andor. Ho sempre voluto un pezzo d’argento di Andor. Anche questa collana è bellissima, Mat Cauthon.»

Ascoltando i complimenti rivolti ai doni di entrambi, Rand mascherò lo stupore. Anche se indossava la gonna e aveva gli occhi materni, era Aiel quanto le Fanciulle della Lancia.

Quando Lian terminò, giunsero Moiraine e le altre Sapienti con Lan ed Egwene. La spada del Custode attrasse solo un’occhiata di disapprovazione, ma la padrona di casa lo accolse caldamente dopo che Bair lo presentò come Aan’allein. Eppure quello fu nulla in confronto al benvenuto rivolto a Moiraine ed Egwene.

«Onorate la mia casa, Aes Sedai» il tono di voce la fece sembrare una dichiarazione attenuata e la donna quasi si inchinò. «Si narra che eravamo al servizio delle Aes Sedai prima della Frattura del Mondo e le deludemmo. Fu a causa di quel fallimento che fummo mandati nella terra delle Tre Piegature. La tua presenza indica che forse il nostro peccato non era imperdonabile.» Ma certo. Lei non era stata nel Rhuidean, sembrava che il divieto di parlare di quanto accadeva nel Rhuidean con chiunque non vi fosse stato valesse anche fra moglie e marito. E fra sorelle mogli, o qualunque fosse il legame di parentela fra Amys e Lian.

Moiraine tentò di dare un regalo a Lian, una piccola fiala di cristallo e argento che conteneva un profumo dell’Arad Doman, ma Lian aprì le braccia. «La tua presenza è già un regalo inestimabile, Aes Sedai. Accettare di più arrecherebbe disonore alla mia casa e a me. Non potrei sopportare la vergogna.» Sembrava molto seria, e preoccupata che Moiraine potesse insistere. Era un’indicazione dell’importanza relativa del Car’a’carn e delle Aes Sedai.

«Come desideri» rispose Moiraine, rimettendo nel sacchetto la fiala. Era freddamente serena nell’abito di seta azzurra, con il mantello chiaro riverso sulle spalle. «La vostra terra delle Tre Piegature vedrà certamente altre Aes Sedai. Prima d’ora non abbiamo mai avuto ragione di venire.»

Amys non sembrava molto compiaciuta di quell’affermazione, e Melaine dai capelli rosso fiamma fissava Moiraine come un gatto dagli occhi verdi indeciso su come trattare un grosso cane che ha invaso la sua aia. Bair e Seana si scambiarono sguardi preoccupati, ma nulla di simile a quelli delle due che potevano incanalare.

Una processione di gai’shain — uomini e donne in abiti bianchi con il cappuccio, gli occhi bassi — presero i mantelli di Moiraine ed Egwene, portarono degli asciugamani umidi per le mani e il viso, delle piccole tazze d’argento colme d’acqua da bere in modo formale, e infine il pasto, servito in ciotole e vassoio consoni a un palazzo e terraglie con una riga vetrosa azzurra. Tutti mangiarono sdraiati in terra, dove delle mattonelle bianche sistemate sulla pietra fungevano da tavolo, le teste vicine, e dei cuscini sotto al petto; assomigliavano a raggi di una ruota che si aprivano mentre i gai’shain passavano fra loro per sistemare i piatti.

Mat si agitava, spostandosi da una parte all’altra del cuscino, Lan al contrario pareva avesse sempre mangiato in quella posizione e Moiraine ed Egwene sembravano quasi a loro agio. Senza dubbio si erano esercitate nella tenda delle Sapienti. Rand lo trovava strano, ma il cibo era abbastanza insolito da meritarsi tutta la sua attenzione.

Lo stufato di capra scuro e speziato con peperoni non era familiare ma neppure strano, e i piselli erano piselli ovunque. Lo stesso non poteva dirsi per il pane giallo grezzo e friabile, o per i lunghi fagioli rosso brillante misti ai verdi, per il piatto di semi gialli e pezzi di una polpa rossa che Aviendha chiamava zemai e t’mat, o il dolce frutto bulboso con una dura scorza verdognola che proveniva da quelle piante spinose senza foglie, chiamato kardon. Tutto però aveva un buon sapore.

