18

C’erano state occasioni in cui Constance aveva colto nello sguardo di Charlie una rabbia talmente grande da intimorirla. La volta in cui la moglie di Stan Walinowski era stata picchiata tanto violentemente da aver perso un occhio, alla notizia Charlie era rimasto impietrito. Lui e Stan lavoravano insieme, e in seguito all’aggressione di Wanda Walinowski entrambi avevano cominciato a fare degli straordinari, a lavorare durante i fine settimana, oltre l’orario previsto, finché un giorno Charlie era rientrato a casa con uno sguardo angustiato, spaurito, e quella sera aveva fatto l’amore con lei in modo appassionato. Il giorno seguente aveva insistito affinché imparasse le tecniche di autodifesa e le aveva spiegato che se qualcuno le avesse messo le mani addosso non ci avrebbe pensato due volte a uccidere quel figlio di puttana. Né in quel momento né in seguito dubitarono del fatto che lo avrebbe ucciso veramente. Lui e Stan ripresero degli orari più regolari e nessuno parlò più di quella terribile aggressione né del colpevole.

Quel pomeriggio Charlie era impietrito proprio come allora, pensò Constance. Anzi, era raggelato. Era diventato un pezzo di ghiaccio. Dwight li trovò sui gradini della veranda appoggiati l’uno all’altro intenti semplicemente a respirare.

«Cos’è successo?» chiese.

Charlie non rispose e Constance gli raccontò quel che era accaduto.

«Santo cielo, state bene?»

Appena Constance annuì, Dwight si allontanò in tutta fretta seguito da Howie. Pochi minuti dopo era di ritorno. «Non ci sono impronte» disse con disappunto. «La valvola dell’ossigeno era stata completamente chiusa e quella del biossido di carbonio completamente aperta.»

Charlie non alzò nemmeno lo sguardo.

«Quando sono usciti dalla sala tv e dalla biblioteca?» domandò Constance.

«Subito dopo che vi ho lasciato. Mrs Ramos stava preparando il pranzo. Mi sembrava inutile tenerli chiusi in una stanza dopo aver ritrovato la pistola.»

Constance scosse lievemente la testa. «Ma certo. Non è stata colpa sua, Dwight, lo sappiamo.» Che bravo fratello minore sarebbe stato, pensò Constance, così sollecito, così… Si rese conto con un sussulto che lo sguardo di Dwight esprimeva una grande consapevolezza, e quello sguardo era rivolto a Charlie. "Un altro caso di solidarietà tutta al maschile" pensò vagamente Constance. Dwight sapeva che Charlie si era trasformato in un pezzo di ghiaccio e ne comprendeva le ragioni.

«Che ne direste se andassi a prendere dei panini?» disse Dwight con un entusiasmo un po’ eccessivo. «Non avete mangiato niente e io nemmeno.»

«Cominci pure a mangiare» gli rispose Constance. «Prima voglio salire in camera. Ho bisogno di lavarmi, mi sento sporca.»

Prima ancora che avesse terminato di parlare, Charlie si era già alzato. Constance si rese conto che quello era solo l’inizio. Charlie non l’avrebbe lasciata sola nemmeno un secondo finché non fossero stati lontani da Smart House.

Constance gli prese la mano e si accorse che era ghiacciata. «Be’, non è stato un vero attentato alle nostre vite» disse. «Non con il montacarichi come via di fuga. L’intenzione era solo di spaventarci.»

Dwight parve a disagio, guardò alternativamente lei e Charlie e disse lentamente: «Lo è stato. Sembra che nella dispensa qualcuno abbia cercato di forzare l’apertura della porta del montavivande con un palanchino. Se ci fosse riuscito la porta della cella frigorifera non si sarebbe aperta. Se Charlie non lo avesse anticipato forzando a sua volta la porta e riuscendo a tenerla aperta, l’assassino sarebbe riuscito nel suo intento.»

Charlie le strinse la mano con troppa forza.

