Patricia A. McKillip L’erede del mare e del fuoco

CAPITOLO PRIMO

La primavera portava invariabilmente tre cose alla dimora del Re di An: il primo carico via mare del vino di Herun, i nobili delle Tre Terre per il conclave primaverile, e una disputa.

Nella primavera dell’anno successivo alla misteriosa scomparsa del Principe di Hed, che con l’arpista del Supremo era svanito come nebbia sul Passo di Isig, la grande magione coi suoi sette portali e le sue sette candide torri sembrò aprirsi come un baccello maturo dopo un lungo ed aspro inverno di silenzio e di tristezza. La stagione dei fiori sparse toni smeraldini sul panorama, gettò disegni simili a intarsi di luce sui freddi pavimenti di pietra, e fluì inarrestabile come una linfa sino nel più profondo cuore di An, finché a Raederle, seduta nel giardino di Cyone dove nessun altro era entrato a sei mesi dalla morte di lei, parve che perfino i defunti di An, raggiunti dalle radici che s’infiltravano fra le loro ossa, dovessero vibrare al contatto di quella vita che esplodeva ovunque.

Dopo un poco si rialzò, attraversò l’intrico d’erbe e piante avvizzite che non erano sopravvissute all’inverno, e fece ritorno nella Sala del Trono, le cui porte erano state spalancate per far entrare la luce. Sotto lo sguardo attento del maestro di palazzo di Mathom i servi stavano togliendo la polvere e le pieghe agli stendardi dei nobili, che penzolavano dai loro supporti presso il soffitto. I nobili erano attesi da un giorno all’altro, e nel prepararsi a riceverli il palazzo era in subbuglio. Alcuni dei loro doni erano già stati recapitati alla fanciulla: un falco candido, allevato sui selvaggi picchi di Osterland, dal Nobile di Hel; una spilla d’oro sottile come un’ostia da Map Hwillion, che era troppo povero per permettersi quel genere di spese; e un flauto di legno lucido con intarsi d’argento, giunto però senza il nome del mittente, cosa questa che aveva rattristato Raederle, dal momento che chiunque lo avesse mandato era qualcuno che conosceva bene i suoi gusti. Si fermò a fissare l’immobile stendardo di Hel: una testa di verro con zanne simili a nere mezzelune in campo verde. L’animale sembrava far la guardia al vasto salone coi suoi piccoli occhi feroci. Lei gli restituì lo sguardo, a braccia conserte, poi improvvisamente si volse e andò a cercare suo padre.

Lo trovò nelle sue stanze, che discuteva col suo Erede. Stavano parlando a voce bassa, e quando lei entrò tacquero, ma la fanciulla notò il rossore che imporporava gli zigomi di Duac. Nel chiaro arco delle sue sopracciglia e negli occhi color del mare egli portava il marchio del selvaggio sangue di Ylon, ma la sua pazienza con Mathom quando tutti gli altri avevano esaurito la loro era considerata fenomenale. Lei si domandò cosa Mathom gli avesse detto, per farlo irritare tanto.

Il Re le girò addosso i suoi occhi severi da vecchio corvo, e la ragazza, poiché al mattino gli umori di lui erano imprevedibili, gli si rivolse con voce mielata: — Padre, desidero recarmi in Aum a far visita a Mara Croeg per un paio di settimane, col vostro permesso. Potrei far preparare i bagagli e partire entro domani. Sono rimasta qui ad Anuin tutto l’inverno, e mi sento… e ho bisogno di cambiare aria.

Gli occhi di lui non mutarono minimamente espressione. — No — si limitò a dire. E si volse a prendere il suo boccale di vino.

Irritata lei fissò le sue spalle, e rinunciò al tono garbato scartandolo come una scarpa vecchia. — Benissimo! Io non ho intenzione di starmene qui mentre la gente chiacchiera di me come se valutassero una mucca di razza di Aum. Sapete chi mi ha mandato un regalo? Map Hwillion. Mi sembra ieri quando sghignazzava alle mie spalle perché ero caduta da un pero. Adesso ha l’età di farsi la sua prima barba, ha avuto quella catapecchia vecchia di ottocento anni col tetto che fa acqua, e si è convinto di volermi sposare. Voi siete quello che mi ha promessa al Principe di Hed; non potreste dare un taglio a tutto questo? Preferirei ascoltare i guardiani di porci di Hel durante una bufera, piuttosto che un altro concilio primaverile dove v’interrogano su quello che volete farne di me.

— E io anche — mormorò Duac. Mathom li fissò entrambi. I suoi capelli erano diventati grigi quasi nello spazio di una notte; la sofferenza per la morte di Cyone gli aveva scavato il volto, ma non aveva peggiorato né migliorato il suo carattere.

— E cos’altro vorresti che dicessi loro — sbottò, — se non quello che ripeto da diciannove anni a questa parte? Io ho fatto un voto, legandomi ad esso per la vita, di maritarti all’uomo che avrebbe vinto la gara di enigmi contro Peven. Se vuoi abbandonare la tua casa e andare a vivere con Map Hwillion sotto il suo tetto sfondato, non posso fermarti… e loro lo sanno.

— Io non voglio affatto sposare Map Hwillion — ribatté lei, esasperata. — Preferirei sposare il Principe di Hed… se non fosse per il fatto che non sono più certa di sapere chi sia, e che nessuno sa dove si trovi. Sono stanca di aspettare; sono stanca di questa casa; sono stanca d’ascoltare il Nobile di Hel che mi dice che sono stata ignorata e insultata dal Principe di Hed. Voglio andare per qualche giorno in Aum da Mara Croeg, e non capisco come voi possiate rifiutare una richiesta così semplice e ragionevole!

Ci fu una pausa di silenzio, durante la quale Mathom osservò il vino nel fondo del suo boccale. La sua faccia aveva assunto un’espressione imperscrutabile. Poi appoggiò il boccale sul tavolo e disse: — Se ne hai voglia, ti consento di andare a Caithnard.

La bocca di lei si aprì per lo stupore. — Posso andare? A far visita a Rood? Se c’è una nave che… — Ma Duac la interruppe abbattendo le mani sul tavolo con un tonfo che fece oscillare i boccali.

— No!

