XV UOMO DALLE DUE ANIME

Scambiastorie si svegliò all’alba, e immediatamente si rese conto che qualcosa non andava. Era Ta-Kumsaw, seduto sull’erba col viso rivolto a ovest, che si dondolava avanti e indietro e respirava affannosamente come se avesse dovuto sopportare un dolore sordo e continuo. Era forse malato?

No. Alvin aveva fallito. Il massacro era iniziato. Il dolore di Ta-Kumsaw non proveniva dal suo corpo. Era la sua gente che moriva, laggiù a ovest, e quella che Ta-Kumsaw provava non era angoscia né compassione, ma la loro stessa sofferenza. Anche per un Rosso dagli straordinari talenti come Ta-Kumsaw, avvertire la morte da così lontano significava che molte, molte anime avevano lasciato questa terra.

Come già aveva fatto tante volte, Scambiastorie rivolse in silenzio una breve preghiera al Signore, una preghiera che si concludeva sempre con la stessa domanda: perché ci rendi le cose tanto difficili, quando alla fine tutto si risolve in un nulla di fatto? Scambiastorie non riusciva a tollerare l’inutilità di tutto questo. Ta-Kumsaw e Alvin che avevano corso a perdifiato in quella loro maniera per arrivare fin lì. Scambiastorie che si era mosso con la massima velocità possibile a un uomo bianco. Alvin che era salito sulla Collina Ottagonale. E tutto questo a che pro? Era forse stata salvata una sola vita? In quel momento sul Wobbish stavano morendo tanti di quegli esseri umani che Ta-Kumsaw riusciva ad avvertire la loro morte da così lontano.

E come sempre accadeva quando Scambiastorie gli rivolgeva di queste domande, Dio non ebbe molto da dirgli.

Scambiastorie non aveva il minimo desiderio di interrompere Ta-Kumsaw. O meglio, immaginò che in quel momento Ta-Kumsaw non avesse molta voglia di mettersi a discutere con un uomo bianco. Ma dentro di sé sentì crescere una visione. Non una visione come quelle che si attribuivano ai profeti, non un’immagine offerta alla sua vista interiore. Le visioni di Scambiastorie si presentavano in forma di parole, e lui non sapeva di che cosa si trattasse finché le sue stesse parole non glielo rivelavano. Ma anche in quei momenti, sapeva bene di non essere un profeta; le sue visioni non erano mai tali da poter cambiare il mondo, ma solo registrarlo, capirlo. In quel momento tuttavia Scambiastorie non si pose il problema del valore di quelle sue visioni. Gli vennero, e lui fu costretto a prenderne atto. Ma in quel luogo non gli era concesso di scrivere. Che gli rimaneva da fare, dunque, se non pronunciare quelle parole ad alta voce?

Così Scambiastorie parlò, disponendo le parole in versi, perché era così che le visioni andavano espresse, in poesia. All’inizio la storia che andava narrando lo confuse, e Scambiastorie non riuscì a capire se la terribile luce che lo accecava mentre le parole gli capitombolavano fuori delle labbra fosse la luce di Dio o quella di Satana. Sapeva soltanto che chiunque dei due avesse voluto una simile carneficina, si meritava abbondantemente la rabbia di Scambiastorie, e il vecchio non provò alcun ritegno nel fustigarlo con i suoi versi.

Tutto defluiva in quelle sue parole che sgorgavano dalle sue labbra in un getto così violento che Scambiastorie a malapena riusciva a riprender fiato e certamente non interruppe nemmeno per un istante il ritmo del suo discorso, e la sua voce si faceva sempre più forte mentre i versi che gli venivano spremuti dall’intimo saettavano contro la dura parete d’aria che lo circondava, quasi sfidando Dio ad ascoltarlo e a ricambiare la sua rabbia.

Dopo che la mia sfida ebbi lanciato

e il sole tremante in cielo ebbi arrestato

la luna remota sotto di lui splendeva

d’una candida, nivea lebbra si tingeva

sulla terra ogni uomo sentì invadersi il cuore

da indicibile strazio, malattia e terrore

Iddio scagliava fiamme, il sole era rovente

coi dardi del pensiero e l’arco della mente

dell’arco la corda vibra d’un selvaggio ardore

le frecce letali ardono nella faretra d’oro

il padre e i fratelli marciano lontano

e il firmamento gronda sangue umano…

«Basta!»

