I HOOCH

Non erano molte le chiatte che scendevano il fiume Hio in quei giorni, per lo meno non con pionieri a bordo, non con famiglie e attrezzi e mobili e sementi e un paio di suini giovani, futuri capostipiti di un branco. Bastavano un paio di frecce incendiarie, e ben presto una qualche banda di Rossi si era messa in saccoccia una sfilza di scalpi mezzi carbonizzati da vendere ai francesi di Detroit.

Ma Hooch Palmer non era afflitto da questo genere di pensieri. Non c’era Rosso che non riconoscesse immediatamente il profilo della sua chiatta, carica com’era di barili disposti su più livelli. Nella maggior parte sciabordava il whisky, che era all’incirca la sola musica che quei Rossi riuscissero a capire. Ma proprio al centro dell’enorme catasta di barili, ce n’era uno che non sciabordava. Era pieno di polvere nera, e ne usciva una lunga miccia.

A che serviva quella polvere nera? Mettiamo che Hooch e i suoi uomini scendessero tranquilli la corrente, governando la chiatta con le pertiche intorno a una curva del fiume, e a un tratto si fossero trovati la via sbarrata da una mezza dozzina di canoe gremite di quella brava gente dei Kicky-Poo, dipinti da capo a piedi. Oppure avessero visto un falò acceso presso la riva, e qualche diavolo Shaw-Nee che ci ballava intorno pronto a infilarci dentro la punta delle frecce incendiarie.

Per la maggior parte della gente ciò significava che era giunto il momento di pregare, combattere e morire. Ma non per Hooch. Ritto al centro della chiatta, con una torcia in una mano e la miccia nell’altra, urlava a squarciagola: «Whisky esplodere! Whisky esplodere!»

Ora, la maggior parte dei Rossi con l’inglese se la cavava maluccio, ma tutti quanti sapevano perfettamente che cosa volessero dire «esplodere» e «whisky». E invece di vedersi piovere addosso una gragnuola di frecce o di essere abbordati da una flottiglia di canoe, ben presto scorgevano quelle stesse canoe oltrepassarli a tutta velocità tenendosi sul lato opposto del fiume. Qualche Rosso sbraitava: «Carthage City!» e Hooch urlava di rimando: «Sicuro!», e le canoe si allontanavano di gran carriera sulle acque del fiume Hio, dirette là dove ben presto sarebbe zampillato il liquore.

Era la prima volta che i ragazzi alle pertiche si trovavano sul fiume, e non sapendo tutto quello che sapeva Hooch Palmer non appena scorsero quei Rossi armati di frecce incendiarie quasi se la fecero addosso dalla paura. E quando videro Hooch con quella torcia accostata alla miccia, stavano per buttarsi a capofitto nel fiume. Hooch rise fino alle lacrime. «Voialtri non sapete nulla di Rossi e di liquore» disse. «Non si sognerebbero mai di fare niente che possa far cadere nell’Hio una sola goccia di whisky. Ciascuno di loro ucciderebbe la madre senza pensarci due volte, se si mettesse tra loro e uno di quei barili, ma noi non oseranno toccarci finché ci sarà quella polvere pronta a esplodere se solo cercano di mettermi le mani addosso.»

Anche se in privato i suoi uomini potevano domandarsi se Hooch avrebbe veramente fatto saltare la zattera, ciurma e tutto, è bene dire che Hooch l’avrebbe fatto per davvero. Non era un gran pensatore, né tipo da dedicare molto tempo alle meditazioni sulla morte, sull’aldilà o su analoghe questioni filosofiche, ma a una conclusione era pur giunto: se doveva crepare, sicuramente non sarebbe crepato da solo. E di un’altra cosa era convinto: che se qualcuno l’avesse ammazzato, non ne avrebbe ricavato il minimo vantaggio. Soprattutto se si fosse trattato di qualche verme rosso ubriacone armato di un coltello da scalpi.

Ma l’aspetto più divertente della cosa non lo sapeva nessuno, ed era che Hooch non avrebbe avuto bisogno di una torcia, e neanche di una miccia. Anzi, a scanso d’incidenti quella miccia non andava neanche a finire dentro il barilotto della polvere. No, se mai Hooch avesse voluto far saltare la chiatta, avrebbe soltanto dovuto mettersi lì e pensarci un po’ sopra. E ben presto la polvere avrebbe cominciato a scaldarsi, e magari avrebbe fatto un po’ di fumo, e poi, bam!, sarebbe esplosa.

Proprio così. Il vecchio Hooch era una scintilla. Certo, c’è chi sostiene che le scintille non esistono, e a mo’ di prova dice: «Avete mai conosciuto una scintilla, o saputo di qualcuno che l’avesse conosciuta?» Ma questa non è affatto una prova. Perché, se ti capitasse di essere una scintilla, mica andresti a raccontarlo ai quattro venti, no? Sono servizi per cui non c’è una gran richiesta; troppo facile usare pietra e acciarino, o magari quegli zolfanelli alchemici che ci sono adesso. No, l’unico vantaggio che deriva dall’essere una scintilla è quando si vuole incendiare qualcosa da lontano, e questo può avvenire soltanto per uno scopo malvagio: far del male a qualcuno, bruciare un edificio, far saltare in aria qualcosa. E se uno offre questo genere di servizi, non espone certo un cartello con su scritto: SCINTILLA OFFRESI.

Peggio ancora, se si sparge la voce che sei una scintilla, puoi star sicuro che tutti quanti non perderanno occasione per metterti nel mezzo. Un ragazzo va a farsi una pipata nel fienile, e il fienile prende fuoco: figuriamoci se il ragazzo si sogna di dire: «Sì, papà, sono stato io». Nossignore, il ragazzo si affretta a dire: «Sai, papà? Dev’essere stata una scintilla!» e subito quelli vengono a cercare te, il capro espiatorio del circondario. No, Hooch non era uno stupido. Non l’aveva mai detto a nessuno, che aveva il potere di dar fuoco alle cose.

C’era un altro motivo per cui Hooch non usava troppo di frequente i suoi poteri. Era un motivo così segreto che lo stesso Hooch non ci pensava volentieri. Il fatto è che il fuoco gli faceva paura. Una paura che gli veniva dal profondo. Allo stesso modo, c’è chi ha paura dell’acqua, e va per mare; e chi ha paura della morte, e fa il becchino; e chi ha paura di Dio, e fa il pastore d’anime. Insomma, Hooch temeva il fuoco più di qualsiasi altra cosa, e per questo motivo ne era attratto, anche se lo stomaco gli si torceva dalla nausea; e quando si trovava nella necessità di dar fuoco a qualcosa, nicchiava, rimandava, inventava mille scuse per non farlo. Hooch aveva un dono, ma era incredibilmente riluttante a farne uso.

Ma in questo caso l’avrebbe fatto. Prima di permettere a un Rosso di mettergli le mani addosso, avrebbe fatto saltare quella polvere, se stesso, i suoi uomini e tutto il suo liquore. Nonostante tutta la paura che aveva del fuoco, Hooch l’avrebbe vinta in men che non si dica, purché l’avessero mandato sufficientemente fuori dei gangheri.

Ottima cosa, dunque, che i Rossi amassero il liquore a tal punto da non volerne versare neanche una goccia. Non una canoa si avvicinò mai troppo; non una freccia si piantò con un tonfo sordo in un barile, restando lì a vibrare; e Hooch e i suoi barili e barilotti navigarono tranquilli e beati fino a Carthage City, che era il pomposo nome dato dal governatore Harrison a un fortino presidiato da cento soldati che sorgeva proprio alla confluenza tra il Piccolo My-Ammy e l’Hio. Ma Bill Harrison era il tipo d’uomo che prima dava il nome al posto, e poi lavorava duro per far sì che il posto fosse all’altezza del nome. E difatti stavolta fuori del fortino si levava il fumo di non meno di cinquanta comignoli, il che significava che Carthage City si poteva ormai quasi dire un villaggio.

Li udirono urlare ancor prima di giungere in vista dell’attracco. Dovevano esserci Rossi che trascorrevano metà della loro esistenza accampati sulla sponda del fiume in attesa che arrivasse la chiatta del liquore. E Hooch sapeva che stavolta erano particolarmente ansiosi, anche perché a Fort Dekane si era accertato, ungendo le ruote giuste, che gli altri mercanti di liquori restassero bloccati laggiù finché la vecchia Carthage City non fosse stata più asciutta di una tetta di toro. Ma ecco che arrivava Hooch con la sua chiatta e un carico come quelli non avevano mai visto in vita loro. Stavolta ne avrebbe ricavato un bel gruzzoletto, questo era certo.

Bill Harrison poteva essere vanesio come una pernice, darsi tutte le arie che voleva e farsi chiamare «governatore» anche se nessuno lo aveva mai eletto o nominato a quella carica se non lui stesso, ma il suo mestiere lo sapeva fare, eccome. Sull’imbarcadero aveva piazzato in perfetto ordine quei ragazzi con le loro belle uniformi, i moschetti carichi e pronti a far fuoco sul primo Rosso che avesse osato anche solo muovere un passo verso la riva. E non era una formalità: si vedeva lontano un miglio che quei Rossi erano proprio assatanati. Non che saltassero su e giù come bambini, figuriamoci: se ne stavano lì e basta, ritti in piedi a guardare, allo scoperto, senza curarsi di essere visti, mezzi nudi come era loro abitudine durante l’estate. In piedi e umili, pronti a inchinarsi goffamente strofinando i piedi per terra, a implorare e pregare, a dire: per favore, signor Hooch, un barilotto per trenta pelli di cervo, oh, quella sì che sarebbe stata musica per i suoi orecchi, musica celestiale; per favore, signor Hooch, una tazza di stagno piena di liquore per queste dieci pelli di topo muschiato. «Yu-huuu!» gridò Hooch. I suoi uomini lo fissarono come se fosse impazzito, perché non lo sapevano, loro, non avevano mai visto quei Rossi com’erano una volta, prima che il governatore Harrison mettesse su bottega da quelle parti, quando i Rossi non si degnavano neanche di guardarlo, l’uomo bianco, e tu dovevi strisciare in quelle loro capanne e mezzo soffocato dal fumo e dai vapori dovevi startene lì seduto a gesticolare e a parlare quel loro gergo da trogloditi finché non ti davano il permesso di aprire bottega. Una volta quei Rossi sarebbero stati armati di arco e di lancia, e tu saresti morto di paura all’idea che potessero preferire il tuo scalpo alle tue merci.

