CAPITOLO QUINTO

Tristan non volle parlare a nessuno per due giorni. In quanto a Bri Corbett, trattenuto dal desiderio di riportarla indietro soltanto dal timore di finire nuovamente fra le navi di Ymris, l’uomo trascorse il primo di quei due giorni imprecando. Il pomeriggio successivo, cedendo alla muta e testarda determinazione di Tristan o semplicemente disgustato dalle proprie indecisioni, fece vela verso il nord. Quella sera stessa si lasciarono alle spalle la costa di Ymris. Dal mattino dopo tutto ciò che poterono vedere fu la distesa di foreste disabitate lungo la riva, e le spoglie interminabili colline che separavano l’interno di Herun dal mare, e pian piano cominciarono a rilassarsi un poco. Il vento era teso e costante; Bri Corbett ritrovò il suo rude buonumore da marinaio grazie alle ottime condizioni meteorologiche, e tenne occupati gli uomini coi lavori di bordo. Le guardie della Morgol, che detestavano l’inattività, fecero ginnastica e si allenarono al lancio del coltello contro una tavola poggiata al castello di poppa. Ma quando un rullio della nave provocò un lancio errato, e il coltello andò a tranciare il cavo di una drizza, Corbett insistette che quel tipo di addestramento avesse termine. Le ragazze si misero allora a pescare, con lunghe lenze a traino che gettavano dalla poppa. I marinai, che avevano notato la mortale precisione con cui le loro lame volavano al bersaglio, non rinunciarono a far loro la corte ma adottarono modi più cauti.

Raederle, dopo alcuni inutili tentativi di rientrare nelle grazie di Tristan, che sul ponte si teneva in disparte e scrutava costantemente verso il settentrione con cupa impazienza, rinunciò e pensò bene di lasciarla a se stessa. Ne approfittò per rilassarsi, lesse i libri di Rood, e suonò il flauto regalatole da Elieu di Hel, che s’era portata dietro da Anuin. Un pomeriggio uscì a sedersi sul ponte, suonò alcune canzoni popolaresche per divertire i marinai, poi eseguì delle melodie in voga alla corte di An, fra cui diverse ballate tristi e nostalgiche insegnatele da sua madre Cyone anni addietro. Infine, quando ebbe suonato una semplice aria melodica della quale non ricordava il titolo, abbassò il flauto e s’accorse che Tristan s’era appoggiata alla murata accanto a lei e la stava guardando.

— Questa è una canzone di Hed — osservò la fanciulla, accigliata. Raederle si mise il flauto sulle ginocchia, e cercò di ricordare dove l’avesse appresa.

— Credo che me l’abbia insegnata Deth.

Tristan esitò, indecisa. Dopo un poco si scostò dalla balaustra e si sedette al suo fianco sul coperchio del boccaporto. Ma il suo volto rimase privo di espressione, e non disse parola.

Raederle, con gli occhi sul flauto, mormorò: — Ti prego, cerca di capire. Quando è giunta notizia della morte di Morgon, a soffrire per quella perdita non è stata soltanto Hed, ma anche gente in ogni parte del reame, persone che lo avevano aiutato, che lo avevano amato, e che erano preoccupate per lui. Lyra ed io, e Corbett, volevamo risparmiare al reame, e specialmente al tuo popolo, altre paure e preoccupazioni per te. Hed sembra essere al centro di eventi spiacevoli in questi tempi, e non ha difese contro di essi. Noi non volevamo ferirti, ma non volevamo neppure che chi ti vuoò bene rischiasse di soffrire molto per causa tua, se dovesse accaderti qualcosa.

Tristan l’aveva ascoltata in silenzio. Rialzò lentamente la testa e appoggiò le spalle all’argano. — Non mi accadrà nulla di male. — Guardò un poco Raederle, e la sua voce fu un sussurro timido: — Tu avresti voluto sposare Morgon?

Raederle si morse le labbra. — Ho aspettato due anni che venisse ad Anuin per chiedere la mia mano.

— Vorrei che l’avesse fatto. Non è mai stato molto ragionevole. — Si circondò le ginocchia con le braccia e vi poggiò il mento, pensosa. — Ho sentito i mercanti dire che può assumere le sembianze di un animale. E questo ha spaventato Eliard. Tu puoi farlo?

— Cambiare forma? No. — Il flauto tremò fra le sue dita. — No.

— Hanno detto che… che la primavera scorsa ha trovato una spada stellata, e che ha ucciso con essa. Questa non mi è sembrata cosa da lui.

— No.

— Ma Grim Oakland ha detto che se qualcuno cercava di ucciderlo, lui non poteva star lì e lasciarglielo fare. Questo riesco a capirlo, è ragionevole, ma… dopo tutto ciò, con qualcuno che ha fatto per lui un’arpa e una spada, che gli appartengono per via delle stelle che ha sulla fronte, lui non sembra più appartenere a Hed. Mi è parso che non potesse più tornare indietro e fare quelle cose di ogni giorno che faceva una volta… dar da mangiare ai maiali, discutere con Eliard, fabbricare birra in cantina. Pensai che forse ci aveva lasciato per sempre, e che ormai fosse troppo diverso da noi.

— Capisco — annuì Raederle. — Anch’io ho provato qualcosa di simile.

— Così, a questo modo, non è stato terribile come avrei creduto quando morì. Terribile fu sapere… sapere cosa stava passando prima di morire, e non poter far nulla per… per… — La voce le si spezzò. Premette la bocca su un polso. Raederle si morse le labbra, con gli occhi fissi sull’ombra che il boma proiettava sulla tolda.

— Tristan, in An il passaggio del governo della terra è una cosa complicata e sconvolgente, così mi hanno detto. Come avere d’improvviso un terzo occhio per vedere nel buio, o un terzo orecchio capace di udire le cose sepolte nella terra… È questo che accade ai Principi di Hed?