Era Ta-Kumsaw. Scambiastorie si fermò a bocca aperta, mentre altre parole, altro dolore, si affollavano alle sue labbra. Ma Ta-Kumsaw non era uomo da tollerare la disobbedienza.

«È finito» disse Ta-Kumsaw.

«Sono morti tutti?» sussurrò Scambiastorie.

«Da quaggiù non posso sentire se c’è ancora vita» rispose Ta-Kumsaw. «Posso sentire solo la morte… Il mondo è stato lacerato come una vecchia coperta, che non potrà mai essere rammendata.» La disperazione lasciò immediatamente il posto a un odio gelido e implacabile. «Ma può essere lavata.»

«Se avessi potuto impedirlo, Ta-Kumsaw…»

«Sì, tu sei un brav’uomo, Scambiastorie. E tra voi ce ne sono altri. Corazza-di-Dio Weaver, per esempio. E se tutti i Bianchi fossero come te, se tutti imparassero a capire la terra, tra noi non ci sarebbero più guerre.»

«Ma io e te non siamo in guerra, Ta-Kumsaw.»

«Puoi forse cambiare il colore della tua pelle? E io posso forse cambiare il colore della mia?»

«Non si tratta della nostra pelle, ma dei nostri cuori…»

«Se tutti i Rossi fossero schierati da una parte e tutti i Bianchi dall’altra, da che parte ti metteresti?»

«Nel mezzo, implorando entrambi di…»

«Ti metteresti con la tua gente, e io con la mia.»

Scambiastorie capì che era impossibile ribattere. Forse avrebbe avuto il coraggio di rifiutare una simile scelta. Forse no. «Prego Iddio che non si arrivi mai a questo punto.»

«Ci siamo già arrivati, Scambiastorie» affermò Ta-Kumsaw. «Dopo quel che è successo oggi, finalmente non avrò più difficoltà a radunare il mio esercito di uomini rossi.»

Le parole balzarono alle labbra di Scambiastorie come animate da volontà propria: «È un’opera terribile, quella che hai intrapreso, se per mandarla avanti è necessaria la morte di tanta brava gente!»

Ta-Kumsaw rispose con un ruggito, balzando addosso a Scambiastorie, atterrandolo e costringendolo spalle a terra sull’erba del prato. La mano destra di Ta-Kumsaw stringeva Scambiastorie per i capelli; la sinistra lo aveva ghermito alla gola. «Tutti i Bianchi che non riusciranno a fuggire di là dal mare moriranno!»

Ma non aveva intenzione di ucciderlo. Infuriato com’era, Ta-Kumsaw non gli strinse la gola fino a soffocarlo. Un istante dopo il Rosso mollò la presa e rotolò di fianco, nascondendo la faccia nell’erba e allargando le braccia e le gambe in modo da abbracciare la terra con quanto più del suo corpo era possibile.

«Mi spiace» disse Scambiastorie. «Non avrei dovuto dirlo.»

«Lolla-Wossiky!» esclamò Ta-Kumsaw. «Quanto avrei preferito essermi sbagliato, fratello mio!»

«È vivo?» chiese Scambiastorie.

«Non lo so» rispose Ta-Kumsaw. Girò la testa in modo da premere la guancia sull’erba e puntò su Scambiastorie uno sguardo da incenerire. «Le parole che stavi pronunciando, Scambiastorie. Che cosa significavano? Che cos’hai visto?»

«Non ho visto niente» disse Scambiastorie. Poi, anche se seppe la verità solo pronunciandola, aggiunse: «Era della visione di Alvin che stavo parlando. Era quello che aveva visto lui. Il padre e i fratelli marciano lontano. E il firmamento gronda sangue umano. La visione è sua, mia è la poesia».

«E il ragazzo dov’è?» chiese Ta-Kumsaw. «Ha trascorso tutta la notte sulla collina; ma adesso dov’è?» Ta-Kumsaw balzò in piedi, voltandosi verso la Collina Ottagonale. «Nessuno vi ha mai trascorso una notte intera, e ora il sole sta per spuntare e lui non è ancora tornato.» Ta-Kumsaw si girò d’un tratto verso Scambiastorie. «Non riesce a scendere.»

«Che vuoi dire?»

«Ha bisogno di me» disse Ta-Kumsaw. «Lo sento. In lui si è aperta una terribile ferita. La terra sta assorbendo tutta la sua forza.»

«Che cosa c’è su quella collina? Che cos’è stato a ferirlo?»