Ma ormai era acqua passata. Ora non ce n’era più uno che girasse armato. Ora se ne stavano tutti quanti con la lingua penzoloni in attesa del liquore. E poi bevevano, bevevano, bevevano, bevevano e bevevano, e yu-huuu! Prima di smettere di bere, cadevano morti stecchiti, che era la cosa migliore di tutte, proprio la migliore in assoluto. L’unico Rosso buono è un Rosso morto, diceva sempre Hooch, e, vista la piega che lui e Bill Harrison erano riusciti a dare alla faccenda, a forza di bere quei Rossi morivano come mosche, e pagando per il privilegio.

Quando attraccarono all’imbarcadero di Carthage City, Hooch era praticamente l’uomo più felice della terra. Liberi di non crederci, ma il sergente addirittura lo salutò! Una bella differenza da come si erano comportati quei funzionari del governo degli Stati Uniti, lassù a Suskwahenny, che lo avevano trattato come sporcizia appena raschiata da una tazza del cesso. Quaggiù, in questi nuovi territori, gli spiriti liberi come Hooch venivano quasi sempre trattati come gentiluomini, e questo a Hooch andava benissimo. Che quei pionieri con quelle mogli rozze e brutte e quei marmocchietti tutti pelle e ossa andassero pure a tagliare alberi, dissodare la terra, coltivare il granturco e allevare maiali. Hooch era di un’altra pasta. Sarebbe arrivato dopo, quando i campi fossero stati verdi e rigogliosi e le case fossero sorte in file ordinate lungo le strade disposte ad angolo retto, e allora avrebbe tirato fuori i soldi e si sarebbe comprato la casa più grande della città, e il direttore della banca, vedendolo arrivare sul marciapiede, sarebbe sceso nel fango della strada per farlo passare, e il sindaco l’avrebbe chiamato «eccellenza»… posto che a quel punto non avesse deciso di diventare sindaco lui stesso.

Questo era il futuro che Hooch scorse davanti a sé quando, mettendo piede sulla riva, ricevette il saluto del sergente.

«Scarichiamo qui, signor Hooch?» chiese il sergente.

«Ho una polizza di carico» disse Hooch. «Sicché voi ragazzi vedete di non fare scherzi. Ho una mezza idea che però ci sia un barilotto di buon whisky di segale che per qualche motivo non dev’essere stato contato. Scommetto che se sparisse nessuno se ne accorgerebbe.»

«Ci staremo molto attenti, signore» disse il sergente, ma con un sorriso così largo da mostrare i molari, e Hooch capì che il sergente avrebbe trovato il modo di tenere per sé una buona metà di quel barilotto supplementare. Se era uno stupido, l’avrebbe venduto ai Rossi un po’ alla volta. Ma con un mezzo barilotto di whisky, di sicuro non si diventa ricchi. No, se era furbo quel mezzo barilotto l’avrebbe diviso, un bicchierino alla volta, con gli ufficiali che potevano procurargli una promozione, e a forza di insistere prima o poi quel sergente non sarebbe più stato sul molo ad accogliere le chiatte, nossignori, se ne sarebbe stato a sedere negli alloggi degli ufficiali con una bella moglie in camera da letto e una buona lama d’acciaio al fianco.

Non che Hooch avesse la minima intenzione di dirglielo. Per come la vedeva lui, se certe cose un uomo aveva bisogno di farsele spiegare, questo significava che non aveva abbastanza cervello da metterle in pratica. E se invece il cervello ce l’aveva, non aveva bisogno di farsi dare l’imbeccata da un mercante di liquori.

«Il governatore Harrison desidera vedervi» disse il sergente.

«E io desidero vedere lui» ribatté Hooch. «Ma prima ho bisogno di farmi il bagno, di radermi e di mettermi addosso qualcosa di pulito.»

«Il governatore ha detto di farvi sistemare nella sua vecchia residenza.»

«Vecchia?» chiese Hooch. Harrison si era fatto costruire una residenza ufficiale solo quattro anni prima. Hooch riusciva a pensare a un solo motivo per cui Bill potesse aver deciso di costruirsene un’altra così presto. «Non sarà mica che il governatore Bill si è trovato una nuova moglie?»

«Proprio così» disse il sergente. «Una vera bellezza e, se volete saperlo, ha solo quindici anni! Però è di Manhattan, e non parla granché l’inglese, o per lo meno quello che parla non somiglia molto all’inglese.»

Hooch non aveva problemi. L’olandese lo parlava parecchio bene, quasi come l’inglese, e molto meglio dello shawnee. Avrebbe fatto amicizia con la moglie di Bill Harrison in men che non si dica. Si trastullò addirittura con l’idea di… ma no, no, non era proprio il caso di inguaiarsi con la donna di un altro. Gli capitava spesso di farci un pensiero, ma sapeva che una volta messo piede su quella strada le cose tendevano a farsi troppo complicate per i suoi gusti. E poi in realtà, con tutte quelle squaw assetate che gli ronzavano intorno, che bisogno aveva di una donna bianca?

Possibile che Bill Harrison si facesse raggiungere dai figli, ora che aveva una seconda moglie? Hooch non si ricordava con certezza quanti anni potessero avere, ma certamente quei ragazzi erano abbastanza grandi da apprezzare la vita di frontiera. Tuttavia aveva anche la vaga sensazione che i ragazzi avrebbero fatto molto meglio a restare a Filadelfia con la zia. Non era dalla vita di frontiera che a suo parere avrebbero dovuto star lontani, ma dal padre. A Hooch, Bill Harrison andava a genio, eccome, ma non l’avrebbe certo definito la guida ideale per due ragazzi… nemmeno se erano i suoi.

Si fermò davanti al portone della palizzata, a osservare quello che egli subito apprezzò come un tocco geniale. Sull’architrave, accanto ai soliti amuleti e talismani che avrebbero dovuto tener lontani i nemici, gli incendi e simili malanni, il governatore Bill aveva fatto appendere un cartello, largo quanto l’intero portone. A caratteri cubitali vi si leggeva:


CARTHAGE CITY


e a lettere più piccole:


CAPITALE DELLO STATO DEL WOBBISH


che era esattamente il genere di cosa che poteva venire in mente a Bill. In un certo senso, pensò Hooch, quel cartello era più potente di qualsiasi talismano. In quanto scintilla, per esempio, egli sapeva che un talismano contro il fuoco non avrebbe potuto fermarlo, ma solo rendergli più difficile appiccare il fuoco nelle immediate vicinanze del talismano stesso. Se avesse fatto divampare un bel fuoco da qualche altra parte, il talismano sarebbe stato incenerito assieme a tutto il resto. Ma quel cartello, che definiva il Wobbish uno Stato e Carthage City la sua capitale, ebbene, quel cartello poteva avere una certa forza, poteva esercitare il suo influsso sul modo di pensare della gente. Se una cosa viene ripetuta abbastanza spesso, la gente comincia a pensare che sia vera, e ben presto diventa vera. Certo, non cose del tipo «la luna stanotte si fermerà di colpo tornando sui suoi passi». Perché funzionasse, bisognerebbe che la luna potesse sentire. Ma se uno comincia a dire cose del genere «quella è una ragazza facile» o «il tale è un ladro», non ha molta importanza che la persona in questione ci creda oppure no, perché gli altri prima o poi cominciano a crederci e poi a comportarsi come se fosse vero. Perciò Hooch era convinto che se Harrison avesse fatto vedere a un numero sufficiente di persone un cartello che diceva che Carthage era la capitale dello Stato del Wobbish, un bel giorno la sarebbe davvero diventata.

Il fatto era, però, che a Hooch non interessava granché se a diventare governatore fosse stato Harrison, con la sua Carthage City per capitale, o quell’insopportabile astemio di Corazza-di-Dio Weaver, lassù a nord, dove il Tippy-Canoe riversava le sue acque nel Wobbish, che in tal caso avrebbe sicuramente stabilito la propria capitale a Vigor Church. Che quei due se la vedessero tra loro; chiunque avesse avuto la meglio, Hooch era fermamente intenzionato a diventare ricco e a tirare l’acqua al suo mulino. O così, o vedere tutto divorato dalle fiamme. Se mai Hooch fosse andato completamente in rovina, si poteva star certi che nessun altro ne avrebbe approfittato. Quando una scintilla non aveva più speranza, poteva sempre far pari, che all’incirca era tutto il vantaggio che secondo Hooch si poteva ricavare dall’essere una scintilla.

Be’, certo, essendo una scintilla poteva fare in modo che l’acqua del bagno fosse sempre bollente, perciò in fondo la sua non era una perdita secca. E poi era gradevole tornare alla civiltà dopo tutti quei giorni trascorsi sul fiume. I vestiti distesi sul letto erano puliti, ed era un sollievo non sentire più sul viso il pizzicore della barba. Per non parlare del fatto che la squaw che gli stava facendo il bagno moriva dalla voglia di ricevere una razione supplementare di liquore, e se Harrison non avesse mandato un soldato a bussare alla sua porta per dirgli di affrettarsi, Hooch avrebbe potuto riscuotere immediatamente la prima rata di ciò che la squaw aveva da offrirgli in cambio del whisky. Invece si asciugò e si vestì.

Quando fece per aprire la porta, la donna parve preoccupatissima. «Torni dopo?» chiese.

«Ma certo» rispose Hooch. «E mi porterò dietro un barilotto.»

«Prima di notte però» disse lei.

«Be’, forse sì e forse no» rispose Hooch. «Che te ne importa?»

«Quando notte, Rossi come me, tutti uscire da forte.»

«È così dunque» mormorò Hooch. «Be’, cercherò di tornare prima di notte. E se non torno, mi ricorderò di te. Posso scordarmi la tua faccia, ma non le tue mani, eh? È stato un bellissimo bagno.»

La donna sorrise, ma la sua era l’imitazione grottesca di un sorriso vero. Da quant’erano brutte le loro donne, Hooch non riusciva proprio a capire come mai i Rossi non si fossero estinti da un pezzo. Ma, socchiudendo gli occhi, in mancanza di donne vere ci si poteva anche accontentare.

