50 Trappole

Rand si trovava fuori a fissare la gola, sul sentiero lastricato fra la casa di mattoni gialli e la terrazza con il giardino degli ortaggi, senza vedere molto oltre le ombre pomeridiane che avanzavano. Se solo poteva fidarsi del fatto che Moiraine non lo avrebbe consegnato alla Torre legato a un guinzaglio — non aveva dubbi che poteva farlo, senza nemmeno usare il Potere una volta —, se le concedeva anche un solo millimetro. Quella donna poteva dirigere un toro attraverso la tana di un topo senza che questi se ne accorgesse. Ma Rand poteva usarla. Luce, sono pessimo quanto lei. Usare gli Aiel. Usare Moiraine. Se solo potessi fidarmi di lei, pensava.

Si diresse verso l’imboccatura della gola, scendendo ogni volta che trovava un sentiero che conduceva da quella parte. Erano tutti stretti, pavimentati con piccole pietre, alcuni dei più ripidi erano scolpiti nella roccia. I martelli al lavoro nelle forge risuonavano debolmente. Non tutti gli edifici erano abitazioni. Da una porta aperta vide alcune donne che lavoravano ai telai e un’altra mostrava un orafo che sistemava i piccoli martelli e arnesi per l’incisione, un terzo uomo che lavorava l’argilla davanti a un forno acceso. Uomini e ragazzi, tranne i più giovani, indossavano tutti il cadin’sor, la giubba e le brache grigie e marroni, ma c’erano spesso delle piccole differenze fra guerrieri e artigiani, un pugnale più piccolo alla cintura o addirittura nessuno, o lo shoufa senza il velo nero. Eppure guardando un fabbro sollevare una lancia della quale aveva appena creato la punta lunga trenta centimetri, Rand non ebbe dubbi che l’uomo avrebbe potuto prontamente usare l’arma che aveva fabbricato.

I sentieri non erano affollati, ma c’era molta gente in giro. I bambini ridevano, correndo e giocando, le ragazzine più piccole si portavano in giro lance finte o bambole. I gai’shain trasportavano alte giare di argilla piene d’acqua appoggiate sulla testa, o lavoravano nei campi, spesso sotto la direzione di un ragazzino di dieci o dodici anni. Uomini e donne che portavano avanti i loro compiti, non molto differenti dalle cose che si facevano a Emond’s Field, che si trattasse di spazzare davanti a una casa o riparare un muro. I bambini lo guardavano a malapena, anche se indossava una giubba rossa e stivali dalla suola spessa, e i gai’shain erano così schivi che era difficile dire se lo notassero oppure no. Ma artigiani o soldati, gli adulti lo guardavano pensierosi, al limite di un’incerta anticipazione.

I ragazzi molto giovani correvano scalzi in abiti molto simili a quelli dei gai’shain, ma del colore grigio marrone dei cadin’sor, non bianchi. Anche le ragazze più giovani andavano in giro scalze, con abiti corti che spesso arrivavano sopra al ginocchio. Un particolare delle ragazze colse la sua attenzione: fino a circa dodici anni avevano le trecce, tenute ferme con dei nastri colorati. Proprio come le aveva portate Egwene. Doveva trattarsi di una coincidenza. Probabilmente lei aveva smesso di portarli a quel modo perché una delle donne aiel le aveva spiegato che era l’acconciatura delle ragazzine aiel. Era comunque un pensiero sciocco. In questo momento doveva vedersela con una particolare donna: Aviendha.

Nella gola gli ambulanti commerciavano con gli Aiel affollati attorno ai carri coperti di tela. C’erano almeno i conducenti e Keille, oggi con uno scialle di merletto azzurro fissato dai pettinini d’avorio, che stava trattando ad alta voce. Kadere era seduto su un barile capovolto all’ombra del carro bianco con una giubba color crema, mentre si detergeva il viso, senza sforzarsi di vendere nulla. Guardò Rand e fece per alzarsi prima di tornare a sedersi. Isendre non si vedeva, ma con sorpresa di Rand Natael era lì, con un seguito di bambini, attratti dal mantello di pezze colorate, e di adulti. Apparentemente la prospettiva di un pubblico più ampio lo aveva portato via dagli Shaido. O forse Keille non voleva perderlo d’occhio. Anche impegnata nel commercio, trovava il modo di lanciare frequenti occhiatacce al menestrello.

Rand evitò i carri. Rivolse alcune domande agli Aiel per sapere dove erano andati i Jindo, ognuno all’abitazione di questa o quella società lì a Rocce Fredde. Il Tetto delle Fanciulle si trovava a metà strada della vallata a est della gola, ancora luminosa, un rettangolo sormontato da un giardino di pietra grigiastra, senza dubbio più largo all’interno di quanto sembrasse. Non che lo avesse visto. Due Fanciulle accovacciate davanti all’entrata con lance e scudi gli avevano impedito l’accesso, divertite e scandalizzate che un uomo volesse entrare, ma una acconsentì a riferire un messaggio all’interno per conto suo.

Alcuni minuti dopo le Fanciulle Jindo e quelle delle Nove Valli che erano state alla Pietra uscirono. E pure tutte le altre Fanciulle della setta delle Nove Valli che si trovavano a Rocce Fredde, affollando il sentiero da entrambi i lati e arrampicandosi sul tetto dell’abitazione fra gli ortaggi per guardare, sorridendo come se si aspettassero di essere intrattenute. I gai’shain, uomini e donne, seguirono per servire loro delle piccole tazze di tè scuro; qualsiasi regola tenesse gli uomini fuori dal Tetto delle Fanciulle sembrava non valere per i gai’shain.