«Chi lo sa che cosa può trovare dentro di sé un ragazzo bianco?» si chiese Ta-Kumsaw. Poi si voltò di nuovo verso la collina, come se qualcuno l’avesse chiamato. «Sì» disse, e di buon passo si avviò verso l’altura.

Scambiastorie lo seguì, senza far cenno alla contraddizione: Ta-Kumsaw, che aveva giurato di combattere contro i Bianchi finché — morti o fuggiti — non ne fosse rimasto più nemmeno uno, adesso si affrettava verso la Collina Ottagonale per salvare un ragazzo bianco.

Si fermarono entrambi nel punto dal quale Alvin aveva cominciato a salire.

«Vedi qualcosa?» chiese Scambiastorie.

«Non ci sono sentieri» rispose Ta-Kumsaw.

«Ma ieri l’hai visto» insisté Scambiastorie.

«Ieri un sentiero c’era.»

«Allora prova da qualche altra parte» disse Scambiastorie. «Cerca la tua via per salire sulla collina.»

«Un’altra via non mi condurrebbe nello stesso punto.»

«Suvvia, Ta-Kumsaw, la collina è grande, ma non così grande da non poter trovare quello che cerchi nel giro di un’ora.»

Ta-Kumsaw fissò Scambiastorie con aria sprezzante.

Imbarazzato e un po’ meno sicuro di sé, Scambiastorie proseguì ugualmente. «Allora per arrivare nello stesso posto sei obbligato a prendere lo stesso sentiero?»

«Come faccio a saperlo?» sbottò Ta-Kumsaw. «Non ho mai sentito dire che due persone siano salite sulla collina una dopo l’altra usando lo stesso sentiero.»

«Non vi è mai successo di andarci in due o tre?»

«Questo è il posto in cui la terra parla a tutte le creature che vi abitano. Le parole della terra sono l’erba e gli alberi; i suoi ornamenti sono gli uccelli e gli animali.»

Scambiastorie notò che, quando voleva, Ta-Kumsaw parlava l’inglese come un Bianco. No: come un Bianco istruito. Ornamenti. Dove mai aveva potuto imparare una parola del genere nella regione dell’Hio? «Sicché non ci è consentito di salire?»

Il volto di Ta-Kumsaw restò inespressivo.

«Be’, io direi di provarci ugualmente. La strada che ha preso la sappiamo… e allora prendiamola, che la si veda o no.»

Ta-Kumsaw continuò a tacere.

«Hai forse intenzione di restartene lì impalato lasciandolo lassù a morire?»

Per tutta risposta, Ta-Kumsaw fece un passo avanti, un passo che lo portò a faccia a faccia — o meglio, a petto a petto — con Scambiastorie. Ta-Kumsaw gli afferrò una mano, mentre con l’altra lo abbracciò stringendolo a sé e intrecciando le proprie gambe con le sue. Scambiastorie si chiese per un istante quale effetto avrebbero fatto a chi avesse potuto vederli, così stretti uno all’altro che non si capiva più a chi appartenesse una gamba e a chi l’altra. Il vecchio avvertiva il battito del cuore di Ta-Kumsaw, il cui ritmo gli sembrava molto più imperioso del pulsare lontano e precipitoso del suo. «Non siamo più due uomini» sussurrò Ta-Kumsaw. «Non siamo più un uomo bianco e un uomo rosso, divisi dal sangue versato. Siamo un solo uomo con due anime, un’anima rossa e una bianca, ma un corpo solo.»

«Benissimo» disse Scambiastorie. «Sia come vuoi tu.»

Sempre tenendo stretto Scambiastorie, Ta-Kumsaw si girò di fianco; ora avevano anche le teste premute insieme, orecchio contro orecchio, tanto che Scambiastorie non udiva più niente all’infuori del battito del cuore di Ta-Kumsaw, simile al martellare delle onde dell’oceano. Ma adesso che i loro corpi erano uniti e i loro cuori potevano dirsi fusi in uno solo, Scambiastorie scorse chiaramente un sentiero che risaliva il fianco della Collina Ottagonale.

«Vedi anche tu…» cominciò a dire Ta-Kumsaw.

«Lo vedo» l’interruppe Scambiastorie.

«Allora restami attaccato» disse Ta-Kumsaw. «AI desso siamo come Alvin… un’anima rossa e un’anima bianca nello stesso corpo.»