Harrison non si era costruito solo una nuova residenza. Aveva aggiunto un intero tratto di palizzata, così che la superficie del fortino adesso era praticamente raddoppiata. E tutt’intorno alla palizzata correva un solido parapetto. Harrison era pronto per la guerra. La cosa riempì Hooch di inquietudine. In tempo di guerra il traffico dei liquori segnava il passo. I Rossi che attaccavano battaglia non erano della stessa razza di quelli che bevevano. Hooch si era talmente abituato a vedere i secondi da essersi quasi dimenticato dell’esistenza dei primi. C’era perfino un cannone. No, due. Quella vista non gli piacque affatto.

L’ufficio di Harrison non si trovava nella sua residenza, ma in un edificio a parte, il nuovo quartier generale. Al proprio ufficio Harrison aveva riservato l’angolo di sudest, quello più soleggiato. Hooch notò che nell’edificio, oltre al consueto contorno di soldati di guardia e di ufficiali al lavoro sulle loro scartoffie, c’erano parecchi Rossi sdraiati o seduti qua e là. I Rossi addomesticati di Harrison, naturalmente; a lui piaceva vedersene sempre intorno qualcuno.

Ma stavolta c’erano più Rossi addomesticati del solito, e l’unico che Hooch riconobbe era Lolla-Wossiky, uno Shaw-Nee orbo da un occhio. Lolla-Wossiky era ridotto in condizioni così penose da far ritenere un miracolo che non fosse ancora finito all’altro mondo. Tale era il suo stato di degradazione — un autentico leccapiedi — che perfino gli altri Rossi si burlavano di lui.

La cosa era resa ancora più divertente dal fatto che era stato lo stesso Harrison a uccidere suo padre, una quindicina di anni prima. Lolla-Wossiky, all’epoca ancora un marmocchio, aveva assistito alla scena. Harrison a volte raccontava questa storia di fronte allo stesso Lolla-Wossiky, e l’orbo ubriacone si limitava ad annuire e a ridacchiare, comportandosi come se non avesse avuto né una briciola di cervello né la minima traccia di dignità umana. Insomma era il Rosso più spregevole e abietto che Hooch avesse mai visto. Purché gli dessero il liquore, non gli importava neanche di vendicare il paparino. No, Hooch non rimase affatto sorpreso nel vedere che Lolla-Wossiky era disteso sul pavimento proprio davanti alla porta di Harrison, tant’è vero che questa, aprendosi, lo centrava in pieno sul deretano. Incredibile che persino adesso, dopo quattro mesi che a Carthage City non arrivava una goccia di liquore, Lolla-Wossiky fosse completamente sbronzo. Vedendo arrivare Hooch, si tirò a sedere appoggiandosi su un gomito, agitò un braccio in segno di saluto, quindi crollò di nuovo sul pavimento senza dire una sola parola. Il fazzoletto che teneva legato sull’occhio mancante gli era scivolato sulla fronte, così da esporre l’orbita vuota con le palpebre ripiegate all’interno. Hooch ebbe l’impressione che quell’occhio vuoto lo guardasse. Quella sensazione non gli piacque per niente. Lolla-Wossiky non gli andava a genio. Harrison era il tipo d’uomo che amava vedersi intorno quel genere di squallide creature — forse perché per contrasto lo facevano sentire un grand’uomo — ma a Hooch quei miserabili esemplari umani non piacevano affatto. Perché Lolla-Wossiky non era ancora morto?

Proprio mentre stava per aprire la porta di Harrison, Hooch alzò gli occhi dall’orbo ubriacone incontrando lo sguardo di un altro Rosso, e qui accadde la cosa buffa: per un istante, da quanto somigliava a Lolla-Wossiky, lo scambiò per quest’ultimo. Solo che era un Lolla-Wossiky con entrambi gli occhi, e niente affatto ubriaco, nossignori. Dalle piante dei piedi allo scalpo, quel Rosso doveva essere più di un metro e ottanta, ed era appoggiato al muro, la testa rasa tranne il ciuffo dello scalpo, gli abiti puliti e in ordine. E stava diritto, come un soldato sull’attenti, e non degnò Hooch neanche di un’occhiata. Il suo sguardo si perdeva in lontananza. Eppure Hooch capì all’istante che quel ragazzo vedeva tutto, anche se non concentrava lo sguardo su nulla.

Era un pezzo che Hooch non vedeva un Rosso come quello, così gelido e padrone di sé.

Pericoloso, pericoloso… Forse che Harrison si stava rammollendo per lasciar circolare nel proprio quartier generale un Rosso con quello sguardo? Con un portamento da re, e braccia così poderose da piegare un arco ricavato dal tronco di un querciolo di sei anni? Lolla-Wossiky era così spregevole da dargli la nausea. Ma quel Rosso che somigliava a Lolla-Wossiky era l’esatto contrario. E lungi dal fargli venire la nausea, lo faceva infuriare, con quell’aria così orgogliosa e provocatoria da dare l’impressione che si ritenesse alla pari dei Bianchi. Anzi, superiore. Ecco che effetto faceva… di uno che si ritenesse superiore.

Poi Hooch si rese conto di essersi fermato, la mano sulla maniglia, a fissare il Rosso. Quanto tempo era trascorso? Non era bene che la gente capisse fino a che punto quel Rosso lo metteva a disagio. Aprì la porta e fece un passo avanti.

Ma di quel Rosso non parlò, nossignori. Non era proprio il caso che Harrison sapesse quanto quell’unico Shaw-Nee avesse potuto disturbarlo, irritarlo. Perché dietro il grande tavolo antico se ne stava seduto il governatore Bill come il signore Iddio sul suo trono celeste, e Hooch si rese conto che da quelle parti le cose erano davvero cambiate. Non era solo il forte a essere cresciuto, ma anche la vanità di Bill Harrison. E se Hooch voleva davvero ricavare da quel viaggio i profitti che si era ripromesso, era meglio fare in modo che il governatore Bill scendesse di un gradino o due, così da poterlo trattare da pari a pari, e non da mercante a governatore.

«Ho visto i cannoni» disse Hooch, senza nemmeno curarsi di salutare. «A che ti serve tutta quell’artiglieria? Contro i francesi di Detroit o gli spagnoli della Florida? O forse c’entrano i Rossi?»

«Finché esisterà qualcuno disposto a pagare per uno scalpo, i Rossi c’entreranno sempre» spiegò Harrison. «Adesso siediti e rilassati, Hooch. Quando quella porta è chiusa, tra noi due non c’è bisogno di cerimonie.» Eh, sì, come a tutti i politicanti anche al governatore Bill piaceva giocare a carte coperte. Fa’ in modo che chi ti sta di fronte abbia la sensazione che gli stai facendo un favore solo a permettergli di sedersi alla tua presenza, lusingalo finché non si convince che non ha niente da temere, e poi vuotagli pure le tasche a tradimento. Molto bene, pensò Hooch, anch’io ho le mie carte da giocare, e vediamo un po’ chi avrà la meglio.

Hooch si mise a sedere appoggiando gli stivali sulla scrivania del governatore Bill. Tirò fuori una presa di tabacco e se la ficcò nella guancia. Vide che Bill aveva trasalito leggermente, segno certo che la moglie lo aveva costretto per amore o per forza a rinunciare a qualcuna delle sue abitudini virili. «Posso offrirti una presa?» chiese Hooch.

Con riluttanza, Harrison ammise che non gli sarebbe dispiaciuta. «Ho fatto una promessa, e ho quasi dovuto smettere» disse mestamente.

Dunque Harrison sentiva la mancanza della vita da scapolo. Molto bene, per Hooch era una buona notizia. Ora sapeva che il vecchio Bill aveva un punto vulnerabile. «Ho sentito dire che adesso ti fai scaldare il letto da una bianca di Manhattan» fece.

Funzionò; Harrison arrossì violentemente. «Ho sposato una signora di Nuova Amsterdam» replicò in tono glaciale.

A Hooch non fece la minima impressione. Era esattamente ciò che voleva. «Sposato!» esclamò. «Che mi prenda un colpo! Ti chiedo scusa, governatore, era una cosa che avevo sentito dire, devi perdonarmi. Mi ero fidato di… di quello che dicevano le voci.»

«Voci?» chiese Harrison.

«No, guarda, lasciamo stare. Lo sai come parlano i soldati. Mi vergogno anche solo di essere stato ad ascoltarli. Che diamine, dopo aver venerato il ricordo della tua prima moglie per tutti questi anni, se fossi stato veramente tuo amico avrei dovuto sapere che in casa tua avresti fatto entrare soltanto una signora, e dopo un regolare matrimonio.»

«Quello che voglio sapere» insisté Harrison «è chi ha insinuato che si trattasse di qualcos’altro.»

«Ma via, Bill, sono solo chiacchiere da caserma; non ho alcuna intenzione di mettere qualcuno nei guai solo perché non sa tenere a freno la lingua. È appena arrivato un carico di liquore, Bill, per l’amor del cielo! Non si può rinfacciare a nessuno quello che dice quando in testa ha soltanto il whisky. No, adesso fammi il favore di prenderti una bella presa di tabacco, e di ricordare che tutti i tuoi ragazzi ti ammirano e ti rispettano.»

Harrison pescò una cicca di rispettabili dimensioni dalla borsa che gli veniva offerta e se la ficcò nella guancia. «Sì, Hooch, lo so, non è questo a infastidirmi.» Ma Hooch capì che la cosa invece lo infastidiva, eccome, e che Harrison era talmente infuriato che non riusciva neanche a sputare diritto, e lo dimostrò mancando la sputacchiera. Una sputacchiera, notò Hooch, che fino a quel momento era stata lucida come uno specchio. Che da quelle parti non sputasse più nessuno, tranne Hooch?

«Ti stai civilizzando» osservò Hooch. «Tra un po’ ti vedremo con le tendine di pizzo alle finestre.»

«Le ho già» disse Harrison. «A casa mia.»

«E graziosi vasi da notte di porcellana.»

«Hooch, hai il cervello di un serpente e la lingua di un porco.»

«È per questo che mi vuoi bene, Bill… perché tu invece hai il cervello di un porco e la lingua di un serpente.»

«Puoi ben dirlo» confermò Harrison. «Ricordati sempre che posso mordere, e mordere a fondo, e con una buona dose di veleno. Ricordatelo sempre, prima di provare a giocarmi qualcuno dei tuoi tiri mancini.»

«Tiri mancini!» protestò Hooch. «A che cosa vuoi alludere, Bill Harrison? Di che cosa mi accusi?»