— Non mi è sembrato così. — La fanciulla parve sollevata di doversi concentrare su quella domanda. — Eliard era nei campi quando la cosa gli successe. Mi ha detto che sentì all’improvviso tutto quanto… le foglie, gli animali, i fiumi, i semi, ogni cosa assumere un significato nuovo. Seppe che cos’era tutto ciò, e perché tutto cresceva o si muoveva. Ha cercato di spiegarmelo. Io ho risposto che quelle cose certo avevano un senso per lui anche prima, e che tutti sanno perché i semi crescono e le acque scorrono, ma lui ha detto che era diverso. Adesso poteva vedere tutto, molto chiaramente, e ciò che non vedeva lo sentiva. Non credo che sia riuscito a spiegarsi troppo bene.

— Ha sentito Morgon morire?

— No. Lui… — Tacque, stringendosi con forza le ginocchia. La sua voce si abbassò in un sussurro. — Eliard disse che questo fu perché Morgon, quando morì, doveva aver dimenticato perfino chi èra.

Raederle poggiò una mano su quelle di lei. — Scusami. Non volevo farti soffrire. Cercavo soltanto di…

— Buffo. Proprio come Morgon.

— No! — L’angoscia che vibrò nella sua voce costrinse Tristan a sollevare di scatto la testa, stupita.

La fanciulla restò un poco in silenzio, studiando il volto di Raederle come se la vedesse allora per la prima volta. Poi disse: — C’è una cosa che mi sono sempre domandata, in un angoletto della mente, fin da quando sentii dire che tu eri la seconda donna più bella di tutta An.

— Che cosa?

— Chi è la donna più bella di An? — Tristan arrossì al sorriso di Raederle, ma nei suoi occhi brillava una scintilla di timida curiosità. — Me lo sono chiesto spesso.

— La più bella donna di An è la sorella di Map Hwillion, Mara, che ha sposato il nobile Cyn Croeg di Aum. La chiamano il Fiore di An.

— E tu come sei chiamata?

— Soltanto la seconda donna più bella.

— Io non ho mai visto una ragazza bella quanto te. Quando Morgon ci disse del voto di tuo padre, e di te, io ebbi paura. Non riuscivo a immaginare come tu avresti potuto vivere a Hed, in casa nostra. Ma ora… ora non so. Vorrei tanto che le cose fossero andate in modo diverso.

— Anch’io — disse dolcemente Raederle. — E adesso, vuoi finalmente spiegarmi una cosa? Come, per tutte le stelle, sei riuscita a lasciare quella nave da guerra e a salire sulla nostra senza che Astrin, o Hereu, o Corbett o tutti i guerrieri se ne accorgessero?

Tristan sorrise. — Ho seguito il Re a bordo di quella nave, e quando è sceso l’ho seguito di nuovo. Lui non si è accorto che gli andavo dietro, e gli altri hanno pensato che lo facessi per suo ordine. Giù dalla passerella il Re ha voltato a sinistra e io a destra. Non mi è difficile passare inosservata. E conoscevo già una certa scialuppa.

Quella notte oltrepassarono il porto di Hlurle. Bri Corbett, a cui non sarebbe dispiaciuto imbarcare ancora un po’ di vino di Herun, suggerì di fare una breve sosta, ma Lyra gli fece osservare che a Hlurle c’erano venti guardie in attesa di scortare la Morgol a Corona. Il comandante decise quindi di approdare alquanto più a nord, in un porticciolo alla foce del turbolento Ose, dove tutti poterono scendere a terra e sgranchirsi le gambe. La cittadina era di piccole dimensioni, piena di pescatori e di cacciatori che usavano venire sulla costa due volte all’anno per vendere le loro pelli ai mercanti. Corbett acquistò del vino, tutte le uova e le verdure fresche che riuscì a trovare, e rinnovò la scorta d’acqua potabile. Lyra, Raederle e Tristan scrissero lettere che poi consegnarono ai mercanti diretti nel sud. Nessuno le riconobbe, e tuttavia l’intestazione delle lettere destò in quegli uomini un notevole stupore, e ripartirono fra la curiosità generale.

Tre giorni più tardi, a metà mattina, raggiunsero il porto di Kraal.

La città, tagliata dal Fiume Inverno, era un insieme di case in robusta pietra, coi tetti spioventi, atte a tener fuori il freddo e la neve nella stagione fredda che a Osterland era dura. Nell’entroterra poterono vedere per la prima volta la vastità delle desolazioni settentrionali, disabitate e boscose, confinanti all’orizzonte con le cime bianche di montagne lontanissime e velate di foschia. I moli erano occupati quasi per intero da molte navi mercantili, chiatte a remi dai colori vivaci, e imbarcazioni fluviali che nel salpare controcorrente sulle acque verdi e profonde procedevano lente, sfruttando il vento con abilità.

Corbett fu costretto a far manovra fra gli altri scafi con gran cautela, calcolando ogni oscillazione della nave e ogni soffio d’aria che gonfiava le vele. Prima di addentrarsi nel porto s’era messo al timone personalmente, e Raederle lo udì brontolare: — Questa corrente è così forte da staccarci le incrostazioni dalla chiglia. Non ho mai visto le acque così alte. Sul Passo Isig dev’esserci stato un inverno terribile.

Trovare un posto libero alla banchina e riuscire a incunearvi la nave fu un’operazione che richiese tutto il fiuto di Corbett e l’abilità dell’equipaggio. I mercanti dagli occhi acuti che si trovavano sui moli non s’erano certo lasciati sfuggire l’arrivo di una nave le cui vele azzure e porpora erano il contrassegno della casa reale di An, e nel vedere a bordo quelle insolite passeggere i commenti vivaci si sprecarono. Prima ancora che la catena dell’ancora scivolasse in mare tutte le ragazze, appoggiate alla murata, erano state riconosciute e identificate. Tristan restò a bocca aperta nell’udire il suo nome, seguito da un’osservazione a dir poco pungente sulle condizioni mentali di Bri Corbett, e stupita comprese che a bordo della nave attraccata alla loro sinistra c’era gente che sembrava saperla lunga sui fatti loro.