Tentare di salire sulla collina così uniti era scomodo, se non addirittura ridicolo. Ma ogni volta che i loro movimenti li allontanavano uno dall’altro, anche solo di un capello, il sentiero sembrava farsi più difficile, nascondersi dietro un tralcio di rampicanti, un cespuglio, un ramo sporgente. Così Scambiastorie si aggrappò a Ta-Kumsaw con la stessa disperazione con cui il Rosso si aggrappava a lui, e insieme riuscirono a compiere la difficile scalata fino alla vetta.

Arrivato in cima, Scambiastorie restò stupefatto nel vedere che, invece di trovarsi su un’unica collina, si trovavano sulla cresta di un anello formato da otto colline separate, con al centro una valle ottagonale. Fatto curioso, lo stesso Ta-Kumsaw era rimasto sconcertato. Adesso sembrava incerto; la sua presa su Scambiastorie non era più sicura come prima; non era più lui a dirigere.

«Dove andrebbe un Bianco una volta arrivato qui?» chiese Ta-Kumsaw.

«Giù, si capisce» disse Scambiastorie. «Quando un Bianco vede una valle, scende a vedere che cosa c’è dentro.»

«Fate sempre così?» chiese Ta-Kumsaw. «Senza sapere dove siete, dove sono le cose?»

Solo allora Scambiastorie capì che in quel luogo Ta-Kumsaw non poteva più far ricorso al suo senso della terra. Sulla Collina Ottagonale il Rosso era cieco come il Bianco.

«Avanti, scendiamo» disse Scambiastorie. «Guarda, non abbiamo più bisogno di stringerci uno all’altro. È solo un pendio erboso, e non ci servono sentieri.»

Attraversato un ruscello, trovarono Alvin disteso su un prato, sul quale aleggiava un sottile strato di nebbia. Il ragazzo non presentava segni di ferite, ma era privo di sensi e tremava come una foglia — quasi avesse la febbre, anche se la fronte era fresca — e il suo respiro era rapido e affannoso. Proprio come aveva detto Ta-Kumsaw: stava morendo.

Scambiastorie lo toccò, lo carezzò, lo scrollò, cercando di svegliarlo. Alvin non diede segno di essersi accorto della loro presenza. Ta-Kumsaw non poteva essere di alcun aiuto. Seduto accanto al ragazzo, gli teneva la mano e gemeva piano, così piano che Scambiastorie dubitò che egli stesso se ne rendesse conto.

Ma Scambiastorie non era tipo da cedere alla disperazione, se tale era il sentimento che si era impadronito di Ta-Kumsaw. Si guardò intorno. Lì vicino cresceva rigoglioso un albero dalle foglie d’un verde giallastro che alla luce dell’alba parevano d’oro puro. Da un ramo pendeva un frutto dalla pelle chiara. No, bianca. E all’improvviso, subito dopo averlo visto, Scambiastorie ne sentì l’odore, dolce e pungente, così forte che gli pareva quasi di sentirlo sulla lingua.

Agì, senza pensare a ciò che doveva fare, ma facendolo e basta. Si avvicinò all’albero, ne spiccò il frutto, quindi tornò là dove Alvin era disteso a terra, così piccolo e indifeso. Scambiastorie gli mise il frutto sotto il naso, come avrebbe fatto con una boccetta di sali, per farlo rinvenire. A un tratto il respiro rapido e superficiale di Alvin si fece più profondo, una serie di rantoli affannosi. Il ragazzo aprì gli occhi, schiuse le labbra, e dalle mascelle serrate uscì un gemito quasi identico al lamento di Ta-Kumsaw; quasi identico al guaito di un cane preso a calci.

«Dagli un morso» disse Scambiastorie.

Ta-Kumsaw si chinò in avanti, gli afferrò la mascella con una mano, la mandibola con l’altra, gli infilò le dita tra i denti e con grande sforzo lo costrinse ad aprire la bocca. Scambiastorie gli cacciò il frutto tra i denti; Ta-Kumsaw lo costrinse a chiudere di nuovo la bocca. Il frutto si spaccò, schizzando in bocca ad Alvin un liquido chiaro che colandogli lungo la guancia gocciolò nell’erba. Lentamente, a fatica, Alvin cominciò a masticare. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Inghiottì. A un tratto alzò le braccia, afferrò Scambiastorie per il collo e Ta-Kumsaw per i capelli, e si tirò a sedere. Aggrappato a entrambi, attirandoli a sé con il viso di entrambi così vicino al suo che ciascuno dei tre respirava il fiato degli altri, Alvin pianse finché il viso di tutti e tre non fu bagnato, e siccome anche Ta-Kumsaw e Scambiastorie piangevano, nessuno poteva essere sicuro di chi fossero le lacrime che stendevano un lucido velo sul viso di ciascuno.