Dopo che Rand aveva esaminato alcune offerte, Adelin, la donna Jindo bionda con la cicatrice sottile sulla guancia, estrasse un braccialetto d’avorio intagliato con delle rose. Rand pensò che sarebbe andato bene per Aviendha: chiunque lo aveva creato si era preso cura di mettere le spine intorno ai fiori.

Adelin era alta anche per essere una donna aiel, poco più bassa di Rand. Quando sentì perché lo voleva — quasi tutto il motivo, Rand aveva solo spiegato che era un regalo per gli insegnamenti di Aviendha, non qualcosa per farla calmare perché rendesse sopportabile la sua presenza — Adelin guardò le altre Fanciulle. Avevano tutte smesso di sorridere e adesso erano inespressive. «Non ti chiederò alcun prezzo per questo, Rand al’Thor» spiegò la donna, infilandogli il bracciale in mano.

«È sbagliato?» chiese Rand. Come la vedevano gli Aiel? «Non voglio disonorare Aviendha in alcun modo.»

«Non la disonorerai.» La donna fece un cenno con il capo a una gai’shain che aveva tazze e caraffa su un vassoio d’argento e gliene porse una. «Ricorda l’onore» disse, sorseggiando dalla tazza di Rand.

Aviendha non aveva mai parlato di una cosa simile. Incerto, sorseggiò la bevanda amara e ripeté: «Ricorda l’onore.» Sembrava la cosa più sicura da dire. Con sua sorpresa la donna lo baciò lievemente sulle guance.

Una Fanciulla più anziana, con i capelli grigi ma il viso ancora duro, apparve di fronte a lui. «Ricorda l’onore» disse anche lei, sorseggiando.

Dovette ripetere quel rituale con ogni Fanciulla presente, alla fine semplicemente appoggiando la tazza alle labbra. Le cerimonie aiel potevano essere corte e dirette, ma quando dovevi ripeterne una con settanta strane donne, anche dei sorsetti potevano riempirti. Le ombre stavano risalendo la fiancata est della gola quando terminò.

Trovò Aviendha vicino alla casa di Lian che batteva con forza un tappeto a righe blu appeso a un filo e altri erano accatastati accanto a lei, di tutti i colori. Rimuovendosi dalla fronte alcune ciocche di capelli intrise di sudore, lo fissò inespressiva quando le diede il bracciale e le disse che era un dono per ringraziarla degli insegnamenti.

«Ho regalato bracciali e collane ad amiche che non portavano la lancia, Rand al’Thor, ma non ne ho mai indossato uno.» La voce era perfettamente atona. «Queste cose fanno rumore quando battono fra loro e rivelano la tua posizione quando dovresti essere silenziosa. Si incastrano quando devi muoverti velocemente.»

«Ma adesso puoi indossarlo, visto che sarai una Sapiente.»

«Sì.» Rivoltò il cerchio di avorio come se non fossa certa di cosa dovesse farne, quindi di colpo vi infilò la mano e tenne il braccio sollevato per osservarlo. Sembrava che stesse guardando delle manette.

«Se non ti piace... Aviendha, Adelin mi ha detto che non avrei leso il tuo onore. Sembrava addirittura approvare.» Parlò della cerimonia del tè, e Aviendha strinse gli occhi e rabbrividì. «Cosa c’è di sbagliato?»

«Pensano che stai cercando di attirare la mia attenzione.» Rand non avrebbe mai creduto che potesse avere una voce tanto atona. Nemmeno negli occhi vi erano emozioni. «Ti hanno approvato tutte, come se io portassi ancora la lancia.»

«Luce! Una cosa tanto semplice per farle accondiscendere. Io non...» Rand si interruppe quando la ragazza gli lanciò un’occhiata.

«No! Hai accettato la loro approvazione e adesso vorresti respingerla? Questo sì che mi disonorerebbe! Credi di essere il primo uomo che cerca di avere la mia attenzione? Adesso devono pensare quello che credono. Non significa nulla.» Facendo una smorfia afferrò il battipanni con entrambe le mani. «Vai via.» Lanciando un’occhiata al bracciale aggiunse: «Davvero non sai nulla, vero? Non sai nulla. Non è colpa tua.» Sembrava che stesse ripetendo qualcosa che le era stato detto, o che stesse cercando di convincersi da sola. «Mi dispiace di averti guastato il pasto, Rand al’Thor. Ti prego, vai via. Amys ha detto che devo pulire tutti questi tappeti, non importa quanto ci vorrà. Ci impiegherò tutta la notte se resti qui a parlare.» Volgendogli le spalle batté violentemente il tappeto a righe, con il braccialetto d’avorio che le rimbalzava sul braccio.

Non sapeva se le scuse fossero dovute al regalo o a un ordine di Amys — sospettava la seconda ipotesi — eppure sembrava che fossero sincere. Certamente non era compiaciuta — a giudicare dai grugniti di sforzo che accompagnavano ogni colpo del battipanni — ma per una volta non era sembrata colma di odio. Era meglio di niente. Forse sarebbe diventata civile, prima o poi.

Quando entrò nell’ingresso con le mattonelle grigie della casa di Lian, le Sapienti stavano parlando fra loro, tutte e quattro con gli scialli calati morbidamente sulle spalle. Rimasero in silenzio quando lo videro.

«Ti farò mostrare la tua camera da letto» disse Amys. «Gli altri hanno visto le loro.»

«Grazie.» Guardò indietro verso la porta corrugando leggermente la fronte. «Amys, hai ordinato ad Aviendha di scusarsi per la cena?»

«No. Lo ha fatto?» Gli occhi azzurri della donna sembrarono pensierosi per un momento e gli sembrò quasi che Bair sorridesse. «Non le avrei ordinato una cosa simile, Rand al’Thor. Una scusa forzata non è una scusa.»