«Ti accuso di non averci fatto più arrivare una goccia di liquore per quattro lunghi mesi, al punto che ho dovuto far impiccare tre Rossi che erano penetrati nei miei magazzini. Perfino i miei soldati sono rimasti a secco!»

«Io? Ma se ti ho portato questo carico più in fretta che potevo!»

Harrison si limitò a sorridere.

Hooch conservò la sua espressione dolorosamente oltraggiata. Era una delle sue espressioni migliori, e per di più era in parte giustificata. Chiunque dei suoi concorrenti, se lui gli avesse lasciato anche solo una mezza testa di vantaggio, avrebbe sicuramente trovato il modo di arrivare a Carthage City per primo. Non era colpa di Hooch se per puro caso gli capitava di essere la canaglia più astuta, subdola e ignobile in un ramo d’affari che già in partenza non poteva certo definirsi roba da educande.

L’espressione di innocenza offesa di Hooch durò più a lungo del sorriso di Harrison, più o meno come Hooch si era aspettato.

«Ascoltami bene, Hooch» esordì Harrison.

«Forse sarebbe meglio che tu mi chiamassi ‘signor Ulysses Palmer’» disse Hooch. «Solo gli amici mi chiamano Hooch.»

Ma Harrison non abboccò, e non cominciò a protestare eterna amicizia. «Ascoltami bene, signor Palmer» riprese. «Sappiamo benissimo tutti e due che questa faccenda non ha niente a che vedere con l’amicizia. Tu vuoi diventare ricco e io voglio diventare governatore di un vero Stato. Io ho bisogno del tuo liquore per diventare governatore, e tu hai bisogno della mia protezione per diventare ricco. Ma stavolta hai esagerato. Capito? Per quello che me ne importa, puoi anche avere il monopolio, ma se non mi garantisci un costante rifornimento di whisky, d’ora in avanti andrò a cercarmelo da qualche altra parte.»

«Via, governatore Harrison, posso capire che nell’attesa tu possa esserti innervosito. Ma voglio farmi perdonare. Che ne diresti se ti mettessi da parte sei botticelle di whisky della migliore qualità, tutte per te…»

Ma Harrison non era nella disposizione di spirito più adatta a farsi corrompere. «Ti stai scordando, signor Palmer, che se volessi quel whisky potrei anche prendermelo tutto.»

Be’, se Harrison poteva permettersi di essere brusco, Hooch poteva ripagarlo della stessa moneta, anche se era il genere di cose che per abitudine diceva col sorriso sulle labbra. «Signor governatore, puoi prenderti tutto il mio whisky una volta. Ma poi quale mercante vorrà più fare affari con te?»

Harrison rise fino a farsi venire le lacrime agli occhi. «Chiunque, Hooch Palmer, e tu lo sai benissimo!»

Hooch sapeva riconoscere la sconfitta, e si unì alle risate.

Si udì bussare alla porta. «Avanti» disse Harrison, facendo cenno a Hooch di restare seduto. Un soldato entrò, salutò e disse: «Il signor Andrew Jackson è qui e desidera vedervi, signore. Dice di venire dalle parti del Tennizy».

«Non l’aspettavo prima di qualche giorno ancora» si stupì Harrison. «Ma sono felicissimo, non potrei essere più onorato, fatelo entrare, fatelo entrare.»

Andrew Jackson. Doveva essere quell’avvocato, quel tale soprannominato «Hickory». Tempo addietro, quando Hooch batteva la regione del Tennizy, Hickory Jackson era noto come un tipico esempio di bravo ragazzo di campagna: aveva ucciso un uomo in un duello, non disdegnava le belle cazzottate, aveva fama di uno che manteneva la parola data, e correva voce che non fosse esattamente sposato con sua moglie, la quale nel proprio passato pareva celasse un marito tuttora vivo e vegeto. Ecco la differenza tra Hickory e Hooch: Hooch si sarebbe accertato che il marito fosse morto e sepolto da lunga pezza. Perciò Hooch era un po’ sorpreso che quel Jackson fosse diventato così importante da avere affari che dal nativo Tennizy lo portavano fino a Carthage City.

Ma la vera sorpresa fu quando Jackson fece il suo ingresso nella stanza, diritto come un fuso e con due occhi che parevano sprigionare fiamme. Attraversata la stanza a lunghi passi, tese la mano al governatore Harrison. Nel salutarlo, tuttavia, lo chiamò signor Harrison, e questo poteva significare solo due cose: o era un perfetto idiota, o non riteneva di avere bisogno di Harrison più di quanto questi avesse bisogno di lui.

«Avete intorno troppi Rossi» gli fece notare Jackson. «Quell’ubriacone orbo davanti alla porta, poi, è una cosa da dare il voltastomaco.»

«Lo considero una specie di animale domestico» si difese Harrison. «Il mio Rosso da compagnia.»

«Lolla-Wossiky» lo informò volonterosamente il mercante di liquori. Be’, non proprio volonterosamente. Non gli era piaciuto affatto il modo in cui Jackson lo aveva ignorato, e Harrison dal canto suo non si era preso la briga di presentarlo.

Jackson si voltò a squadrarlo. «Che cosa avete detto?»

«Lolla-Wossiky» ripeté Hooch.

«È così che si chiama l’orbo ubriacone» disse Harrison.

Jackson scrutò freddamente Hooch. «L’unica occasione in cui mi interessa il nome di un cavallo» disse «è quando ho intenzione di montarlo.»

«Mi chiamo Hooch Palmer» fece Hooch, tendendogli la mano.

Jackson non la prese. «Vi chiamate Ulysses Brock» lo corresse «e a Nashville vi siete lasciato alle spalle dieci sterline di debiti non pagati. Ora che lo Stato degli Appalachi ha adottato la valuta statunitense, ciò significa che siete debitore di duecentoventi dollari in oro. Quei debiti li ho riscattati io, e siccome avevo sentito dire che trafficavate in whisky da queste parti, si dà il caso che abbia i documenti con me. Ora penso proprio che vi farò mettere agli arresti.»

Hooch non avrebbe mai sospettato che Jackson potesse avere una simile memoria, o che fosse un tale farabutto da comprare quei documenti, specialmente dopo sette anni, quando tutto avrebbe dovuto essere ormai dimenticato. Eppure Jackson tirò fuori dalla tasca del soprabito un mandato e lo posò sulla scrivania del governatore Harrison.

«Poiché vi sono grato di aver già provveduto ad arrestare quest’uomo prima che io arrivassi» disse Jackson «sono lieto di informarvi che, secondo la legge degli Appalachi, il funzionario che compie l’arresto ha diritto al dieci per cento delle somme recuperate»

Harrison si appoggiò allo schienale della poltrona e sorrise a Hooch. «Be’, Hooch, forse è meglio che ti rilassi un po’, in modo che tutti e tre ci possiamo conoscere un po’ meglio. O forse non importa, visto che il signor Jackson sembra conoscerti meglio di me.»

«Lo conosco fin troppo bene, il signor Ulysses Brock» disse Jackson. «Appartiene proprio a quella razza di furfanti di cui noi del Tennizy abbiamo dovuto sbarazzarci prima di poter cominciare ad avere qualche pretesa di civiltà. Immagino che anche voi vorrete sbarazzarvi di questa feccia quanto prima, visto che avete intenzione di preparare il territorio del Wobbish all’ingresso negli Stati Uniti.»

«Mi pare che diate parecchio per scontato» obiettò Harrison. «Sapete, potremmo anche provare a cavarcela da soli.»

«Se non ce l’hanno fatta gli Appalachi con Tom Jefferson come presidente, dubito che voialtri possiate fare di meglio.»

«Be’, forse» gli fece notare Harrison «e ripeto forse, potremmo decidere di fare qualcosa che Tom Jefferson non ha avuto il fegato di fare. E per questo, forse, ci serve gente come il nostro Hooch.»

«Quelli che vi servono sono dei soldati» disse Jackson. «Non dei mercanti di rum.»

Harrison scosse la testa. «Signor Jackson, siete il tipo d’uomo che vuole risposte chiare, e per quanto mi riguarda posso ricostruire senza difficoltà il motivo per cui quelli del Tennizy vi hanno inviato fin quaggiù. Perciò arriverò subito al punto. Noi e voi ci troviamo alle prese con lo stesso problema, e quel problema può essere riassunto in una parola sola: Rossi.»

«Ed è proprio per questo motivo che resto perplesso nel vedere che permettete a questi Rossi ubriachi di ciondolare nel vostro quartier generale» lo interruppe Jackson. «È chiaro come il sole che il loro posto non è qui, ma a ovest del Mizzipy. Finché non li avremo mandati tutti quanti laggiù, non avremo né pace né civiltà. E dato che sia gli Appalachi sia gli Stati Uniti sono convinti che i Rossi debbano essere trattati come esseri umani, dobbiamo risolvere il nostro problema dei Rossi prima di entrare nell’Unione. Tutto qui.»

«Visto?» disse Harrison. «Siamo già perfettamente d’accordo.»

«E allora perché il vostro quartier generale brulica di Rossi come Independence Street a Washington City? Negli Appalachi permettono ai Cherriky di lavorare negli uffici e persino di detenere incarichi governativi nella capitale, incarichi che dovrebbero toccare ai Bianchi. E poi vengo qui, e scopro che anche voi vi circondate di Rossi»

«Non scaldatevi, signor Jackson, non ce n’è alcun bisogno. Forse che il re nel suo palazzo in Virginia non si circonda di Neri?»

«I Neri sono schiavi. Tutti sanno che i Rossi non si possono ridurre in schiavitù. Non sono abbastanza intelligenti per poterli addestrare come si deve.»

«Be’, accomodatevi pure in quella sedia, signor Jackson, e vi illustrerò ciò che voglio dire nel modo a parer mio più efficace, mostrandovi due magnifici esemplari di Shaw-Nee. Accomodatevi, ve ne prego.»