Corbett li ignorò, ma il volto gli si era scurito. Mentre abbassava la passerella disse a Raederle: — Se scenderete a terra non godrete di molta intimità in questa città, ma se non altro non faticherete a trovare qualcuno che vi faccia buona scorta. Io cercherò di trovare un’imbarcazione da fiume e dei rematori. Non sarà un mezzo veloce, e dovrà esser pagato. Però se aspettassimo che le acque del disgelo decrescano, o che si levi un vento favorevole, rischieremmo di veder sopraggiungere la nave della Morgol. E la cosa darebbe a questi mangiatori di pesce crudo, questi impiccioni alcuni dei quali non sanno che stanno per ingoiare i loro denti bacati, altri motivi per i loro stupidi pettegolezzi.

Il comandante cominciò a darsi da fare per trovare alla svelta una chiatta, i rematori e dei rifornimenti, con un’energia che, come Raederle ipotizzò, nasceva dal timore di veder comparire fra il traffico fluviale la vela azzurra di una nave da guerra di Ymris. La fanciulla scese a terra con Lyra, Tristan e le guardie della Morgol, per trascorrere il pomeriggio aggirandosi per la città. Vendettero alcuni anelli, acquistarono oggetti da toeletta, cenarono in una locanda piena di mercanti, di cacciatori e popolani di Osterland, quindi tornarono al porto. Qui trovarono i loro cavalli e i bagagli già trasferiti a bordo di una grossa chiatta allungata. Le ragazze salirono sul goffo vascello e si distesero sui giacigli che Corbett aveva preparato, così vicini fra loro che poterono mettere in comune le coperte. La chiatta, aiutata dal salire della marea nelle buie ore prima dell’alba, si lasciò alle spalle Kraal mentre tutte erano immerse nel sonno.

Il viaggio su per il fiume fu lungo, noioso e scomodo. Il corso d’acqua nasceva dall’Ose, a cui fungeva da scolmatore, ma la piena aveva invaso disastrosamente numerosi villaggi e fattorie. Risalire la corrente era difficile, e la chiatta doveva evitare continuamente grossi alberi sradicati, banchi di sabbia, fondali fangosi dove imputridivano le carogne di animali morti. Corbett era costretto a fermarsi spesso, imprecando, per far togliere di mezzo ammassi di cespugli sradicati fra cui non era raro trovare mobili provenienti da qualche casolare distrutto dalla piena. Una volta un rematore, spingendo via un cumulo di radici, ne liberò qualcosa che capovolgendosi rivelò un volto orrendamente rigonfio mentre la corrente lo trascinava via. Raederle, pallida come un cencio, udì l’ansito rauco di Tristan. Le acque stesse sembravano grigie e senza vita come i resti vegetali che trasportavano al mare. Dopo una settimana in cui non videro che acquitrini, alberi abbattuti, contadini che spalavano via fanghiglia e animali morti dai loro campi, e cose innominabili che urtate dai remi sollevavano verso di loro occhi morti o arti scarnificati, perfino le guardie della Morgol cominciarono a dar segni di angoscia. Un giorno Lyra sussurrò a Raederle: — È roba di questo genere che viene giù dal Monte Erlenstar? Se è così, mi fa paura.

All’altezza della biforcazione, dove il fiume Inverno si staccava dall’Ose, le acque finalmente si schiarirono assumendo un freddo tono bianco-azzurro. Corbett fece accostare alla riva, poiché l’imbarcazione non avrebbe potuto proseguire su quel fondale impervio. Lì essi scaricarono i loro bagagli, pagarono e rematori e rimandarono la chiatta giù per il fiume silenzioso e invaso dalle ombre.

Tristan, seguendo con gli occhi l’imbarcazione che spariva oltre un’ansa alberata, mormorò: — Non m’importa se dovrò tornare a casa a piedi, ma su quel fiume non viaggerò più, né viva né morta. — Poi si volse e sollevò lo sguardo verso la mole verde di vegetazione del Monte Isig, che si ergeva come un’immensa sentinella prima del Passo. La località era circondata da montagne in ogni direzione: a nord-ovest c’era il Monte Fosco, ai cui piedi abitava il Re di Osterland, mentre a nord-est si levavano i picchi fra cui serpeggiava l’Ose. Da quella parte il sole del mattino stava illuminando la vetta del lontano Monte Erlenstar, scintillante di nevi eterne. La luce sembrava trasformare le vallate ombrose e le immense rocce che racchiudevano il Passo nelle pareti di una strana e affascinante dimora aperta e priva del tetto.

Bri Corbett, divenuto ciarliero al ricordo di nomi e di vecchie storie a cui non ripensava da anni, le condusse a cavallo lungo la riva dell’Ose in direzione del Passo. Il vento tiepido che soffiava dal deserto entroterra del reame fece scordare loro il grigio e funebre fiume che s’erano lasciati alle spalle.

Trovarono alloggio per la notte in un borgo di contadini situato all’ombra dell’Isig. Il pomeriggio successivo giunsero a Kyrth, e videro infine i dirupi granitici scavati e affilati dalle acque dell’Ose oltre i quali c’era il Passo vero e proprio. La luce del sole sembrava saltare come una capra di montagna di picco in picco, e nell’aria frizzante c’era l’odore dei ghiacci che si scioglievano. Si fermarono a riposare a un incrocio, sulla strada che a destra portava a Kyrth ed a sinistra oltre un ponte si perdeva verso l’Isig. Raederle sollevò la testa. Sopra di loro gli antichi alberi che crescevano sui declivi erano un mare di verde, che più in alto sembrava confondersi nell’azzurra foschia del cielo. Seminascosta fra essi c’era una grande fortezza dalle mura scabre, scure, sormontata da torrette, le cui finestre sembravano sfaccettati e multicolori occhi da insetto. Dal suo interno si levavano spirali di fumo; sulla strada che spiraleggiava fra gli alberi un carro saliva verso di essa. Le arcate del portone, poderose e massicce come le rocce su cui sorgeva, davano accesso al cuore della montagna.

— Avrete bisogno di rifornimenti — disse Bri Corbett, e Raederle distolse la mente dagli alberi con uno sforzo.

— Perché? — chiese, stancamente. La sella dell’uomo scricchiolò quando si volse a indicarle il Passo. Lyra annuì.

— Ha ragione. Non possiamo cacciare o pescare lungo la strada. Abbiamo bisogno di cibo, qualche coperta, e un cavallo per Tristan. — Anche la voce di lei suonava sfinita, stranamente atona nel silenzio delle montagne. — Da qui fino al Monte Erlenstar non troveremo né un rifugio né un luogo adatto alla sosta.