Si sarebbe maggiormente goduto il pasto se Aviendha non gli avesse dato lezione su qualunque cosa. A parte la storia delle sorelle mogli. Quello lo aveva lasciato ad Amys e Lian che stavano sedute accanto a Rhuarc e si scambiavano sorrisi tra loro e con il marito. Se lo avevano sposate entrambe per non rompere l’amicizia, era chiaro che entrambe lo amavano. Rand non riusciva a vedere Elayne e Min acconsentire a una tale soluzione. Si chiese perché lo avesse pensato. Il sole probabilmente gli aveva cotto il cervello.

Ma se Aviendha aveva lasciato quella spiegazione alle altre, gli spiegò tutto il resto molto dettagliatamente. Forse lo reputava un idiota perché non sapeva delle sorelle mogli. Voltandosi sul fianco destro per guardarlo, sorrise quasi dolcemente quando gli disse che il cucchiaio poteva essere usato per mangiare lo stufato o gli zemai e t’mat, ma il modo in cui gli occhi le brillavano suggeriva che solo la presenza delle Aes Sedai la tratteneva dal rovesciargli in testa una ciotola di qualcosa.

«Non so cosa ti ho fatto» le disse con calma. Era consapevole della presenza di Melaine dall’altro lato, che sembrava presa dalla conversazione con Seana. Bair interveniva di tanto in tanto ma credeva che stesse tendendo un orecchio dalla sua parte. «Ma se odi così tanto essere la mia insegnante, non devi farlo. Mi è solo venuto in mente. Sono certo che Rhuarc o le Sapienti troveranno qualcun altro.» Le Sapienti lo avrebbero fatto certamente se si liberava di questa spia.

«Non mi hai fatto nulla...» rispose digrignando i denti, se doveva essere un sorriso, non aveva avuto un gran successo, «...e mai mi farai qualcosa. Puoi sdraiarti nel modo che reputi più comodo per mangiare e parlare con gli altri. Tranne con chi deve dare lezione invece di condividere un pasto. È considerato educato parlare con le persone da entrambi i lati.» Alle spalle di Aviendha Mat guardò Rand roteando in alto gli occhi, chiaramente sollevato per non dover subire la lezione. «A meno che non sia costretto a guardare qualcuno in particolare, per insegnargli le cose, per esempio. Prendi il cibo con la mano destra — a meno che tu non debba appoggiarti su quel gomito — e...»

Era una tortura, e Aviendha sembrava divertirsi. Gli Aiel sembravano dare molto significato ai regali. Forse se gliene faceva uno...

«...Tutti parlano per un po’ a fine pasto, a meno che uno di noi debba insegnare e...»

Un dono per corromperla. Non gli sembrava giusto dover corrompere qualcuno che lo stava spiando, ma se aveva intenzione di andare avanti comportandosi così, o perfino la metà di così, gli sarebbe valso un po’ di pace.

Quando i gai’shain finirono di sparecchiare e vennero servite delle coppe d’argento di vino scuro Bair fissò Aviendha con gli occhi torvi da sopra le mattonelle bianche e la ragazza cedette imbronciata. Egwene si protese sopra Mat per batterle una mano sulla spalla in segno di conforto, ma non sembrò aiutarla. Almeno era tranquilla. Egwene lo guardò tesa, o sapeva cosa stava pensando o considerava l’umore di Aviendha una sua colpa.

Rhuarc estrasse la pipa dal cannello corto e il sacchetto del tabacco, caricò il fornello e quindi passò il sacchetto del tabacco a Mat, che aveva tirato fuori la sua pipa d’argento. «Alcuni hanno preso a cuore la notizia della tua venuta, Rand al’Thor, e sembra sia accaduto velocemente. Lian mi ha raccontato di voci su Jheran, capoclan degli Aiel Shaarad, e di Bael dei Goshien, che sono già ad Alcair Dal. Erim, dei Chareen, sta arrivando.» Rhuarc permise a una giovane gai’shain slanciata di accendergli la pipa con un rametto. Dal modo in cui si muoveva, con una grazia differente da quella degli altri uomini e donne vestiti di bianco, Rand sospettava che fino a non molto tempo prima fosse stata una Fanciulla della Lancia. Si chiese quanto tempo sarebbe dovuto passare perché assumesse un aspetto remissivo e umile.

