Viktor Pelevin

1 августа 2003. Giulia Mozzato, wuz.it. На итальянском языке

L’ultimo suo libro pubblicato in Italia risale al 2002, ma Viktor Pelevin non è certo un autore «dimenticato» dai lettori italiani, che lo amano molto. Un suggerimento per l’estate potrebbe essere proprio quello di leggere (o rileggere) i suoi romanzi e i racconti. E chi non lo conoscesse potrà trovare in queste breve intervista qualche notizia in più sulla sua personalità e sul suo lavoro, inevitabilmente collegato alla realtà russa contemporanea.

— Com’è diventato scrittore? E perché nella sua opera narrativa si trova spesso una vena polemica?

— Avevo bisogno di trovare un lavoro e mi piaceva scrivere, starmene in solitudine e pensare all’uomo: per questo sono diventato scrittore. Per quanto riguarda il mio essere polemico devo dire che una storia si può scrivere da tanti punti di vista. Non mi ritengo particolarmente polemico, ogni lettore dà una sua interpretazione delmio personaggio: c’è chi dice che sono un mistico, chi dice che sono satirico, chi polemico; io penso soltanto che scrivo quello che scrivo senza voler dimostrare niente a nessuno.

Vorrei a proposito citare una vecchia favola orientale, secondo cui tre ciechi toccano un elefante per capire come è fatto. Quello che lo tocca sulla gamba, crede che l’elefante sia più o meno come una colonna, qualcosa di grosso e verticale. Chi lo tocca sulla coda pensa che sia soffice e lungo, chi lo tocca sull’orecchio crede che sia un grosso ventaglio. Per quanto riguarda me, si può dire la stessa cosa, ognuno può prendermi dal lato che preferisce.

— In quale contesto socio-politico e culturale sono nati i suoi romanzi?

— Ogni mio libro è stato scritto in una situazione completamente diversa perché laRussiaè in una fase di cambiamento continuo. Non è possibile rispondere in modo generale a una domanda come questa. Però potrei dire che più ancora che dell’ambiente esterno credo che i miei romanzi siano stati influenzati dall’ambiente «interno», dalle sensazioni e dai sentimenti. Io non mi occupo molto della situazione esterna, la utilizzo soprattutto come ambientazione scenica…

— Entrando nel dettaglio, potrebbe raccontarci i momenti personali che hanno segnato la nascita dei suoi romanzi più celebri?

— Il mio primo romanzo, Omon Ra è stato scritto proprio nell’ultimissimo periodo dell’esistenza dell’Unione Sovietica ed è stato una testimonianza della fine di questo paese. Ho terminato l’ultima paginadelmio romanzo il giorno stessodeltentato colpo di statodel’91… una situazione piuttosto «buffa» perché involontariamente ho scritto l’ultimo romanzo sovietico. Appena ho finito l’ultima pagina, nel momento in cui mettevo l’ultimo punto, l’Unione Sovietica si è sgretolata, non è esistita più. Il mio secondo romanzo La vita degli insetti, invece, è stato scritto durante il primo periodo dell’epoca di Eltsin, un periodo di cambiamenti continui, quotidiani. Un periodo di transizione in cui nessuno sapeva se vivevamo in una società capitalista o altro; per questo motivo il romanzo credo che abbia assunto caratteristiche piuttosto strane: la gente non era più come prima ma non sapeva neanche che cos’era e cosa sarebbe diventata. Passiamo poi al Mignolo di Budda che ho scritto in epoca di Eltsin già più avanzata, un momento che viene definito «periodo romantico»… Un’epoca molto simile allaChicagodegli anni Trenta, segnata dai gangster ma anche da un’atmosfera piuttosto romantica. Poi inRussiaè subentrata una nuova epoca, di maggiore democratizzazione, se vogliamo, e in questo periodo ho scritto Babilon, il mio ultimo romanzo.