«Alla ragazza è stato detto di battere i tappeti finché non avesse sbollito un po’ di rabbia» aggiunse Bair. «Tutto il resto è venuto da lei.»

«E non nella speranza di sfuggire al lavoro» intervenne Seana. «Deve imparare a controllare la rabbia, una Sapiente deve saper controllare le proprie emozioni, non il contrario.» Con un lieve sorriso lanciò un’occhiata a Melaine. La donna dai capelli color del sole strinse le labbra e tirò su con il naso.

Stavano cercando di convincerlo che Aviendha sarebbe stata una bellissima compagnia d’ora in avanti. Credevano davvero che fosse cieco? «Dovete sapere che so. Di lei. Che l’avete inviata a spiarmi.»

«Non sai quanto credi» rispose Amys, proprio come un’Aes Sedai con i significati nascosti che non voleva lui vedesse.

Melaine sistemò lo scialle guardandolo pensierosa dall’alto in basso e scrutandolo con attenzione. Rand sapeva qualcosa delle Aes Sedai. Se lei fosse stata Aes Sedai, avrebbe scelto l’Ajah Verde. «Ammetto» disse «che all’inizio abbiamo pensato che non avresti ragionato davanti a una donna graziosa, e tu sei abbastanza attraente, per cui abbiamo ritenuto che avrebbe preferito la tua compagnia alla nostra. Non abbiamo considerato la sua lingua. O altre cose.»

«Allora perché siete così impazienti che resti con me?» La voce di Rand era più accalorata di quanto volesse. «Non potete pensare che le rivelerò cose che non voglio che sappiate.»

«Perché le permetti di rimanere?» chiese con calma Amys. «Se rifiutassi di accettarla, come potremmo costringerla a stare con te?»

«Almeno così conosco la spia.» Avere Aviendha sotto agli occhi doveva essere meglio che chiedersi quale Aiel lo stesse controllando. Senza di lei probabilmente avrebbe sospettato che anche un commento casuale di Rhuarc fosse un tentativo di spiarlo. Naturalmente non c’era modo di dire che così non fosse. Rhuarc era sposato con una di queste donne. Improvvisamente fu contento di non essersi confidato troppo con il capoclan. E triste per averlo pensato. Perché aveva mai creduto che gli Aiel sarebbero stati più facili dei sommi signori di Tairen? «Sono contento di averla esattamente dov’è.»

«Allora siamo tutti contenti» esclamò Bair.

Rand lanciò un’occhiata alla donna dal viso incartapecorito. C’era stata una nota particolare nella sua voce, come se ne sapesse più di lui.

«Non scoprirà quello che volete.»

«Quello che vogliamo?» scattò Melaine. I capelli lunghi ondeggiarono quando lanciò indietro la testa. «Le profezie proclamano che i superstiti dei superstiti verranno salvati. Quello che vogliamo, Rand al’Thor, Car’a’carn, è salvare quanta più gente dei nostri possiamo. Qualunque sia il tuo sangue e il tuo volto, non hai sentimenti per noi. Ti farei prendere il nostro sangue per tuo anche se dovessi deporre...»

«Credo» la interruppe Amys «che adesso gli piacerebbe vedere la sua stanza da letto. Sembra stanco.» Batté secca le mani e una slanciata gai’shain apparve. «Mostra a quest’uomo la stanza che è stata preparata per lui. Portagli qualsiasi cosa gli serva.»

Lasciandolo là in piedi, le Sapienti si diressero verso la porta; Bair e Seana lanciavano occhiate terribili a Melaine, come le donne della Cerchia che guardavano qualcuno che doveva fornire delle spiegazioni. Melaine le ignorò, quando la porta si chiuse alle loro spalle stava mormorando qualcosa come «inculcare del buon senso in quella sciocca ragazza.»

Quale ragazza? Aviendha? Stava già facendo quello che volevano. Forse Egwene? Sapeva che stava studiando qualcosa con le Sapienti. E cosa era disposta a ‘deporre’ Melaine per fargli ‘riconoscere il loro sangue per suo’? Come poteva la deposizione di qualcosa fargli decidere che era Aiel? Forse una trappola? Sciocco! Non lo avrebbe detto apertamente se si fosse riferita a una trappola. Che tipo di cose si possono deporre? Le galline depongono uova, pensava, ridendo sommessamente. Era stanco. Troppo stanco per porsi delle domande, dopo dodici giorni e mezzo in sella, tutti loro cotti dal calore e riarsi, non voleva pensare a come si sarebbe sentito se avesse percorso quella distanza allo stesso passo degli Aiel. Aviendha doveva avere gambe d’acciaio. Rand voleva un letto.

La gai’shain era graziosa, malgrado la cicatrice proprio sopra un occhio azzurro pallido che spariva fra capelli così chiari da sembrare quasi d’argento. Un’altra Fanciulla, solo non in quel momento. «Se vuoi seguirmi...» mormorò a occhi bassi.

La stanza per dormire non era proprio una camera da letto. Il ‘letto’ consisteva di uno spesso pagliericcio appoggiato su strati di tappeti. La gai’shain — si chiamava Chion — sembrò scioccata quando Rand le chiese dell’acqua per lavarsi, ma era stanco delle saune. Era pronto a scommettere che Moiraine ed Egwene non dovevano sedersi in una tenda piena di vapore per pulirsi. Chion portò l’acqua calda in una grossa brocca marrone di quelle usate per annaffiare il giardino e una grande ciotola bianca come lavabo. La mandò via quando la ragazza si offrì di lavarlo. Erano tutti strani!