«Charlie, stia calmo, d’accordo?» disse Dwight ancora con una certa esitazione. «Vecchio mio, non commetta stupidaggini.»

Finalmente Charlie lo guardò e sorrise. «Fare qualcosa di stupido a Smart House? Mi butterebbero fuori a calci nel sedere. Ha intenzione di richiamare i sommozzatori?»

«Sì, saranno qui alle sei e trenta.»

«Bene, andiamo a darci una lavata.» Tirò Constance per la mano, entrarono in casa e salirono in camera.

Constance si fece la doccia e cercò di lavare via il senso di profanazione che provava. Le persone che subivano furti in casa dicevano di sentirsi così, pensò Constance continuando a lavarsi energicamente, e anche le vittime di violenza. Chiuse gli occhi con forza e lasciò che l’acqua bollente le cadesse sul viso, sulla testa. Profanata. Qualcuno aveva voluto ucciderla, aveva voluto uccidere Charlie. Se uno dei due fosse caduto a terra, non c’era dubbio che sarebbe morto, o forse sarebbero morti tutti e due, soffocati dall’ondata di anidride carbonica che si sarebbe depositata sul pavimento accumulandosi gradatamente fino a riempire la stanza. Scosse la testa rabbiosamente, decisa a smettere di pensare a quanto era accaduto, e invece rivide Charlie steso a terra sul pavimento, la faccia immersa nella pozza di veleno.

Charlie le andò incontro sulla porta del bagno, l’abbracciò e le annusò i capelli bagnati. «Sei tutta corrugata come un’uva passa» le disse infine allontanandosi per guardarla meglio. «Stai bene?»

«Più o meno come puoi immaginare che stia un’uva passa. Cosa stai facendo?»

Le valigie erano sui letti, alcuni vestiti erano stati piegati malamente e riposti già nelle valigie mentre altre cose erano semplicemente ammonticchiate lì accanto.

«Leviamo le tende» rispose, e guardò mestamente il caos che era riuscito a fare. «Non dormiremo più a Smart House, ci trasferiamo in un albergo o in un motel.»

Come riuscivano i suoi occhi a fare quello che facevano, si domandò Constance. Alcune volte sembravano diventare inespressivi, opachi come una roccia levigata. «D’accordo» disse senza discutere. «Farò i bagagli, ma a una condizione, che prima mangiamo un boccone.»

«Non qui però.» "Pessima mossa mangiare nella casa in cui qualcuno ha tentato di ucciderti" pensò Charlie. «Infilati qualcosa che saltiamo in macchina e andiamo in un posto dove si possano ordinare frutti di mare al vapore, birra e raffinatezze di questo tipo.» Guardò i fogli sulla scrivania. «Effettivamente è una buona idea toglierci di qui per un po’. Quelli li porto con me e non torneremo prima delle sei e mezzo.»

Incrociarono Dwight nel corridoio del piano terra. Il capitano diede loro le indicazioni per un ristorante specializzato in molluschi e disse che se tra un paio d’ore, intorno alle cinque e mezzo, fossero stati ancora lì, li avrebbe raggiunti.


I frutti di mare erano perfetti, considerò Charlie con soddisfazione dopo che ebbero terminato anche il secondo piatto da portata. Anche il tavolo era perfetto, con una bella vista sull’oceano e, cosa ancora più importante, una bella luce. La signora di mezza età dalla faccia simpatica che li aveva serviti ritornò con il caffè e i menù per il dolce, gli stessi a cui avevano già dato una scorsa all’inizio del pranzo. Charlie domandò se a qualcuno dispiaceva il fatto che occupassero il tavolo ancora per un po’, ma la donna, sorpresa, domandò perché avrebbe dovuto dispiacere a qualcuno. Avevano a disposizione un tavolo ben illuminato e del caffè, cominciarono a sparpagliare i documenti che avevano portato. Constance si dedicò a quelli che Charlie aveva già letto, come l’assetto societario, le perizie del medico legale su Gary e Rich, le previsioni finanziarie… Sperò ardentemente che tra quei fogli ci fosse anche l’inventario stilato da Bruce e mormorò: «Dannazione!»