— Come si svolge il suo lavoro? E la sua scrittura è sofferta, faticosa?

— In generale non ho delle regole fisse; dipende molto dal tipo di testo, da che fisionomia assume. In certi momenti faccio pause piuttosto lunghe, in altri invece scrivo moltissimo. In generale mi piace sedermi al computer e poi lavorare di volta in volta sulla partedeltesto che mi viene voglia di elaborare in quel momento. Di solito mi sveglio la mattina presto e quando mi metto al computer lavoro istintivamente su alcuni passaggi piuttosto che altri, ma effettivamente non so quali emanazioni o quali motivi mi spingano a scegliere. Per rispondere sulla sofferenza, ebbene sì, io soffro mentre scrivo.

— Nei suoi romanzi si dice che ci sia una sorta di «sottotesto» fruibile quasi esclusivamente dai russi. Che cosa i lettori stranieri potrebbero non cogliere di questa parte della sua scrittura?

— Quando leggo gli articoli di critica letteraria inRussia, noto che nei miei testi si «scoprono» allusioni alle quali io stesso non avevo mai pensato… Per quanto riguarda i lettori stranieri penso che ognuno abbia una propria interpretazione, ma è giusto così.

— Lei dedica una grande parte della sua opera alla classe media, più esattamente, forse, alla «memoria» della classe media. Che ne è stato di questa realtà?

— La mia opera essenzialmente è un simulacro, perché la classe media inRussia, come tutto il fenomeno chiamato capitalismo, è stata assolutamente virtuale: non esisteva, si vedeva in televisione ma non esisteva nella vita reale. Penso quindi che la scomparsa di questa fascia sociale, essendo virtuale, sia stata una scomparsa virtuale. Tra una decina d’anni potrà nascere una vera classe media inRussia: vedremo. Chi non è russo dovrebbe capire che durante l’epoca di Eltsin, tutto quanto «doveva» sembrare identico all’Occidente, a costo di inventare miti come questo, ma si tratta di un simulacro, non esiste.

— Cosa legge?

— Devo ammettere che ho la memoria piuttosto corta per cui mi ricordo soltanto i libri che ho letto di recente. In generale posso dire che sono come molti altri lettori: leggo quello che mi piace. Tra gli ultimi, ad esempio, un libro delDalai Lama.

Credo che uno scrittore non sia mai un bravo lettore: più si legge più è difficile scrivere di qualcosa di veramente nuovo. Certo la lettura aiuta, ti rende più intelligente, ma è anche pericoloso per uno scrittore leggere tanto, perché poi si rischia inconsapevolmente di ricalcare quello che è già stato scritto.

— Come si vive oggi a Mosca?

— Sono avvenuti dei cambiamenti enormi nel paese perché in precedenza, in epoca sovietica, c’era molta più omogeneità all’internodelpopolo: si può dire che tutti vivessero più o meno allo stesso modo. Ora invece la società è molto più stratificata. Ci sono a Mosca persone che vivono come a New York, come in Occidente; poi ci sono quelle che vivono molto meglio che in Occidente e c’è anche gente che vive in condizioni terribili. Mediamente però il tenore di vita a Mosca è inferiore rispetto all’Occidente.

— Quali prospettive vede per la Russia?

— Penso che in generale la situazione sia normale al momento inRussiae che continuerà in questo modo. Negli ultimi dieci, quindici anni è sempre successo che quando di stava avviando o quando si era avviato un miglioramento di qualche tipo, subito si invertita la rotta: è stato così ciclicamente, ci siamo abituati. In generale io credo che questo periodo sia caratterizzato da una certa noia: mancano ispirazione, creatività e non solo dal punto di vista dell’autorità, di chi detiene il potere, parlo proprio di una sensazione diffusa, generale. Stiamo vedendo una certa crisi, ma credo anche che la crisi sia l’unico mezzo per poi avviare un risanamento.

Источник — http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/interviste/pelevin_viktor.html

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