Lei lo fissò attonita, e il giovane strinse i pugni. I suoi occhi si volsero a Mathom, sottili come due fessure. — Nostro padre ha appena chiesto anche a me di andare là. Vuole Rood a casa. Ma ho rifiutato.

— Rood? Io non capisco.

Con un brusco movimento che fece oscillare le sue larghe maniche Mathom si scostò dalla finestra. — Fra voi e i membri del concilio, attorno non ho che gente buona soltanto a borbottare e starnazzare. Voglio che Rood si prenda una vacanza dai suoi studi, e rientri ad Anuin per qualche tempo. Prenderà meglio la notizia se a dirglielo sei tu o Duac.

— Diglielo tu! — replicò Duac, testardo. Sotto lo sguardo del Re chinò il capo, ma si aggrappò ai braccioli della sedia come per impedirsi di perdere la pazienza. — E poi, vuoi essere così gentile da farmi capire il perché? Rood ha appena preso il Rosso dell’Apprendistato; se continua prenderà il Nero a un’età inferiore di qualunque altro Maestro. Sta facendo un buon lavoro là; rifiuterà l’idea d’interrompersi.

— Nel mondo esistono più enigmi di quanti ce ne siano fra le mura della Scuola di Caithnard, in quei libri chiusi da serrature di ferro.

— Sì. Io non ho studiato coi Maestri degli Enigmi, però so che neppure tu puoi rispondere a tutti gli enigmi conosciuti. Lui sta soltanto facendo del suo meglio. Cosa pretenderesti da Rood? Che andasse a perdersi anche lui verso il Monte Erlenstar, come il Principe di Hed?

— No. Lo voglio qui.

— Perché, in nome di Hel? Hai in programma di morire o qualcosa del genere?

— Duac! — ansimò Raederle, ma lui fissava cocciutamente il Re in attesa di una risposta. La fanciulla captò, al di là dell’ira e dell’ostinazione di entrambi, il legame che li univa in modo sottile e indefinibile. Il silenzio di Mathom finì per far balzare in piedi Duac, che si volse e uscì dalla stanza. Dietro di lui la porta sbatté così forte che gli stipiti parvero vibrare. — Per le ossa di Madir! Mi piacerebbe leggere in quella miniera di carbone che chiami un cervello! — lo sentirono esclamare.

Raederle sospirò. Si volse al padre, che malgrado la veste sgargiante e inondata di sole appariva oscuro e impenetrabile come l’ombra di un mago nella notte. — Sto già cominciando a odiare la primavera. Io non vi chiedo di spiegarmi tutti gli enigmi del mondo, soltanto il motivo per cui non posso far visita a Mara Croeg mentre Cyn Croeg è qui al concilio.

— Chi era Thanet Ross, e perché suonava un’arpa senza corde?

Lei lo fissò in silenzio, frugando fra i ricordi d’interminabili ore trascorse in gare di enigmi, alla ricerca di quella risposta. Poi si girò per uscire. Prima che la porta sbattesse ancora una volta, alle sue spalle, fece in tempo a sentirlo brontolare: — E stai alla larga da Hel!

Trovò Duac in biblioteca, che guardava fuori dalla finestra. Gli andò accanto e si appoggiò al davanzale, lasciando vagare lo sguardo giù verso la città che dal fianco della collina s’abbassava sempre più e si allargava intorno ai moli del porto. Alcune navi mercantili, le cui vele s’abbassavano piano piano agitandosi al vento, stavano sfruttando la marea di metà mattino per avvicinarsi agli approdi. Un paio di splendidi vascelli avevano la vela bianca e verde di Danan Isig, il Re che governava sul Monte Isig, e in lei sorse la speranza che quel nordico regno avesse mandato anche qualche notizia, oltre alle sue belle navi. Al suo fianco Duac si rilassò, mentre la tranquillità dell’antica biblioteca col suo odore di chiuso, di cera e di copertine di ferro riportava alla calma la sua espressione. Il giovane mormorò: — È il più testardo, incomprensibile, esasperante individuo che ci sia nelle Tre Parti di An.

— Lo so.

— Ha qualcosa in testa. C’è qualcosa che ronza dietro quei suoi occhi come un incantesimo oscuro… e mi preoccupa. Se dovessi scegliere se fare un passo alla cieca verso un precipizio con lui, e passeggiare in un giardino coi più previdenti Nobili di An, chiuderei gli occhi e farei quel passo. Ma cos’è che ha in mente?

— Non so dirtelo. — La fanciulla si passò una mano sulla fronte. — E non so perché ad un tratto ci vuole tutti e tre qui a casa. Gli ho chiesto perché non posso partire, e lui mi ha domandato perché Thanet Ross suonava un’arpa senza corde.

— Chi? — Duac la fissò. — E come poteva… Perché costui suonava un’arpa priva di corde?

— Per la stessa ragione per cui camminava all’indietro, e si radeva i capelli anziché la barba. Per nessuna ragione, salvo quella che era una cosa senza ragione. Era un uomo triste, e fu camminando all’indietro che morì.

— Ah!

— Stava camminando a ritroso, per nessuna ragione, e cadde in un fiume. Nessuno lo rivide mai più, ma la gente lo diede per morto semplicemente perché non ci sarebbe stata nessuna ragione che…

— Va bene, va bene — protestò lui con un sospiro. — Sembra che questa storiella abbia per protagonista lui. Sai a chi alludo.

Lei sorrise. — Vedi che educazione hai trascurato di farti, poiché non eri destinato a sposare qualcuno esperto in enigmi?

— Poi il suo sorriso si spense, e abbassò la testa. — Talvolta mi sento come se stessi aspettando dal nord la conclusione di una favola, e che a portarmela debbano essere le acque delle nevi che si sciolgono in primavera… Poi mi torna a mente quand’era un Novizio, a Caithnard, e si divertiva a pormi la grossa conchiglia all’orecchio, per farmi sentire la voce del mare e… Duac, è a questo modo che mi è entrato dentro la paura per lui. È stato via tanto tempo, e da allora in tutto il reame non si è udita più neppure l’arpa dell’arpista del Supremo. Di certo il Supremo non avrebbe mai tenuto Morgon lontano così a lungo dalla sua terra. Temo che sia loro accaduto qualcosa, sul Passo Isig.