Alvin non disse molto, ma abbastanza. Raccontò ai suoi compagni ciò che era accaduto sul Tippy-Canoe quel mattino, del sangue che aveva tinto di rosso le acque del fiume, dei mille sopravvissuti che lo avevano attraversato sull’acqua fattasi liscia e dura; del sangue sulle mani dei Bianchi, e in particolare su quelle di uno di loro.

«Non è abbastanza» disse Ta-Kumsaw.

Scambiastorie non fece commenti. Non spettava a un Bianco spiegare a Ta-Kumsaw che i carnefici del suo popolo avevano ricevuto una punizione esattamente commisurata alle loro colpe. In più, Scambiastorie non era neanche sicuro di crederci.

Alvin narrò loro come avesse trascorso la sera e la notte precedenti con Measure, salvandolo da morte sicura; e come avesse trascorso la mattina a placare l’infinita sofferenza di novemila morti innocenti che urlavano nella mente del Profeta… novemila volte quell’unico urlo nero che anni prima aveva fatto impazzire Lolla-Wossiky. Che cos’era stato più difficile… guarire Measure, o guarire Lolla-Wossiky? «È proprio come dicevi tu» sussurrò Alvin rivolto a Scambiastorie. «È impossibile costruire quel muro più in fretta di quanto non vada in rovina.» Poi, esausto ma finalmente tranquillo, Alvin si addormentò.

Scambiastorie e Ta-Kumsaw restarono uno di fronte all’altro ad ascoltare il respiro lento e regolare di Alvin, raggomitolato in mezzo a loro.

«Ora so qual è la sua ferita» disse Ta-Kumsaw. «Soffre per la sua gente, per il sangue che gronda da quelle mani.»

«La sua sofferenza non è solo per i vivi, ma anche per i morti» aggiunse Scambiastorie. «Se lo conosco, la sua ferita più profonda è il pensiero di aver fallito, l’idea che se si fosse impegnato di più forse sarebbe riuscito a portare Measure sul Tippy-Canoe in tempo per fermarli prima che venisse sparato il primo colpo.»

«I Bianchi soffrono per i Bianchi» disse Ta-Kumsaw.

«Menti pure a te stesso, se vuoi» replicò Scambiastorie. «Ma a me non puoi mentire.»

«I Rossi non portano il lutto» spiegò Ta-Kumsaw. «In cambio del sangue versato oggi, i Rossi spargeranno il sangue dei Bianchi.»

«Credevo che tu fossi al servizio della terra» disse Scambiastorie. «Non ti rendi conto di quello che è successo oggi? Non ricordi dove ci troviamo? Hai visto una parte della Collina Ottagonale della quale non avevi mai sospettato l’esistenza, e perché? Perché la terra ci ha consentito di arrivarci insieme, perché…»

Ta-Kumsaw alzò una mano. «Per salvare questo ragazzo.»

«Perché Rossi e Bianchi possano vivere insieme su questa terra, se solo…»

Ta-Kumsaw stese la mano posando le dita sulle labbra di Scambiastorie.

«Non sono un contadino che tu possa incantare cianciando di mondi inesistenti» si adirò Ta-Kumsaw. «Va’ a raccontare le tue storie a chi le vuol sentire.»

Scambiastorie spinse via la mano di Ta-Kumsaw. O almeno quelle sarebbero state le sue intenzioni, ma in quel gesto mise troppa forza, facendo perdere l’equilibrio a Ta-Kumsaw. Questi balzò in piedi all’istante; Scambiastorie fece lo stesso.

«È così che si comincia!» urlò Ta-Kumsaw.

In mezzo a loro, Alvin si mosse nel sonno.

«Un uomo rosso ti ha fatto adirare, e tu l’hai colpito, proprio come avrebbe fatto qualsiasi altro Bianco, non avete alcuna pazienza…»

«Mi hai detto di tacere, mi hai detto che le mie storie erano…»

«Parole, ecco che cosa ti ho dato, parole e un tocco leggero, e tu mi hai risposto con un pugno.» Ta-Kumsaw sorrise. Era un sorriso terrificante, come veder emergere all’improvviso dall’oscurità della giungla le zanne di una tigre, gli occhi di brace, il manto di fiamma.