«Sono d’accordo con te, ma a che proposito?»

«Bruce ha preso nota di eventuali oggetti spariti dalla sua stanza, giusto? La balena blu che dice essere scomparsa, per esempio.»

«Ho paura di sì. L’inventario offre una scappatoia a chiunque in quella casa. Supponiamo che scompaia il leone marino di ghisa. Se Bruce dicesse: "Non so di cosa stiate parlando. Non l’ho mai visto" chi potrebbe provare il contrario?»

«Ma perché darsi la pena di scambiare i soprammobili? Perché non lasciare semplicemente l’oggetto in questione nella camera di Milton, dove già si trovava?» Constance si fermò poi disse: «Oh, capisco, hai ragione. Dev’essersi trattato per forza del portacenere. Sappiamo che Milton l’ha usato. Sarebbe risultato mancante anche se non fosse stata rilevata la scomparsa di nessun altro oggetto.»

Charlie rise nel vedere lo sguardo annoiato di Constance. Il cibo aveva avuto un effetto prodigioso sull’umore di Charlie, e la distanza da Smart House aveva contribuito. Ritornò nuovamente sull’orario che lui e Constance avevano elaborato riguardo agli spostamenti avvenuti durante il gioco la notte in cui c’erano state le due prime vittime.

Constance osservava il luccichio dell’oceano che saliva e scendeva in un eterno movimento. Il problema era che chiunque avrebbe potuto uccidere Milton e poi rimettere tutto in ordine, mentre nessuno aveva avuto modo di uccidere Gary e Rich. Constance annuì, era esattamente quello il problema. Perché Rich Schoen non aveva reagito, non aveva lottato per difendersi? Perché Gary si era fatto spingere nella vasca idromassaggio senza trascinare con sé anche l’altra persona? Forse l’ipotesi di Dwight dei due aggressori era l’unica plausibile. Forse, invece, alla fine i due corpi erano stati spostati, così come era accaduto per Milton. Le indagini della polizia avrebbero potuto essere state compiute in modo approssimativo, poteva essere stato commesso uno sbaglio. Constance aggrottò le sopracciglia rivolta verso l’oceano Pacifico. Per quanta approssimazione ci potesse essere, nessuno avrebbe potuto scambiare una morte per annegamento per qualcos’altro. Borbottò a bassa voce un altro "dannazione", e Charlie le prese la mano.

«Andiamo a fare una passeggiata sulla spiaggia» le propose. «Torneremo alle cinque e mezzo per incontrare Dwight.» Il tono della sua voce era basso, estremamente tranquillo, tanto da farle pensare che fosse affaticato.

«Charlie! L’hai capito!»

«Non ancora, non ancora. Voglio rifletterci su. Camminiamo un po’.»

Camminavano fianco a fianco senza parlare, e Constance sapeva perfettamente che Charlie non stava prestando alcuna attenzione alla spiaggia. Quando si trovava in quello stato poteva continuare a camminare senza avvertire la minima fatica, o ripetere solitari all’infinito, oppure guidare per centinaia di chilometri. Quello che non riusciva a fare era restarsene seduto a non fare niente. Era come se dovesse dare un’occupazione al suo corpo, e gettarcisi a capofitto per non rischiare che in quei momenti la parte del suo cervello preposta alle varie funzioni di controllo intralciasse i suoi ragionamenti.

I bambini giocavano sulla sabbia, correvano avanti e indietro con secchielli d’acqua, costruivano castelli, fortini. Qualche adolescente sguazzava beato in mare, ma nessuno di loro nuotava con impegno. Le onde, sebbene il mare si stesse ritirando, erano troppo impetuose, l’acqua troppo fredda anche in agosto. L’aria sapeva di ozono, profumava di buono, di pulito, ed era piacevolmente fresca sebbene il sole fosse caldo. Quanti contrasti, quante contraddizioni, pensò Constance. Incontrarono altre persone che passeggiavano sulla spiaggia, e queste sorrisero, annuirono, li salutarono. Constance rispose a ognuna, mentre Charlie continuava a essere immerso nei suoi pensieri. Alcune delle persone che correvano lungo il mare li raggiunsero e li superarono lasciando sulla sabbia bagnata delle orme profonde, e Constance pensò a come Sherlock Holmes esaminandole sapesse dire l’altezza e il peso di una persona, o riuscisse ad affermare con certezza se trasportava qualcosa o qualcuno.