Jackson prese la sedia e si andò a mettere il più lontano possibile da Hooch. Nel guardarlo, Hooch aveva la sensazione che qualcosa gli rodesse le budella. Gli uomini come Jackson sembravano sempre così integri e onesti, ma Hooch sapeva che l’uomo buono non esisteva, esisteva solo l’uomo che ancora non si era fatto corrompere, o non era abbastanza nei guai, o non aveva il fegato di allungare la mano e prendersi quel che voleva. Secondo le esperienze che Hooch aveva fatto fino a quel momento, in fondo la virtù non si riduceva che a questo. Ma ora ecco che arrivava quel Jackson con tutte le sue arie e pretendeva che Bill Harrison lo mettesse agli arresti! Guarda un po’ che roba, uno straniero proveniente dai territori del Mizzipy che arrivava bel bello sventolando il mandato di un giudice degli Appalachi — figuriamoci! — che nel territorio del Wobbish non aveva maggior valore che se fosse stato scritto dall’imperatore d’Etiopia. Be’, signor Jackson, qui sei molto lontano da casa, e non è detto che per strada non ti capiti qualche bell’incidente.

No, no, no! si disse silenziosamente Hooch. A questo mondo andare in pari non significa nulla. O meglio, significa soltanto restare indietro. La migliore vendetta è diventare talmente ricco che tutta questa gente sia costretta a chiamarti «eccellenza»: ecco come si fa a andare in pari con questi ragazzi. Non è proprio il caso di menar colpi alla cieca. Se ti fai conoscere come uno che mena colpi alla cieca, sei finito, Hooch Palmer.

Perciò Hooch se ne restò lì a sedere tutto sorridente mentre Harrison chiamava il suo aiutante. «Perché non inviti Lolla-Wossiky a entrare qui da me? E già che ci sei, di’ a suo fratello che può entrare anche lui.»

Il fratello di Lolla-Wossiky? Doveva essere quel Rosso dall’aria insolente che se ne stava appoggiato al muro. Buffo, che due fagioli cresciuti nello stesso guscio potessero essere così diversi.

Lolla-Wossiky entrò con aria servile, tutto sorridente, muovendo rapidamente lo sguardo da una faccia di Bianco all’altra, chiedendosi che cosa volessero, e come poteva fare a compiacerli in modo da farsi ricompensare con un po’ di whisky. Gli si leggeva in faccia, la sete che aveva, anche se era già talmente ubriaco da non riuscire a stare in piedi. O in vita sua aveva ormai bevuto tanto di quel whisky che non riusciva a stare in piedi nemmeno da sobrio? Hooch non avrebbe saputo dirlo… ma ben presto ottenne la risposta. Harrison aprì il canterano alle sue spalle tirandone fuori una bottiglia e una tazza. Lolla-Wossiky guardò il liquido brunastro riversarsi nella tazza, e lo sguardo del suo unico occhio era così intenso che pareva gustare il liquore solo a vederlo. Ma non fece neanche un passo verso la tazza. Harrison allungò il braccio posando la tazza sull’angolo della scrivania vicino al Rosso, ma l’uomo restò immobile, sorridendo, guardando ora la tazza, ora Harrison, in paziente attesa.

Harrison si girò verso Jackson e sorrise. «Penso proprio che Lolla-Wossiky sia il Rosso più civilizzato dell’intero territorio del Wobbish, signor Jackson. Non prende mai niente che non gli appartenga. Non parla se non è interrogato. Obbedisce senza fiatare a ogni mio ordine. E in cambio chiede soltanto una tazza di liquido. Non deve nemmeno essere roba buona. Che sia whisky di granturco o rum spagnolo, a lui va bene lo stesso. Non è vero, Lolla-Wossiky?»

«Molto giusto, eccellenza» disse Lolla-Wossiky. La sua pronuncia era stranamente chiara, per essere quella di un Rosso. Specialmente di un Rosso ubriaco.

Hooch vide che Jackson studiava il Rosso orbo da un occhio con evidente disgusto. Poi lo sguardo dell’avvocato del Tennizy si spostò verso la porta, dove si trovava il Rosso alto, forte e insolente. Hooch si divertì a guardare l’espressione di Jackson. In un attimo, il disgusto si era trasformato in rabbia evidente. Rabbia e, sì, paura. Eh, già, signor Jackson, nemmeno tu sei immune dalla paura. Hai capito di che pasta è fatto il fratello di Lolla-Wossiky. È nemico tuo e mio, nemico di qualsiasi uomo bianco che voglia stabilirsi in questa terra, perché prima o poi questo Rosso pieno di boria ti pianterà il suo tommy-hawk nel cranio e poi ti scorticherà lentamente, molto lentamente, e il tuo scalpo non si sognerà nemmeno di venderlo ai francesi, mio caro signor Jackson, lo terrà per sé e lo darà ai suoi figli e dirà loro: «Questo è l’unico Bianco buono. Questo è l’unico Bianco che non infrangerà mai la parola data. Ecco che cosa dovete fare ai Bianchi». Hooch lo sapeva, Harrison lo sapeva, e Jackson lo sapeva. Quel pezzo di giovanotto sulla porta voleva dire morte. Quel pezzo di giovanotto era il motivo per cui i Bianchi erano costretti a vivere a est delle montagne, ammassati uno sull’altro in quelle vecchie città piene di avvocati e professori e gente dalla voce stridula che non ti lasciava neanche lo spazio per respirare. Gente come Jackson, insomma. A questa idea, Hooch si lasciò sfuggire una risatina. Jackson era esattamente il genere d’uomo per evitare il quale la gente emigrava all’ovest. Ma quanto dovrò spingermi a ovest prima che gli avvocati perdano le mie tracce e restino definitivamente alle mie spalle?

«Vedo che avete notato Ta-Kumsaw. È il fratello maggiore di Lolla-Wossiky e mio caro, carissimo amico. Pensate, conosco questo ragazzo fin da prima che morisse suo padre. Guardate come si è fatto robusto!»

Se Ta-Kumsaw si era reso conto che Harrison si stava prendendo gioco di lui, non lo diede a vedere. Non guardava nessuno degli uomini che erano nella stanza, ma teneva lo sguardo puntato fuori della finestra alle spalle del governatore. Ma Hooch non era tipo da lasciarsi imbrogliare. Hooch sapeva bene che cosa Ta-Kumsaw stesse guardando, e per giunta aveva una certa idea di ciò che stava provando. Quei Rossi la famiglia la prendevano sul serio. Ta-Kumsaw stava segretamente osservando suo fratello, e se Lolla-Wossiky era troppo sbronzo per provare la minima vergogna, questo significava semplicemente che Ta-Kumsaw si sarebbe vergognato anche per lui.

«Ta-Kumsaw» disse Harrison. «Come vedi, ti ho versato da bere. Su, siediti e bevi un goccetto, e poi potremo parlare.»

Alle parole di Harrison, Lolla-Wossiky si irrigidì. Possibile che, dopotutto, quel liquore non fosse destinato a lui? Ma Ta-Kumsaw non batté ciglio, né diede il minimo segno di avere udito.

«Visto?» esclamò Harrison rivolto a Jackson. «Ta-Kumsaw non è abbastanza civilizzato da sedersi a bere un goccetto in allegria con gli amici. Ma suo fratello sì che è civilizzato, nevvero? Eh, Lolly? Mi dispiace non avere una sedia anche per te, amico mio, ma puoi sederti per terra qui sotto la mia scrivania, ai miei piedi, e berti questo rum.»

«Voi molto gentile» disse Lolla-Wossiky con quella sua pronuncia chiara e precisa. Con grande sorpresa di Hooch, il Rosso orbo da un occhio non si gettò scompostamente sulla tazza, ma si fece avanti con cautela, ogni passo uno sforzo di precisione, e prese la tazza con mani scosse solo da un leggero tremito. Poi si inginocchiò davanti al tavolo di Harrison e, sempre tenendo la tazza in equilibrio, si abbassò in posizione seduta, a gambe incrociate.

Ma era ancora davanti al tavolo, non sotto, e Harrison si premurò di farglielo notare. «Vorrei che tu sedessi sotto il mio tavolo» disse il governatore. «La considererei una grande cortesia.»

Così Lolla-Wossiky chinò la testa finché la fronte quasi non gli toccò le ginocchia e dondolandosi sulle natiche avanzò fino a trovarsi sotto il tavolo. Bere in quella posizione gli era difficilissimo, perché non poteva nemmeno raddrizzare la testa, figuriamoci inclinarla all’indietro per vuotare la tazza. Ma ci riuscì, dondolandosi da una parte e dall’altra e sorseggiando il liquido con grande cautela.

Nel frattempo Ta-Kumsaw non aveva aperto bocca, né aveva dato segno di aver notato l’umiliazione a cui suo fratello era stato sottoposto. Oh, pensò Hooch, oh, che fuoco deve divampare in petto a quel ragazzo! Harrison sta veramente rischiando grosso. E poi, se è veramente il fratello di Lolla-Wossiky, sicuramente saprà che è stato Harrison a uccidere suo padre durante le rivolte degli anni Novanta, quando il generale Wayne combatteva contro i francesi. Questo genere di cose un uomo non le dimentica, specialmente un Rosso, e adesso Harrison lo stava mettendo alla prova, lo stava mettendo alla prova fino all’estremo limite.

«Ora che tutti si sono messi a proprio agio» disse Harrison «perché non ti metti seduto, Ta-Kumsaw, e non ci spieghi perché sei venuto?»

Ta-Kumsaw non si mise a sedere, né chiuse la porta, né si mosse verso Harrison. «Io parlo per Shaw-Nee, Caska-Skeeaw, Pee-Orawa, Winny-Baygo.»

«Lasciamo andare, Ta-Kumsaw, sai benissimo che non parli nemmeno per tutti gli Shaw-Nee, figuriamoci poi per gli altri.»

«Tutte tribù che firmano trattato di generale Wayne» proseguì Ta-Kumsaw come se Harrison non avesse nemmeno aperto bocca. «Trattato dice Bianchi non vendere whisky a Rossi.»

«È giusto» disse Harrison. «E noi quel trattato lo rispettiamo.»

Senza guardare Hooch, Ta-Kumsaw alzò la mano e lo indicò. A Hooch parve che con quel dito Ta-Kumsaw lo avesse toccato veramente. Stavolta quella che provò non fu rabbia, ma autentica paura. Correva voce che alcuni Rossi possedessero un richiamo magico così potente che nessun talismano poteva proteggerti, e così quelli ti attiravano da solo nella foresta e ti facevano a fettine con i loro coltelli, per il puro gusto di sentirti urlare. Ecco a che cosa pensò Hooch, quando sentì che Ta-Kumsaw lo indicava con quel gesto carico di odio.