«Mi dispiace, non intendevo…»

«L’uomo bianco non intende mai far nulla, ma purtroppo non riesce a farne a meno, è sempre tutto uno sbaglio. Ecco come la pensate voialtri, non è vero, Bianco Bugiardo? La gente di Alvin ha ucciso la mia gente per sbaglio, perché pensava che fossero stati uccisi due ragazzi bianchi. E per vendicare due ragazzi bianchi hanno colpito alla cieca, proprio come hai fatto tu, e hanno massacrato novemila innocenti, neonati e madri, vecchi e bambini, e i cannoni…»

«La storia di Alvin l’ho sentita anch’io.»

«Allora è la mia che non ti piace? Non vuoi ascoltarla? Sei Bianco, Scambiastorie. E sei come tutti i Bianchi: lesti a chiedere perdono, tardi a perdonare; vi aspettate che gli altri siano pazienti, ma prendete fuoco come l’erba secca in una giornata di vento… Incendiate la foresta perché siete inciampati in una radice!» Ta-Kumsaw gli voltò le spalle cominciando a risalire il pendio a lunghi passi.

«Non puoi andartene senza di me!» esclamò Scambiastorie. «Dobbiamo restare insieme!»

Ta-Kumsaw si fermò, si voltò, gettò indietro la testa e rise senza allegria. «Non ho bisogno di sentieri per scendere, Bianco Bugiardo!» Poi si voltò riprendendo a salire verso la cresta della collina.

Alvin era sveglio, si capisce.

«Mi dispiace, Alvin» cominciò Scambiastorie. «Non sapevo…»

«No» disse Alvin. «Lasciami indovinare che cosa ha fatto. Ti ha toccato così.» Alvin toccò le labbra di Scambiastorie come aveva fatto Ta-Kumsaw.

«Sì.»

«È il gesto con cui le mamme Shaw-Nee fanno tacere un bambino che fa troppo baccano. Ma sarei pronto a scommettere che se un guerriero rivolge questo gesto a un altro uomo adulto… lo fa con l’intenzione di provocarlo.»

«Non avrei dovuto colpirlo.»

«Allora avrebbe fatto qualcos’altro, finché non ti fossero saltati i nervi.»

Scambiastorie non seppe trovare una risposta. Il ragazzo probabilmente aveva ragione. Sicuramente, anzi. Andare d’amore e d’accordo con un compagno bianco era l’ultima cosa che quel giorno Ta-Kumsaw sarebbe stato disposto a tollerare.

Alvin si riaddormentò. Scambiastorie esplorò gli immediati paraggi, ma non scoprì niente di particolare. Solo immobilità e pace. Non avrebbe neanche più saputo dire quale fosse l’albero dal quale aveva colto il frutto. Adesso gli sembrava che tutti quanti avessero foglie color verde argentato, e per quanto cercasse di allontanarsi procedendo in qualsiasi direzione, alla fine si ritrovava sempre a non più di qualche minuto di distanza da Alvin. Un posto strano, un posto del quale era impossibile crearsi una mappa mentale, un posto che non si riusciva a padroneggiare. Lì la terra ti dava solo quello che voleva, non un briciolo di più.

Quando Alvin si svegliò di nuovo e Scambiastorie lo aiutò a tirarsi in piedi, era quasi il tramonto.

«Barcollo come un puledro appena nato» disse Alvin. «Mi sento così debole.»

«Nelle ultime ventiquattr’ore, hai compiuto solo la metà delle fatiche di Ercole» osservò Scambiastorie.

«Erco… chi?»

«Ercole. Un eroe greco.»

«Debbo trovare Ta-Kumsaw» fece Alvin. «Non avrei dovuto lasciarlo andare, ma ero così stanco.»

«Anche tu sei Bianco» disse Scambiastorie. «Pensi che ti permetterà di accompagnarlo?»

«Così diceva la profezia di Tenska-Tawa» spiegò Alvin. «Finché resterò con lui, Ta-Kumsaw non morirà.»

Scambiastorie sostenne Alvin mentre entrambi si incamminavano nell’unica direzione in cui era possibile dirigersi; risalirono così il dolce pendio erboso tra le colline, fino a oltrepassare la cresta. Lì si fermarono a guardare in basso. Scambiastorie non vide sentieri… solo sterpi, rampicanti, cespugli, rovi. «Impossibile passare lì in mezzo.»

Alvin lo guardò sconcertato. «Ma c’è un sentiero. Si vede benissimo.»