— Il Supremo sa che stiamo arrivando? — chiese Tristan all’improvviso. Gli occhi di tutti si volsero istintivamente al Passo.

— Suppongo di sì — disse Raederle dopo un istante. — Dovrebbe saperlo. Non ci avevo ancora pensato.

Corbett si schiarì la gola, innervosito. — Vi state avventurando sul Passo proprio come loro.

— Non possiamo navigare sul fiume, e non possiamo volare. Potete suggerirci una soluzione migliore?

— Sì. Suggerisco che spieghiate a qualcuno ciò che intendete fare, prima di buttarvi alla cieca in quella che per il Principe di Hed è stata una trappola mortale. Dovreste informare Danan Isig che siete nella sua terra e che state per attraversare il Passo. Se non dovessimo più tornare indietro, almeno nel reame ci sarebbe qualcuno al corrente di dove siamo svaniti.

Raederle tornò a osservare la grande dimora del Re, silenziosa e senza età sotto il cielo colmo di luce. — Io non ho nessuna intenzione di svanire — mormorò. — Quasi non riesco a credere davvero d’essere qui. Questa è la grande tomba dei figli dei Signori della Terra, il luogo in cui quelle tre stelle furono scolpite da qualcuno le cui mani ubbidivano a un destino più antico del reame stesso… — Con la coda dell’occhio vide Tristan irrigidirsi, e la sua testa scattare in un tremito.

— Questo non poteva aver niente a che fare con Morgon! — esplose la giovinetta, sorprendendoli. — Lui non ha mai saputo niente di una terra come questa. Hed potrebbe scomparire come un sasso in queste immense lande. Come avrebbe potuto qualcosa… o qualcuno attraversare le montagne, i fiumi, il mare, e arrivare lontano fino a Hed per mettere quelle stelle sulla sua fronte?

— Questo nessuno lo sa — disse Lyra con insolita dolcezza. — Perciò siamo qui. Per domandare al Supremo. — Si volse a Raederle e sollevò un sopracciglio. — È il caso di parlare con Danan?

— Potrebbe sollevare obiezioni. E io non ho voglia di discutere. Questa è una fortezza con una sola porta, e nessuno di noi sa che tipo sia Danan Isig. Perché dovremmo angustiarlo con faccende sulle quali egli infine non può far nulla in un senso o nell’altro? — Nell’udire il sospiro di Corbett si volse. — Voi potreste rimanere qui a Kyrth mentre noi attraversiamo il Passo. Se non tornassimo indietro, potreste riferire l’accaduto. — La risposta dell’uomo fu quasi un’imprecazione, e lei sollevò le mani. — Benissimo, se è così che la pensate…

Lyra fece volgere il cavallo verso la città. — Vuol dire che manderemo a Danan un messaggio.

Corbett ebbe un gesto secco. — Un messaggio? Con dozzine di locande e di taverne piene fino al tetto di mercanti, i pettegolezzi gli arriveranno molto prima di qualunque messaggio.

Mentre attraversavano la periferia, Raederle si disse che di certo l’ipotesi di Corbett era ben fondata. La città si estendeva lungo la curva esterna dell’Ose, e il porto era pieno di battelli fluviali e di zatteroni carichi di pellicce, metalli, armi, vasellame pregiato e gemme lavorate nelle botteghe di Danan Isig, tutti ormeggiati saldamente per resistere alle acque vorticose. Lyra incaricò tre guardie di cercare un cavallo per Tristan, e mandò le altre ad acquistare cibarie e recipienti in cui cucinarle. In una stradicciola dove stagnava il sentore delle concerie trovò una bottega dove vendevano giacigli adatti a chi dovesse accamparsi all’aperto, e in un negozio di stoffe comprarono pesanti coperte pelose. Contrariamente alle previsioni di Corbett furono pochissimi quelli che parvero riconoscerle; ma la stagione fredda aveva costretto marinai e mercanti a un lungo isolamento, e l’arrivo di facce nuove provocava curiosità, interesse e commenti che ovunque s’intrecciavano alle loro spalle. Corbett borbottò qualcosa, nel sentirsi chiamare da una voce, e mentre Raederle e le altre due entravano ad acquistare le coperte attraversò la strada e salutò un conoscente, che lo trascinò a bere un boccale in una taverna vicina. Nel negozio le tre ragazze si distrassero esaminando stoffe, le bellissime pellicce e gli spessi tessuti di lana locale. Tristan perse gli occhi su un abito finissimo di stoffa verdolina, e lo palpeggiò con espressione smarrita, poi deglutì saliva e lasciò che Lyra le misurasse addosso un robusto abito da viaggio di panno e velluto. Spesero quasi tutto il denaro che avevano, e quando uscirono dalla bottega, con le braccia cariche di involti, si guardarono intorno alla ricerca di Bri Corbett.

— Dev’essere entrato in qualche taverna — disse Raederle. E poi, irritata perché le facevano male i piedi e non le sarebbe dispiaciuto sedersi davanti a un boccale di vino: — Avrebbe almeno potuto aspettarci! — Alzando lo sguardo sopra i tetti degli edifici vide le scure e immense muraglie di granito che si perdevano verso ovest, e il Passo stesso, dove la luce del sole assumeva riflessi glaciali sulla cima dei picchi desolati. Respirò a fondo, cercando di scacciare il brivido di paura che quella vista riusciva a darle, e per la prima volta da quando avevano lasciato An si chiese se davvero avrebbe avuto il coraggio di affrontare il Supremo faccia a faccia.

Mentre aspettavano senza sapere da che parte dirigersi il crepuscolo si scurì ancora, e ombre sfumate di porpora e di grigio scivolarono sulle rupi intorno al Passo. Soltanto una montagna, in lontananza, catturava ancora con la sua vetta i pieni bagliori del sole; poi esso tramontò, e anche quegli immani contrafforti di roccia e di ghiaccio impallidirono di cupi riflessi lunari. Raederle non riusciva a distogliere gli occhi da quell’immagine lontana, e quando Lyra le diede di gomito ebbe un sussulto.