La stanza era priva di finestre, illuminata da lampade d’argento incastrate su dei sostegni conficcati nelle pareti, ma sapeva che fuori non poteva essere ancora buio quando finì di lavarsi. Non gli importava. Sul pagliericcio c’erano solo due coperte, nessuna particolarmente pesante. Senza dubbio un segno della robustezza degli Aiel. Rammentandosi delle fredde notti nelle tende, si rivestì tranne per la giubba e gli stivali, prima di spegnere le lampade e infilarsi sotto alle coperte nell’oscurità.

Anche se era molto stanco non poteva smettere di voltarsi nel letto e pensare. Cosa intendeva deporre Melaine? Perché alle Sapienti non importava che lui sapesse che Aviendha era la loro spia? Aviendha. Una donna graziosa, anche se più scorbutica di un mulo con quattro zoccoli lividi. Il respiro rallentò e i pensieri divennero nebulosi. Un mese. Troppo tempo. Non aveva scelta. Onore. Il sorriso di Isendre. Kadere che guardava. Una trappola. Deporre una trappola? Di chi? Quale trappola? Trappole. Se solo avesse potuto fidarsi di Moiraine. Casa. Perrin probabilmente stava nuotando nel...

A occhi chiusi Rand nuotava nell’acqua. Deliziosamente fresca. E così piacevolmente bagnata. Sembrava che non si fosse mai reso conto prima d’ora di come era bella la sensazione del bagnato. Sollevando il capo guardò attorno i salici allineati al margine dello stagno, la grande quercia dall’altro, che spiegava gli spessi rami ombreggiami sull’acqua. Il Waterwood. Era bello essere a casa. Aveva la sensazione di essere stato via. Dove, non era chiaro, ma nemmeno importante. Su a Watch Hill. Sì. Non si era mai allontanato più di così. Fresco e bagnato. E solo. Di colpo due corpi si precipitarono nell’aria, le ginocchia raccolte vicino al petto, ammarando con molti schizzi che lo accecarono. Togliendosi l’acqua dagli occhi, vide Elayne e Min che gli sorridevano da entrambi i lati mostrando solo le teste sulla superficie verde chiara. Non poteva amarle entrambe. Amarle? Perché gli era venuta in mente una tal cosa?

«Tu non sai chi ami.»

Voltò la testa di scatto schizzando l’acqua. Aviendha stava in piedi sulla riva e indossava il cadin’sor invece che la gonna e la blusa. Non lo guardava furiosa, lo fissava soltanto. «Vieni in acqua» le disse. «Ti insegnerò a nuotare.»

Una risata musicale attirò la sua attenzione sulla riva opposta. La donna che si trovava lì, nuda, era la più bella che avesse mai visto, con grandi occhi scuri che gli facevano girare la testa. Credeva di conoscerla.

«Dovrei permetterti di essermi infedele anche nei sogni?» Aviendha era scomparsa. La situazione cominciava a diventare molto strana.

La donna lo squadrò a lungo, del tutto indifferente alla propria nudità. Lentamente mise le punte dei piedi in acqua appoggiando le braccia indietro, quindi si immerse del tutto. Quando la testa riapparve in superficie, i capelli neri splendenti non erano bagnati. Per un momento gli era sembrato sorprendente. Quindi la donna lo aveva raggiunto — aveva nuotato o era semplicemente lì? — avviluppandolo con braccia e gambe. L’acqua era fresca, il corpo della donna caldo.

«Non puoi sfuggirmi» mormorò lei. Quegli occhi scuri sembravano molto più profondi dello stagno. «Ti farò godere questo momento in modo che non te ne dimentichi mai, nella veglia o nel sonno.»

Nel sonno o...? Tutto si mosse e divenne indistinto. La donna si strinse forte a lui e la scena ritornò nitida. Tutto era come era sempre stato. Da un lato dello stagno si vedevano delle cascatelle, sull’altro ericacee e pini crescevano quasi sul margine.

«Ti conosco» le disse lentamente. Lo credeva, altrimenti perché permetterle di fare questo? «Ma io non... Questo non va bene.» Cercò di liberarsi dalla presa della donna, ma non appena allontanava un braccio, la donna lo riportava indietro.

«Dovrei marchiarti.» La voce di lei era fiera. «Prima quella gattamorta slavata di Ilyena, e adesso... Quante donne hai in testa?» All’improvviso i piccoli denti bianchi della donna gli affondarono nel collo.

Gridando la spinse via e si appoggiò la mano sul collo. Gli aveva lacerato la carne e stava sanguinando.

«È così che ti diverti quando mi chiedo dove sei sparita?» esclamò una voce maschile sprezzante. «Perché dovrei attenermi a qualsiasi cosa quando metti a rischio i nostri piani in questo modo?»

Improvvisamente la donna era sulla riva, vestita di bianco, attorno alla vita sottile aveva una cintura d’argento lavorato, stelle e mezzelune fra i capelli neri come la notte. Il terreno alle spalle della donna saliva leggermente verso un boschetto di abeti su una collinetta. Non ricordava di aver visto abeti in precedenza. La donna stava di fronte a un... qualcosa di sfocato. Una sagoma grigia grande come un uomo che si increspava nell’aria. Era tutto... sbagliato, in qualche modo.

«Rischio» sogghignò la donna. «Temi il rischio esattamente come Moghedien, non è vero? Tu strisceresti come il Ragno in persona. Se non ti avessi tirato fuori dal tuo buco staresti ancora nascosto, in attesa di prendere qualche briciola.»

«Se non puoi controllare i tuoi... appetiti» disse l’immagine sfocata con voce maschile. «Perché dovrei associarmi con te? Se devo correre il rischio, voglio una ricompensa più grande che tirare i fili di un pupazzo.»

«Cosa intendi dire?» chiese la donna con tono spaventoso.

L’immagine sfocata tremò, Rand sapeva che si trattava di esitazione, incertezza per aver detto troppo. Poi di colpo scomparve del tutto. La donna guardò Rand, ancora immerso fino al collo nell’acqua, le labbra serrate per l’irritazione, quindi svanì.