«Per te, forse» disse Scambiastorie. «Ma non per me.»

«Eppure sei passato di lì» gli fece notare Alvin.

«Insieme con Ta-Kumsaw» replicò Scambiastorie.

«Lui è sceso.»

«Non sono un Rosso, io.»

«Ti guiderò.»

Alvin avanzò risolutamente, come se si fosse trovato sul pascolo comune una domenica mattina. Ma a Scambiastorie parve che i rovi si spalancassero davanti al ragazzo, richiudendosi alle sue spalle. «Alvin!» chiamò. «Aspettami!»

Alvin tornò indietro e lo prese per mano. «Restami vicino» fu la sua raccomandazione.

Scambiastorie ci provò, ma i rovi continuavano a scattare all’indietro graffiandogli il viso, facendogli male. Con Alvin a fargli strada, adesso almeno riusciva ad avanzare, ma con la sensazione di qualcosa che continuasse a scorticargli le spalle. Perfino la pelle di daino non offriva il minimo riparo contro quegli spini affilati come pugnali, contro quei rami che lo flagellavano come la frusta di un negriero. Scambiastorie sentiva il sangue scorrergli lungo le braccia, la schiena, le gambe. «Non posso più andare avanti, Alvin!» gridò.

«Lo vedo» disse Alvin.

«Chi?»

«Ta-Kumsaw. Aspettami qui.»

Alvin lasciò andare la mano di Scambiastorie; poi per un istante scomparve, e il vecchio si ritrovò solo insieme coi rovi. Cercò di non muoversi, ma doveva pur respirare, e ogni volta sentiva nuove trafitture.

Alvin ricomparve prendendogli la mano. «Stammi dietro. Un altro passo.»

Scambiastorie si fece forza e avanzò d’un passo.

«Giù» ordinò Alvin.

Scambiastorie obbedì allo strattone di Alvin e s’inginocchiò, pur temendo di non riuscire più a rialzarsi attraverso il tetto di rovi che gli si era immediatamente formato sopra la testa.

Poi Alvin gli guidò la mano finché Scambiastorie non sentì quella di un’altra persona, e all’improvviso i rovi si diradarono un pochino e Scambiastorie poté vedere Ta-Kumsaw disteso per terra, col sangue che gli grondava da centinaia di ferite aperte sul corpo seminudo. «È arrivato fin qui da solo» disse Alvin.

Ta-Kumsaw aprì gli occhi. Nel suo sguardo fiammeggiava la rabbia. «Lasciatemi qui» sussurrò.

Per tutta risposta, Scambiastorie strinse a sé con un braccio la testa di Ta-Kumsaw. Adesso che una superficie maggiore dei due corpi era a contatto, i rovi sembrarono piegarsi e indietreggiare. Dove fino a un attimo prima c’erano stati soltanto rovi, adesso Scambiastorie scorse un sentiero.

«No» protestò Ta-Kumsaw.

«Non possiamo uscire di qui senza aiutarci a vicenda» gli fece osservare Scambiastorie. «Che ti piaccia o no, se vuoi vendicarti dei Bianchi hai bisogno dell’aiuto di un Bianco.»

«Allora lasciami qui» sussurrò Ta-Kumsaw. «Salva la tua gente lasciandomi morire.»

«Neanch’io posso scendere senza di te» insisté Scambiastorie.

«Bene» fece Ta-Kumsaw.

Scambiastorie notò che le ferite di Ta-Kumsaw sembravano molto meno numerose, e quelle rimaste avevano già fatto la crosta ed erano pressoché guarite. Subito dopo si accorse che anche le sue ferite non gli facevano più male. Si guardò intorno. Alvin era seduto contro il tronco di un albero, a occhi chiusi, esausto, sfinito, come se l’avessero appena frustato.

«Guarda quanto gli costa guarirci» disse Scambiastorie.

Per una volta, l’espressione di Ta-Kumsaw tradì la sorpresa; la sorpresa, poi la rabbia. «Non ti ho chiesto di guarirmi!» gridò. Sottrattosi a forza all’abbraccio di Scambiastorie, cercò di avventarsi su Alvin. Ma all’improvviso un tralcio di rovi sbucato dal nulla gli si avvolse intorno al braccio, e Ta-Kumsaw gridò, non di dolore ma di rabbia. «Nessuno può costringermi a fare quello che non voglio!» urlò.

«Perché dovresti essere l’unico essere umano a godere di questo privilegio?» chiese Scambiastorie.