Mat sorrise alla donna quando si inchinò per accendergli la pipa, lo sguardo dagli occhi verdi che gli rivolse da sotto al cappuccio non era affatto remissivo e gli rimosse il sorriso dal volto. Irritato, rotolò sullo stomaco e un sottile filo di fumo azzurrognolo salì dalla pipa. Peccato che non vide la soddisfazione sul viso della donna svanire dopo uno sguardo di Amys: la giovane donna dagli occhi verdi corse via come se si vergognasse oltre ogni limite. E Aviendha, che odiava così tanto aver dovuto rinunciare alla lancia, che ancora si vedeva come una sorella di lancia di una Fanciulla di qualsiasi clan...? Aggrottò le sopracciglia guardando la gai’shain che andava via, quasi come comare al’Vere avrebbe guardato furiosa qualcuno che aveva sputato per terra. Egwene era la sola con un po’ di simpatia negli occhi, almeno la sola che Rand notò.

«I Goshien e gli Shaarad» mormorò fissando il vino. Rhuarc gli aveva spiegato che ogni capoclan avrebbe portato con sé qualche guerriero alla Conca Dorata, per un motivo d’onore, e ogni capo setta avrebbe fatto lo stesso. Tutti insieme, forse poteva significare un migliaio da ogni clan. Dodici clan. Dodicimila uomini e Fanciulle, tutti legati da quel loro strano senso dell’onore e pronti a danzare le lance se un gatto starnutiva. Forse sarebbero stati anche di più per via della fiera. Guardò in alto. «Fra loro c’è un antagonismo, vero?» Rhuarc e Lian annuirono. «Mi hai spiegato che qualcosa di simile alla Pace del Rhuidean vale anche ad Alcair Dal, Rhuarc, ma ho visto come la Pace ha trattenuto Couladin e gli Shaido. Forse sarebbe meglio se andassi subito. Se i Goshien e gli Shaarad cominciano a combattere... Una cosa simile potrebbe essere contagiosa. Io voglio tutti gli Aiel con me, Rhuarc.»

«I Goshien non sono Shaido» osservò dura Melaine, scuotendo i capelli rossi come una leonessa.

«Nemmeno gli Shaarad» la voce acuta di Bair era più lieve di quella della donna giovane, ma non meno precisa. «Jheran e Bael potrebbero tentare di uccidersi prima che facciano ritorno alle loro fortezze, ma non ad Alcair Dal.»

«Ma questo non risponde alla domanda di Rand al’Thor» puntualizzò Rhuarc. «Se ti rechi ad Alcair Dal prima che giungano tutti i capiclan, quelli che non sono ancora arrivati perderanno l’onore. Non è un buon sistema per annunciare che sei il Car’a’carn, disonorare uomini ai quali chiederai di seguirti. I Nakai sono i più lontani. Un mese e tutti saranno ad Alcair Dal.»

«Meno» specificò Seana scuotendo la testa. «Ho camminato due volte nei sogni di Alsera, e mi ha detto che Bruan vuole correre per tutto il tragitto dalla fortezza di Shiagi. Meno di un mese.»

«Un mese prima che tu ti metta in cammino, per essere sicuri» si rivolse Rhuarc a Rand. «Quindi tre giorni per raggiungere Alcair Dal. Forse quattro. Per allora tutti saranno lì.»

Un mese. Si strofinò il mento. Troppo. Troppo tempo e nessuna scelta. Nelle storie le cose vanno sempre come ha progettato l’eroe quando lui vuole che accadano. Nella vita reale raramente andava così, anche per un ta’veren il quale in teoria era favorito dalle Profezie che dovevano lavorare per lui. Nella vita reale era una magra speranza, e una fortuna quando trovavi più di mezza pagnotta se te ne serviva una sana. Eppure una parte dei suoi piani stava seguendo il corso sperato. La parte più pericolosa.