Rand si svegliò di colpo e rimase immobile, guardando nel buio. Un sogno. Ma non un sogno ordinario, o si trattava di qualcos’altro? Tirando fuori una mano da sotto alle coperte si toccò il lato del collo, sentì i segni dei denti e il sottile rivolo di sangue. Qualsiasi tipo di sogno fosse stato, lei c’era. Lanfear. Non l’aveva sognata. E poi l’altro, un uomo. Sul viso di Rand apparve un freddo sorriso. Trappole ovunque. Trappole per piedi imprudenti. Adesso devo badare a dove metto i piedi, pensò. Così tante trappole. Tutti le deponevano.

Ridendo piano si voltò su un fianco per rimettersi a dormire e... raggelò, trattenendo il respiro. Non era da solo nella stanza. Lanfear.

Affannato si protese verso la Vera Fonte. Per un istante ebbe timore che la paura avrebbe potuto sconfiggerlo, poi fluttuò nella fredda calma del vuoto, che lo colmò con un fiume furibondo di Potere. Balzò in piedi scattando in avanti. Le lampade si accesero.

Aviendha era seduta a gambe incrociate vicino alla porta, a bocca aperta e con gli occhi verdi sgranati che andavano dalle lampade al legame, per lei invisibile, che la avvolgeva completamente. Non poteva muovere nemmeno la testa, Rand si era aspettato qualcuno in piedi e l’onda si estendeva ben oltre la donna. Rand rilasciò immediatamente il flusso d’Aria.

Aviendha si alzò in piedi, quasi facendo cadere lo scialle per la fretta. «Non... non credo che mi abituerò a...» indicò la lampada. «Da un uomo.»

«Mi hai visto usare il Potere prima d’ora.» La rabbia stillava dalla superficie del vuoto che lo circondava. Entrare di soppiatto nella sua camera al buio. Spaventarlo quasi a morte. Era fortunata che non le avesse fatto del male, o l’avesse uccisa per sbaglio. «Farai meglio ad abituartici. Io sono Colui che viene con l’Alba, che tu lo voglia ammettere oppure no.»

«Quella non è parte...»

«Perché sei qui?» le chiese freddamente.

«Le Sapienti stanno facendo dei turni per vegliare su di te da fuori. Intendono continuare a controllare da...» si interruppe arrossendo.

«Da dove?» Aviendha lo guardò solamente, diventando sempre più rossa. «Aviendha, da dov...?» Camminatrici dei sogni, perché non gli era mai venuto in mente? «Dai miei sogni» finì la frase Rand. «Per quanto tempo hanno spiato nella mia testa?»

Aviendha emise un lungo sospiro. «Non avrei dovuto lasciare che tu sapessi. Se Bair lo scopre — Seana ha detto che stanotte era troppo pericoloso. Io non lo capisco. Non posso entrare nei sogni senza una di loro che mi aiuta. So solo che stanotte c’era qualcosa di pericoloso. Questo è il motivo per cui stanno facendo i turni fuori della porta. Sono tutte preoccupate.»

«Non hai ancora riposto alla mia domanda.»

«Non so perché sono qui» mormorò. «Se hai bisogno di protezione...» Aviendha lanciò un’occhiata al proprio pugnale, toccando l’impugnatura. Il braccialetto d’avorio sembrava irritarla, intrecciò le braccia affinché finisse sotto a un’ascella. «Non posso proteggerti molto bene con un pugnale così piccolo, e Bair ha detto che se prendo un’altra volta una lancia senza che qualcuno mi attacchi userà la mia pelle per farsi una borraccia. Non capisco perché devo smettere di dormire per proteggerti. A causa tua stavo battendo tappeti fino a meno di un’ora fa. Sotto la luce della luna!»

«Quella non era la domanda. Da quanto tempo...?» Rand si interruppe di colpo. C’era una sensazione nell’aria di qualcosa di sbagliato. Di malvagio. Poteva essere un’immaginazione residua del sogno. Poteva essere.

Aviendha rimase a bocca aperta quando la spada di fuoco apparve fra le mani di Rand, la lama leggermente ricurva con il marchio dell’airone. Lanfear lo aveva accusato di usare solo un decimo di quanto era capace, e la maggior parte di quel decimo veniva da congetture e tentativi. Non sapeva nemmeno quale fosse la decima parte di quello che poteva fare. Ma conosceva la spada.

«Resta alle mie spalle.» Rand era appena consapevole che Aviendha aveva snudato il pugnale mentre lui si muoveva per la stanza in calzettoni, senza fare rumore sul tappeto. Stranamente non faceva più freddo di quando era andato a dormire. Forse quelle pareti di pietra trattenevano il calore, perché più si allontanava e più il freddo aumentava.

Anche i gai’shain ormai dovevano essere a letto. I corridoi e le stanze erano silenziosi e vuoti, la maggior parte debolmente illuminata dalle lampade sparse ancora accese. Qui dove le luci spente significavano buio pesto, alcune lampade venivano sempre lasciate accese. La sensazione era ancora vaga, ma non voleva sparire. Male.

Rand si fermò di colpo sotto l’ampio arco che introduceva nella stanza con le mattonelle marroni, dove due lampade d’argento emettevano una luce debole. Al centro del pavimento c’era un uomo alto, con la testa china sulla donna che teneva tra le braccia ammantate di nero. La testa di lei era reclinata indietro e il cappuccio bianco le cascava dietro, mentre l’uomo le strofinava il muso contro il collo. Gli occhi di Chion erano quasi chiusi e aveva un sorriso estatico. Una vampata di imbarazzo scivolò sulla superficie del vuoto. A quel punto l’uomo sollevò la testa.

