IV LOLLA-WOSSIKY

Quando Lolla-Wossiky lasciò Ta-Kumsaw in piedi di fronte alle porte di Fort Carthage, sapeva bene che cosa pensava suo fratello. Ta-Kumsaw pensava che si fosse portato via quel barilotto per scolarselo fino all’ultima goccia.

Ma Ta-Kumsaw non sapeva. Assassino Bianco Harrison non sapeva. Nessuno sapeva di Lolla-Wossiky. Quel barilotto gli sarebbe durato forse due mesi. Un poco alla volta. Con grande attenzione, senza mai versarne una goccia, berne solo quanto bastava, chiuderlo bene, farlo durare. Forse addirittura tre mesi.

Finora era dovuto sempre restare nei pressi del forte di Assassino Bianco Harrison, per mendicare quelle misere tazze di liquore che Harrison gli versava dalla bottiglia color marrone scuro. Ora invece ne aveva a sufficienza per il viaggio, il grande viaggio verso nord in cerca del suo animale del sogno.

Nessuno sapeva che Lolla-Wossiky aveva un animale del sogno. Non lo sapeva l’uomo bianco, che non aveva animali del sogno. L’uomo bianco dormiva in continuazione senza mai svegliarsi. Non lo sapeva l’uomo rosso, che vedendo Lolla-Wossiky pensava che fosse solo un Rosso ubriacone senza animale del sogno, destinato a morire senza mai svegliarsi.

Ma Lolla-Wossiky sapeva. Lolla-Wossiky conosceva quella luce lassù a nord, l’aveva vista sorgere cinque anni prima. Sapeva che il suo animale del sogno lo chiamava, ma non era mai riuscito a partire. Era partito cinque, sei, dodici volte per il nord, ma ogni volta dopo un po’ l’effetto del liquore veniva meno e allora tornava il rumore, lo spaventoso rumore nero che lo faceva soffrire senza interruzione. Quando il rumore nero arrivava era come avere cento minuscoli coltelli conficcati nella testa che giravano, giravano, così che lui non riusciva più a sentire la terra, non riusciva nemmeno più a vedere la luce del suo animale del sogno, doveva tornare indietro, trovare del liquore, far smettere quel rumore per riuscire finalmente a pensare.

L’ultima volta era stata la peggiore. Da molto, molto tempo al forte non era arrivata una goccia di liquore. Alla fine, per due mesi, nemmeno Assassino Bianco Harrison gliene aveva potuto dare più di una tazza la settimana, e mai abbastanza da durargli più di qualche ora, forse un giorno. Due lunghi mesi di rumore nero quasi ininterrotto.

Il rumore nero gli impediva perfino di camminare. Tutto si torce e si dimena, il terreno ondeggia senza posa, come si fa a camminare quando la terra sembra acqua? Così tutti pensavano che Lolla-Wossiky avesse bevuto, perché barcollava come un Rosso ubriacone e cadeva in continuazione. Dove andrà a procurarsi il liquore? si chiedevano tutti. Nessuno ha più liquore, ma Lolla-Wossiky riesce ancora a ubriacarsi, come farà? Ma nessuno ha gli occhi per vedere che Lolla-Wossiky non è affatto ubriaco. Non lo sentono forse parlare, parole chiare, non parole da ubriaco? Non sentono che non puzza di liquore? Nessuno capisce, nessuno ragiona, nessuno lavora d’immaginazione, nessuno ci azzecca. Sanno che Lolla-Wossiky ha sempre bisogno di liquore. A nessuno viene da pensare che forse Lolla-Wossiky sta così male che preferirebbe morire.

E quando chiude il suo unico occhio per impedire al mondo di incresparsi come il fiume, tutti pensano che dorma e dicono tante cose. E tra queste, anche cose che nessun Rosso dovrebbe mai ascoltare. Lolla-Wossiky questo l’aveva capito quasi subito, e quando il rumore nero diventava così forte che avrebbe voluto stendersi sul fondo del fiume per cancellare quel rumore per sempre, si trascinava barcollando fino alla porta di Assassino Bianco Harrison, si lasciava cadere sul pavimento accanto alla soglia e ascoltava. Il rumore nero era fortissimo, ma non era rumore per gli orecchi, e persino con quel ruggito nella testa Lolla-Wossiky riusciva a udire ciò che gli altri dicevano. Perciò si sforzava in tutti i modi di ascoltare ciò che avveniva dall’altra parte della porta, e non si lasciava sfuggire niente di ciò che diceva Assassino Bianco Harrison.