Moiraine, sdraiata fra Lan e Amys, sorseggiava pigramente il vino, gli occhi socchiusi come se fosse assonnata. Rand non ci credeva. Vedeva tutto, sentiva tutto. Ma adesso non aveva da dire nulla che lei non dovesse ascoltare. «Quanti resisteranno, Rhuarc? E quanti si opporranno? Vi hai accennato, ma non lo hai mai detto con certezza.»

«Non posso esserne sicuro» rispose il capoclan fumando. «Quando mostrerai i Draghi ti riconosceranno. Non c’è modo di imitare i Draghi del Rhuidean.» L’occhio di Moiraine aveva tremato? «Tu sei quello della profezia. Ti sosterrò, come anche Bruan, Dhearic, degli Aiel Reyn. Gli altri...? Sevanna, la moglie di Suladric, porterà gli Shaido. visto che non hanno un capoclan. È giovane per essere padrona di una fortezza, senza dubbio le dispiacerà di tornare a essere padrona di un solo tetto e non dell’intera fortezza quando verrà scelto qualcuno per rimpiazzare Suladric. Sevanna è furba e sleale più di qualsiasi Shaido. Ma anche se non creasse dei problemi, sai che Couladin lo farà. Si comporta come un capoclan e alcuni Shaido lo seguirebbero anche se non è entrato nel Rhuidean. Gli Shaido sono abbastanza sciocchi da fare una cosa simile. Han, dei Tomanelle, potrebbero muoversi in qualsiasi direzione. È un uomo spinoso, difficile da conoscere e difficile da trattare...»

Si interruppe quando Lian mormorò: «Ce n’è un altro, allora?» Rand non credeva che il capoclan avrebbe dovuto sentire. Amys nascose un sorriso dietro la mano e la sorella moglie affondò innocentemente il viso nella coppa di vino.

«Come stavo dicendo,» continuò Rhuarc aggrottando le sopracciglia rassegnato guardando da una moglie all’altra, «non è una faccenda di cui si possa essere sicuri. La maggior parte ti seguirà. Forse tutti. Forse anche gli Shaido. Abbiamo atteso per tremila anni l’uomo marchiato con due Draghi. Quando mostrerai le braccia, nessuno dubiterà che sei quello inviato a unirci nuovamente.» E a spezzarli, ma non lo menzionò. «L’interrogativo è come decideranno di reagire.» Si batté sui denti con il cannello della pipa per un momento. «Non vuoi cambiare idea e indossare il cadin’sor?»

«Per dimostrare cosa, Rhuarc? Che faccio finta di essere Aiel? Tanto vale vestire Mat da Aiel.» Mat tossì. «Non farò finta. Sono quello che sono, devono prendermi per quello che sono.» Rand sollevò i pugni, le maniche della giubba calarono abbastanza da scoprire le teste con la criniera dorata sul dorso dei polsi. «Questi sono la prova. Se non sono abbastanza, allora nulla lo è.»

«Dove intendi guidare le lance in guerra ancora una volta?» chiese improvvisamente Moiraine, e Mat tossì nuovamente, togliendosi di scatto la pipa di bocca per fissarla. Gli occhi scuri non erano più socchiusi.

Rand strinse forte i pugni fino a far scrocchiare le nocche.

Cercare di fare il furbo con lei poteva essere pericoloso, avrebbe dovuto impararlo da molto tempo. La donna si rammentava ogni parola che sentiva, la archiviava, catalogava ed esaminava fino a quando ne capiva il significato.

Rand si alzò lentamente. Tutti lo guardavano. L’espressione di Egwene era anche più preoccupata di quella di Mat, ma gli Aiel guardavano e basta. Parlare di guerra non li metteva in agitazione. Rhuarc sembrava... pronto. E il viso di Moiraine era di una calma glaciale.

«Se volete scusarmi» disse Rand «vorrei camminare un po’.»

Aviendha si mise in ginocchio ed Egwene si alzò, ma nessuna delle due lo seguì.

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