Due occhi neri guardarono Rand, troppo grandi su un viso pallido e scarno, una bocca raggrinzita dalle labbra rosse si dischiuse nella parodia di un sorriso, mostrando dei denti affilati. Chion si accasciò al suolo mentre il mantello dell’uomo si aprì in ampie ali simili a quelle di un pipistrello. Il Draghkar la scavalcò, mani bianchissime che si protendevano verso Rand, le lunghe dita affusolate culminavano con degli artigli. Artigli e denti non erano il pericolo, però. Era il bacio del Draghkar che uccideva e anche peggio.

Il canto sommesso e ipnotico della creatura si appese al vuoto. Quelle scure ali di pelle si mossero per avvolgerlo mentre avanzava. Un momento di stupore balenò nei grandi occhi neri prima che la spada creata dal Potere fendesse il cranio del Draghkar all’altezza del naso.

Una lama d’acciaio sarebbe rimasta incastrata, ma quella di fuoco si liberò con facilità mentre la creatura cadeva. Per un momento, dal profondo del vuoto, Rand esaminò l’essere ai suoi piedi. Quel canto. Se lui non fosse stato schermato dalle emozioni, reso spassionato e distante dal vuoto, quel canto gli avrebbe catturato la mente. Il Draghkar certamente credeva di esservi riuscito vedendo Rand che gli andava incontro a quel modo.

Aviendha lo sorpassò di corsa per andarsi a chinare vicino a Chion e toccarle la gola.

«Morta» disse, chiudendole gli occhi. «Forse è meglio. I Draghkar mangiano l’anima prima di aver consumato la vita. Un Draghkar! Qui!» Lo guardò furiosa dalla posizione accovacciata. «I Trolloc a Imre Stand, e adesso un Draghkar qui. Tu sei portatore di tempi cattivi per la terra delle Tre Piegature...» gridò Aviendha gettandosi sul corpo di Chion mentre Rand puntava la spada.

Una barra di fuoco solido partì dalla lama sopra di lei per colpire il petto di un secondo Draghkar che si trovava sotto la porta esterna. Scoppiando in fiamme, la progenie dell’Ombra barcollò all’indietro gridando, inciampando e sbattendo le ali che gocciavano fuoco.

«Sveglia tutti» si rivolse Rand ad Aviendha con calma. Chion aveva combattuto? Quanto l’aveva spinta lontana la faccenda dell’onore? Non avrebbe fatto differenza. I Draghkar morivano più facilmente dei Myrddraal, ma a modo loro erano più pericolosi. «Se sai come suonare l’allarme, fallo.»

«Il gong vicino alla porta...»

«Lo farò io. Sveglia gli altri. Potrebbero essercene più di due.»

Annuendo, Aviendha scattò nella direzione da cui erano venuti, gridando «Sveglia lance! Svegliatevi lance!»

Rand uscì circospetto con la spada pronta, colmo del Potere, entusiasta di esso. Nauseato. Voleva ridere e vomitare.

Il Draghkar incendiato era disteso scompostamente sul giardino terrazzato e puzzava di carne bruciata, aggiungendo la luce del suo piccolo fuoco a quella della luna. Seana giaceva un po’ più giù lungo il vialetto, i lunghi capelli grigi aperti a ventaglio, e fissava il cielo con grandi occhi vitrei. Accanto alla donna c’era il pugnale, ma non aveva avuto alcuna possibilità contro il Draghkar.

Mentre Rand ancora stava prendendo la mazzuola rivestita di pelle appesa vicino al gong di bronzo squadrato, all’imbocco della gola esplose il pandemonio, grida umane e ululati dei Trolloc, clangore d’acciaio e urla. Rand suonò forte il gong, un rintocco sonoro che echeggiò nella gola, quasi immediatamente rispose un altro gong e da una dozzina di bocche salì il grido «Sveglia lance!»

Delle grida confuse emersero attorno ai carri degli ambulanti. Su quelle scatole bianche risplendenti alla luce lunare apparvero rettangoli di luce dalle porte che si aprivano. Qualcuno urlava adirato da quelle parti — una donna. Non sapeva dire quale.

Sopra di lui sentì il rumore di un battito d’ali. Ringhiando, Rand sollevò la spada di fuoco. L’Unico Potere ardeva in lui e il fuoco ruggiva sulla lama. Il Draghkar sospeso esplose in una pioggia di frammenti infuocati che caddero nell’oscurità sottostante.

«Qui!» esclamò Rhuarc. Gli occhi del capoclan erano duri al di sopra del velo. Completamente vestito, imbracciava scudo e lance. Mat era alle sue spalle, a torso nudo e senza cappello, la camicia parzialmente infilata nei pantaloni, che batteva le palpebre incerto e stringeva la lancia dal manico nero con entrambe le mani.

Rand prese lo shoufa da Rhuarc e quindi lo lasciò cadere. Una sagoma dalle ali di pipistrello roteò sotto la luna, quindi virò bassa verso il lato distante della gola e svanì fra le ombre. «Mi stanno dando la caccia, lascia che vedano il mio volto.» Il Potere aumentava dentro di lui, la spada che aveva fra le mani arse fino a sembrare un piccolo sole che lo illuminava. «Non possono trovarmi se non sanno dove sono.» Ridendo perché gli altri non capivano la battuta, corse giù verso il clangore della battaglia.