Lolla-Wossiky non raccontava mai a nessuno ciò che udiva.

Lolla-Wossiky non diceva mai niente di vero. Tanto gli altri non gli avrebbero creduto lo stesso. Sei ubriaco, Lolla-Wossiky. Vergognati, Lolla-Wossiky. Perfino quando non era ubriaco, perfino quando stava così male che avrebbe voluto uccidere tutto ciò che era vivo pur di non sentir più quel rumore, perfino allora gli dicevano: «Che disgrazia ridursi così, anche per un Rosso». E Ta-Kumsaw se ne stava lì e non diceva mai nulla, o quando diceva qualcosa era forte e giusto, mentre Lolla-Wossiky era debole e sbagliato.

A nord, a nord, a nord. E mentre andava a nord, Lolla-Wossiky cantilenava tra sé. Mille passi a nord prima di bere una sola goccia. A nord mentre il rumore nero è così forte che non so nemmeno dove sia il nord, ma pur sempre a nord perché non ho il coraggio di fermarmi.

È notte fonda. Il rumore nero è così forte che la terra non dice più nulla a Lolla-Wossiky. Perfino la luce bianca della terra del sogno è lontana e sembra diffondersi in tutte le direzioni. Un occhio vede la notte, l’altro occhio vede il rumore nero. Debbo fermarmi. Debbo fermarmi.

Muovendosi con estrema cautela, Lolla-Wossiky trovò un albero e, deposto a terra il barilotto, si sedette, appoggiando la schiena al tronco dell’albero, il barilotto tra le gambe. Molto lentamente, perché non vedeva più nulla, tastò il barilotto da tutte le parti per accertarsi della posizione del tappo. Tac, tac, tac con il tommy-hawk, tac, tac, tac finché il tappo non si allentò. Lentamente finì di estrarlo con le dita. Poi si chinò posando le labbra sul cocchiume e lo strinse come in un bacio, lo strinse tra le labbra come un neonato alla poppa, ecco come lo strinse; e poi alzò il barilotto, lentamente, molto lentamente, non troppo in alto, ecco il sapore, ecco il liquore, un sorso, due sorsi, tre sorsi, quattro.

Quattro debbono bastare. Quattro è la fine. Quattro è il numero vero, il numero intero, il numero perfetto. Quattro sorsi.

Rinfilato il tappo nel foro, Lolla-Wossiky vi batte sopra in modo che stia ben fermo. Già il liquore gli arriva alla testa. Già il rumore nero svanisce, si allontana.

Cedendo il passo al silenzio. A un meraviglioso silenzio verde.

Ma subito dopo il nero, anche il verde se ne va, svanisce. Ogni volta è così. La visione verde, che ogni Rosso conosce, nessuno l’aveva mai avuta più chiara di Lolla-Wossiky. Ma ora, ogni volta che arriva, ecco che subito dopo torna il rumore nero. E ogni volta che il rumore nero se ne va, ogni volta che il liquore lo scaccia, subito dopo se ne va anche il senso della terra, il verde silenzio delle cose vive.

E Lolla-Wossiky diventa come un Bianco, tagliato fuori dalla terra. Il terreno gli scricchiola sotto i piedi. I rami lo agguantano. Le radici lo fanno inciampare. Gli animali scappano a gambe levate.

Per anni e anni Lolla-Wossiky aveva sperato di trovare l’esatta quantità di liquore capace di fermare il rumore nero lasciando intatta la visione verde. Quattro sorsi: più vicino di così non era mai riuscito ad arrivare. Quattro sorsi lasciavano il rumore nero appena fuori della sua portata, nascosto dietro il tronco dell’albero più vicino. E insieme lasciavano il verde dove riusciva appena a toccarlo. Appena a sfiorarlo. Così poteva far finta di essere un vero Rosso e non un Rosso ubriacone, cioè in realtà un Bianco.

