3 LA DISCESA DI BELLA

In cui si narra di come Bella venne nel mondo, lottando per trovare la sua vera immagine fra molte facce.

La sacerdotessa di Brack

Il mago pescatore arrivò con una piccola barca e senza salutare nessuno costruì la sua capanna in un punto non frequentato all’estremità inferiore della baia. Gli altri pescatori di Brack lo guardarono bene. La sua imbarcazione era troppo lenta per essere quella di un pirata, e buon per lui, perché un pirata avrebbe fatto la fame con quello che poteva rubare da loro. La barca era armata per un solo uomo, e dall’aspetto non lo si sarebbe detto un marinaio. Perciò non fu la gelosia che li indusse ad avere paura di lui. Fu il modo in cui si copriva con qualsiasi tempo, come se avesse paura del sole; erano i capelli assolutamente bianchi, il bagliore rosa dei suoi occhi come in quelli di una locusta demente; furono i suoi modi furtivi. Sapeva più di loro, sapeva più del vento che scherzava col mare, sapeva più del polipo che respirava l’aria e si stendeva sull’acqua, sapeva più della sacerdotessa delle Dolci Sorelle che badava alle sue pietre infuocate sulla punta della baia.

— Cos’è? — chiesero i pescatori alle loro mogli. — Chi è? — chiesero le mogli alla sacerdotessa. Lei toccò l’ossidiana infuocata; la pelle delle sue dita sfrigolò, e lei scrutò nel proprio dolore e disse: — Lui domina col potere del sangue. Lui trova riparo dalle tempeste in pieno oceano. Lui trova i bassifondi che non provocano creste sul mare. Lui può attingere acqua salata e tirarla su dolce. E i pesci lo seguono sognando, sognando.

Un mago dunque, ma di cui non avere paura. Perciò presero a guardarlo con rispetto, e dopo poche settimane appresero che lui voleva essere benevolo. Perché se lo seguivano in mare, prima dell’alba, lui navigava per un’ora circa in quella sua maniera goffa, poi si fermava e gettava la rete. Se i pescatori gettavano le loro reti in quel momento, non prendevano niente. Ma se attendevano fino a quando la sua rete non fosse stata piena, se stavano solo a guardare mentre lui la tirava faticosamente a bordo e poi tornava a casa, allora potevano gettare le loro reti in mare e fare una buona pesca. Tutti i giorni in cui lo seguivano le barche tornavano piene di pesce, talvolta fino al bordo, e non c’era mai un giorno in cui il pesce sfuggisse del tutto.

Perciò l’arrivo del mago dagli occhi rosa portò bene a Brack. Non che giungessero mai a essergli amici. Non è bene mescolarsi con quelli che traggono il loro potere dal sangue delle creature viventi. E poi, anche se avevano perso ogni paura del pescatore mago, c’era sua figlia.

Pareva, all’inizio, che si rendesse appena conto di essere una donna. Non lo lasciava mai un momento, e quando lui tirava a bordo la pesante rete, lei era al suo fianco e tirava anche lei, e tirava bene. Quando i pescatori credevano ancora che fosse un ragazzo, lo lodavano fra di loro per il suo duro lavoro, se non per la sua abilità. Ma appresero ben presto che era una donna. Se il mago si vestiva troppo, sotto il caldo sole del mare meridionale, sua figlia si vestiva troppo poco, con calzoni da lavoro come un uomo, e senza camicia quando il sole era alto, finché il petto e la schiena furono entrambi neri. All’inizio pareva che non le importasse nulla delle loro occhiate; col passare del tempo, tuttavia, cominciarono a pensare che si comportasse da sgualdrina, togliendosi deliberatamente gli abiti in maniera che potessero vederla. Videro i suoi seni farsi più pieni e più pesanti, mentre lavorava; videro la sua pancia gonfiarsi. Doveva aver raggiunto la pubertà da un anno a malapena, e già era incinta.