Rientrarono al ristorante solo pochi minuti prima di Dwight che al suo arrivo si mostrò stanco, irritabile e affamato. Charlie e Constance avevano sete e stavano già bevendo delle birre, e mentre Dwight a sua volta ordinava un panino e una birra, Charlie fece un veloce schizzo su un tovagliolo.

«Ancora niente?» domandò Constance a Dwight.

Dwight scosse la testa. «Oh, una novità c’è» disse con grande amarezza. «Harry Westerman e la moglie mi hanno fatto contattare dal loro avvocato che mi ha ordinato di portare via i miei uomini da Smart House e di lasciare andare a casa quella povera gente.»

«Che sfortuna» disse Charlie senza troppa convinzione. Terminò lo schizzo, lo osservò un istante poi lo girò in modo che Dwight potesse vederlo.

«Guardi» disse Charlie indicando tre rettangoli. «Questo grosso affare è l’ascensore principale, accanto c’è quello segreto, e l’ultimo piccolo pozzo è per il montavivande. Nonno, papà e bambino, uno accanto all’altro.»

In quel momento l’atteggiamento di Charlie era talmente compiaciuto da risultare insopportabile, pensò Constance guardando alternativamente il marito e Dwight Ericson che invece sembrava aver indossato una maschera impenetrabile.

«Qui in fondo abbiamo la cella frigorifera» continuò Charlie. «Nella cella frigorifera c’è un’atmosfera controllata. Quindici per cento di ossigeno, un per cento di anidride carbonica e così via, tutto debitamente monitorato con allarmi e valvole di scarico nel caso in cui la situazione andasse fuori controllo. Il basso livello di ossigeno e l’alto livello di biossido di carbonio sono dati preimpostati e quindi non fanno scattare alcun allarme. E qui» disse indicando un punto con un piccolo scarabocchio «c’è un’apertura che va dal pozzo più piccolo, quello del montavivande, a quello dell’ascensore segreto, un buco di un paio di centimetri nel muro in basso. Praticamente tutta la tromba del piccolo ascensore segreto diventa parte del sistema ad atmosfera controllata della cella frigorifera.»

Dwight Ericson scuoteva la testa. «Abbiamo fatto dei calcoli, Charlie. Ci sarebbe voluto troppo tempo per saturare di biossido di carbonio un ambiente così grande o per aspirarne l’ossigeno. Nessuno di loro si è allontanato per un tempo sufficiente a compiere una simile operazione. E cosa pensa che abbiano fatto là dentro Gary e Rich, che abbiano semplicemente incrociato le braccia aspettando di morire per una o due ore? Avrebbero fatto un putiferio, e lei lo sa. Qualcuno li avrebbe sentiti urlare o battere sui muri.»