— Per quanto se ne sa, il governo della terra non è ancora passato da Morgon a suo fratello — cercò di confortarla Duac, ma lei fu scossa da un brivido.

— E allora dove può essere? Dopotutto, potrebbe pur mandare un messaggio alla sua terra natale. I mercanti dicono che ogni volta che fanno scalo a Tol trovano là Eliard e Tristan, in attesa sul molo e speranzosi di qualche notizia. Neppure a Isig, con tutto ciò che dicono gli sia successo là, ha fatto avere sue nuove. Raccontano che ora abbia sulle mani cicatrici a forma di corna di vesta, e che possa assumere la forma-albero…

Duac si guardò le palme delle mani quasi che si aspettasse di vedere cicatrici anche sulle sue. — L’ho sentito dire… ma la cosa più semplice sarebbe di andare al Monte Erlenstar a domandare al Supremo dov’è. Siamo in primavera; il Passo è transitabile. Eliard potrebbe farlo.

— Lasciare Hed? Lui è l’Erede della terra di Morgon; la gente non lo lascerebbe partire.

— Forse. Ma si dice che negli isolani di Hed ci sia una vena di cocciutaggine lunga come il naso di una strega. Potrebbe provarci. — D’un tratto si volse verso la periferia della città; i suoi occhi si fissarono su una doppia fila di cavalieri che in lontananza s’avvicinavano lungo i campi. — Eccoli che arrivano. In pompa magna.

— Chi è?

— Non riesco a… vedo dell’azzurro. Azzurro, con dietro delle vesti nere; dev’essere Cyn Croeg. E sembra che abbia incontrato qualcuno che porta il verde.

— Hel?

— No. Verde e crema, con un seguito piuttosto ridotto.

Lei sospirò. — Map Hwillion.

Dopo che Duac fu uscito per andare ad avvertirne Mathom lei restò alla finestra, osservando i cavalieri che svoltavano attraverso i frutteti i cui rami, neri e spogli, sembravano artigliare i vivaci colori delle loro vesti. Riapparvero di nuovo oltre l’angolo delle mura della città vecchia, e lì girarono sulla strada principale che serpeggiava fra gli antichi quartieri, il mercato, le botteghe e l’affastellarsi di case popolari, le cui finestre si sarebbero aperte al loro passaggio, piene di occhi curiosi. Prima ancora che i viaggiatori sparissero fra i tetti delle case, lei aveva deciso cosa fare.


Tre giorni dopo era seduta sotto una quercia con la guardiana dei porci del Nobile di Hel, intrecciando cestelli con strisce di paglia dura. Era un pomeriggio tranquillo, e tutto intorno si udivano i grugniti e lo scalpiccio del grosso branco di porci, che frugavano fra le radici e i cespugli all’ombra delle querce. La guardiana, di cui nessuno s’era mai preoccupato di conoscere il nome, stava fumando una pipa con aria pensierosa. Era una donna alta e ossuta, robusta, con disordinati capelli grigiastri ed occhi color del ferro; badava ai maiali da tanto tempo che nessuno lo ricordava più. Erano imparentate alla lontana, lei e Raederle, attraverso la discendenza della strega Madir, sebbene quel legame fosse così impreciso che non erano mai riuscite a definirlo. Il talento personale della donna era qualcosa che riguardava l’allevamento dei maiali. Verso la gente era scorbutica e scostante. Ma anni addietro la bella e orgogliosa Cyone, che da Madir aveva ereditato l’interesse verso l’allevamento dei maiali, era divenuta amica di quella creatura taciturna. E tuttavia neppure Cyone aveva saputo ciò che Raederle aveva scoperto in seguito, ovvero lo strano miscuglio di antica saggezza, talenti e intuizioni che la guardiana dei porci sembrava aver ereditato direttamente dalla strega Madir.

Raederle infilò un’altra lunga striscia di paglia nel cestello e cominciò a piegarla e intrecciarla lungo l’orlo quadrangolare. — Sto facendo bene, così?

La guardiana dei porci allungò una mano a palpeggiare l’intreccio e annuì. — È così compatto che potresti quasi tenerci l’acqua, come in un secchio — disse con la sua voce rauca e placida. — Per tornare a quel che dicevamo, stavo pensando che il Re Oen aveva un contadino, guardiano di porci anch’egli, e che Madir potrebbe aver avuto una relazione con costui.

— Credevo che fosse innamorata di Oen.

La donna la fissò stupita. — Dopo che aveva costruito quella torre per rinchiudercela dentro? Sei stata tu stessa a dirmi questo. Inoltre lui aveva una moglie. — Ebbe un gesto vago con la mano in cui reggeva la pipa, spandendo il fumo attorno. — Forse ho parlato senza pensare.

— Nessun Re di cui io abbia sentito raccontare ha mai sposato Madir — disse Raederle, continuando a lavorare. — Eppure un po’ del suo sangue è andato nella discendenza dei Re. Lei visse circa duecento anni, e in quel periodo ci furono sette Re. Penso che potremmo escludere Fenel, che fu troppo occupato a combattere per mettere al mondo un erede, anche solo un bastardo. — Si strinse nelle spalle. — È possibile che tu discenda da uno degli altri Re, se Madir ha avuto una relazione segreta con qualcuno di loro.

La guardiana dei porci ebbe una delle sue rare risatine. — Oh, ne dubito. Da un Re, io coi miei piedi pieni di fango. No. E poi a Madir piacevano i porcari molto più di quanto non le piacessero i Re.

— Questo è vero. — Raederle terminò d’intrecciare la striscia e la fissò al bordo, accigliandosi pensosamente. — È anche possibile che Oen si sia innamorato di Madir quand’ebbe capito che lei non era sua nemica. Ma questo può sembrare eccessivo, visto che fu colpa sua se il sangue di Ylon entrò nella dinastia dei Re. E Oen era già abbastanza irritato per questo.

— Ylon?

— Non conosci quella storia?

La guardiana dei porci scosse la testa. — Ho già sentito il nome, ma nessuno mi ha mai raccontato chi era e ciò che fece.