Ma di chi? Quando alla fine la figlia del pescatore partorì non fu difficile indovinare. Il mago pescatore era arrivato alla fine dell’autunno, solo qualche settimana dopo l’incoronazione del Re, e il bambino nasceva adesso, ad autunno già iniziato. Dieci mesi. Il bambino doveva essere stato concepito dopo che la piccola barca era entrata nella baia di Brack, e il padre del bambino poteva essere solo il nonno del bambino stesso. Era una cosa terribile, ma le vie di coloro che traggono il loro potere dal sangue non devono essere indagate.

La sacerdotessa delle Dolci Sorelle, tuttavia, non era dello stesso parere. Anche lei sapeva contare i mesi, ma quando lasciò cadere lacrime, sangue e gocce di acqua marina sulla pomice calda, esse si trasformarono in tante palline e saltellarono per un momento, poi scivolarono sulla pietra ruvida come una flotta di navi in una baia, portando il messaggio delle Dolci Sorelle a quella sentinella sul mare. Non era un figlio incestuoso quello che sarebbe nato, ma una figlia il cui sangue sarebbe stato pieno di un terribile potere: una figlia di dieci mesi governata fin dalla nascita dalla luna.

Che devo fare? chiese la sacerdotessa, terrorizzata.

Ma alla fine l’acqua evaporò, lasciando pallide tracce di sale sulla pietra. Non era suo compito fare qualcosa, solo osservare, solo conoscere.

Alcune delle mogli videro la paura nei suoi occhi mentre la sacerdotessa guardava attraverso la baia verso la capanna del mago pescatore, dove la bambina già si rotolava sulla sabbia.

— Dobbiamo mandarli via? — chiese una.

— I maghi vengono e vanno come piace a loro — disse la sacerdotessa. — Le Dolci Sorelle non scacciano, danno solo vita a ciò che trovano nel mondo.

— Dobbiamo andarcene noi, allora? — chiese un’altra.

— I vostri uomini tornano con le barche vuote o piene? — chiese a sua volta la sacerdotessa. — Il mago vi fa del bene o del male?

— Allora perché — chiese una terza donna — tu ne hai paura?

E la sacerdotessa accarezzò il cristallo di quarzo che portava alla gola e disse di non saperlo.

Alla fine la sacerdotessa non poté resistere oltre. Salì sulla sua piccola zattera e la spinse con la pertica attraverso le acque tranquille della baia fino alla capanna del mago. La figlia del pescatore stava giocando con la sua bambina nel freddo pomeriggio dell’inizio di primavera. Guardò con curiosità la sacerdotessa che veniva verso di lei sulla sabbia coperta di alghe. Anche la bambina alzò gli occhi. La sacerdotessa evitò di fissarli: una nata di dieci mesi non deve essere guardata negli occhi da un estraneo, e guardò invece la madre. Era più giovane di quanto avesse pensato la sacerdotessa, vedendola da lontano. Avrebbe potuto essere la sorella della piccola. I suoi occhi erano brucianti e fieri, freddi e curiosi, e per la prima volta venne in mente alla sacerdotessa che la madre poteva essere più pericolosa della figlia.

Ma era venuta per vedere il mago, non le due donne, e la sacerdotessa delle Dolci Sorelle andò alla porta della capanna, scostò la tenda ed entrò.

— Chiudi la tenda! — sbraitò il mago. — Vuoi farmi diventare cieco, con quella luce improvvisa? — Quando la tenda fu a posto, il pescatore dagli occhi rosa riaprì le palpebre. — Ce ne hai messo di tempo per venire — disse.

— Ho bisogno che il tempo sia bello per attraversare la baia — rispose lei. — Viaggio raramente.

— Voi streghe che usate il sangue morto avete poca vita dentro.

— Dalla morte viene la nuova vita — rispose lei. — E dal sangue vivo viene la vecchia morte.

— Forse è così. Non mi interessa molto. Voi donne non ci insegnate mai i vostri riti, e puoi stare sicura che è uno sciocco quello che insegna a una donna i nostri.

Lei si guardò intorno e vide che la capanna era meglio fornita di libri che di attrezzi da pesca. — Dove ripari le reti? — chiese.

— Non si rompono mai — rispose lui. — Un gioco da ragazzi.

— La bambina deve morire — disse la sacerdotessa.

— Davvero?