Quella volta tuttavia era stato senza liquore tanto a lungo — due mesi tranne per una tazza ogni tanto — che quattro sorsi si rivelarono troppo forti per lui. Il verde se n’era andato assieme al nero. Ma a lui non gliene importava niente, non quella notte. Non gliene importava niente, voleva solo dormire.


Quando si svegliò il mattino seguente, il rumore nero aveva appena iniziato a farsi udire. Lolla-Wossiky non avrebbe saputo dire se a svegliarlo fosse stato il sole o il rumore, e anche di questo non gliene importava niente. Fuori il tappo, quattro sorsi, dentro il tappo. Stavolta il senso della terra non scomparve subito, qualcosa riusciva a sentire. Abbastanza da trovare il coniglio nella tana.

Un grosso bastone di legno secco. Taglialo qui, scorteccialo, spaccalo, in modo che all’estremità ne sporgano in ogni direzione grosse schegge di legno.

Lolla-Wossiky si inginocchiò davanti alla tana.

«Ho molta fame» sussurrò. «E non sono molto forte. Vuoi darmi la tua carne?»

Si sforzò di udire la risposta, si sforzò di capire se era quella giusta. Ma la preda era troppo lontana, e la voce-della-terra usata dai conigli era quasi impercettibile. Una volta, ricordò, riusciva a udire tutte le voci, e da miglia e miglia di distanza. Forse, se il rumore nero se ne fosse andato, avrebbe nuovamente potuto udirle. Ma per ora non aveva modo di sapere se quei conigli gli avevano dato il loro consenso.

Perciò non sapeva se ne aveva il diritto oppure no. Non sapeva se stava per prendersi solo ciò che la terra gli offriva, come si confaceva a un uomo rosso, o se stava per rubarlo, come facevano i Bianchi, che uccidevano indiscriminatamente senza darsene il minimo pensiero. Non aveva scelta. Spinse a forza il bastone nella tana, facendolo girare. Lo sentì vibrare, poi udì lo strillo e subito lo tirò fuori, sempre facendolo girare. Un coniglietto, roba piccola, solo un coniglietto che si dimenava cercando di liberarsi dalle schegge, ma Lolla-Wossiky fu svelto: quando il coniglio si trovò all’imboccatura della galleria, pronto a liberarsi e scappare, Lolla-Wossiky aveva già la mano in posizione, prese il coniglio per la testa, lo sollevò in aria e gli diede un rapido scrollone. Il coniglietto si afflosciò, stecchito, e Lolla-Wossiky lo portò lontano dalla tana, verso il barilotto, perché è male, molto male, scuoiare un piccolo animale dove i suoi consanguinei possono vederti o udirti, è come lasciare un posto vuoto sulla terra.

Non accese il fuoco. Troppo pericoloso, e non c’era tempo di affumicare la carne, non così vicino al forte di Assassino Bianco Harrison. E comunque di carne non ce n’era molta; Lolla-Wossiky la mangiò tutta sul posto, cruda, per cui dovette lavorare di mascelle, ma il sapore era forte e buono. L’uomo rosso sa che, quando la carne non si può affumicare, è meglio portarsene dietro il più possibile nella pancia. Lolla-Wossiky infilò la pelliccia nella cintura del perizoma, si caricò il barilotto sulla spalla e riprese il cammino verso nord. La luce bianca era proprio dinanzi a lui, l’animale del sogno che lo chiamava, l’animale del sogno che lo esortava a proseguire. Io ti sveglierò, diceva l’animale del sogno. E allora smetterai di sognare.