— Bene. — La fanciulla si appoggiò al tronco, socchiudendo gli occhi contro il sole che balenava fra i rami. Era anch’ella scalza, e s’era sciolta i lunghi capelli ramati. Distrattamente si spazzò via un ragnetto che le si arrampicava su una manica. — È il primo enigma che imparai. L’Erede della terra di Oen non fu il suo figlio carnale, bensì il figlio di un misterioso nobile del mare. Costui assunse la forma fisica del Re e andò nel suo letto. Nove mesi dopo la moglie di Oen partorì Ylon, che aveva occhi verdi come erbe marine e la pelle color della spuma. Così Oen, nella sua ira, costruì una torre sulla costa per rinchiudervi quel figlio del mare, e diede ordine di non lasciarlo uscire mai più. Ma una notte, quindici anni dopo la sua nascita, Ylon udì una strana musica dell’arpa proveniente dal mare; ne fu incantato, e il desiderio di conoscerne l’origine divenne in lui così forte che con le mani spezzò le sbarre della finestra, quindi si tuffò nel mare e scomparve. Dieci anni più tardi Oen morì, e con sorpresa dei suoi figli legittimi il governo della terra passò su Ylon. La sua stessa natura ricondusse Ylon a corte, per reclamare il suo diritto ereditario. Egli regnò appena il tempo necessario per sposarsi e per mettere al mondo un figlio, che nacque nero di capelli e somigliantissimo a Oen. Poi tornò alla torre che Oen aveva costruito per lui, e si uccise gettandosi dall’alto sulle scogliere sottostanti. — Si rigirò fra le mani il leggero cestello, ne squadrò meglio gli angoli. — È una storia triste. — Nei suoi occhi passò un’ombra vaga, perplessa, quasi che in lei balenassero ricordi indefiniti. — Comunque i lineamenti di Ylon tornano ad apparire nella discendenza, una o due volte al secolo, e qualche volta anche la sua stessa natura selvatica, ma non i terribili istinti che lo tormentavano. Nessuno fra quanti recavano il suo sangue ereditò mai il governo della terra, però. Il che è stata una fortuna.

— Credo anch’io. — La guardiana dei porci esaminò il fornello della pipa, che s’era spenta. Con aria assente la batté sul tronco per farne uscire la cenere. Raederle osservò un’enorme scrofa nera che si apriva pesantemente la strada fra gli sterpi, di fronte a loro.

— Per Did è quasi il momento di figliare.

La guardiana dei porci annuì. — Saranno tutti neri come pezzi di carbone. A ingravidarla è stato Noon l’Oscuro.

Gli occhi di Raederle cercarono il maiale che l’altra aveva nominato, un bestione che grufolava fra le ghiande e che vantava fra i suoi antenati Hedgis-Noon. — Chissà che non ne metta al mondo anche uno capace di parlare.

— Forse. Io ci spero ancora. Ma credo che ormai la magia sia uscita dal loro sangue, perché nascono tutti muti.

— Qualche volta vorrei che anche i discendenti della nobiltà di An nascessero muti.

La donna la fissò con un lampo di divertita comprensione. — Allora è per questo!

— È per questo cosa?

L’altra esitò, di nuovo timida e sfuggente. — Il concilio primaverile. Non sono affari miei, però non m’illudevo che tu avessi cavalcato tre giorni per venire a chiedermi se siamo cugine di primo o di terzo grado.

Raederle sorrise. — No. Volevo allontanarmi da casa.

— Tu… ma tuo padre sa dove sei?

— Presumo che lui sappia sempre tutto. — Infilò un’altra striscia di paglia nel cestello. Di nuovo si accigliò come nel tentativo di rammentare qualcosa, poi d’un tratto si volse a fissare negli occhi la guardiana dei porci. Per un attimo le parve che nel suo sguardo curioso, indagatore, ci fosse la stessa domanda che lei non riusciva a trasformare in parole. Poi la donna abbassò la testa; raccolse una ghianda accanto a una radice e la tirò contro il fianco della scrofa nera. Raederle mormorò: — Ylon…

— Lo devi a lui se riesci a fare quelle piccole cose che ti ho insegnato. A lui e a Madir. E alla mente di tuo padre.

— Forse, ma… — Scosse la testa e si appoggiò ancora al tronco, aspirando l’aria odorosa. — Mio padre sarebbe capace di vedere un ago in un pagliaio, ma vorrei che non fosse sempre muto come un’ostrica. È un sollievo poter essere fuori da quella casa. Quest’inverno c’era un tale silenzio che mi fermavo davanti alla porta delle cucine soltanto per sentire delle voci umane. Ed è stato un inverno lungo; credevo che non sarebbe finito mai più…

— È stato uno dei peggiori. Il Nobile ha dovuto far acquistare cibarie in Aum, e le ha pagate il doppio, perché anche in Aum erano a corto di grano. E abbiamo perso degli animali. Aloil, uno dei più grossi…

— Aloil?

La guardiana dei porci apparve imbarazzata. — Ecco… una volta ho sentito Rood che ne parlava, e il nome mi piacque.

— E hai dato a un maiale il nome di un mago!

— Era un mago? Io non… Rood non lo disse. Comunque è morto, malgrado tutto quel che ho fatto per curarlo. Perfino il Nobile era venuto ad aiutarmi, con le sue stesse mani.

Il volto di Raederle si schiarì. — Già. Raith è abile in queste cose.

— Ce l’ha nel sangue. Ma era irritato per… per Aloil. — Esaminò il lavoro di Raederle. — Avresti dovuto farlo più robusto qui sul bordo, dove va attaccato il manico.

Raederle annuì, poi raccolse un’altra striscia di paglia per rafforzare l’orlo del cestello. Fu allora che sentì il calpestio degli zoccoli d’un cavallo che si avvicinava. Stupita si volse a scrutare verso gli alberi. — Chi può essere? Raith non è ancora partito per Anuin?

— No, è sempre qui. Ma non lo avevi… — Tacque, nel vedere che Raederle si alzava imprecando. Il Nobile di Hel e la sua scorta sbucarono dal bosco, spaventando i maiali che si dispersero attorno.

Raith portò la sua cavalcatura ad arrestarsi di fronte a Raederle; i suoi uomini dalle uniformi nere e verde pallido rallentarono disordinatamente fra i cespugli, sorpresi. L’uomo abbassò lo sguardo su di lei, aggrottando le bionde sopracciglia, e stava per aprir bocca quando la fanciulla lo prevenne: — Non sei partito. Farai tardi per il concilio.