— Una bambina nata al decimo mese è troppo potente per restare al mondo. Dovresti saperlo.

— Non ho mai studiato la scienza delle nascite e delle proibizioni — confessò il mago. — Non è una cosa che serva molto a un uomo. Ma ci darò un’occhiata, adesso che me l’hai detto.

— Sono venuta a farlo per te.

— No — disse il mago.

— Non puoi usare il sangue. Ti consumerebbe.

— Non intendo usare il sangue. Non voglio che la bambina muoia.

— Le mie lacrime sono rimaste all’infinito sulla pomice.

— Non è mio diritto decidere. Il padre della bambina stende la sua protezione sulla ragazza e sulla piccola. Entrambe vivranno.

— Un mago che chiama il pesce dal mare, e lascia che il padre della bimba gli impedisca di agire per la salvezza del mondo.

— La madre della piccola le vuole bene.

La sacerdotessa vide che lui non intendeva ascoltarla, così non disse altro e se ne andò. Mentre usciva, guardò dove la madre e l’antica bambina avevano giocato. Erano sparite. Poi dietro di sé sentì la voce della ragazza, e la sacerdotessa seppe che aveva sentito tutto quello che era stato detto.

— Può una donna usare il sangue vivo? — chiese la ragazza.

La sacerdotessa meditò sulla domanda, ed ebbe un brivido. — No — disse, e si allontanò in fretta. E per tutto il tragitto attraverso la baia si maledì per essere andata a vederli: poiché la ragazza le aveva rivolto la domanda che nessuna donna con un cuore puro dovrebbe fare, e la sacerdotessa temeva che la ragazza fosse sapiente abbastanza per sapere che la sua risposta era una bugia. C’era del sangue vivo che una donna poteva usare, ma nessuna donna che non fosse una vipera l’avrebbe mai usato. Fate che non lo usi, pregò tutta la notte, lavandosi e rilavandosi i capelli nell’acqua della marea che le bagnava la gonna. Perdonatemi per aver sollevato questa possibilità nella sua mente, e disfate ciò che ho fatto oggi.


Il mago diligente

Avvertito dalla strega, Sleeve osservò la bambina con più attenzione. Aveva avuto poco a che fare coi bambini nel corso della sua vita, perciò fino ad ora non aveva fatto caso a quanto velocemente la piccola imparava, a quanto sveglia pareva essere la sua mente. Così andò a cercare i passi sui libri e vi meditò sopra, cercando di capire cos’era che la strega temeva tanto. Gli accenni erano vaghi e oscuri, e Sleeve si sentì sempre più frustrato dai libri. Parlavano pochissimo della magia delle donne, perché solo gli uomini scrivevano e leggevano quelle opere. Una bambina nata al decimo mese… era evidente che avevano paura di lei, e dicevano che doveva morire appena nata, e il suo sangue versato su vegetazione decomposta. Ma perché la bambina fosse così pericolosa, non lo spiegavano.

Nel frattempo, la bambina cresceva. Malgrado le sue paure, Sleeve si accorse che gli piaceva la piccola; cosa ancora più sorprendente, gli piaceva anche Asineth. Non solo la ragazza sopportava la prigionia, ma sembrava le facesse bene. La sua abitudine di pescare con lui a torso nudo era fastidiosa, dal momento che aveva evidentemente lo scopo di screditarlo agli occhi dei pescatori, ma adesso che aveva la figlia sembrava vivace e attiva e l’odio abbandonava il suo viso per ore, a volte per giorni interi. Asineth non era più amichevole di prima verso Sleeve, ma chiacchierava con la bambina.

— Come la chiamerai? — chiese Sleeve.

— Che sia il padre a darle un nome — rispose lei freddamente.

— Non lo farà mai.

— Allora che rimanga senza nome — disse lei. Questo fu il solo segno che non aveva dimenticato il male che le era stato fatto. Per quanto l’amore per la figlia la rallegrasse, non volle darle un nome.

— È giusto punire una bambina a causa dell’odio per il padre? — chiese Sleeve. Poi sentì le sue parole, e si rese conto che era una domanda che la figlia di Nasilee avrebbe potuto rivolgere a lui, e preferì lasciar perdere l’argomento.

