10 IL CANTO DEL DROGHIERE

Come Orem Fianchi-Magri scese il fiume fino a Inwit, dove si sarebbe guadagnato il suo nome, la sua poesia, ma non un posto.

L’acqua di suo padre

Fin dove arrivi? — chiese Orem allegramente. Il droghiere lo guardò un momento con aria scettica, poi si voltò a studiare la corrente, usando la lunga pertica per tenere la zattera al centro del fiume. Orem sapeva dai racconti dei viaggiatori, a Banningside, che le correnti del Banning erano pericolose, ma che dove il fiume era più lento i pericoli erano maggiori, poiché dove l’esercito di Palicrovol era lontano, lì c’erano pirati, e dove era vicino, foraggeri, ed entrambi usavano più o meno gli stessi metodi, avendo più o meno gli stessi fini, con la differenza che gli uomini di Palicrovol non uccidevano così spesso.

— Il Re è a Banningside — disse Orem. Se il droghiere lo sentì, non ne diede alcun segno; in effetti, era così silenzioso e cupo che Orem si meravigliò che un tipo così scostante lo avesse preso a bordo.

La notte giunse rapida da dietro gli alberi a oriente, e mentre l’ultima luce stava svanendo, il droghiere spinse lentamente la zattera verso la riva, ma non a più di cento metri da terra. Poi prese le tre pesanti pietre che servivano come ancora, nei loro robusti sacchi di tela, e le lasciò cadere in acqua, dietro la zattera. La corrente trasportò la zattera lontano, fino a quando le corde si tesero.

Orem osservò in silenzio il droghiere infilarsi nella tenda e tirarne fuori un grosso braciere di terracotta. Dentro di esso il droghiere accese un fuoco di legna e carbone, poi vi appoggiò una pentola di rame, dove preparò una zuppa di carote e cipolle con l’acqua del fiume. Orem non sapeva se sarebbe stato invitato, e si sentiva imbarazzato a chiedere. Dopo tutto, se il suo ospite sceglieva il silenzio non era il caso di insistere a parlare.

Così aprì la sua bisaccia e ne tirò fuori due salsicce.

Il droghiere le adocchiò rapidamente. Orem ne allungò una, bianca e sottile nella sua pelle. Il droghiere prese il coltello e allungò il braccio. Orem infilò la salsiccia nella punta. Il droghiere grugnì (un suono, finalmente!) e Orem lo guardò tagliare la salsiccia a fette tanto sottili che sembrò andare avanti all’infinito. Quando l’uomo non fece segno di prendere la seconda salsiccia, Orem la rimise nella bisaccia. Ci sarebbe stata della carne nella zuppa, e Orem aveva dato la sua parte per la cena. Sarebbe rimasto a bordo di quella barca fino a quando avesse voluto, poiché è costume della regione dell’alto fiume che chiunque prepari da mangiare con cibo in comune, non può rifiutare la compagnia.

Mangiarono in silenzio, infilzando i pezzi di carota e di carne con i loro coltelli, e bevendo a turno dalla pentola di rame. Finita la cena, il droghiere lavò la pentola nel fiume, poi mise le mani a coppa per bere.

Orem gli porse la sua fiasca. — Dalla sorgente di mio padre.

Il droghiere lo guardò con severità, e finalmente parlò: — Risparmiala, ragazzo.

— Non c’è acqua dove andiamo?

— Quando arrivi al Piccolo Tempio devi versare l’acqua della tua casa, e prendere l’acqua di Dio.

— Per bere?

— Per versarla nella sorgente di tuo padre. Forse hanno dimenticato Dio nella fattoria di tuo padre?

Dobbick aveva spesso voluto dirgli dei riti del Grande e del Piccolo Tempio di Inwit, ma Orem non aveva mai pronunciato il voto semplice. E tuttavia, non era il caso che il suo ospite lo credesse di una famiglia di miscredenti. — Diciamo le cinque preghiere e i due canti.

— Risparmia l’acqua. Per la tua vita.

