24 IL PICCOLO MASTIO

Come il Piccolo Re decise di aiutare a uccidere suo figlio.

Tortura

Tu eri fuori dalla città quando lo portarono in prigione, Palicrovol. Le tue armate si stavano radunando alla Porta Posteriore, dove le torri erano meno fitte. Come se le torri contassero qualcosa. Mentre portavano Orem all’Angolo del Castello, percorrendo il Lungo Camminamento, lui poté vedere i tuoi vessilli. Ti aveva protetto tanto a lungo che avevi cominciato a sperare, vero? E anche adesso aveva provato a tal punto la Regina che lei non poteva attaccare i tuoi maghi e i tuoi preti, poteva soltanto legare di nuovo Coniglio, Donnola e Urubugala, mantenere la lealtà e il coraggio delle sue guardie, e sperare che avresti aspettato ancora sette giorni.

E tu aspettasti. Le tue truppe superavano di gran lunga quelle di Bella: cento dei tuoi per uno dei suoi. Avresti potuto accumulare i cadaveri dei tuoi per scalare le mura, e te ne sarebbero rimasti a sufficienza per saccheggiare la città e prendere il castello. Non avrebbe potuto fermarti, allora, perché non aveva la forza. Avresti potuto venire da lei, e tutto il suo potere sarebbe stato appena sufficiente per muovere una spada. Come l’avresti uccisa, allora, Palicrovol? Con una corda? Col fuoco? Annegandola? Uno qualsiasi di questi modi sarebbe andato bene. Oppure avevi un piano per usarli tutti? Se avessi agito allora, Re Palicrovol, tuo nipote sarebbe ancora vivo, poiché come disse Bella, finché non avesse compiuto un anno, non era maturo.

Ma tu aspettasti, raccogliendo le tue armate, e aspettasti, e aspettasti, mentre altri prendevano l’unica strada, la strada impossibile, la strada disperata per distruggerla prima che fosse di nuovo imbattibile. Avresti potuto fermarla, Palicrovol, ma ancora una volta fu tuo figlio a salvarti. Pensa anche a questo, prima di ucciderlo per aver osato sedersi sul tuo trono.

Lo imprigionarono nel Piccolo Mastio, e i carcerieri lo torturarono distrattamente, perché era per questo che i prigionieri venivano mandati lì. Mentre gli slogavano le braccia, Orem si chiese se era questo che aveva fatto urlare l’uomo; lui, non urlò. Era il soffocamento? Gli aghi nelle piante dei piedi? I lacci ai testicoli? Il pezzo di vetro infilato in bocca, che gli tagliò la lingua e gli riempì la bocca di sangue che non osò inghiottire? Era stato questo che aveva spezzato l’altro uomo? Non spezzò Orem. Poiché adesso non dimorava dentro se stesso. Dimorava nel corpo di un bambino di un anno, la cui mente era cinque volte più vecchia, il cui cuore era luminoso, la cui vita era una gioia continua; Orem viveva dentro Giovane, e si limitava a osservare le proprie sofferenze da lontano, quasi senza interesse. Una volta si era tagliato la gola con una spada, ricordava. Ma il dolore era passato. Tutto il dolore era passato, era rinchiuso da qualche parte, e lui non ricordava dove. Solo il bacio del bambino sulle sue labbra, solo le piccole braccia intorno al collo. Non ho mai saputo come un padre ami il proprio figlio fino ad ora. Come ha trovato mio padre la forza di andarsene dalla Casa di Dio, lasciandomi là? E quando il dolore era peggiore, Orem tornava da suo padre, tornava ad avere quattro anni, e guardava il mondo dalle spalle di suo padre, stringendo i capelli dorati di suo padre, mentre il mondo andava su e giù.