La visita della strega fu la sua rovina, anche se senza dubbio la donna pensava che la sua missione fosse stata un fallimento. Sleeve si era trovato bene lì, sulla riva del mare. Anche se Asineth non gli parlava quasi mai, e i pescatori lo evitavano, tuttavia quella vita era la meno solitaria che avesse mai condotto. La piccola flotta di barche che usciva con lui all’alba rappresentava un conforto. Anche se la sua fragile pelle non poteva sopportare la luce del sole, per cui rimaneva sempre vestito agli occhi degli altri pescatori, tuttavia c’era un senso di amicizia in questo: che le sue braccia sapevano ciò che sapevano le loro braccia, che lui viveva come vivevano loro, con l’odore del pesce e la schiuma salata e la luce del sole sul legno della barca. Per la prima volta nella sua vita, si sentì unito ad altri uomini, e anche se loro non potevano uguagliarlo nella mente, erano tuttavia fratelli nella carne. Anche Asineth e la bambina erano un conforto; quasi era giunto a comprendere il sentimento della casa, che aveva sempre disprezzato perché rendeva gli uomini deboli.

Bene, fece diventare debole anche lui. Debole… o almeno incauto. Non che non fosse attento, in alcune cose. Leggeva tutto il giorno fino a quando gli occhi gli facevano male, cercando di scoprire la minaccia di un bambino nato a dieci mesi. Poi dormiva, lasciando che la sua mente studiasse ancora, in sogno. Usciva prima dell’alba lasciando la madre e la bambina che dormivano, e la pentola con il pesce che bolliva adagio sul fuoco. Adesso andava in mare da solo, gettava e tirava le reti da solo. Durante tutto il tempo, si immaginava di studiare il problema. In effetti ci pensava solo di tanto in tanto. Per la maggior parte del tempo pensava alle cose di un pescatore. Qualche volta si chiedeva perfino se non sarebbe stato meglio per lui nascere pescatore che vivere come aveva vissuto, seguendo il sangue del Cervo.

Ciò di cui non si accorse mai era che Asineth passava tutte le mattine dentro la capanna, leggendo tutto quello che lui aveva letto, studiando per apprendere la magia delle donne dai libri scritti dagli uomini. Quello che non immaginò mai era che lei conosceva un po’ della scienza delle Dolci Sorelle, e certe cose che per lui non significavano nulla, significavano molto per lei. Ogni libro iniziava con una pagina di avvertimenti a sorvegliare i segreti contenuti in esso, soprattutto dagli occhi delle donne. Ma Sleeve non badava molto alle donne, dal momento che solo gli uomini avevano cercato di rubargli la conoscenza. Non gli venne in mente che Asineth potesse comprendere ciò che era scritto nei libri.

Un giorno sul finire dell’estate, quando la bambina aveva quasi un anno, Sleeve finalmente comprese un passo che per lungo tempo l’aveva eluso. Era sulla barca, e sentiva il ritmo del vento e della corrente con i piedi, le natiche, le braccia; d’improvviso tremò per la sua scoperta, e quasi si rovesciò perdendo il controllo del fiocco. Solo una persona aveva qualcosa da temere da un bambino nato di dieci mesi: la madre. Sleeve girò immediatamente la barca e virò verso il porto, passando in mezzo alla flotta dei pescatori, che si affrettarono a manovrare le loro barche fuori dalla sua rotta. Non gli chiesero alcuna spiegazione, ed egli non ne diede. Era vero che fino a quel momento la piccola non aveva fatto alcun male, ma adesso che Sleeve conosceva la verità avrebbe preso subito le sue precauzioni. Non voleva dover dire a Palicrovol che Asineth era morta perché Sleeve aveva terminato la sua pesca prima di tornare a salvarla.

Sleeve non sapeva che Asineth seguiva le sue letture giorno per giorno, e che anche lei aveva scoperto ciò che lui sapeva. Anzi, aveva capito di più, molto di più; e quando Sleeve tornò alla capanna, Asineth e la bambina erano sparite.