Estraendo la sua lancia dal petto di un Trolloc dal muso di cinghiale, Mat si accovacciò alla ricerca di un’altra vittima nella gola alla luce della luna. Che Rand sia folgorato! pensò. Nessuna delle sagome che vide in movimento era abbastanza grande per essere un Trolloc. Mi lancia sempre in queste maledette avventure! Dai feriti provenivano dei gemiti sommessi. Una sagoma in ombra che pensò fosse Moiraine sì inginocchiò vicino a un Aiel che giaceva in terra. Quelle palle di fuoco che scagliava erano impressionanti, quasi quanto le barre di fuoco della spada di Rand. L’oggetto ancora risplendeva, creando un circolo di luce attorno all’uomo. Sarei dovuto rimanere fra le mie coperte, ecco cosa avrei dovuto fare. Fa maledettamente freddo e non ha niente a che fare con me! continuava a pensare. Stavano incominciando ad apparire altri Aiel, le donne con le gonne aiutavano con i feriti. Alcune di quelle donne avevano delle lance, forse normalmente non combattevano, ma una volta che la battaglia era giunta nella fortezza non erano rimaste in disparte a guardare.

Una Fanciulla si fermò accanto a Mat rimuovendo il velo. Mat non riusciva a riconoscerla perché il viso era nascosto dalle ombre. «Danzi bene la tua lancia, giocatore. Sono strani giorni, questi, se i Trolloc attaccano Rocce Fredde.» Lanciò un’occhiata alla donna che credeva fosse Moiraine. «Senza l’Aes Sedai probabilmente sarebbero riusciti a entrare.»

«Non erano abbastanza per farlo» spiegò Mat senza pensare. «Lo scopo era attirare la nostra attenzione quaggiù.» Per dare a quei Draghkar la possibilità di raggiungere Rand? si chiese.

«Credo che tu abbia ragione» concordò la donna. «Sei un condottiero, nelle terre bagnate?»

Mat desiderò aver tenuto la bocca chiusa. «Una volta ho letto un libro» mormorò, voltandosi dall’altra parte. Maledetti ricordi di altri maledetti uomini, aggiunse mentalmente. Forse dopo questa vicenda gli ambulanti sarebbero andati via.

Quando si fermò vicino ai carri, però, né Keille né Kadere erano in vista. I conducenti erano tutti raggruppati, stavano passandosi una fiasca di qualcosa che odorava della buona acquavite che vendevano, borbottando agitati come se i Trolloc si fossero avvicinati a loro. Isendre stava in piedi sugli scalini del carro di Kadere e fissava nel vuoto. Anche con le sopracciglia aggrottate era bellissima dietro il velo trasparente. Era contento che almeno i ricordi delle donne fossero tutti suoi.

«I Trolloc sono stati sterminati» le disse appoggiandosi alla lancia per essere certo che la notasse. Non ha senso rischiare che mi spacchino il cranio senza che poi ne tragga qualche vantaggio, si disse. Per sembrare stanco non ebbe bisogno di sforzarsi. «Una dura lotta, ma adesso sei al sicuro.»

La donna lo fissò inespressiva, con gli occhi che risplendevano alla luce lunare come scura pietra lucidata. Senza dire una parola si voltò e rientrò nel carro sbattendo forte la porta.

Mat esalò un lungo sospiro disgustato e si allontanò dai carri. Cosa doveva fare per far colpo su quella donna? Ma adesso voleva un letto. Di nuovo fra le coperte e che fosse Rand a vedersela con i Trolloc e i maledetti Draghkar. Sembrava che l’uomo si divertisse in tutto questo. Ridere a quel modo.

Adesso Rand stava risalendo la gola, il bagliore di quella spada nella notte era come la luce di una lampada attorno a lui. Apparve Aviendha, che gli corse incontro con la gonna sollevata sopra le ginocchia, quindi si fermò. Lasciando ricadere la gonna la sistemò e andò accanto all’uomo, mettendosi lo scialle sul capo. Sembrava che Rand non la vedesse e il volto della donna era piatto come la pietra. Si meritavano a vicenda.

«Rand» un’ombra veloce lo chiamò con la voce di Moiraine, quasi melodiosa come quella di Keille, ma era una musica fredda. Rand si voltò e attese, mentre la donna rallentò prima che potessero vederla con chiarezza, entrando nella luce con fare regale. «Le cose stanno diventando più pericolose, Rand. L’attacco a Imre Stand poteva essere rivolto agli Aiel — improbabile ma avrebbe potuto essere — ma stanotte i Draghkar erano certamente rivolti contro di te.»

«Lo so.» Fu la sola risposta. Calmo quanto lei e più freddo.

Moiraine strinse le labbra, le mani troppo immobili sulla gonna. Non era compiaciuta. «Le profezie sono più pericolose quando cerchi di farle compiere. Non lo hai imparato a Tear? Il Disegno si tesse intorno a te, ma quando sei tu che cerchi di tesserlo, be’, nemmeno tu sei in grado di trattenerlo. Spingi il Disegno con troppa forza e la pressione cresce. Potrebbe esplodere selvaggiamente in qualsiasi direzione. Chi può dire quanto tempo passerà prima che si calmi per concentrarsi nuovamente su di te, o cosa accadrà prima che lo faccia?»

«Chiaro come quasi tutte le tue spiegazioni» osservò asciutto Rand. «Cosa vuoi, Moiraine? È tardi e sono stanco.»

«Voglio che ti confidi con me. Credi di aver già imparato quanto c’è da sapere dopo poco più di un anno fuori dal tuo piccolo villaggio?»

«No, non ho ancora imparato tutto.» Adesso sembrava divertito. A volte Mat non era sicuro che fosse ancora sano di mente come sembrava. «Vuoi che mi confidi con te, Moiraine? Va bene. I tuoi Tre Giuramenti non ti permetteranno di mentire. Dimmi chiaramente che, qualsiasi cosa ti rivelerò, non cercherai di fermarmi, che non mi intralcerai in alcun modo. Dimmi che non cercherai di usarmi per i fini della Torre. Dillo semplicemente e direttamente, così saprò che è vero.»