Rimasero seduti in silenzio, mentre il vento prendeva a soffiare più forte, ravvivando i tizzoni nel braciere di terracotta. Dunque stiamo andando a Inwit, pensò Orem. Dopo tutto, era la destinazione più logica per il droghiere; in verità la maggior parte del traffico che scendeva lungo il fiume era diretta lì, poiché tutte le acque portavano alla città della Regina. — Anch’io vado a Inwit — disse Orem.

— È un vantaggio — disse il droghiere.

— Perché?

— Perché è da quella parte che scorre il fiume.

— Com’è Inwit?

— Dipende, non ti pare? — rispose il droghiere.

— Da cosa?

— Dalla porta per la quale entri.

Orem rimase perplesso. Sapeva cos’erano le porte: Banningside aveva una palizzata, e c’erano porte nelle mura della Casa di Dio. — Ma tutte le porte non conducono alla stessa città?

Il droghiere alzò le spalle e ridacchiò. — Sì e no. Tu da quale porta vorresti passare?

— Quella più vicina, immagino.

Il droghiere si mise a ridere. — Immagino di no, ragazzo. Proprio no. Ci sono porte e porte, capisci. La porta Sud è la porta della Regina, e solo i cortei, l’esercito e gli ambasciatori usano quella porta. Poi c’è la Porta di Dio, ma se passi di lì ti danno solo un visto da pellegrino, e se ti pescano fuori dal quartiere dei Templi, ti marchiano il naso con una O e ti buttano fuori, e non puoi più rientrare.

— Non sono un pellegrino. Tu quale porta usi?

— Io sono un droghiere. La Porta dei Maiali, in fondo alla Via dei Macellai. Mi danno un visto da droghiere, ma è tutto quello che mi serve. Mi permette di andare al Mercato Grande e al Mercato Piccolo, alla Città di Sangue e alle Taverne. Ah, le Taverne: da sole valgono la pena del viaggio.

— Ci sono taverne anche a Banningside — disse Orem.

— Ma non c’è una Via delle Puttane, vero? — Il droghiere sogghignò. — No, nessun altro posto al mondo ha una Via delle Puttane. Per due monete di rame, ci sono delle donne che te le puoi fare contro il muro; si tirano su le gonne, e in tre minuti le puoi riempire fino agli occhi. E se hai cinque monete, ci sono quelle che ti portano in una stanza, e hai quindici minuti di tempo; puoi farlo due volte se sei in gamba, e io lo sono. — Il droghiere gli strizzò l’occhio. — Sei vergine, vero?

Orem distolse gli occhi. Suo padre e sua madre non parlavano mai in quel modo, e i suoi fratelli erano dei porci. Tuttavia, quel droghiere sembrava ben intenzionato, anche se Orem non poté fare a meno di pensare che il viaggio era stato più piacevole prima che l’uomo avesse cominciato a parlare. — Non lo sarò per molto — disse Orem — una volta arrivato a Inwit.

Il droghiere rise forte, e infilò rapido una mano sotto la lunga gonna di Orem, pizzicandogli la coscia pericolosamente vicino all’inforcatura. — Così si fa, ragazzo! Così si fa! — Era un pizzicotto che Orem ricordò bene, e fu con un certo fastidio che ascoltò i racconti che il droghiere gli fece sulle sue prodezze sessuali nella Via delle Puttane. Apparentemente Orem aveva superato una specie di prova, e il droghiere lo considerava una specie di amico, uno che si interessava a tutto quello che lui diceva. Orem si sentì sollevato quando finalmente il droghiere sbadigliò e si alzò, si levò tutti i vestiti, li arrotolò in maniera da formare un cuscino e li spinse davanti a sé infilandosi nella tenda.

Orem diede una sbirciatina nella tenda mentre l’uomo entrava, e vide che non c’era posto per lui. Il droghiere non gli badò ulteriormente, per cui Orem si rannicchiò sul ponte, riparandosi dal vento col carico. Faceva freddo, specialmente dove la camicia di Orem era ancora bagnata per la nuotata di poche ore prima, ma avrebbe potuto andare peggio.