Cercò di seguirla a piedi, ma la perse fra le colline rocciose dietro la spiaggia. Versò in abbondanza del suo sangue per comprare il potere magico di trovarla, ma il suo occhio non riuscì a scorgerla. Seppe allora che si era mosso troppo tardi. La piccola già comprendeva una parte dei propri poteri.

Solo quando si accorse che mancavano quattro dei suoi libri, sospettò per la prima volta che non era la piccola, la figlia di Asineth e di Palicrovol, a bloccare la sua ricerca. Era Asineth stessa, poiché la bimba non sapeva ancora leggere. Si maledisse per averle permesso di studiare ciò che sarebbe stato suo dovere proteggere. Ma oltre a ciò, non poteva fare altro. Così attese, e rafforzò il suo potere contro l’avversario che sarebbe giunto. Non sapeva quanto forte poteva essere la magia delle donne, e voleva essere sicuro della vittoria nel caso la lotta si fosse rivelata difficile. Era quasi contento della prospettiva: era da decenni che non sosteneva una battaglia difficile, poiché non conosceva al mondo nessun mago che potesse stargli alla pari.

La decima notte della sua attesa, una donna lo chiamò da fuori la capanna. Era una voce che non riconobbe subito, ma quando vide la sua faccia, anche alla luce del fuoco, la conobbe.

— Berry — disse. — Credevo che fossi morta.

Lei sorrise e sollevò le sopracciglia. — E io non sapevo che tu la conoscessi.

Dunque quella donna che indossava la carne di Berry non era Berry. — Asineth — sussurrò Sleeve. Era un cattivo segno, se aveva il potere di cambiare forma tanto da ingannare anche lui.

— Asineth? — chiese lei. — Non la conosco.

— Chi sei allora?

— Sono Bella — rispose lei. — Sono la più potente di tutti gli dèi. — Con un solo perfetto movimento fu nuda. — Non sono perfetta, Sleeve?

— Sì — ammise lui prontamente. Rivedere il corpo di Berry, ricreato con tanta perfezione… Asineth non poteva sapere che lui era stato l’amante di Berry molto prima di Nasilee, ma la vista di Berry lì sulla spiaggia lo spaventò più di quanto avrebbe potuto qualsiasi altro trucco. Tuttavia Sleeve non era un uomo da lasciarsi completamente distrarre dai suoi ricordi amorosi. — Sei perfetta… ma non sei un dio?

— Davvero? Sono venuta da te dopo una battaglia, Sleeve — disse lei. — Avevo imparato tante cose e dovevo provarle. Per prima cosa ho sfidato il rozzo Cervo, perché credevo che sarebbe stato il più facile da domare. Mi sbagliavo, perché la mia prima battaglia è stata la più dura di tutte, e lui quasi mi ha vinto, e anche ora lo temo un po’. Ma non importa: adesso è in catene alla radice del mondo, e non avrai alcun aiuto da lui.

Era pazza, naturalmente. Sfidare il Cervo e vincerlo… assurdo.

— Le Dolci Sorelle sono venute dopo, perché avevo un conto aperto con loro. Sono rimasta sorpresa vedendo con quanta facilità si sono arrese… non hanno armi per il tipo di guerra che combatto io. Sono nate con dei corpi molto divertenti, e nella carne rimarranno, incatenate in essi fino a quando io lo vorrò.

— E Dio? — chiese Sleeve divertito.

— È sfuggente. Dovrò tenerlo dove possa sorvegliarlo, nel corso degli anni. Ma quanto a te, Sleeve… Non ti temo neanche un po’.

Il suo amore per la teatralità lo indusse quasi a rispondere con qualche eroico epigramma; ma aveva appreso fin da giovane che la teatralità non sostituiva una sicura vittoria. Perciò le morse il cuore con i denti della sua mano sinistra, per abbatterla subito con un colpo magico. Anche se avesse resistito, sarebbe stata troppo scossa per combatterlo, dopo.