«Perché indichi il mio vecchio amico Hooch Palmer?» chiese Harrison.

«Oh, immagino che oggi tutti ce l’abbiano con me» disse Hooch. Rise, ma la risata non bastò a scacciare la paura.

«Lui porta chiatta piena di whisky» spiegò Ta-Kumsaw.

«Certo, ha portato un sacco di roba» confermò Harrison. «Ma se ha portato del whisky, questo verrà consegnato al vivandiere del forte, e puoi star certo che ai Rossi non ne sarà venduta neanche una goccia. Noi quel trattato lo rispettiamo, Ta-Kumsaw, anche se voialtri Rossi ultimamente non vi siete comportati troppo bene. Siamo al punto che le chiatte non possono più scendere l’Hio senza scorta, amico mio, e se la situazione non si calma temo che l’esercito dovrà intraprendere qualche azione.»

«Bruciare villaggio?» chiese Ta-Kumsaw. «Uccidere bambini? Vecchi? Donne?»

«Chi diavolo ti ha messo in testa queste idee?» chiese Harrison. Sembrava offeso a morte, anche se Hooch sapeva bene che quella descritta da Ta-Kumsaw era la tipica azione dell’esercito.

Hooch fu il primo a ribattere: «Voi Rossi bruciate vivi i contadini indifesi nelle loro capanne di tronchi, e i pionieri sulle loro imbarcazioni, non è vero? E allora che cosa ti fa pensare che i vostri villaggi debbano avere un trattamento migliore, eh?»

Nemmeno adesso Ta-Kumsaw lo guardò. «Legge inglese dice: uccidi l’uomo che ruba tua terra, non sei cattivo. Uccidi un uomo per rubare sua terra, tu molto cattivo. Quando noi uccidiamo contadini bianchi, noi non siamo cattivi. Quando voi uccidete uomini rossi che vivono qui da mille anni, voi siete molto cattivi. Trattato dice: tutti restano a est del fiume My-Ammy, ma loro non restano, e voi li aiutate.»

«Il signor Palmer ha parlato a sproposito» disse Harrison. «Qualsiasi cosa voi selvaggi facciate alla nostra gente — torturare gli uomini, violentare le donne, portarvi via i bambini per ridurli in schiavitù — noi non facciamo la guerra a chi non può difendersi. Siamo gente civile, e ci comportiamo in maniera civile.»

«Quest’uomo vende suo whisky a uomini rossi. Loro poi strisciare nella polvere come vermi. Quest’uomo dà suo whisky a donne rosse. Loro poi deboli come cerve ferite, fare tutto quello che lui vuole.»

«Se lo farà, lo arresteremo» replicò Harrison. «Lo processeremo e lo puniremo per avere infranto la legge.»

«Se lui fa questo, tu non arresti» disse Ta-Kumsaw. «Tu dividi pellicce con lui. Tu proteggi.»

«Non darmi del bugiardo» ribatté Harrison.

«Tu non dire bugie» disse Ta-Kumsaw.

«Se continui a rivolgerti ai Bianchi in questo tono, Ta-Kumsaw, vecchio mio, prima o poi qualcuno si arrabbierà sul serio e ti farà saltare le cervella.»

«Allora io sicuro tu arresti. Io sicuro tu processi e punisci perché lui andato contro legge.» Ta-Kumsaw pronunciò queste parole senza l’ombra di un sorriso, ma Hooch aveva trafficato con i Rossi abbastanza a lungo da capire il loro genere di ironia.

Harrison annuì gravemente. A Hooch venne da pensare che forse Harrison non si era reso conto che si trattava soltanto di sarcasmo, e magari riteneva che Ta-Kumsaw ci credesse veramente. Ma no, Harrison sapeva che sia lui sia Ta-Kumsaw stavano mentendo; e allora a Hooch balenò l’idea che quando due persone si mentono a vicenda e ciascuna delle due sa che l’altra sta mentendo, allora ci si avvicina maledettamente a dire la verità.

La cosa divertente era che invece Jackson a quella roba ci credeva per davvero. «Giusto» disse l’avvocato del Tennizy. «È il rispetto della legge a distinguere l’uomo civile dal selvaggio. I Rossi non sono ancora abbastanza evoluti, e se non siete disposti a riconoscere le leggi dei Bianchi, non vi resta che farvi da parte.»

Per la prima volta, Ta-Kumsaw guardò uno di loro diritto negli occhi. Fissò gelidamente Jackson e disse: «Questi uomini sono bugiardi. Sanno che cosa è vero, ma dicono che non è vero. Tu non sei bugiardo. Tu credi a quello che dici».

Jackson annuì gravemente. Era così vanitoso, tronfio e pieno di sé che Hooch non riuscì a resistere e cominciò a scaldare la sedia sulla quale Jackson era seduto, ma solo un pochino, il minimo necessario a fargli dimenare il fondoschiena. Tanto bastò a fargli cadere di dosso qualche strato di dignità. Ma Jackson continuava a pavoneggiarsi. «Io credo in quello che dico, perché dico la verità.»

«Tu dici quello che credi. Ma ancora non è verità. Come ti chiami?»

«Andrew Jackson.»

Ta-Kumsaw annuì. «Hickory.»

Jackson parve stupito e al tempo stesso assai lusingato che Ta-Kumsaw avesse sentito parlare di lui. «C’è chi mi chiama così.» Hooch riscaldò la sua sedia di qualche grado.

«Giacca Azzurra dice che Hickory è un brav’uomo.»

Pur continuando a non avere la minima idea del perché quella sedia fosse così scomoda, Jackson non poté più resistere. Saltò in piedi e si fece avanti, scrollando le gambe a ogni passo nel tentativo di raffreddarsi. Ma continuò a parlare, con tutta la dignità di cui era capace. «Sono felice che Giacca Azzurra la pensi così. È il capo degli Shaw-Nee del Tennizy, vero?»

«Qualche volta» disse Ta-Kumsaw.

«Che cosa significa, qualche volta?» chiese Harrison. «O è un capo, o non lo è.»

«Quando parla giusto è capo» chiarì Ta-Kumsaw.

«Be’, sono felice di sapere che ha fiducia in me» disse Jackson. Ma il suo sorriso era leggermente sforzato, perché Hooch era impegnato a riscaldargli il pavimento sotto i piedi e, a meno che il vecchio Hickory non riuscisse a spiccare il volo, stavolta era un po’ difficile che potesse sfuggirgli. Hooch non aveva intenzione di tormentarlo troppo a lungo. Solo finché non avesse visto Jackson fare un paio di saltelli, e poi cercare di spiegare perché si fosse messo a ballare di fronte a un giovane guerriero Shaw-Nee e al governatore William Henry Harrison.

Il giochetto di Hooch tuttavia andò a vuoto, perché in quel preciso momento Lolla-Wossiky crollò in avanti da sotto il tavolo, ruzzolando sul pavimento. Aveva gli occhi chiusi, e un sorriso ebete dipinto sul viso. «Giacca Azzurra!» esclamò. Hooch notò che l’alcol gli aveva finalmente impastato la voce. «Hickory!» sbraitò il Rosso orbo da un occhio.

«Tu sei mio nemico» affermò Ta-Kumsaw, ignorando il fratello.

«Ti sbagli» disse Harrison. «Io sono tuo amico. Il tuo vero nemico è lassù a nord, nella città di Vigor Church. Il tuo vero nemico è quel rinnegato di Corazza-di-Dio Weaver.»

«Corazza-di-Dio Weaver non vende whisky ai Rossi.»

«Neanch’io» assicurò Harrison. «Ma è lui quello che disegna mappe dell’intero territorio a ovest del Wobbish. E lo fa per dividerlo in appezzamenti che metterà in vendita dopo avere sterminato tutti i Rossi.»

Ta-Kumsaw non prestò la minima attenzione al tentativo di Harrison di aizzarlo contro il suo rivale. «Sono venuto per avvisarti» disse Ta-Kumsaw.

«Per avvisarmi?» esclamò Harrison. «Tu, uno Shaw-Nee che non rappresenta nessuno, vieni ad avvisarmi, nel bel mezzo del mio forte, con cento soldati pronti a spararti addosso al mio minimo cenno?»

«Rispetta il trattato» disse Ta-Kumsaw.

«Oppure?» chiese Jackson.

«Oppure tutti i Rossi che vivono a ovest delle montagne si uniranno e ti faranno a pezzi.»

Harrison gettò indietro la testa e rise sino a farsi venire le lacrime agli occhi. Ta-Kumsaw non mostrò alcuna emozione.

«Tutti i Rossi, Ta-Kumsaw?» si stupì Harrison. «Vuoi dire anche il buon Lolly? Perfino il mio Shaw-Nee da compagnia, il mio Rosso addomesticato, perfino lui

Per la prima volta Ta-Kumsaw guardò suo fratello, che russava disteso sul pavimento. «Il sole sorge ogni giorno, uomo bianco. Ma si può dire addomesticato? La pioggia cade ogni volta. Ma si può dire addomesticata?»

«Scusami, Ta-Kumsaw, ma quest’orbo ubriacone è addomesticato come il mio cavallo.»

«Oh, sì» disse Ta-Kumsaw. «Mettigli una sella. Mettigli una briglia. Saltagli in groppa e vai. Vedi dove ti porta, questo Rosso addomesticato. Non dove tu vuoi.»

«Esattamente dove voglio io» ribatté Harrison. «Ficcatelo in testa. Tuo fratello l’ho sempre a portata di mano. E se fai un solo passo falso, ragazzo mio, lo arresterò come tuo complice e lo farò impiccare.»

Ta-Kumsaw sorrise appena. «Tu lo credi. Lolla-Wossiky lo crede. Ma prima che tu possa mettergli le mani addosso, avrà imparato a vedere con suo altro occhio.»

Poi Ta-Kumsaw si voltò e uscì dalla stanza. Silenzioso, agile, senza sussiego, senza rabbia, senza nemmeno chiudere la porta alle sue spalle. Si muoveva con la grazia di un animale, di un animale molto pericoloso. Una volta, anni prima, mentre si trovava da solo sulle montagne, Hooch aveva visto un coguaro. Ecco che cos’era Ta-Kumsaw. Un felino omicida.

L’aiutante di Harrison chiuse la porta.

Harrison si voltò verso Jackson e sorrise «Visto?» disse.

«Che cosa avrei dovuto vedere, signor Harrison?»