— Ho dovuto aspettare Elieu. In nome di Hel, che ti viene in mente di aggirarti scalza fra i miei branchi di porci? Dov’è la tua scorta? E dove…

— Elieu! — esclamò Raederle, nel vedere quello che le era parso uno sconosciuto barbuto scendere da cavallo. E il suo sorriso felice, mentre gli correva incontro, tornò a farglielo apparire familiare.

— Hai ricevuto il flauto che ti ho mandato? — chiese il giovane, afferrando le mani. Lei gliele strinse e rise, annuendo.

— Dunque l’avevi mandato tu! E sei stato tu a farlo? È così bello che me ne sono subito innamorata.

— Volevo farti una sorpresa, e non…

— Con questa barba non ti avevo riconosciuto. Sono già tre anni che te ne stai rinchiuso a Isig. E sarebbe proprio tempo che tu… — S’interruppe, e gli lasciò le mani. — Dimmi, Elieu, hai notizie del Principe di Hed?

— Mi spiace — rispose lui, contrito. — Nessuno lo ha più visto. Ho lasciato Kraal via fiume, con una nave mercantile; lungo il percorso ci siamo fermati cinque volte, e ho perso il conto di tutta la gente a cui ho dovuto dire la stessa cosa. C’è una cosa, però, che dovrò riferire a tuo padre. — Sorrise ancora, sfiorandole una guancia. — Sei sempre più bella. Bella come la terra di An. Ma che stai facendo fra i maiali di Raith?

— Sono venuta a parlare con la guardiana dei porci. La quale, se non lo sai, è una persona molto più saggia e interessante di altri.

— Sul serio? — Elieu si volse alla donna, che abbassò gli occhi imbarazzata.

— Credevo che tu avessi superato questi comportamenti infantili — brontolò Raith. — Non è stato saggio cavalcare senza scorta da Anuin a qui. E mi meraviglio che tuo padre… Un momento, lui sa dove ti trovi?

— Sono certa che avrà fatto ipotesi quanto mai precise.

— Stai dicendo che tu…

— Oh, Raith! Se mi va di comportarmi da persona poco saggia questi sono soltanto fatti miei!

— Per carità, scusa tanto! Ma guardati: i tuoi capelli hanno l’aria d’essere stati usati come nido da passeri e ragni.

D’istinto la fanciulla alzò una mano, passandosela fra i vaporosi capelli d’oro rosso, ma subito la riabbassò. — Anche questi sono affari miei — ribatté freddamente.

— Non è confacente alla tua dignità far comunella con la mia guardiana dei porci, come se tu fossi una… come se fossi…

— Ti prego, Raith. Lei ed io siamo parenti. E per quanto ne so ha perfino gli stessi diritti che ho io di stare alla corte di Anuin.

— Non sapevo che foste parenti — disse Elieu, interessato. — E come?

— Tramite Madir. Era una donna piuttosto intraprendente.

Raith emise dal naso un lungo e rumoroso sospiro. Poi stabilì, in tono cattedratico: — Tu hai bisogno di un marito. — Con un gesto secco strattonò le redini, facendo indietreggiare e volgere il suo cavallo. Qualcosa in quell’osservazione colpì sgradevolmente Raederle, che si accigliò a disagio. Poi sentì su una spalla una mano di Elieu.

— Non farci caso — le disse dolcemente il giovane. — Che ne dici di tornare ad Anuin insieme a noi? Sono impaziente di sentirti suonare quel flauto.

— Va bene — sospirò lei. — Verrò, visto che ci sei anche tu. Ma prima dimmi cosa devi riferire a mio padre. Dev’essere importante, se hai fatto tutta la strada da Isig fin qui al sud.

— Già! — Lei sentì una nota di timore superstizioso nella sua voce. — È una cosa che riguarda il Principe… il Portatore di Stelle.

Il grugnire dei porci si fece d’improvviso forte e concitato, quasi che anch’essi avessero riconosciuto quel nome. La guardiana si guardò attorno innervosita. Tesa come un arco Raederle chiese: — Ebbene?

— È una cosa che mi ha detto Bere, il nipote di Danan Isig. Devi aver già sentito raccontare di quella notte in cui Morgon trovò la spada nel posto più segreto del Monte Isig, la notte in cui con essa uccise dei cambiaforma che l’avevano assalito, salvando Bere e se stesso. Un giorno Bere ed io stavamo lavorando in fonderia, e lui mi domandò chi erano i Signori della Terra. Io gli dissi tutto ciò che ne sapevo, e gli chiesi il perché di quella domanda. Allora mi riferì di aver sentito Morgon dire a Danan e a Deth che nella Caverna dei Perduti, dove salvo Yrth non era mai entrato nessuno, ci sono molti bambini: i figli morti dei Signori della Terra. E disse che erano stati loro a dargli la spada stellata.

La guardiana dei porci lasciò cadere la pipa. Scattò in piedi con un movimento così rapido che Raederle ne fu sbalordita. La maschera di vaga ottusità con cui s’era celata i lineamenti era svanita, rivelando un affanno e una forza di carattere che lasciava intuire ben altre conoscenze che quelle riguardanti i maiali. E dalla sua bocca scaturì un Grande Urlo: — Cosa?

L’incredibile grido parve esplodere nell’aria come un fulmine a ciel sereno. Raederle, che s’era schiacciata le mani contro gli orecchi, vacillò e udì oltre al suo stesso gemito di protesta i nitriti dei cavalli terrorizzati, e gli ansiti e le imprecazioni degli uomini che si sforzavano in ogni modo di trattenerli. Ma subito dopo tutto intorno si levò un suono altrettanto inaspettato e terribile dell’urlo della guardiana: l’oltraggiato, agonizzante barrito di protesta con cui rispose l’intero branco di maiali di Hel.