— È quello là il Monte Erlenstar? — le chiese la bruna.

— Non lo so. — Con sollievo Raederle vide finalmente Bri Corbett, che sbucato da una taverna stava attraversando la strada. Nel fermarsi davanti a loro l’uomo apparve palesemente imbarazzato, a corto di parole. Aveva il volto arrossato, e sudava malgrado l’aria fresca; si tolse il berretto, si passò una mano fra i capelli e se lo rimise. Poi parlò guardando Tristan, quasi che rivolgendosi alle altre due fosse in quel momento troppo per lui: — Dobbiamo salire sul Monte Isig, adesso, a parlare con Danan Isig.

— Corbett, cosa c’è che non va? — chiese Raederle, allarmata. — Forse c’è qualcosa… sul Passo?

— Sul Passo voi non ci andrete. Ve ne tornerete a casa.

— Cosa?

— Ripartiremo per il sud domattina; c’è una chiatta che sta per discendere l’Ose fino a…

— Corbett — disse Lyra seccamente. — Non ci sposteremo neppure da qui dove siamo in questo momento, senza una chiara spiegazione!

— Avrete spiegazioni finché ne volete, presumo, da Danan Isig. — Con gesto inaspettato, esitante, poggiò una mano sulla spalla di Tristan. Sul suo volto solitamente poco espressivo si susseguivano fremiti simili a lievissime smorfie. Di nuovo si levò il cappello, e con un gesto che fece trasalire le tre ragazze lo scaraventò in mezzo alla strada. — Tristan… — disse. Raederle depose al suolo gli involti e si portò una mano alla bocca.

— Sì? — mormorò Tristan, sbattendo le palpebre.

— Io non… non so come dirvelo.

Il volto della fanciulla si sbiancò di colpo. Sbarrò gli occhi in quelli di Corbett. — Signore, si tratta di… Eliard?

— No. Oh, no. Riguarda vostro fratello Morgon. È stato visto a Isig solo tre giorni fa, alla corte del Re di Osterland. È vivo.

Le dita di Lyra, strette intorno a un gomito di Raederle, si fecero così rigide da strapparle un gemito di dolore. Tristan abbassò la testa, i capelli le ricaddero come un sipario davanti al viso. La fanciulla restò talmente immobile che gli altri tre non capirono che stava piangendo finché un singhiozzo terribile, rauco e angoscioso, non le scaturì dalla gola. Bri Corbett le mise dolcemente un braccio attorno alle spalle.

— Corbett! — sussurrò Raederle. L’uomo si volse a guardarla.

— Alcuni mercanti lo hanno saputo da Danan Isig stesso. Potrà confermarvelo se salirete a parlargli. Il mercante con cui ero poco fa ha detto… altre cose. Ed è meglio che le sentiate da Danan Isig in persona.

— Va bene — disse lei, stordita. — Va bene. — Prese gli involti di Tristan e li consegnò a Corbett, seguendolo poi verso il luogo dove avevano lasciato i cavalli. Ma nel volgersi vide gli occhi di Lyra ancora vacui per lo sbalordimento, scuri come le ombre che più indietro si addensavano sul Passo e sulle sorgenti dell’Ose.

Prima di uscire di città incontrarono due delle guardie della Morgol. Lyra le invitò in poche parole a cercare alloggio a Kyrth, e le ragazze accettarono quel cambiamento di programma senza far commenti, ma non nascosero una certa sorpresa. I quattro montarono in sella e attraversarono il ponte, seguendo la strada che risaliva obliquamente le pendici della montagna. Nell’oscurità e nel silenzio i tonfi degli zoccoli dei cavalli si smorzavano fra gli abeti. Il percorso terminava direttamente nel grande portone ad arco della dimora di Danan Isig, aperto, e al di là di esso si trovarono nel grande cortile interno. Nelle botteghe artigianali e nelle fonderie non c’era alcuna attività, ma mentre stavano attraversando il largo spiazzo oscuro la porta di una delle officine si aprì d’improvviso. Nella luce rossastra delle torce un ragazzo giovane, che ne era sbucato fuori in fretta con un oggetto metallico fra le mani, per poco non andò a sbattere nel cavallo di Corbett.

L’uomo fu svelto ad arrestare l’animale con un colpo di redini, e il giovinetto, girando su di loro uno sguardo sorpreso, accarezzò il muso del cavallo come per scusarsi e per calmarlo. Era robusto, con capelli neri scarmigliati e un volto tranquillo. Sbatté le palpebre nel vedere che tre di loro erano ragazze giovani, e disse: — A quest’ora sono tutti a cena. Ma avvertirò Danan che abbiamo ospiti. Signori, volete cenare con noi?

Quell’invito informò Corbett che non avevano a che fare con un semplice artigiano. — Ehi, ragazzo, non sarai per caso i figlio di Rawl Ilet, con quei capelli? — chiese, burbero.

Lui annuì. — Sì. Sono Bere.

— Io sono Bri Corbett, capitano di nave al servizio di sua maestà il Re Mathom di An. Ho navigato spesso con tuo padre, quando facevo il mercante. Le signore che vedi con me sono: la figlia di Mathom, Principessa Raederle di An; Lyra, Erede della Morgol di Herun, e la Principessa Tristan di Hed.

Gli occhi di Bere si spalancarono a quelle presentazioni, fissandosi ora su un volto ora sull’altro. Ebbe un movimento istintivo, quasi che stesse per cedere all’impulso di correre dentro e di gridare a tutti la notizia, ma si controllò. — Danan è nel salone. Andrò subito a… — Ma nonostante l’eccitazione che gli vibrava nella voce non si mosse, anzi si accostò al cavallo di Tristan. Lo tenne fermo per la cavezza e porse una mano alla fanciulla. Tristan abbassò su di lui uno sguardo stupito, e ci mise qualche attimo prima di capire che poteva lasciarsi aiutare a smontare. Ma appena scesa lo vide voltarsi e correre via attraverso il cortile, spalancare di botto il portone da cui uscì un fiotto di luce e precipitarsi dentro, gridando: — Danan! Danan!… Danan!