Charlie continuò tranquillamente. «Anch’io ho fatto dei calcoli. Se la cabina fosse stata sigillata ermeticamente, ci sarebbe voluta mezz’ora per far morire asfissiati due uomini per mancanza d’ossigeno. In pratica sono stati loro stessi a produrre anidride carbonica durante la respirazione. Vede però, non sono morti a causa del biossido di carbonio, e la cabina dell’ascensore non è sigillata ermeticamente. In basso c’è quell’apertura di cui parlavo poco prima, e in alto delle prese di ventilazione. Immaginiamo che quando i due entrano per qualche ragione nel piccolo ascensore e chiudono la porta, la cabina sia qui, al primo piano. Naturalmente nella cabina c’è dell’aria calda, e appena cominciano a scendere la ventilazione entra in funzione. L’aria fredda del pozzo dell’ascensore comincia a sostituire l’aria calda, e la piacevole aria calda comincia a salire portando con sé l’ossigeno. Quando siamo entrati alla cabina, abbiamo provato tutti e tre le stesse sensazioni: un senso di umidità, di freddo, di oppressione. Poi abbiamo aperto la porta e siamo usciti. Ritornando al mio ragionamento, invece, prima che la cabina arrivi nel seminterrato l’aria è stata cambiata un paio di volte. L’aria pulita è uscita completamente ed è entrata solo aria viziata. Normalmente questo fatto non si nota nemmeno, dal momento che aprendo la porta entra immediatamente dell’aria pulita. Ipotizziamo invece che quella volta la porta non si sia aperta, e che la cabina si rimasta ferma in una sacca d’aria particolarmente nociva, con una concentrazione molto alta di biossido di carbonio e molto bassa di ossigeno. Lei sa cosa sono le sacche di anidride carbonica, di aria viziata, le concentrazioni di aria contaminata?»

L’espressione di Dwight era cambiata, non sembrava più impaziente, annoiata o tollerante. Il capitano annuì e il suo sguardo si fece più penetrante. «Sì, i minatori, i sommozzatori, gli speleologi conoscono bene l’eventualità di imbattersi in sacche d’aria come quelle.»

«E i vigili del fuoco» aggiunse Charlie cupamente. «Se si entra in un grande palazzo di una qualsiasi città e lo scantinato non è stato utilizzato da qualche tempo, be’, allora si capisce cosa può accadere. Insomma, è esattamente una di quelle sacche che si è formata nel pozzo di quell’ascensore. Il biossido di carbonio rimane in basso perché è più pesante, gli elementi più leggeri in alto, ma pur sempre nocivi.»

«Buon Dio!» esclamò Constance sommessamente. «Quei poveretti!»

«Già» disse Charlie quasi bruscamente. «E così restano intrappolati nell’ascensore. Il calore stesso del loro corpo crea una sorta di corrente ascensionale sufficiente ad annullare l’effetto delle prese d’aria, che in realtà aggravano la situazione perché la pesante miscela di biossido di carbonio viene spinta dentro dal basso, mentre l’aria più pulita esce dall’alto. Ogni minuto che passa consumano circa settecento centimetri cubi di ossigeno, e producono da cinquecento a seicento centimetri cubi di anidride carbonica.» Il tono della sua voce era divenuto del tutto inespressivo, quasi meccanico. «S’imparano queste cose per essere pronti ad affrontare qualsiasi situazione durante un incendio, quando ci si domanda se le persone all’interno della sacca d’aria sono ancora vive, se stanno respirando, se l’ossigeno si è esaurito.» Charlie s’interruppe all’improvviso, poi riprese il discorso. «A ogni modo, nel momento in cui Gary e Rich si sono resi conto che avrebbero potuto morire, probabilmente era troppo tardi per fare qualcosa. Innanzitutto dopo solo un paio di minuti si viene assaliti dallo sconforto, dal mal di testa, e poi da una particolare condizione emotiva che prima mi avevano solo descritto ma che adesso posso testimoniare, uno stato che assomiglia al risveglio da un incubo, quando ci si rende conto che bisogna muoversi ma si è incapaci di individuare le parti del corpo per farlo. Sono sufficienti cinque minuti al massimo, dopodiché è troppo tardi. Subentrano il collasso, la perdita di coscienza, e tutto accade molto velocemente.»

Dwight cominciò a dire qualcosa ma poi rinunciò, come se si fosse reso conto che in quel momento Charlie non doveva essere interrotto, che stava arrivando a mettere a fuoco qualcosa che nessun altro era riuscito a vedere.