Raederle riapri gli occhi. La guardiana dei porci s’era dileguata, come soffiata via dal suo stesso Urlo. Centinaia di verri e di scrofe, vicini e lontani, stavano ondeggiando e ammassandosi in preda a un panico folle; cacciavano strida selvagge e le loro schiene sembravano le onde di un mare in tempesta. Moltissimi maschi adulti si agitavano come imbizzarriti, con gli occhi chiusi, mentre i maialini stridevano schiacciati in quel marasma, e non poche scrofe gravide s’erano abbattute al suolo. I cavalli, sommersi in quella cacofonia e investiti dai bestioni che correvano qua e là, stavano soccombendo al terrore. Uno di essi indietreggiò travolgendo un enorme verro, e ambedue gli animali emisero versi che mescolandosi suonarono come un corno da battaglia. Nel polverone sollevato dalle zampe scalpitanti, dove riecheggiavano urla umane e nitriti, quello che era stato per nove secoli l’orgoglio di Hel si trasformò in una mandria impazzita che spinse e trascinò via per la radura uomini e cavalli. Raederle, che aveva rinunciato a tutta la sua compostezza femminile per arrampicarsi in fretta su una quercia, vide Raith lottare disperatamente col suo cavallo per raggiungerla al riparo fra gli alberi. Ma l’uomo venne costretto a prendere la fuga attraverso la radura con tutto il suo seguito, compreso Elieu, che piegato sulla sella del suo cavallo rideva da non poterne più. Il branco dei porci andò loro dietro e ben presto tutti quanti, uomini e bestie, scomparvero in distanza fra le piante. La fanciulla restò lì a cavalcioni di un ramo, con la testa che le doleva per i postumi dell’Urlo. Ma al pensiero del Nobile di Hel che galoppava fino alla sala del concilio del Re, follemente tallonato da tutti i suoi maiali terrorizzati, fu colta da un tale accesso di risa che rischiò di precipitare dall’albero.

Tre giorni più tardi, al tramonto, quando stanca per la lunga cavalcata entrò nel grande cortile della dimora di suo padre, scopri che in effetti alcuni dei maiali l’avevano preceduta fin lì. Le mura interne erano adorne degli stendardi dei nobili già arrivati al concilio. E su quello azzurro di Hel qualche spirito ameno aveva aggiunto a carboncino sette porci esausti. Fu costretta a fermarsi e rise ancora fino alle lacrime. Ma il suo umore si raffreddò alquanto allorché ricordò che adesso avrebbe dovuto affrontare Mathom. Mentre uno stalliere correva a prendere le redini del suo cavallo, la fanciulla si domandò perché mai dall’interno della reggia non giungevano voci né rumori. Stupita da quel silenzio salì gli scalini che portavano direttamente alla sala del trono, la cui porta era spalancata, e vide che in mezzo alle lunghe file di tavoli deserti e di sedie c’erano soltanto tre persone: Elieu, Duac e il Re. Nell’udire i suoi passi si volsero.

La giovane donna si fece avanti, esitante. — Dove sono tutti i nobili?

— Fuori — rispose secco Mathom. — Alla tua ricerca.

— L’intero concilio?

— L’intero concilio. Sono partiti cinque giorni fa. E c’è da presumere che, come i maiali di Raith, si siano dispersi in tutte e tre le parti di An. In quanto allo stesso Raith, l’ultima volta che è stato visto era occupato a riunire quanti più maiali poteva, in Aum. — La voce dell’uomo era rigida, ma nei suoi occhi non c’era rabbia: solo un velo, quasi che stesse contemplando pensieri del tutto diversi. — Non ti è balenato il sospetto che qualcuno avrebbe potuto preoccuparsi per te?

— Se devo dire la mia impressione — borbottò Duac nel suo boccale di vino, — mi è sembrata più la partenza per una partita di caccia che per una ricerca: smaniavano di gareggiare per stabilire chi avrebbe riportato a casa la preda. — Qualcosa nei suoi occhi disse a Raederle che lui e Mathom avevano discusso di nuovo. Il giovane fissò il padre. — E tu li hai lasciati volar via starnazzando come un branco di anatre. Dovresti poter esercitare ben altro controllo sui tuoi nobili. Non ho mai visto in vita mia un concilio degenerare in un tale caos, e a volere questo sei stato tu. Perché?

Raederle sedette accanto a Elieu, che le elargì un boccale di vino e un sorriso. Mathom era in piedi, e alle parole di Duac replicò con uno dei suoi rari gesti d’impazienza. — Non concepisci l’eventualità che io possa essere preoccupato per qualcuno?

— Non mi sei parso affatto sorpreso quando ti hanno detto che lei se n’era andata. E non mi hai chiesto di seguirla. L’hai forse fatto? No. Eri molto più ansioso di spedirmi a Caithnard. E intanto tu che avresti fatto?

— Duac! — Mathom schioccò le dita, esasperato, e il giovane chinò il capo. Il cipiglio del Re si spostò sulla figlia. — Ti avevo detto di stare alla larga da Hel. La tua iniziativa ha avuto delle conseguenze poco divertenti, sia sui maiali di Hel che sul mio concilio.

— Mi spiace, padre. Ma ve l’avevo detto che sentivo il bisogno di allontanarmi da casa per un poco.

— Così irrazionalmente? Cavalcando a spron battuto da qui a Hel e ritorno, senza scorta?

— Sì — rispose lei, e l’uomo emise un mugolio.

— Come posso pretendere ubbidienza dal mio popolo, quando non riesco neanche a tenere ordine in casa mia? — La domanda era retorica, visto che finiva sempre per ottenere sia dal popolo che dai suoi familiari tutto ciò che voleva.

Duac osservò, con stanca e ostinata pazienza: — Se tu provassi per una volta nella tua vita a spiegarci quello che pensi, forse le cose andrebbero più lisce. Forse farei lo sforzo di ubbidirti, perfino io. Cerca di tirar fuori due parole per farmi capire perché dovrei riportare Rood a casa, e perché la cosa è tanto imperativa. Tu dimmelo, e io ci andrò.

— State ancora litigando su questo? — chiese Raederle. Fissò il padre, incuriosita. — Perché volete che Duac riporti Rood a casa? Perché volevate che stessi lontana da Hel, quando sapete che nella terra di Raith sono al sicuro come nel mio giardino?

— Quand’è così — disse Mathom, ignorando la domanda, — Tu Duac, puoi scegliere: o vai a Caithnard a prendere Rood, oppure manderò semplicemente una nave con un ordine per lui. Cosa credi che preferirebbe?