«Farò quel che ho deciso di fare e nient’altro, qualunque cosa la terra mi dica!»

«È esattamente quello che dice il fabbro nella fucina» disse Scambiastorie. «O il contadino che abbatte gli alberi della foresta.»

«Come osi paragonarmi a un uomo bianco!»

Ma i rovi si avviluppavano sempre più strettamente intorno al suo corpo, finché Scambiastorie non riuscì in qualche modo, dolorosamente, ad avvicinarsi a lui e ad abbracciarlo. Ancora una volta Scambiastorie sentì che le sue ferite si rimarginavano, e vide quelle di Ta-Kumsaw svanire con la stessa rapidità dei tralci che avevano anch’essi lasciato la presa, afflosciandosi a terra. Alvin li guardava supplichevole, come per dire: quanta forza mi sottrarrete ancora, prima di fare quello che sapete di dover fare?

Con un ultimo grido angosciato, Ta-Kumsaw si voltò abbracciando Scambiastorie con la stessa forza disperata della prima volta. Insieme, discesero l’ampio sentiero che adesso conduceva ai piedi della collina. Alvin li seguì incespicando.

Dormirono nello stesso luogo in cui avevano trascorso la notte precedente; ma il loro fu un sonno inquieto. Al mattino, Scambiastorie senza dire una parola ripose nella bisaccia i suoi pochi beni terreni, compreso il libro le cui parole in quel luogo non avevano più senso alcuno. Poi baciò Alvin sulla testa e se ne andò. A Ta-Kumsaw non disse niente, né questi disse niente a lui. Entrambi sapevano che cosa la terra avesse detto, ed entrambi sapevano che per la prima volta in vita sua Ta-Kumsaw andava contro a ciò che sarebbe stato bene per la terra, per soddisfare un bisogno diverso. Scambiastorie non cercò nemmeno più di discutere. Sapeva che Ta-Kumsaw sarebbe andato avanti per la sua strada senza curarsi di nulla, anche se questo significava vedersi il corpo solcato da mille ferite sanguinanti. Scambiastorie sperò soltanto che Alvin avesse la forza di restare con Ta-Kumsaw sino in fondo, e di tenerlo in vita anche quando ogni speranza fosse scomparsa.

Verso mezzogiorno, dopo aver camminato quasi in linea retta verso ovest per tutta la mattina, Scambiastorie si fermò e tirò fuori il libro dalla bisaccia. Con suo grande sollievo, riusciva di nuovo a leggerlo. Aprì la cinghia che racchiudeva gli ultimi due terzi del libro, le pagine che riservava a se stesso, e trascorse il resto del pomeriggio scrivendo tutto ciò che gli era accaduto, tutto ciò che Alvin gli aveva raccontato, tutto ciò che egli stesso temeva per il futuro. Scrisse anche le parole della poesia che gli era venuta alla mente il mattino precedente, i versi che gli erano venuti alle labbra, anche se la visione era quella di Alvin. Quella poesia era sempre giusta e vera, ma nel leggerne le parole scritte sul suo libro, la forza che le animava parve svanire. Non gli era mai capitato di arrivare così vicino a essere un poeta; ma ora quel dono lo aveva abbandonato, né del resto gli era mai appartenuto. Proprio come il giorno prima lui e Ta-Kumsaw avevano attraversato quel prato senza scorgervi niente di speciale, senza nemmeno immaginare che per Alvin era stato una carta geografica dell’intero continente, così ora, una volta scritte quelle parole nel suo libro, Scambiastorie non ricordava più la forza che le aveva ispirate.

Scambiastorie non poteva viaggiare come i Rossi, dormendo in piedi e camminando tutta la notte. Perciò gli ci volle più di qualche giorno per compiere il lungo viaggio verso ovest fino alla città di Vigor Church, dove sicuramente avrebbe trovato un sacco di gente con una vicenda lunga e amara da raccontargli. Se mai qualcuno aveva avuto bisogno di un uomo come Scambiastorie a cui narrare la propria vicenda, quel qualcuno erano proprio gli abitanti di Vigor Church. Eppure, se mai era esistita una storia che Scambiastorie esitasse a farsi raccontare, era la loro. Ma non esitò. Era in grado di sopportarlo. Ci sarebbero state molte altre vicende oscure da raccontare prima che Ta-Kumsaw fosse giunto al termine del suo cammino; meglio cominciare subito, in modo da non restare indietro.

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