Gli era di conforto, allora, pensare che Avonap era stato suo padre. Pensa se Orem avesse imparato la paternità da te, Palicrovol. Avrebbe creduto, in questo caso, che i padri non amano i figli. Avrebbe pensato che un padre è un Re, e decide la morte di un uomo perché ha usurpato il suo posto. E quando gli viene detto che l’usurpatore è suo figlio, il Re raddoppia il premio per la sua cattura, poiché sa che suo figlio è colpevole di incesto oltre che di tradimento. Quanto sarebbe sopravvissuto Orem nell’Angolo del Castello, se avesse appreso la paternità da te, Palicrovol? Non abbastanza da salvarti la vita, credo.


Urubugala

Il sesto giorno Urubugala venne al Piccolo Mastio. Era stato un errore, disse. Orem non doveva essere torturato, la Regina mandava le sue scuse.

Orem giaceva sul suo morbido letto (poiché a parte le torture, era una prigione confortevole) e ascoltò quello che gli diceva Urubugala, capendo ben poco e interessandosene ancor meno. Perché quell’ometto nero continuava a parlare? — Vattene — sussurrò Orem.

— Ascoltami — disse Urubugala. — Naturalmente l’ha ordinato lei. Ma oggi finisce perché domani è il giorno in cui intende uccidere tuo figlio.

Orem voltò la faccia.

— Non può sentirci… ci hai pensato tu. Non ha più la Vista. C’è un modo, un solo modo per fermarla, e con il tuo aiuto può funzionare.

— Non c’è nessun modo — disse Orem. — Mi ha legato. Non posso far uscire il mio potere.

— Lo so che ti ha legato — disse Urubugala. — Le ho insegnato io come.

— Le hai insegnato?

— È venuta da me terrorizzata, mentre tu la assalivi e le strappavi tutto quello che aveva, e mi ha obbligato a dirle come legarti.

— Non è vero che ti ha obbligato — disse Orem. — Ti avevo già liberato, prima di attaccare lei.

Urubugala alzò le spalle. — Allora non mi ha obbligato. Se non le avessi insegnato come legarti, ti avrebbe ucciso per salvare se stessa. Perciò mi devi la vita.

— Non voglio la vita — disse Orem. — Mio figlio morirà.

— Sì. Domani — disse Urubugala brutalmente. — Tuo figlio non ha nessuna speranza, non ha mai avuto nessuna speranza, e Bella ti aveva avvertito di non amarlo. Noi tutti ti abbiamo avvertito di non amarlo, ma tu l’hai fatto, sa il Cervo per quale ragione. Come possiamo cancellare questo? L’hai scelto tu stesso, Piccolo Re. Ma c’è un modo per far sì che quando Bella ucciderà tuo figlio distrugga insieme anche se stessa. Ascolta, Piccolo Re. Tu sai chi sono io in realtà; puoi dubitare che sappia quello che è possibile e quello che non lo è? La Regina eseguirà i riti che pongono la sua forza nel figlio. Tutto quello che è, lo tirerà fuori da se stessa e lo metterà in lui. E nel momento in cui il Passaggio sarà completo, lo ucciderà e berrà il sangue vivente, e attraverso il sangue riceverà indietro se stessa, centomila volte più forte.

Invano Orem gridò e si seppellì sotto le coperte, per escludere la visione dalla sua mente.

— Piccolo Re, se eseguirai i riti con lei, ma segretamente, in maniera che non ti possa vedere, allora nel momento finale, quando tutta la sua forza andrà nel bambino, anche la tua volontà andrà in lui. Andrà in lui, Piccolo Re, Piccolo Pozzo, e tutta la sua forza scorrerà via nella terra, e quando lei berrà, non ci sarà alcun potere, e la sua stessa vita morirà con il bambino.

Orem sentì, anche se non voleva sentire; pensò anche se non voleva pensare. — No — sussurrò.

— Maledizione, ragazzo! Perché no?

— Se Giovane muore, che mi importa del resto?

— Non ti importa di essere il solo al mondo che possa fermarla? Che gli dèi stessi siano nelle tue mani? Perché pensi che ti abbiano condotto fin qui? Perché pensi di essere ancora vivo?