Ma lei non mostrò alcun segno di dolore, e mentre lui stringeva la sua crudele mano interiore, si accorse con sorpresa di sentire dolore nel suo cuore. Si fermò, ma il dolore continuò, e in un attimo di angoscia si rese conto che le parole di lei non erano state una vanteria. Non c’era alcun aiuto per lui da parte del Cervo, e quella presenza degli dèi che aveva sempre sentito sotto il suo potere… era sparita.

— Cosa hai fatto! — gridò.

— Ti ho colto di sorpresa, vero? — disse lei. — Oh, non preoccuparti, Sleeve. Se gli dèi non mi hanno resistito, come potresti tu?

Il dolore nel suo cuore si calmò, e si trovò steso sulla sabbia, guardando la donna con occhi annebbiati.

— Non riesci a vedermi bene? — chiese lei. E di colpo i suoi occhi furono liberi dalle lacrime. Fu questo che lo spaventò più di tutto. Una magia che poteva spezzare la potenza degli dèi era terribile davvero, ma una magia così delicata da asciugare le lacrime dagli occhi di un uomo… questa era una cosa di cui non aveva mai letto sui suoi libri, in tutta la sua vita.

— Guardami — ripeté lei. — Berry era la donna più bella che avessi mai visto, ma io sono Bella e ho pensato ad alcuni miglioramenti. Ecco: non è meglio questo? E questo?

Lui rimase steso sulla sabbia e disse che sì, era meglio.

— Bene — disse lei alla fine, rivestendosi mentre parlava. — Bene, Sleeve. Immagino che vorrai venire con me.

— Dove vuoi andare? — chiese lui.

— Da Palicrovol, naturalmente — disse lei. — Non sono sua moglie? Non mi ha sposato davanti a molti, molti testimoni?

— Glielo avevo detto che doveva ucciderti.

— Me ne ricordo — disse lei. — Ma non l’ha fatto, ed eccomi qui. Pensi che mi troverà bella?

Era impossibile che intendesse vivere con lui come sua moglie.

— Oh, non voglio — disse lei. — Vivere con lui? Assurdo. Ma ho sentito dire che ha mandato a prendere la Principessa dei Fiori dalle Isole Meridionali. Ho sentito che è diventata maggiorenne. E a quanto pare pensa di poterla sposare. Mentre sono ancora viva, pensa di poterla sposare. Quando mi vedrà, penserà ancora che lei sia bella?

Sleeve si prese la soddisfazione di dirle, malgrado la paura: — Asineth, per quanto tu possa migliorare Berry, nessuna donna di carne è mai stata bella come Enziquelvinisensee Evelvenin.

D’improvviso sentì la lingua gonfiarsi in gola, e dei serpenti scivolargli sotto i vestiti, una lingua biforcuta gli solleticò la gola. — Non chiamarmi più Asineth — sussurrò lei.

— Sì, Bella — rispose lui.

— Tu verrai con me da Palicrovol. Ti terrò come schiavetto.

— Come vuoi — disse lui.

Lei ridacchiò e i serpenti se ne andarono. — Alzati — disse.

Sleeve si alzò, e nel farlo scoprì che lei non si era accontentata di cambiare la propria forma. Aveva cambiato anche la sua.

— Dimmi la verità — disse lei. — Non ti piaci di più così? Non eri stanco di essere un gigante pallido fra gli altri uomini?

Lui non le rispose; si limitò a guardarsi le mani e annuì. È questo il sapore della sconfitta, pensò, ma sapeva che non era vero. Quello era solo l’inizio della sconfitta. Sapeva che Asineth aveva dei piani. E provò pietà per Palicrovol, perché sapeva che adesso non c’era speranza per lui. Era evidente che tutti gli avvertimenti sul potere di un bambino nato di dieci mesi erano poca cosa paragonati al pericolo rappresentato dalla madre, e ormai era troppo tardi per pensare a come fermarla. La forza di Asineth era talmente superiore alla sua che poteva ridersi dei suoi più potenti attacchi. Solo qualcosa oltre il potere del sangue vivente poteva sconfiggerla ormai, ammesso che fosse possibile. Non si era mai sentito così spaventato in tutta la sua vita.