Il silenzio continuò finché Charlie scrollò leggermente le spalle e disse: «Ma come dice lei, le due vittime non sono morte nell’ascensore per poi essere spostate in un secondo tempo. I loro corpi senza vita non sono stati gettati in un posto qualsiasi, e di sicuro non ci sono andati con le loro gambe. È quella dannata casa la responsabile delle prime due morti, ma l’atto finale si è concluso fuori dall’ascensore e per mano di qualcun altro. Quando la porta si è aperta dovevano essere ancora vivi, anche se in condizioni critiche. A chiunque li abbia trovati dev’essere venuto un colpo, e istantaneamente deve aver capito che occorreva portarli altrove, altrimenti ogni colpa sarebbe stata imputata alla casa. Forse in quel momento potevano ancora essere rianimati, ma se fosse morto anche solo uno dei due ogni responsabilità sarebbe ricaduta sulla casa, e di conseguenza sulla società. Uno dei due, o entrambi, avrebbero potuto subire lesioni cerebrali. Se uno dei due si fosse ristabilito avrebbe potuto accusare chi li aveva chiusi dentro all’ascensore, e l’assassino non poteva rischiare nulla di tutto questo. Probabilmente ha mandato il piccolo ascensore sul tetto mentre lui ha preso quello principale. Il tetto è l’unico punto in cui i due ascensori sono uno di fianco all’altro. Il suo primo pensiero dev’essere stato tirarli fuori dall’ascensore segreto, allontanarli dall’ufficio di Gary o dalla sua stanza dove, battendo sulle pareti, l’ascensore segreto avrebbe potuto essere scoperto. O forse l’assassino si trovava già sul tetto, e quando ha chiamato l’ascensore e l’ha aperto vi ha trovato Gary e Rich agonizzanti. A ogni modo l’operazione successiva dev’essersi svolta sul tetto, un luogo in cui poteva passare da un ascensore all’altro riducendo al massimo il rischio di essere visto. Penso che prima abbia rimesso in piedi Rich, lo abbia fatto entrare nell’ascensore principale e poi lo abbia finito lì dentro. O forse Rich è collassato e si è ferito il viso cadendo a terra. Sicuramente è stato l’assassino a dargli il colpo di grazia perché qualunque ferita al volto non sarebbe stata sufficiente a provocare la morte. Forse l’assassino gli ha causato delle lesioni al volto ed è ricorso alla borsa di rete per nasconderne i segni, ma molto più probabilmente l’ha usata per assicurarsi che la polizia non considerasse quella morte accidentale. A quel punto l’assassino è tornato da Gary, è sceso insieme a lui al pianterreno, è uscito dalla piccola porta posteriore dell’ascensore segreto e ha attraversato il corridoio sul retro. Nel frattempo Gary doveva essersi ripreso, aprendo la porta dell’ascensore l’aria avvelenata era stata rimpiazzata da quella pulita. Sappiamo che Gary era in grado di camminare, i tabulati originali confermano che è entrato nella sala idromassaggio, ma era intontito. Sono questi infatti i sintomi che le vittime dell’anossia avvertono prima di morire. L’assassino quindi ha accompagnato Gary lungo il corridoio buio sul retro della casa fino alla sala idromassaggio, gli ha dato una leggera spinta per farlo cadere in acqua e ha coperto la vasca. Stava tentando in tutti i modi di assicurarsi che la polizia cercasse un assassino e non archiviasse nessuna delle due morti come accidentale. La sua grande intelligenza però ha finito per fargli combinare dei pasticci. Troppe piste, troppi falsi indizi che portavano in ogni direzione.

«Deve aver avuto un paio di minuti di tempo per rimettere tutto a posto, ben sapendo che nessuno dei due cadaveri sarebbe stato ritrovato molto presto. Dopo aver utilizzato l’ascensore principale l’assassino lo ha tenuto bloccato utilizzando il computer portatile, consapevole del fatto che il corpo di Gary non era visibile. Ha messo l’altro computer portatile e le copie cianografiche nell’ascensore segreto, deciso a evitare che per il momento qualcuno ne scoprisse l’esistenza, ha preparato i popcorn e imitato la risata di Gary per far pensare che fosse ancora vivo e procurarsi così un alibi. Poi ha sbloccato l’ascensore principale, ha raggiunto il resto del gruppo e ha aspettato.»