Bri Corbett, notando la perplessità che era rimasta sul volto di Tristan, le spiegò, divertito: — Tuo fratello gli ha salvato la vita.

Bere tornò quasi subito fuori, seguito dal Re di Isig. Costui era un uomo alto e robusto, i cui capelli color cenere conservavano ancora qualche traccia d’oro rosso. Aveva il volto abbronzato e rugoso come una corteccia d’albero, fornito di un’espressione imperturbabile che tuttavia nel vedere i nuovi venuti sembrava alquanto vicina a incrinarsi.

— Signore, è un privilegio darvi il benvenuto nella mia dimora — disse. — Bere, pensa tu ai loro cavalli. Mi stupisce molto che voi siate in viaggio insieme, e così lontano dalla vostra terra. Devo confessare che non mi era giunta voce del vostro prossimo arrivo.

— Quando ci siamo messe in viaggio per il Monte Erlenstar — spiegò Raederle, — non abbiamo comunicato a nessuno la nostra partenza. Ci eravamo fermate a Kyrth ad acquistare rifornimenti allorché Corbett… il capitano Corbett, ci ha dato una notizia tale che stentiamo a crederla. Così siamo venute qui per domandarvene conferma. Riguarda Morgon.

La fanciulla sentì gli occhi del Re studiarla un istante, e ricordò che l’uomo aveva la capacità di vedere nel buio. Danan disse: — Andiamo dentro — ed essi lo seguirono nel salone. Sulle pareti di pietra massiccia lingueggiavano i riflessi del fuoco e le ombre, come una mobile tappezzeria. Le chiacchiere eccitate dei minatori e degli artigiani, prive di risonanza quasi che il silenzio della pietra le assorbisse, si smorzarono. Attraverso il pavimento serpeggiavano canaletti d’acqua, che nella penombra tracciavano riflessi fiammeggianti di luce, e le torce si riflettevano in mille barbagli sulle gemme grezze incastonate nelle pareti. Danan si fermò soltanto per mormorare qualche istruzione all’orecchio di un servo, poi fece loro strada verso una larga scala a spirale che saliva all’interno di una torre granitica. Giunto su un pianerottolo rallentò il passo per scostare una pesante tenda di pelliccia bianca.

— Sedetevi — li invitò, appena furono entrati. I quattro si accomodarono sulle sedie e sui grossi cuscini ricoperti di pelle e pelliccia. — Mi sembrate stanchi e affamati. Ho ordinato di portare del cibo, e mentre vi rifocillate io vi dirò ciò che posso.

Tristan, che malgrado un’ostentata calma era sempre più stupita e meravigliata, chiese a Danan: — Voi, signore, siete quello che gli ha insegnato a trasformarsi in un albero?

Lui sorrise. — Sì.

— A Hed ci è sembrata una cosa talmente strana. Eliard non riusciva a capire come Morgon potesse farlo. Provò a restare immobile fra gli alberi di mele, e poi disse che non capiva cosa facesse Morgon coi… coi suoi capelli, e come potesse respirare… Eliard. — Le mani di lei erano attanagliate ai braccioli della sedia. Nel guardarla, gli altri notarono che a tratti lo sguardo le brillava di gioia, ed a tratti si scuriva per il dubbio e la stanchezza. — Lui sta bene? Morgon sta bene?

— Così mi è parso.

— Ma io non capisco! — lo supplicò quasi lei. — Lui ha perduto il governo della terra. Come può essere vivo? E se è vivo, com’è possibile che stia bene?

Danan fece per rispondere ma tacque, vedendo che entravano dei servi con vassoi di cibi caldi e bevande. Attese che il fuoco fosse acceso, poiché a quell’altitudine le sere erano ancora fredde, e che le ragazze si lavassero le mani e il viso. Quando poi furono sedute a mangiare disse, col tono un po’ vago di chi racconta una favola: — Sette giorni or sono, mentre me se stavo in cortile a passeggiare e a guardare il tramonto, vidi un viandante entrare dal portone. E mentre veniva verso di me, e nel crepuscolo la sua figura usciva pian piano dall’ombra, mi parve di riconoscerlo per qualcuno che avevo già visto… qualcuno che non avrei creduto di rivedere mai più. Restai ad aspettarlo, e allorché mi resi conto che era Morgon stranamente non provai alcun stupore, poiché il suo volto mi era tanto familiare che per me era come se fosse partito dalla mia casa solo pochi minuti prima, tornando subito indietro. Lo condussi alla luce, e con sorpresa mi accorsi che era invece alquanto cambiato. Lo trovai smagrito, di quella magrezza che non è data dalla fame quanto dai pensieri, e notai anche che alle tempie aveva qualche capello bianco. Restò a parlare con me fino a tarda notte, mi disse molte cose, e tuttavia io ebbi l’impressione che nel fondo dei suoi ricordi ci fosse qualcosa di oscuro, qualcosa che non voleva condividere con me. Disse che sapeva di aver perduto il governo della terra, e mi chiese notizie di Hed, ma di questo non potei dirgli quasi nulla. Mi pregò di far circolare fra i mercanti la notizia che era vivo, affinché voi lo sapeste.

— Ma sta tornando a casa? — lo interruppe Tristan. Danan annuì.

— Sì, a quanto ho capito, ma… mi disse che stava usando ogni goccia dei poteri e delle abilità che aveva appreso per restare in vita…

Lyra si sporse in avanti. — Cosa intendete con «appreso»? Ghisteslwchlohm gli aveva insegnato qualcosa?

— Ebbene, in un certo senso. Forse senza volerlo. — L’uomo si accigliò. — Strano che lo sappiate. Chi ve lo ha detto? Sapete anche chi fu a intrappolare Morgon?

— Mia madre lo ha intuito. Ghisteslwchlohm fu anche alla Scuola di Caithnard sotto falsa identità, al tempo in cui Morgon studiava là.