— Ma perché…

— Lascia che ci si arrovelli pure le meningi. È stato addestrato per rispondere agli enigmi, e questo gli darà qualcosa a cui pensare.

Duac unì le mani, intrecciando le dita fino a farsi venire le nocche bianche. — Va bene — disse rigidamente. — Va bene. Ma io non sono un Maestro degli Enigmi, e ho bisogno che le cose mi vengano spiegate. E se non mi dici esattamente perché quello che diverrebbe il mio Erede dopo la tua morte deve venire qui, io giuro sulle ossa di Madir che tutti i fantasmi di Hel cavalcheranno attraverso questa porta prima che io riporti Rood ad Anuin.

Sul volto di Mathom ci fu una contrazione così angosciosa che Raederle ne fu sbalordita. Anche Duac la notò, e pur mantenendo la sua espressione ostinata fu scosso da un fremito. Poi allargò le mani, ma solo per afferrare allo spasimo il bordo del tavolo. — Tu vuoi lasciare An!

Il silenzio divenne così pesante che Raederle poté udire in distanza le strida dei gabbiani, sulla costa. Nel suo animo qualcosa di simile a un nodo duro lasciatole dall’inverno si sciolse all’improvviso. I suoi occhi si offuscarono di lacrime, e la figura del padre le apparve confusa e velata attraverso di esse. — Voi vi proponete di andare al Monte Erlenstar! Per domandare del Principe di Hed! Per favore… voglio venire con voi!

— No — rispose l’uomo sottovoce, quasi dolcemente.

Elieu girò la testa, spostando gli occhi dall’uno all’altro. Ansimò: — Mathom, non potete farlo. Perfino un pazzo capirebbe che…

— Ciò che mio padre ha progettato — lo interruppe Duac, — non è soltanto un semplice viaggio al Monte Erlenstar e ritorno. — Si alzò in piedi così bruscamente che la sedia stridette via sul pavimento. — È così?

— Duac, in un periodo in cui anche; muri hanno orecchi io non ho intenzione di rivelare i miei progetti al mondo intero.

— lo non sono il mondo. Io sono il tuo Erede della terra. Tu non ti sei mai sorpreso di niente in vita tua: né quando Morgon vinse quella gara di enigmi contro Peven, né quando Elieu ti ha detto del risveglio dei figli dei Signori della Terra. I tuoi pensieri sono calcolati come le mosse di una partita a scacchi, ma io sono convinto che neppure tu sappia esattamente contro chi stai giocando. Se tu non volessi altro che andare al Monte Erlenstar, non manderesti a chiamare Rood. Tu non sai dove stai andando, non è vero? Né ciò che vuoi trovare, e neppure quando potrai tornare indietro. E sai che se i Nobili delle Tre Parti di An fossero qui a udire queste parole, le loro grida farebbero staccare le travi dal soffitto. Eppure vuoi lasciare me a far fronte al clamore che ci sarà e vuoi sacrificare la pace della tua terra per qualcosa che non riguarda te, bensì soltanto Hed e il Supremo.

— Il Supremo! — La smorfia dura che fece torcere la bocca del Re parve dare un sapore sconosciuto a quel nome. — I sudditi di Morgon si rendono appena conto che al di fuori di Hed esiste un mondo. E se non fosse per alcuni fatti, mi verrebbe quasi da domandarmi se il Supremo sa che Morgon esiste.

— Questo non è affar tuo! Tu sei responsabile verso il Supremo per il governo di An, e se permetti che la tua autorità si sfaldi nelle Tre Terre…

— Non ho nessun bisogno che mi si ricordino le mie responsabilità!

— Come puoi startene lì e dirmi che intendi lasciare An per un periodo indefinito? Come puoi dirmi questo?

— Riusciresti a credermi, se ti dicessi che soppesando le due cose sulla bilancia la più leggera è una momentanea confusione in An?

— Momentanea confusione! — esclamò Duac. — Se tu finissi chissà dove e restassi assente da An troppo a lungo, getteresti questa terra nel caos. Rilassa il tuo controllo sulle Tre Parti di An, e vedrai i fantasmi dei defunti Re di Hel e di Aum prendere d’assedio Anuin, e l’ombra di Peven aggirarsi in queste stesse sale alla ricerca della sua corona. E se tu svanissi nel nulla come Morgon, tutta An precipiterebbe nella confusione e nel terrore.

— È possibile — ammise Mathom. — Ormai da troppo tempo nella sua storia An non ha altri avversari che se stessa. Riuscirà dunque a sopravvivere a se stessa.

— E un tale caos non ti sembra forse il peggiore dei destini? — gridò Duac, disperato e sbalordito dinnanzi all’espressione implacabile del Re. — Come puoi pensare di far questo alla tua terra? Non ne hai il diritto. E se non badi a ciò che fai, rischi di perdere il governo della terra!

Elieu si piegò in avanti, afferrando il giovane per un braccio. Raederle era rigida, incapace di trovare parole per placarli. Poi la fanciulla scorse con la coda dell’occhio uno sconosciuto, che il grido di Duac aveva fatto bruscamente fermare all’ingresso del salone. Era un individuo giovane e robusto, vestito molto semplicemente con panni di lana grezza e giubba in pelle di pecora; i suoi occhi girarono sullo sfarzo del locale uno sguardo meravigliato, quindi si fermarono stupiti sul gruppetto. La fanciulla notò sul suo volto rude ma sensibile una tale preoccupazione e un’angoscia che il suo cuore rallentò i battiti. Subito si mosse verso di lui, d’istinto, con la strana sensazione d’aver fatto un passo nell’irrealtà. Nell’atteggiamento di lei ci fu qualcosa che azzittì la lite del padre e del fratello. Mathom si volse. Lo sconosciuto si agitò a disagio, poi si schiarì la gola.

— Signori, io… sono Mastro Cannon. Sono il fattore che si occupa delle terre del Principe di Hed. E ho un messaggio per il Re di An da parte di… del Principe di Hed.

— Io sono Mathom di An.

Raederle fece un altro passo avanti. — E io sono Raederle — sussurrò, deglutendo un improvviso groppo di saliva che le s’era formato in gola. — Morgon è… Chi è il Principe di Hed?

La domanda fece ansimare Mathom. Mastro Cannon la fissò come ammutolito per qualche istante, poi rispose: — È Eliard.