Dwight mangiava il panino meccanicamente. Masticò per parecchi minuti e infine scosse la testa. «È una ricostruzione plausibile, lo ammetto. Ci sono dei passaggi poco chiari, però. Per esempio mi chiedo come mai ha spostato Gary mentre avrebbe potuto lasciare anche lui nell’ascensore principale.»

«E se fosse stato disturbato dall’arrivo di qualcuno?» domandò Charlie. «In effetti un paio di persone sono salite sul tetto proprio nel momento sbagliato per l’assassino. Non poteva rischiare che con l’aria fresca Gary rinvenisse e magari cominciasse a fare rumore. Per questo ha dovuto bloccare le porte dell’ascensore principale, chiudersi con Gary nell’ascensore segreto e condurlo dove avrebbe potuto portare a termine ciò che aveva iniziato, ovvero dimostrare l’innocenza di Smart House.»

Dwight sospirò. Era ancora dubbioso, poco convinto di quella versione dei fatti. «E cos’è questa storia dei popcorn? Come diavolo è arrivato a pensare una cosa simile?»

«Quella sera, prima delle undici, Gary aveva preso in cucina la macchina per i popcorn» disse Charlie. «Era uscito dalla porta secondaria della cucina, diretto certamente al piccolo ascensore che lo avrebbe portato nel suo ufficio o nella sua stanza. D’abitudine preparava i popcorn ogni sera nel suo ufficio, come mai quella sera non l’ha fatto? Perché portarsi dietro quell’aggeggio per quindici, venti minuti? In quel lasso di tempo sicuramente Gary non si è fermato in giardino, c’era troppa gente che andava e veniva per passare inosservato. No, uscito dalla cucina è andato da qualche altra parte e ha posato l’aggeggio per i popcorn. In seguito, l’assassino, vedendo la macchina per i popcorn, deve aver pensato fosse un modo perfetto per far credere che alle undici e un quarto Gary fosse ancora vivo e affamato. Quando ha preso le copie cianografiche e i computer per nasconderli nell’ascensore segreto, li ha presi dall’ufficio di Gary. La macchina per popcorn probabilmente era lì e l’assassino non si è lasciato sfuggire l’occasione.»

«Sì, la sua ricostruzione potrebbe essere convincente» disse Dwight dopo un’altra pausa di riflessione. «E Dio solo sa quanto vorrei che lo fosse, ma non c’è un solo modo per provarla.»

Charlie allargò leggermente le braccia. «Né Rich né Gary erano sotto l’effetto di droga o alcol. Probabilmente non sono stati ipnotizzati e costretti a sdraiarsi per morire, non è stato un rito vudù a provocarne la morte, né sono stati convinti a farsi ammazzare con la promessa di dolci e caramelle. Non si può ordinare a un uomo di sdraiarsi e di smettere di respirare, anche sotto la minaccia di una pistola. Dovevano trovarsi in una condizione di stordimento, incapaci di opporre resistenza a quanto stava per accadere loro, ma in grado di camminare se sorretti e aiutati. È lo stordimento provocato dall’anossia. Le loro teste non sono state tenute a forza dentro ai contenitori per la frutta, né sono stati costretti a entrare in una di quelle strutture sperimentali che si trovano nella serra. Si trattava di un luogo accessibile, un luogo che non li avrebbe messi in allarme costringendo l’assassino a ingaggiare con loro una lotta. È per questo che ho pensato all’ascensore. Ha ragione, Dwight, non ci sono prove, ma non è una novità.» Si appoggiò al divanetto con il braccio steso sullo schienale e la mano appoggiata alla spalla di Constance. «E poi» aggiunse «sapevo fin dall’inizio che questa dannata casa era colpevole.»

«Immagino che lei sappia anche chi ha voluto correre un simile rischio solo per scagionare Smart House.»

«Certo» rispose Charlie. «Ma sarà molto complicato provarlo.»

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