«Non farò nulla per evitare che il tuo destino si compia, ho dedicato la mia vita a questo scopo. Ma non prometterò di stare a guardare mentre tu metti la testa sul ceppo del boia.»

«Non va bene, Moiraine. Non è abbastanza. Ma se potessi confidarmi con te, non lo farei comunque qui. La notte ha orecchie.» Nell’oscurità si muovevano delle persone, ma nessuna abbastanza vicina da sentire. «Anche i sogni hanno orecchie.» Aviendha tirò lo scialle in avanti per nascondersi il viso. Evidentemente anche gli Aiel sentivano freddo.

Rhuarc si fece avanti nella luce, con il velo nero che pendeva libero. «I Trolloc erano solamente un diversivo per i Draghkar, Rand al’Thor. Troppo pochi per essere altro. I Draghkar erano per te, credo. Il Bruciafoglia non vuole che tu viva.»

«Il pencolo aumenta» aggiunse con calma Moiraine.

Il capoclan le rivolse un’occhiata prima di proseguire. «Moiraine Sedai ha ragione. Visto che i Draghkar hanno fallito, temo che la prossima volta dovremmo aspettarci i Senzanima, quelli che voi chiamate Uomini Grigi. Voglio che tu sia costantemente protetto dalle lance. Per qualche motivo le Fanciulle si sono offerte volontarie.»

Il freddo stava avendo il sopravvento su Aviendha. Con le spalle incurvate aveva le mani strette sotto le ascelle.

«Se lo desiderano» fu la risposta di Rand. Sotto tutto quel ghiaccio sembrò leggermente a disagio. Mat non gliene faceva una colpa, ma lui non si sarebbe messo di nuovo nette mani delle Fanciulle per tutta la seta delle navi del Popolo del Mare.

«Faranno la guardia meglio di chiunque altro,» spiegò Rhuarc «essendosi offerte volontarie. Comunque non intendo lasciare che siano solamente loro. Metterò tutti in guardia. Credo che la prossima volta saranno i Senzanima, ma non significa che non potrebbe essere qualcos’altro. Diecimila Trolloc invece che poche centinaia.»

«E gli Shaido?» Mat desiderò non aver digrignato i denti quando tutti lo guardarono. Forse fino ad allora non si erano nemmeno accorti che era lì. Eppure poteva anche dirlo. «So che non vi piacciono, ma se credi che ci sia davvero la possibilità di un attacco più consistente, non sarebbe meglio averli qua dentro piuttosto che fuori?»

Rhuarc grugnì, l’equivalente di un’imprecazione in una persona normale. «Non lascerei entrare mille Shaido a Rocce Fredde nemmeno se stesse arrivando il Bruciaerba in persona. Non potrei, in ogni caso. Couladin e gli Shaido hanno smontato le tende quando è scesa la notte. Siamo liberi dalla loro presenza. Ho inviato delle sentinelle per essere certo che lascino Taardad senza prendere capre né pecore.»

La spada svanì dalle mani di Rand, l’assenza improvvisa di quella luce equivaleva alla cecità. Mat chiuse gli occhi per aiutarli ad adattarsi all’oscurità, ma quando li riaprì la luce lunare sembrava ancora scura.

«In che direzione sono andati?» chiese Rand.

«Nord» rispose Rhuarc. «Senza dubbio Couladin vuole incontrare Sevanna lungo il tragitto verso Alcair Dal, per influenzarla contro di te. Potrebbe riuscirci. Il solo motivo per cui la donna ha deposto la ghirlanda nuziale di fiori ai piedi di Suladric invece dei suoi era che voleva sposare un capoclan. Ma ti ho detto che da lei devi aspettarti delle noie. Sevanna gode nel provocare problemi. Non dovrebbe essere importante. Se gli Shaido non ti seguiranno sarà una piccola perdita.»

«Voglio andare ad Alcair Dal» puntualizzò Rand con fermezza. «Adesso. Mi scuserò con ogni capoclan che si sentirà disonorato per essere arrivato tardi, ma non lascerò che Couladin si trovi sul posto prima che io arrivi. Non si fermerà a Sevanna, Rhuarc. Non posso permettermi di concedergli un mese per istigare tutti contro di me.»

Dopo un momento Rhuarc rispose: «Forse hai ragione. Tu porti dei cambiamenti, Rand al’Thor. All’alba, allora. Sceglierò dieci Scudi Rossi per il mio onore e le Fanciulle penseranno al tuo.»

«Voglio andare via alle prime luci, Rhuarc. Con ogni mano che può impugnare una lancia o tirare con un arco.»

«Le usanze...»

«Non ci sono usanze che mi riguardano, Rhuarc.» Con la voce di Rand sarebbe stato possibile spaccare le rocce, o freddare il vino. «Io devo inventare nuove usanze.» Rise duramente. Aviendha sembrava scioccata e anche Rhuarc batté le palpebre, preso in contropiede. Solo Moiraine non era colpita, gli occhi che lo soppesavano. «Qualcuno adesso deve occuparsi degli ambulanti» proseguì Rand. «Non vorranno perdere la fiera, ma se quei tipi non smettono di bere saranno troppo ubriachi per tirare le redini. Cosa farai tu, Mat? Vieni?»

Certamente non voleva che gli ambulanti si allontanassero da lui, non la sua via d’uscita dal deserto. «Oh, sono dietro di te, Rand.» La parte peggiore era che si era sentito bene nel dire quella frase. Maledetto ta’veren che mi tira! Come era riuscito a liberarsi Perrin? Luce, vorrei trovarmi con lui adesso, pensò. «Suppongo di esserlo.»

Mettendosi la lancia in spalla risalì la gola. C’era ancora tempo per dormire un po’. Alle sue spalle sentì Rand che rideva.

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