Nell’incredulo silenzio che era piombato nel salone l’esclamazione del Re risuonò come una frustata: — Com’è successo?

— Nessuno… signori, nessuno lo sa esattamente. — Tacque, e parve vacillare. — Tutto ciò che Eliard sa è che Morgon è morto cinque giorni fa. Noi non sappiamo come, né dove, soltanto che è accaduto in circostanze misteriose e terribili. Eliard ha sognato molto spesso di Morgon l’anno scorso, e ha sentito che qualcosa… qualcosa come un potere senza nome opprimeva la mente di Morgon. E lui non… non sembrava in grado di liberarsi da esso. Alla fine, anzi, non sembrava neppure conoscere se stesso. Noi non sappiamo fare la minima supposizione su ciò che gli stava accadendo. Ma cinque giorni fa Eliard ha sentito che il governo della terra passava su di lui. Di conseguenza, ricordando quale fu il motivo per cui Morgon partì da Hed l’anno scorso, Eliard ha deciso… — Fece una pausa, mentre un flusso di rossore gli saliva alle guance. Si rivolse a Raederle, esitante e accigliato: — Signora, noi non sappiamo se voi avreste voluto decidere di venire a Hed. Voi sareste stata… più che benvenuta. E abbiamo pensato che fosse vostro diritto sapere questo. Io ero già stato una volta a Caithnard, così mi sono offerto di fare il viaggio fin qui.

— Vedo. — La fanciulla cercò di placare i tremiti che le avevano chiuso la gola. — Riferitegli… che io sarei venuta. Che sarei stata lieta di venire.

L’uomo chinò il capo. — Vi ringrazio d’aver detto questo, signora.

— Un anno! — sussurrò Duac. — Voi sapevate cosa gli stava accadendo. Lo sapevate. Perché non l’avete detto a nessuno? Perché non ci avete informati prima?

Mastro Cannon strinse i pugni. Con voce angosciata rispose: — È quello che… che anche noi ci domandiamo, adesso. Solo che… continuavamo a sperare. A Hed nessuno aveva mai chiesto aiuto ad altri, fuori dell’isola.

— Vi è giunto qualche messaggio dal Supremo? — chiese Elieu.

— No, niente. Ma non c’è dubbio che l’arpista del Supremo verrà a esprimerci le sue condoglianze per la morte di… — Si raddrizzò, cercando di scacciare l’amarezza dalla sua voce. — Mi spiace. Noi non possiamo… non possiamo neppure seppellirlo nella sua terra. Signori, io fuori da Hed sono ignorante come una pecora; uscendo da qui mi sarà perfino difficile ritrovare la strada per tornarmene a casa. Così vorrei domandare a voi se, qui sul continente, la morte di un governatore della terra è cosa tanto comune che il Supremo non se ne preoccupi neppure.

Duac fece per parlare, ma Mathom lo prevenne: — Niente affatto! — sbottò, secco. Incoraggiato dall’espressione dei suoi occhi Cannon fece qualche passo verso di lui. La sua voce si fece rauca:

— Allora cos’è successo, signore? Chi l’ha ucciso? E dove, se il Supremo stesso non si cura di dirci una parola, a chi possiamo rivolgerci per avere una risposta?

Il Re di An parve sul punto di cacciare un Urlo che avrebbe potuto far esplodere via le finestre del salone. In un sibilo disse: — Io ti giuro, su tutte le ossa dei miei antenati, che ti porterò questa risposa, dovessi tornare fuori dalla tomba per farlo!

Duac si premette i pugni sulla fronte. — E sarà quel che accadrà! — gridò, guadagnandosi un’occhiata sbigottita di Cannon. — Ma se te ne andrai vagando per il reame come un venditore ambulante, e quell’ombra che ha ucciso Morgon annienterà anche te, non venire a tormentare i miei sogni perché io non vorrò guardarti!

— E allora guarda la mia terra — disse Mathom sottovoce. — Duac, nel reame c’è qualcosa che divora la mente degli uomini, qualcosa che si agita nelle viscere della terra e che dentro di sé ha più odio di quanto ce ne sia nelle ossa dei morti di Hel. E quando verrà alla luce non ci sarà un filo d’erba di questa terra che non ne sarà sconvolto.

L’uomo uscì dal salone con tale rapidità che Duac ebbe un sussulto. Sbatté le palpebre, fissando il punto dove fino a qualche attimo prima Mathom era stato in piedi. Cannon disse, come annichilito: — Mi dispiace… signori, mi dispiace. Io non avrei mai creduto di…

— Non è stata colpa tua — disse gentilmente Elieu. Era pallido. Sfiorò una mano di Raederle, che lo guardò senza vederlo, e si volse a Duac. — Tornerò a Hel e resterò là. Farò tutto ciò che potrò.

Duac si passò una mano sulla faccia e fra i capelli. — Ti ringrazio. — Guardò Cannon. — Puoi credere a mio padre. Scoprirà chi ha ucciso Morgon e perché, e lo riferirà a voi anche se dovesse davvero uscire dalla tomba. Ha giurato di farlo, e i suoi giuramenti lo legano fin oltre la morte.

Cannon ebbe un brivido. — A Hed le cose sono molto più semplici. Le cose che muoiono restano morte.

— Vorrei che fosse così anche in An.

Raederle aveva girato gli occhi verso il cielo ormai scuro fuori dalle grandi finestre. Gli poggiò una mano su una spalla. — Duac…

Un vecchio corvo stava volando sopra il giardino. Indugiò un poco, poi si lasciò portare dal vento verso i tetti di Anuin. Duac lo seguì con lo sguardo, come se qualcosa in lui fosse legato al volo libero e lento dell’uccello nero. Con voce stanca disse: — Spero che non si trovi ad essere abbattuto da un cacciatore e messo in pentola per la cena.

Cannon lo fissò stupefatto. Raederle, con gli occhi ancora incollati al volatile che s’allontanava nel viola cupo del tramonto, sospirò: — Qualcuno dovrà recarsi a Caithnard per dirlo a Rood. Andrò io. — Poi si coprì gli occhi con le mani e pianse per quel giovane studente con la toga bianca dei Novizi che un giorno le aveva appoggiato una conchiglia all’orecchio, per farle sentire la voce del mare.

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