Il prezzo di Corth

Il mattino dopo il silenzio tornò a regnare, ma questa volta Orem non fece nulla per interromperlo. Aiutò il droghiere nei lavori sulla zattera, portandogli da bere mentre usava la pertica, e di tanto in tanto immergendo il remo nell’acqua per aiutarlo a manovrare fra le correnti forti o vicino alle secche. Orem divise il suo poco pane per il pranzo, e il droghiere lo prese senza una parola. Ma questa volta, quando giunse la sera, il droghiere fece segno a Orem di gettare le pietre dell’ancora insieme a lui, e quando la cena fu finita cominciarono subito a chiacchierare. Il droghiere diventò sempre più allegro, anche se non bevve neppure un goccio di birra, e raccontò ancora molte cose su Inwit.

— C’è la Porta degli Asini, ma tu non sei un mercante. E la Porta Posteriore è solo per quelli che abitano nelle Fattorie Alte, e tu non ci abiterai mai, perché quelle famiglie sono più antiche della stessa tribù della Regina e quasi altrettanto magiche, dicono. No, ragazzo, per te c’è solo la Porta del Piscio e il Buco. Alla Porta del Piscio ti danno un visto di tre giorni, e se non trovi lavoro entro tre giorni, devi andartene altrimenti ti tagliano le orecchie. La seconda volta che ti beccano con un vecchio visto o senza visto, puoi scegliere: ti vendono come schiavo oppure ti tagliano le palle: e ti garantisco che ci sono meno eunuchi liberi che schiavi con la fregola!

Tre giorni. In tre giorni avrebbe trovato un sacco di lavoro.

— Cos’è il buco?

Il droghiere di colpo diventò serio. — È il Buco, ragazzo, non un buco qualsiasi. È chiuso, e non ci sono visti. Non da parte delle guardie. Ma ci sono dei passaggi attraverso il Buco, e passaggi per girare tutta la città, da lì, ma io non li conosco. No, io sono un Uomo di Dio e i passaggi attraverso il Buco sono tutti magici, o per i criminali. No, prova la sorte alla Porta del Piscio, con un visto di tre giorni, e se non trovi lavoro tornatene a casa. Nessun bene viene dal Buco. È magia nera, e Dio l’ha in odio.

Magia. Magia, pensò Orem. Dicono che la Regina Bella sia una strega e che la magia abbondi a Inwit, anche se i preti fanno del loro meglio per soffocarla, e le leggi sono tutte contro. Forse vedrò la magia, pensò Orem, anche se sapeva che Dio non bazzicava con i maghi, e venivano sette diavoli a prenderti l’anima se mettevi in pratica gli incantesimi comprati. Gli incantesimi bianchi delle Dolci Sorelle, le magie che fanno le donne nelle fattorie naturalmente erano una cosa diversa. Ma le magie del Buco non dovevano essere di quel tipo, Orem ne era certo. E si sentì attratto all’idea di passare per il Buco, per scoprire la città che voleva vedere.

— Non mi piace la tua espressione — disse il droghiere. — Non starai pensando dei pensieri stregati, vero?

Orem scosse la testa, vergognandosi di avere tradito fino a quel punto il diacono Dobbick nel cuore. — Voglio trovarmi un lavoro, e farmi un nome. E guadagnarmi la mia poesia, se potrò.

Il droghiere si rilassò. — Ci sono poesie da guadagnarsi, a Inwit. Ho incontrato un uomo che aveva una poesia lunga un braccio… dico sul serio: se l’era fatta tatuare sulla pelle, ed era una bella poesia. — Il droghiere divenne d’improvviso timido. — Io ho una poesia, che mi hanno dato tre cantori a Bans Alta. Non è una poesia di Inwit, ma è mia.

Di colpo, l’atmosfera della serata si fece solenne. Orem si inginocchiò sui duri tronchi della zattera e tese le mani aperte. — Mi dici la tua poesia?

— Non sono molto bravo a cantare — disse il droghiere. Ma mise la sinistra fra le mani di Orem e la destra sulla testa di Orem, e cantò:

“Glasin il Droghiere

lungo il fiume fa il suo mestiere.

Gira a nord, verso Corth,

ed è cibo per il Sacro Levriero.”

— Tu — disse Orem con reverenza.

Glasin il droghiere annuì timidamente. — Qui sulla mia spalla — disse, scoprendosela per far vedere le cicatrici a Orem. — Sono stato fortunato. Era il primo giorno del Levriero, e ha preso poco prima di tornare nel Canile.