Solo quando ebbe impacchettato i suoi libri e se li fu caricati sulla schiena, solo quando lei lo portò via da Brack all’estremità di una catena d’oro, solo allora inventò per sé un ruolo che poteva tenerlo in vita. Si avvolse la lunga catena attorno alle gambe e cominciò a seguirla con passo ondeggiante, come un bambino, cantando a squarciagola:

“Ho preso Bella,

l’ho messa in padella.

C’è restata di sasso,

è proprio uno spasso!”

Lei si voltò a guardarlo infastidita, e tirò la catena d’oro. Subito lui cadde in avanti contro le rocce, facendosi un taglio su una spalla. Ignorando il dolore, si toccò la ferita con un dito, poi leccò il sangue. — Il vino è forte ma le gambe sono corte — dichiarò solennemente.

Guardandolo, lei non poté fare a meno di sorridere. Gli aveva dato una forma ridicola, e lui si era immedesimato nella parte. Questo le fece piacere. — Come si chiama il vino? — chiese stando al gioco.

— Rosso bilioso, dai vigneti di Urubugala.

— Urubugala — disse lei, e rise. — Urubugala. È la lingua di Elukra, vero? Cosa vuol dire?

— Galletto — rispose Sleeve.

— Galletto mio — disse lei. — Mio Urubugala. — Era un buon nome per la creatura in cui egli si era trasformato. E il nome non spiaceva a Sleeve. Se serviva a tenerlo in vita, gli piaceva. Sleeve non era uno di quegli uomini deboli e orgogliosi che possono essere controllati dalla minaccia dell’umiliazione. C’erano occasioni in cui apprezzava perfino la libertà che gli dava la sua parte di buffone.

“Bella aveva una bambina

ch’era tanto piccolina.

Un bel mattino

divenne un pesciolino.”

Bella lo guardò torva, ma Sleeve si alzò la tunica, e avanzò verso di lei mostrando i suoi grotteschi genitali. — Se ti piace fare la mamma, sarò ben lieto di generartene un’altra.

— Non sempre sei divertente — disse Bella. — Non mi piaci quando non sei divertente.

Sleeve le andò vicino e sussurrò: — Dov’è la bambina?

Immediatamente sentì un dolore lancinante nella testa, come se i suoi occhi venissero spinti fuori da qualcosa che cresceva dietro di essi. Dopo pochi momenti terminò. Rifiutò di farsi vincere così facilmente.

— La bambina è morta! Vive nella mia mente!

— Stai zitto, Sleeve.

Sleeve si rizzò per tutta l’altezza che gli era rimasta. — Il mio nome, Madama Bella, è Urubugala. — Tornò a sussurrare. — Impari molto in fretta. Era tutto in quei libri che hai letto?

Asineth aveva solo quattordici anni, ed era sensibile all’adulazione. Sorrise e disse: — I libri non erano nulla. Non sanno nulla. Tutto quello che ho imparato è stato come ottenere la forza. Una volta che ho pagato il prezzo per essa, la forza è diventata la mia maestra. Adesso, mi basta pensare a una cosa e posso farla. E la cosa più deliziosa di tutte è che è stato Palicrovol stesso a darmi la forza. Mi ha dato la forza, ma solo una donna può averla.

— Anche un uomo può averla — disse Urubugala.

Vide la paura balenarle sul viso. Non era ancora sicura del suo potere. — Come può un uomo averla, se un uomo non può creare un figlio dal suo corpo?

Ancora una volta lui rispose in rima:

“Con le palle contro il muro

e tenendolo ben duro

ci cibiam del nostro seme,

e di forza abbiam la speme.”

— Sei disgustoso — disse lei. — Nessun uomo può avere un potere pari al mio. E nessuna altra donna, poiché nessuna donna ha in lei un odio sufficiente per fare ciò che ho fatto. — Lo disse con orgoglio, e ancora una volta Sleeve nascose la sua paura dietro lo scherzo.

— Io sono il tuo pagliaccio e tu sei il mio mostraccio. Dov’è mai la tua bambina? Oh, abbiamo avuto una discussione. — Bella gettò indietro la testa e sorrise. — Ho vinto io. — A Sleeve parve di poter vedere ancora il sangue sulla sua lingua.

Загрузка...