— Sì, me lo ha detto. — I suoi occhi tranquilli ebbero un lampo duro. — Dovete sapere che il Fondatore di Lungold cercava qualcosa nella mente di Morgon, un frammento di conoscenza o… comunque, quando lo ebbe intrappolato tentò di frugare dentro di lui, scandagliando i suoi ricordi, i suoi pensieri, e nella frenesia di rivoltare la memoria di lui fin negli angoli più reconditi fu costretto ad aprire la sua stessa mente, e Morgon poté così vedere le sue segrete riserve di poteri occulti. Fu grazie a ciò che egli riuscì infine a strappar via se stesso dagli artigli di Ghisteslwchlohm, poiché lesse nella mente del mago quale fosse la sua forza e quale fosse la sua debolezza, usando quindi i suoi stessi poteri contro di lui. Fu una lotta che durò molti mesi, e Morgon mi disse che verso la fine le loro menti erano talmente ingarbugliate l’una nell’altra che non capiva più quale fosse la sua e quale quella del mago, specialmente dopo che l’avversario aveva strappato via da lui tutto l’istinto del governo della terra. Ma quando finalmente egli riuscì a passare dalla difesa disperata all’attacco, allora ricordò di nuovo se stesso e il suo nome, e seppe che in quel lungo, oscuro, spaventoso anno di lotta la sua forza era cresciuta superando perfino quella del Fondatore di Lungold…

— Che cosa ha detto del Supremo? — sussurrò Raederle. La ragazza aveva l’impressione che qualcosa fosse mutato intorno a lei: le solide pietre del caminetto, le pareti della torre, la fortezza e le montagne che la circondavano le apparivano misteriosamente fragili, evanescenti. La luce stessa non era che un palpito nell’immensa tenebra che stringeva d’assedio il mondo. Tristan aveva chinato il capo e i capelli le celavano il viso; Raederle intuì che stava piangendo in silenzio. Un grumo d’angoscia in fondo alla gola la costrinse a deglutire, e strinse i pugni per farsi forza. — Cosa… perché il Supremo non lo ha aiutato?

Danan sospirò profondamente. — Morgon non me l’ha rivelato. Ma da ciò che mi disse, penso di averlo intuito.

— E Deth, l’arpista del Supremo? — sussurrò Lyra. — Ghisteslwchlohm lo ha forse ucciso?

— No — disse Danan, e il tono della sua voce fece sollevare la testa anche a Tristan. — Per quanto ne so è vivo. E riguardo a lui c’è una cosa che Morgon vuol fare, prima di tornare a Hed. Deth lo ha tradito, consegnandolo inerme nelle mani di Ghisteslwchlohm, e Morgon è deciso a ucciderlo.

Tristan si portò le mani alla bocca. Lyra si alzò di scatto, mandando un bicchiere a frantumarsi sul pavimento, e nel voltarsi inciampò sulla sedia. A passi rigidi attraversò la stanza fino alla finestra, ciecamente, e giunta lì si fermò poggiando le mani sui vetri. Bri Corbett borbottò qualcosa di incomprensibile. A dispetto della forza con cui stringeva i pugni, Raederle sentì le lacrime affiorarle agli occhi. Cercando di tener la voce sotto controllo disse: — Questo mi sembra incredibile. Non è da loro comportarsi così.

— Forse — disse Danan, ma il suo tono fu di nuovo duro. — Ma le stelle che sono sulla fronte di Morgon hanno origine da qualcosa che accadde qui fra queste montagne; e le stelle sulla sua spada e sull’arpa furono intagliate anch’esse qui un migliaio d’anni prima della sua nascita. Noi stiamo toccando la soglia del nostro destino, e forse il massimo che possiamo sperare è di intuirne vagamente i termini. Io ho scelto di mettere tutte le mie speranze in quelle stelle, e in quel Portatore di Stelle di Hed. Per questo motivo, e su sua richiesta, io non accoglierò più l’arpista del Supremo nella mia casa, e non gli permetterò di mettere piede entro i confini della mia terra. Ho diramato quest’ordine al mio popolo, e anche ai mercanti perché lo trasmettano altrove.

Lyra si volse. Non aveva pianto, ma il suo volto era pallidissimo. — Dov’è lui? Morgon, intendo.

— Mi ha detto che stava andando a Yrye, per parlare con Hàr. Sulle sue tracce ci sono i cambiaforma; è costretto a spostarsi incessantemente da luogo a luogo, ed a mutare forma di continuo per non essere identificato. Quando quella notte a mezzanotte uscì dalla soglia della mia casa, svanì all’istante… un refolo di cenere, un piccolo animale notturno… non so che forma abbia preso. — Tacque un poco, poi aggiunse stancamente: — Gli ho detto di lasciar perdere Deth, visto che i maghi cercheranno sicuramente di ucciderlo, e poiché ha da contrastare i più terribili poteri che esistano al mondo. Ma lui mi ha risposto che talvolta, mentre giaceva esausto in quel luogo, con la mente vuota, quasi distrutto dai continui assalti di Ghisteslwchlohm, aggrappandosi come a un’ancora di salvezza alla sua stessa disperazione poiché non aveva altro che gli appartenesse, poteva sentire Deth che componeva nuove canzoni sulla sua arpa… Ghisteslwchlohm, i cambiaforma, questi poteva in qualche modo almeno capirli. Ma non Deth. Morgon è stato profondamente ferito, ed è amareggiato…

— Credevo che aveste detto che stava bene — sussurrò Tristan. Strinse i denti. — Da che parte è Yrye?

— Oh, no! — stabilì con energia Corbett. — No. Inoltre a quest’ora lui avrà di certo già lasciato Yrye. Nessuna di voi farà un passo più a nord. Ci imbarcheremo e andremo dritti giù per l’Inverno fino al mare, e poi a casa. Tutti quanti. In questa storia c’è qualcosa che puzza più di una stiva piena di pesci marci.

Nella stanza ci fu una pausa di silenzio. Tristan teneva il capo chino, ma nella linea della sua mandibola Raederle lesse un’incrollabile testardaggine. Lyra voltava loro le spalle, e la sua schiena rigida sembrava parlare con altrettanta chiarezza. Corbett prese il loro silenzio per un assenso e sorrise soddisfatto.

Prima che una delle due ragazze aprisse bocca per distruggere le sue illusioni, Raederle cambiò argomento: — Danan, mio padre ha lasciato An oltre un mese fa in forma di corvo, con lo scopo di scoprire chi aveva ucciso il Portatore di Stelle. Avete avuto notizie di lui? Penso che fosse diretto al Monte Erlenstar; potrebbe essere passato di qui.