Orem si voltò, guardò il nano negli occhi, a pochi pollici dal bordo del letto. — Non so perché sono vivo — disse a bassa voce. — Una volta credevo di essere solo, di essere libero di fare ciò che volevo della mia vita Ma adesso so che dal mio concepimento in poi non sono mai stato me stesso, ma solo uno strumento. Come Bella ha generato una figlia e un figlio per usarli come strumenti, così Dio e il Cervo e le Sorelle mi hanno generato. Che differenza c’è? Se mio figlio non può essere salvato dalla Regina, io almeno posso salvarmi dagli dèi.

Guardò gli occhi di Urubugala, aspettando una replica. Ma non venne. Gli occhi del mago si velarono di lacrime. — Hai sognato la libertà? — mormorò. — Anch’io, per trecento anni. Ma tu non sarai il solo a pagare un prezzo per la fine di Bella. La forza di Bella ci ha tenuti in vita per secoli, Donnola, Coniglio, Palicrovol, me. Quando la sua forza se ne andrà, cosa ci terrà in vita?

Orem aveva creduto che Donnola sarebbe semplicemente diventata Enziquelvinisensee Evelvenin di nuovo. Come era stata la notte delle nozze. Non gli era venuto in mente che gli anni trascorsi sarebbero anch’essi tornati.

— E tuttavia — disse Urubugala — pagheremo con piacere quel prezzo.

— Se farò quello che dici, sarà lo stesso necessario che Bella l’uccida.

— Sì.

— E dunque non saremo complici della sua morte?

— Qual è il prezzo per liberare il mondo? Un bambino. Qual è il prezzo per rendere schiavo il mondo? Lo stesso bambino. Morto, in entrambi i casi.

Orem si coprì la faccia con le mani e pianse.


Donnola

Quella notte Donnola Bocca-di-Verità venne da lui. Orem non parlò, perché non c’era bisogno di parlare. Lei gli tolse i vestiti e gli spalmò il corpo di balsamo, gli strofinò delicatamente le spalle gonfie, gli cambiò le bende ai piedi. Per un’ora lo curò. Lui allungò una mano e lei gliela prese.

— Donnola — disse Orem — come posso dare meno di quello che dai tu?

Donnola non disse nulla. Cosa poteva dire? Si chinò e lo baciò sulla mano, e questo lo fece piangere ancora, perché era debole, malato, e non poteva sopportare simili tenerezze. Allora, parlò. Parlò finché non riuscì più a parlare, le raccontò tutto ciò che era successo sotto terra e sopra, le disse degli dèi, delle torture, e sopra tutto di suo figlio, di come amava suo figlio.

E quando tutto fu detto, e Orem stava scivolando nel sonno, lei ancora gli teneva la mano. Lei la tirò via, ma lui gliela tenne, debolmente, e disse: — Ti amo.

E lei gli disse, perché era così giovane, così innocente, così pieno di dolore: — Anch’io. Ti amo. — Lo disse perché era vero.

Donnola uscì dal Piccolo Mastio e andò da Urubugala, dove lui attendeva insieme a Coniglio, nel palazzo. — Lo farà — disse loro.

— Se tutto andrà bene, mi odierà per sempre — disse Urubugala.

— Perché? — chiese Donnola.

— Gli ho mentito.

— Cosa gli hai detto? — chiese Donnola.

— Non te lo dirò, Enziquelvinisensee Evelvenin, altrimenti tu gli diresti la verità, e allora credo che ci abbandonerebbe.

— Perché non riesci a credere, Urubugala, che certi uomini agiscono meglio se sanno la verità, che non sapendola?

— L’esperienza è la mia sola maestra — rispose Urubugala. — Gli uomini sono migliori quando non sanno niente.

— E tu allora, Sleeve, che sai tutto?

Urubugala alzò le spalle. — Io sono solo il nano nero della Regina.

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