— Non hai avuto paura?

— Mi sono pisciato addosso — disse Glasin ridacchiando. Anche Orem rise un po’. Ma pensò a cosa doveva essere stato: il grande Levriero nero che usciva dal bosco senza un rumore, e ti fissava con gli occhi che ti immobilizzavano. Poi inginocchiarsi e pregare mentre il Levriero si avvicinava e ti azzannava e prendeva tutta la carne che voleva, e tu non avevi la forza di scappare o il fiato per gridare.

— Io sono un Uomo di Dio — disse Glasin il Droghiere. — Non ho gridato, e il dolore mi è stato risparmiato. Mi hanno portato alla città, e i poeti mi hanno dato la mia canzone. Il miglior raccolto che si sia mai visto, quell’anno.

— Ho sentito parlare di quell’anno. Dicono che il Levriero avesse preso un angelo.

Glasin rise e si batté sulla coscia. — Un angelo! Questa è bella!

Tutte le volte che Glasin rideva il suo fiato portava al naso di Orem la puzza dei suoi denti guasti, e Orem avrebbe voluto voltarsi, ma non voleva mancare di rispetto. E adesso ne valeva la pena, per Glasin… solo un morso del Santo Levriero, e un buon raccolto, per giunta. — Sei stato il Prezzo di Corth — disse Orem, scuotendo la testa.

Glasin diede un pugno sulla spalla di Orem. — Un angelo. Ma no!

— Oh, sì — disse Orem, e Glasin cantò di nuovo la sua canzone. La cantò molte volte lungo il viaggio, durante le due settimane in cui il Banning si trasformò nel Burring, e passarono accanto ai grandi castelli di Runs, Gronskeep, Sacra Curva, Sturks e Pry. Più si inoltravano a sud, più il fiume si riempiva di altre chiatte e barche, e più l’acqua diventava sporca per gli scarichi delle città lungo la strada. Ma gli odori, i rumori e le discussioni con gli altri barcaioli non bastavano a spegnere l’entusiasmo che veniva dal sapere che a ogni ora che passava Inwit era più vicina. L’unica cosa che guastava le giornate di Orem era Glasin stesso. Erano molte le volte, in effetti, in cui Orem avrebbe ardentemente voluto che lui e Glasin non fossero diventati amici, e gli mancava terribilmente l’antico silenzio. Glasin aveva avuto dopo tutto una vita molto piccola, che poteva stare tutta nei racconti di poche sere, e Orem dovette farsi forza per non dire: Tutta la tua canzone ce l’hai perché per caso il Sacro Levriero ti ha trovato, ed eri pulito. Essere pulito è soltanto una lista delle cose che non hai mai fatto. Una vita vuota, pensò Orem. Io avrò una poesia cosi bella e lunga che non dovrò mai cantarla io stesso, ma gli altri me la canteranno, perché conosceranno le parole a memoria.

Una mattina Glasin cominciò a parlare fin dal momento in cui spinse con la pertica la zattera nella corrente. — Scommetto che pensi che non so tenere la bocca chiusa — disse — ma guarda come so mantenere un segreto: ti ho detto forse che oggi sarebbe stato il giorno di Inwit, e dell’arrivo al Porto dei Contadini? Se te l’avessi detto, questa notte non avresti chiuso occhio, e invece oggi hai bisogno di essere riposato. Guarda là: quella è la foresta di Ainn, e quella collina più avanti è Capo Ainn, e il torrente Ainn è subito dopo. — Non solo sulla zattera di Glasin c’era eccitazione. — La Baia di Clake! — gridò una donna su una barca vicina. — L’Isola delle Navi! — gridò un uomo.

E poi superarono del tutto l’ansa e lì, sulla riva sinistra del fiume, c’era Inwit: un alto muro di pietra pieno di bandiere, più sotto i moli del Porto dei Contadini, e dietro le grandi mura della Città del Re (no, la Città della Regina, ora) e più alto di tutto e desolato, il Castello Vecchio. Glasin gli indicò tutti i posti, e quasi si dimenticò di girare la zattera, riuscendo appena a infilarsi in uno degli ultimi attracchi al Porto dei Contadini.

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