«Debbo sillabarvelo a chiare lettere, signor Jackson?»

«Sono un avvocato. Mi piacciono le cose sillabate a chiare lettere. Ammesso che sappiate sillabare, si capisce.»

«Io non so neanche leggere» si intromise allegramente Hooch.

«E nemmeno sai tenere la bocca chiusa» disse Harrison. «E allora ve lo dirò a chiare lettere, Jackson. Voi e i vostri ragazzi del Tennizy blaterate di voler trasferire i Rossi a ovest del Mizzipy. Ora supponiamo che ci riusciate. E poi che cosa farete, piazzerete i soldati lungo tutto il corso del fiume perché stiano di guardia giorno e notte? State pur sicuro che torneranno da questa parte del fiume come e quando vorranno, saccheggiando, depredando, torturando e uccidendo.»

«Non sono uno stupido» protestò Jackson. «Sarà una guerra lunga e sanguinosa, ma quando li avremo cacciati oltre il fiume saranno a pezzi. E uomini come quel Ta-Kumsaw… saranno morti o screditati.»

«La pensate così? Be’, durante la guerra lunga e sanguinosa di cui andate cianciando, moriranno un sacco di ragazzi bianchi, di donne bianche, di bambini bianchi. Per quanto mi riguarda, sono di un’altra idea. Questi Rossi succhiano whisky come vitelli alla poppa. Due anni fa a est del My-Ammy vivevano più di mille Pee-Ankashaw. Poi hanno assaggiato il liquore. Hanno smesso di lavorare, hanno smesso di mangiare, si sono indeboliti al punto che la prima epidemia di raffreddore li ha spazzati via dal primo all’ultimo. Se esiste ancora un solo Pee-Ankashaw vivo, io non ne so nulla. La stessa cosa è accaduta ai Chippy-Wa, lassù a nord, con la sola differenza che lì sono stati i mercanti francesi. E il bello del liquore è che ammazza i Rossi senza che un solo Bianco debba rimetterci la pelle.»

Jackson si tirò lentamente in piedi. «Quando sarò a casa dovrò farmi tre bagni» disse «e nemmeno allora mi sentirò pulito.»

Hooch notò con grande piacere che Harrison era veramente fuori dei gangheri. Il governatore si alzò in piedi e urlò a Jackson con tanta foga che Hooch sentì tremare la sedia sotto di sé: «Non fate l’arrogante con me, ipocrita che non siete altro! Anche voi li volete tutti morti, esattamente come me! Tra noi non c’è alcuna differenza!»

Jackson si fermò sulla soglia guardando il governatore con aria disgustata. «Il signor Harrison, l’assassino, l’avvelenatore, non riesce a vedere la differenza tra se stesso e un soldato. Ma il soldato la vede, eccome.»

A differenza di Ta-Kumsaw, Jackson non seppe fare a meno di sbattere la porta.

Harrison si lasciò ricadere sulla sedia. «Hooch, debbo dirti che non ho molta simpatia per quel tizio.»

«Non importa» disse Hooch. «È dalla tua parte.»

Harrison sorrise lentamente. «Lo so. Quando si arriverà alla guerra, ci ritroveremo insieme tutti quanti. Tranne forse quell’amico dei Rossi che sta lassù a Vigor Church.»

«Anche lui» assicurò Hooch. «A guerra iniziata, i Rossi non saranno più capaci di distinguere un Bianco dall’altro. E quando la sua gente comincerà a crepare esattamente come la nostra, anche Corazza-di-Dio si batterà.»

«Certo, d’accordo, ma se Jackson e Weaver facessero bere i Rossi come facciamo noi, non ci sarebbe neanche bisogno di una guerra.»

Hooch mirò alla sputacchiera, senza mancarla di molto. «Quel Rosso, quel Ta-Kumsaw…»

«Ebbene?» chiese Harrison.

«Mi dà da pensare.»

«A me no» disse Harrison. «Ho qui suo fratello, svenuto sul pavimento. Ta-Kumsaw non farà un bel niente.»

«Quando ha puntato il dito verso di me dalla parte opposta della stanza, mi sono sentito toccare. Ho idea che abbia un richiamo magico. O forse il tocco a distanza. Mi sembra un tipo pericoloso.»

«Non crederai mica a tutte quelle stregonerie, eh, Hooch? Sei una persona così istruita. Ti credevo al di sopra di questo genere di superstizioni.»

«Non lo sono affatto, e nemmeno tu, Bill Harrison. Quando hai costruito il forte, hai fatto venire un rabdomante per sapere dove avresti trovato terreno solido, e quando la tua prima moglie ha partorito, hai fatto chiamare una fiaccola per conoscere la posizione del bambino.»

«Ti avverto» disse Harrison «non azzardarti a dire una sola parola su mia moglie.»

«Ma quale, Bill? Quella calda o quella fredda?»

A questo punto Harrison inanellò una serie di robuste imprecazioni. Hooch dal canto suo era felice, Hooch era al settimo cielo. Aveva proprio il dono di scaldare le situazioni, sissignori, e a scaldare gli animi c’era più gusto perché non c’erano fiamme, solo tanto fumo, tanta aria calda.

Be’, Hooch lasciò che il vecchio Bill Harrison si sfogasse per un po’. Poi sorrise e alzò le mani come per arrendersi. «Via, via, Bill, lo sai che non intendevo offenderti. Non sapevo che negli ultimi tempi tu fossi diventato così suscettibile. Immaginavo che tutti e due sapessimo dove crescono i bambini, come hanno fatto a entrarci, e come ne escono, e le tue donne non lo fanno diversamente dalle mie. E quando è lì distesa a urlare, sai che c’è una levatrice che può farla addormentare, o calmare il suo dolore, e quando il bambino tarda a venire, chiami una fiaccola per farti dire com’è messo. Perciò ascoltami, Bill Harrison. Quel Ta-Kumsaw ha qualche dono, qualche potere. È più forte di quel che sembra.»

«Davvero, Hooch? Be’, forse è come dici, e forse no. Non hai sentito che cos’ha detto? Che prima che io possa mettere le mani addosso a Lolla-Wossiky, quello imparerà a vedere con l’altro occhio. Ma non è un profeta, e presto lo dimostrerò.»

«Già che parliamo dell’orbo, ti avverto che sta cominciando a scoreggiare di brutto.»

Harrison chiamò il suo aiutante. «Mandami immediatamente il caporale Withers e quattro soldati.»

Hooch ammirava il modo in cui Harrison sapeva mantenere la disciplina. Non erano trascorsi trenta secondi dall’ordine, che gli uomini erano già nella stanza, e il caporale Withers salutava dicendo: «Agli ordini, generale Harrison».

«Di’ a tre dei tuoi uomini di portare questo animale nella stalla.»

Il caporale Withers obbedì all’istante, fermandosi solo per dire: «Sissignore, generale Harrison».

Generale Harrison. Hooch sorrise. Sapeva che al massimo Harrison era arrivato al grado di colonnello sotto il generale Wayne, durante l’ultima guerra coi francesi, e anche in quel caso non aveva contato gran che. Generale. Governatore. Che razza di pallone… Ma Harrison si stava nuovamente rivolgendo a Withers, stavolta guardando in direzione di Hooch. «Caporale, tu e il soldato Dickey siete cortesemente pregati di arrestare il signor Palmer e di metterlo sotto chiave.»

«Arrestarmi?» urlò Hooch. «Che diavolo ti prende?»

«In genere gira armato, per cui sarà meglio perquisirlo da capo a piedi» ordinò Harrison. «Prima di metterlo sotto chiave consiglierei anzi di spogliarlo completamente, e di lasciarlo così. Non vorrei che il vecchio volpone se la svignasse.»

«E per quale motivo vuoi farmi arrestare?»

«Te ne sei dimenticato? Abbiamo un mandato di arresto per insolvenza» disse Harrison. «In più, sei stato accusato di vendere whisky ai Rossi. Naturalmente dovremo mettere sotto sequestro tutti i tuoi beni — quei barilotti dall’aria sospetta che i miei ragazzi stanno portando nel forte da stamattina — e venderli in modo da pagare i tuoi creditori. Se riusciamo a venderli a buon prezzo e a farti abbuonare l’infame accusa di aver venduto liquori ai Rossi, be’, allora ti lasceremo andare.»

Poi Harrison uscì piantandolo in asso. Hooch imprecò e sputò e fece ogni sorta di commenti sulla madre e sulla moglie di Harrison, ma il soldato Dickey si teneva ben stretto il suo moschetto, e quel moschetto aveva una baionetta innestata dalla parte giusta, per cui Hooch dovette lasciarsi spogliare e perquisire. Peggio ancora fu però — e qui imprecò di nuovo — quando Withers lo fece marciare attraverso il fortino nudo come un verme, e lo chiuse in un magazzino senza neanche dargli una coperta. Un magazzino pieno di botti vuote dell’ultima spedizione di whisky.

Rimase in quel magazzino per due giorni prima del processo, e sulle prime accarezzò in cuor suo propositi omicidi. Nel pensare a come vendicarsi non si trovò certamente a corto d’idee. Per esempio, avrebbe potuto dar fuoco alle tendine di pizzo a casa di Harrison; oppure avrebbe potuto appiccare un incendio nel deposito del whisky, da dove si sarebbe propagato ovunque. Che vantaggio c’era nell’essere una scintilla, infatti, se non poteva servirsene per pareggiare il conto con gente che prima si dice amica tua, e un momento dopo ti sbatte in gattabuia?

Ma Hooch non diede fuoco a un bel niente, perché non era uno stupido. Prima di tutto sapeva che, una volta scoppiato un incendio all’interno del fortino, era molto probabile che nel giro di un’ora si sarebbe diffuso per ogni dove. Non era poi meno probabile che, mentre tutti correvano qua e là a salvare mogli, figli, polvere da sparo e liquore, a nessuno capitasse di pensare a un certo mercante di whisky rinchiuso in un magazzino. Hooch non aveva molta voglia di finire arrosto in un incendio da lui stesso provocato. Come vendetta, avrebbe lasciato molto a desiderare. Avrebbe avuto tutto il tempo di provocare incendi quando si fosse trovato una corda intorno al collo, ma non aveva la minima intenzione di rischiare la pelle per pareggiare i conti in una questione del genere.