— Un corvo!

— Ecco, lui… lui è qualcosa di simile a un cambiaforma.

Danan s’era accigliato. — No. Mi spiace. Voleva andare direttamente al Monte Erlenstar?

— Non lo so. È sempre stato difficile dire cosa intendesse fare. Ma perché? Certo Ghisteslwchlohm non sarà ancora in agguato da qualche parte, là sul Passo. — Nella sua mente tornarono le immagini delle grigie e silenziose acque del Fiume Inverno, che scendevano dal Passo trascinando orride cose informi e morte nei loro gorghi. Qualcosa le chiuse la gola. Sussurrò: — Danan, io non capisco. Se Deth è stato con Ghisteslwchlohm per tutto quest’anno, perché il Supremo non ci ha avvertiti di questo tradimento? Se adesso io vi dicessi che domani intendiamo partire, attraversare il Passo e recarci al Monte Erlenstar a parlare col Supremo, voi quale avvertimento avreste da darci?

L’uomo alzò una mano come per placarla. — Tornate a casa — disse dolcemente. Ma evitò di guardarla negli occhi. — Lasciate che Bri Corbett vi riporti a casa vostra.

Quella notte, dopo che ebbero parlato a lungo, ciascuno fu condotto in una stanza della torre di Vert, la figlia di Danan, ma Raederle restò seduta a pensare. Le spesse mura di pietra erano fredde; sulle montagne la primavera non aveva ancora scacciato i rigori dell’inverno, e lei aveva acceso un po’ di fuoco nel caminetto. Con le braccia strette intorno alle ginocchia fissò lo sguardo nel fuoco. Le fiammelle guizzavano nei suoi occhi come pensieri. I frammenti delle sue conoscenze erano le scintille che scoppiettavano fuori dalle braci; nascevano informi, balenavano un attimo e sparivano di nuovo nell’informità. In qualche luogo della sua mente, lo sentiva, legati per sempre alla sua memoria, c’erano i figli morti dei Signori della Terra; il fuoco che le illuminava le mani avrebbe potuto estrarli dalla loro oscurità, ma non sarebbe riuscito a render loro il calore della vita. Le stelle che erano state concepite nella stessa tenebra, che erano state portate alla luce e forgiate nella loro forma finale nella casa di Danan Isig, bruciavano dinnanzi a lei come domande, ma non le offrivano alcuna risposta su quale fosse il loro posto nel grande mosaico degli avvenimenti. Nei suoi ricordi erano oggetti sconosciuti che si limitavano a splendere, come la pietra che Astrin le aveva dato. Di nuovo rivide il volto misterioso che era stato sul punto di sollevarsi, di rivelare la sua identità. Un’altra faccia scivolò sullo schermo della sua mente, quella riservata e altera dell’arpista che aveva aiutato le sue dita incerte a poggiarsi sul suo primo flauto, che con la sua arpa senza eguali e la sua perspicacia era stato per secoli l’emissario del Supremo. Quella faccia era stata soltanto una maschera: l’amico che aveva fatto da guida a Morgon fuori dalla sua isola, portandolo verso la sua distruzione, era stato per secoli null’altro che uno sconosciuto.

Ebbe un brivido. Le fiammelle si abbassarono e tornarono a rialzarsi. Le cose non quadravano, niente le sembrava logico. Le tornò in mente la storia di Ylon e dell’arpa che l’aveva chiamato al mare, quel mare da cui lei stessa e Mathom avevano ricevuto doni di potere, e da cui per poco Morgon non aveva ricevuto in dono la morte. Qualcosa in lei era nato come un ricordo capace di farla piangere, alla vista delle rovine di una città a Pian Bocca di Re; qualcosa in lei aveva strappato via la sua mente dalla pericolosa conoscenza contenuta in una pietruzza azzurra. Morgon aveva cavalcato verso la dimora del Supremo, e l’arpista aveva fatto terminare nell’orrore la sua strada. Un mago aveva estorto dalla sua mente un diritto che gli spettava per nascita, quello del governo della terra, che soltanto il Supremo avrebbe potuto manomettere, e il Supremo non aveva fatto nulla. La fanciulla chiuse gli occhi, sentendo una goccia di sudore scivolarle lungo una tempia. Deth aveva agito in nome del Supremo per cinque secoli, e in quei secoli il reame gli aveva dato la più assoluta fiducia. Seguendo un suo disegno personale, commettendo un atto inconcepibile e senza precedenti, aveva cospirato per distruggere un governatore della terra. Nell’antichità il Supremo, dinnanzi a progetti di quel genere soltanto accennati, aveva distribuito la sua condanna e la morte sui colpevoli. Perché dunque non aveva agito contro l’uomo che aveva tradito tanto lui quanto il Principe di Hed? Perché non aveva agito contro Ghisteslwchlohm? Perché… Riaprì gli occhi, il fuoco la abbagliò, costringendola a sbattere le palpebre, e la stanza le parve piena di fiamme. Perché Ghisteslwchlohm, che avrebbe avuto l’intero entroterra del reame per nascondersi, aveva fatto condurre Morgon verso il Monte Erlenstar? Perché, mentre Deth suonava per se stesso vicino al luogo dove Morgon languiva disperato, il Supremo non aveva udito la musica di quell’arpa? Oppure l’aveva udita?

Scattò in piedi e si allontanò dal fuoco, come per allontanarsi da una risposta impossibile, sconvolgente, per la quale la sua mente stentava a trovare perfino le parole. Fu allora che la tenda nel breve corridoio si spostò di lato, così silenziosa che quel movimento parve un’illusione nei riflessi delle fiammelle. Intravedendo nella penombra la figura di una giovane donna bruna pensò dapprima che si trattasse di Lyra. Poi, fissando gli occhi neri e tranquilli della sconosciuta, sentì qualcosa penetrare in fondo alla sua anima, come una pietra che precipitasse in silenzio nelle immense viscere del Monte Isig.

Quasi senza accorgersi di parlare, sussurrò: — Me l’aspettavo!

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