Ma il motivo principale per cui non appiccò incendi non era la paura, era il puro e semplice senso degli affari. Harrison aveva combinato quello scherzetto per far capire a Hooch che non gli piaceva il modo in cui questi ritardava le spedizioni di liquore per far salire i prezzi. Il governatore voleva fargli capire che il vero potere era in mano sua, mentre dalla sua parte Hooch aveva solo il denaro. Benissimo, che Harrison giocasse pure a fare il grand’uomo. Anche Hooch sapeva qualcosa. Sapeva che un giorno o l’altro il territorio del Wobbish avrebbe chiesto al Congresso degli Stati Uniti di diventare uno Stato. E quando ciò fosse avvenuto, un certo William Henry Harrison avrebbe nutrito nel suo cuoricino l’ambizione di diventare governatore. E Hooch aveva visto un numero sufficiente di campagne elettorali a Suskwahenny, in Pennsylvania e negli Appalachi per sapere che, senza un bel mucchio di dollari d’argento da distribuire, di voti se ne vedono ben pochi. E quando fosse giunto il momento, avrebbe potuto essere lui quello che distribuiva i bei dollari d’argento ai futuri elettori di Harrison. Oppure no. Quel giorno, quando Carthage fosse stata una vera città e il Wobbish un vero Stato, avrebbe potuto aiutare qualcun altro a piazzarsi nella residenza del governatore, e allora Harrison avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni a ripensare a quando poteva mettere sotto chiave chi voleva, e avrebbe digrignato i denti dalla rabbia ripensando a come uomini del calibro di Hooch avevano mandato il suo sogno in frantumi.

Ecco come fece Hooch a non annoiarsi, seduto in quel magazzino per due lunghi giorni e due interminabili notti.

Poi lo tirarono fuori e lo trascinarono in tribunale, sporco, con la barba lunga, i capelli arruffati e i vestiti tutti gualciti. Il giudice era il generale Harrison, i giurati erano tutti in uniforme, e l’avvocato difensore era… Andrew Jackson! Era evidente che il governatore Bill stava cercando di fargli perdere le staffe, nella speranza che cominciasse a inveire, ma Hooch non era certo nato ieri. Sapeva che qualsiasi cosa Harrison avesse in mente, mettersi a urlare avrebbe potuto solo peggiorare le cose. Non c’era che chinare la testa e sopportare.

Ci vollero solo pochi minuti.

Hooch ascoltò con volto impassibile un giovane tenente testimoniare che tutto il whisky di Hooch era stato venduto al vivandiere del forte allo stesso prezzo della volta precedente, non un centesimo di più né uno di meno. Secondo la documentazione ufficiale, Hooch non aveva ricavato il minimo profitto dall’averli fatti aspettare quattro mesi tra una spedizione e l’altra. Be’, pensò Hooch, in fondo non hanno torto, Harrison vuole farmi capire da che parte tira il vento. Perciò non aprì bocca. Sotto quell’espressione solenne, Harrison si stava divertendo come un pazzo. Divertitevi pure, pensò Hooch. Non riuscirete a farmi arrabbiare.

Ma alla fine ci riuscirono, eccome. Dal mucchio presero duecentoventi dollari e li consegnarono a Andrew Jackson, proprio lì nel bel mezzo dell’aula. Gli contarono in mano undici monete d’oro da venti dollari. Vedendo quel metallo fiammeggiante finire nelle mani di Jackson, Hooch provò un acuto dolore fisico. Allora non riuscì più a trattenersi, pur riuscendo a conservare un tono di voce basso e pacato. «Non mi sembra regolare» disse «che il querelante faccia anche da avvocato difensore.»

«Oh, ma non ti fa da avvocato difensore nella causa per debiti» replicò Vostro Onore il giudice Harrison. «Solo in quella in cui sei accusato di aver venduto alcolici ai Rossi.» Poi Harrison sorrise, e con un colpo di martelletto dichiarò chiusa la questione.

Nemmeno la faccenda dei liquori richiese molto tempo. Jackson presentò una seconda volta le medesime fatture e ricevute, stavolta per dimostrare che tutto il whisky era stato venduto al vivandiere di Fort Carthage, e che ai Rossi non ne era andata neanche una goccia. «Anche se francamente debbo dire» aggiunse Jackson «che la quantità di whisky rappresentata da queste ricevute parrebbe più che sufficiente al consumo di tre anni di un esercito dieci volte più numeroso del vostro.»

«Abbiamo parecchi soldati cui piace stare allegri» disse il giudice Harrison. «Dubito che questo whisky possa durare più di sei mesi. Ma non una goccia ai Rossi, signor Jackson, statene certo!»

Poi dichiarò Hooch Palmer, alias Ulysses Brock, assolto da tutte le accuse. «Ma che questo vi serva da lezione, signor Palmer» lo esortò Harrison, tutto compreso nel suo ruolo di giudice. «Sulla frontiera la giustizia è rapida e implacabile. Badate di pagare i vostri debiti. Ed evitate perfino l’apparenza del male.»

«Statene certo» disse Hooch allegramente. Harrison gli aveva fatto vedere i sorci verdi, ma tutto era finito bene. Oh, gli scocciava un po’ per i duecento venti dollari, come pure per i due giorni in gattabuia, ma Harrison in fondo non aveva voluto infierire. Perché quello che Jackson non sapeva, e nessun altro aveva creduto opportuno ricordare, era che per una curiosa coincidenza Hooch Palmer aveva anche l’appalto come vivandiere dell’esercito degli Stati Uniti nel territorio del Wobbish. Tutti quei documenti dai quali risultava che non aveva venduto whisky ai Rossi in realtà dimostravano soltanto che l’aveva venduto a se stesso, e con un buon margine di guadagno. Ora Jackson se ne sarebbe andato a casa, e Hooch si sarebbe piazzato nel magazzino del vivandiere a vendere liquore ai Rossi a prezzo esorbitante, dividendo i guadagni con il governatore Bill e guardando i Rossi morire come mosche. Lo scherzo che Harrison aveva giocato a Hooch non era niente in confronto a quello che aveva giocato al vecchio Hickory.

Quando Jackson venne traghettato sull’altra riva dell’Hio, Hooch fece in modo di trovarsi sull’imbarcadero. Jackson si era portato dietro due ragazzoni di montagna armati nientemeno che di fucile. Hooch prese mentalmente nota del fatto che uno di loro sembrava un mezzo Rosso, probabilmente un bastardo Cherriky. Negli Appalachi cose del genere capitavano spesso. Bianchi regolarmente sposati con squaw, quasi fossero state donne vere! E ambedue i fucili avevano stampigliato sulla canna il marchio «Eli Whitney», vale a dire che erano fabbricati nello Stato di Irrakwa, dove quel Whitney aveva messo su bottega e di quei fucili ne produceva una quantità tale da far crollare i prezzi; addirittura correva voce che tutti i suoi operai fossero donne, squaw Irrakwa, cose da non credersi. Jackson poteva blaterare quanto voleva di respingere i Rossi a ovest del Mizzipy, ma era ormai troppo tardi. Tutta colpa di Ben Franklin, quando aveva permesso agli Irrakwa di fondare un proprio Stato lassù a nord, e Tom Jefferson aveva contribuito a peggiorare le cose negli Appalachi quando dopo aver combattuto nella rivoluzione contro il re i Cherriky avevano ottenuto la cittadinanza e il diritto di voto. Tratta i Rossi come cittadini, e quelli cominceranno a immaginare di avere gli stessi diritti dei Bianchi. Se cose del genere avessero attecchito, non c’era modo che ne venisse fuori una società ordinata. Figuriamoci, prima o poi anche i Neri avrebbero cominciato a brigare per liberarsi dalla schiavitù, e in men che non si dica uno sarebbe andato a sedersi in un saloon, e alla sua sinistra si sarebbe visto un Rosso, e alla sua destra si sarebbe visto un Nero, e questa era una cosa chiaramente contro natura.

Così Jackson se ne andava, fermamente convinto di fare di tutto per salvare i Bianchi dalla minaccia dei Rossi, e intanto viaggiava con un mezzosangue e portava a tracolla un fucile fabbricato dai Rossi. Peggio ancora, nella borsa della sella Jackson si portava via undici monete d’oro che secondo giustizia avrebbero dovuto essere di Hooch. E questi s’infuriò talmente da perdere la testa.

Perciò cominciò a riscaldare la borsa di Jackson, proprio nel punto in cui la fibbia metallica la fermava alla sella. Dalla parte opposta del fiume, sentiva il cuoio che si carbonizzava, annerendosi e indurendosi intorno alla fibbia. Ben presto, con i movimenti del cavallo, la borsa sarebbe caduta a terra. Ma siccome era facile che se ne accorgessero, Hooch pensò che non fosse il caso di fermarsi alla borsa. Così riscaldò parecchi altri punti, e non si occupò solo della sella di Jackson, ma anche di quelle dei suoi compagni. Raggiunta la riva opposta, i tre balzarono in sella e spronarono via, ma Hooch sapeva che prima di arrivare a Nashville si sarebbero ritrovati a cavalcare a pelo. Si augurò con tutto il cuore che la sella di Jackson si rompesse nel momento e nel luogo meno opportuni, in modo che il vecchio Hickory battesse le chiappe per terra, o addirittura si rompesse un braccio. La sola idea di questa prospettiva colmò Hooch di soddisfazione. A essere una scintilla c’era anche da divertirsi, ogni tanto. Per esempio, costringendo qualche pallone gonfiato ad abbassare un po’ la cresta.

La verità era che un uomo onesto come Andrew Jackson non poteva assolutamente tener testa a una coppia di furfanti come Bill Harrison e Hooch Palmer. Era una vera vergogna che l’esercito non prevedesse medaglie per quei soldati che invece di sparare ai nemici li facevano affogare nell’alcol. Perché in questo caso, Hooch ne era certo, Harrison e Palmer sarebbero stati due eroi.

Da come si erano messe le cose, Hooch ne concluse che Harrison sarebbe comunque riuscito a diventare un eroe, mentre lui non ne avrebbe cavato altro che soldi. Be’, è così che va il mondo, pensò. A qualcuno la gloria, a qualcun altro i soldi. Ma a me sta bene così, pur di non finire tra quelli che si ritrovano con un pugno di mosche. Per quanto mi riguarda, non ne ho la minima intenzione. E se per caso dovesse accadere, state pur sicuri che qualcuno se ne pentirà amaramente.

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