L’uomo bianco aveva sentito narrare degli animali del sogno. L’uomo bianco pensava che l’uomo rosso se ne andasse nella boscaglia a sognare. Stupido uomo bianco, non capiva mai niente. All’inizio la vita è soltanto un lungo sonno, un lungo sogno. Al momento stesso della nascita ti addormenti e non ti svegli più, non ti svegli più fino a quando un bel giorno l’animale del sogno non ti chiama. Allora te ne vai nella foresta, a volte addentrandoti solo di qualche passo, a volte fino ai confini del mondo. Vai e vai finché non incontri l’animale che ti sta chiamando. L’animale non fa parte di un sogno. L’animale ti sveglia dal sogno. L’animale ti mostra chi sei, ti insegna qual è il tuo posto sulla terra. Allora puoi tornare a casa, finalmente sveglio, e raccontare allo sciamano e a tua madre e a tua sorella quale fosse l’animale del sogno. Un orso? Un tasso? Un uccello? Un pesce? Un falco? Un’aquila? Un’ape? Una vespa? Lo sciamano ti racconta le sue storie, e ti aiuta a scegliere il tuo nuovo nome da sveglio. Poi tua madre e le tue sorelle danno un nome a tutti i tuoi figli, che siano già nati oppure no.

Tutti i fratelli di Lolla-Wossiky avevano incontrato il loro animale del sogno già da lungo tempo. Ora sua madre era morta, e le sue due sorelle erano andate a vivere presso altre tribù. Chi avrebbe dato un nome ai suoi figli?

Lo so, disse Lolla-Wossiky. Lo so. Lolla-Wossiky non avrà mai figli. Lolla-Wossiky è solo un Rosso ubriacone orbo da un occhio. Ma Lolla-Wossiky troverà il suo animale del sogno. Lolla-Wossiky si sveglierà. Lolla-Wossiky avrà il suo nome da sveglio.

Allora Lolla-Wossiky saprà se vivere o morire. Se il rumore nero continua, e il risveglio non gli rivela nulla che lui già non sappia, Lolla-Wossiky andrà a dormire nel fiume e se ne lascerà trasportare fino al mare, lontano dalla terra e dal rumore nero. Ma se il risveglio gli rivela qualche motivo per continuare a vivere, con o senza rumore nero, allora Lolla-Wossiky continuerà a vivere, molti lunghi anni per bere e soffrire, soffrire e bere.

Lolla-Wossiky beveva quattro sorsi al mattino, quattro sorsi la sera, e poi si addormentava con una sola speranza: che quando l’animale del sogno l’avesse svegliato, avrebbe finalmente potuto morire.


Un giorno si trovava sulla sponda di un limpido torrente mentre il rumore nero gli offuscava la vista e gli ottundeva l’udito. Nell’acqua era ritto un grosso orso bruno. A un tratto l’orso schiaffeggiò la superficie dell’acqua e un pesce volò in aria. L’orso lo afferrò tra le zanne, lo morsicò due volte e lo inghiottì. Ma non era il pasto dell’orso a interessare Lolla-Wossiky. Erano i suoi occhi.

L’orso era orbo da un occhio, proprio come Lolla-Wossiky. Questi si chiese per un istante se per caso non potesse trattarsi del suo animale del sogno. Ma era impossibile. La luce bianca che lo chiamava a sé si trovava tuttora a nord di quei luoghi, leggermente spostata verso ovest. Perciò quell’orso non poteva essere l’animale del sogno, era sempre e solo parte del sogno.

Ma un messaggio per Lolla-Wossiky poteva pur sempre averlo. Poteva darsi che quell’orso si trovasse lì perché la terra voleva raccontare una storia a Lolla-Wossiky.

Ecco la prima cosa che Lolla-Wossiky notò: quando l’orso aveva afferrato il pesce tra i denti, l’aveva scrutato con l’unico occhio in modo da scorgere il luccichio della luce solare sulle scaglie della preda. Lolla-Wossiky se n’era accorto perché anche lui, come l’orso, per guardare inclinava la testa da una parte.

Ecco la seconda cosa che Lolla-Wossiky notò: quando l’orso aveva guardato in acqua in cerca del pesce per poterlo colpire con una zampata, aveva guardato con l’altro occhio, con l’occhio che non c’era. Questo Lolla-Wossiky non lo capì. Era una cosa molto strana.

Ecco l’ultima cosa che Lolla-Wossiky notò: nel guardare l’orso, aveva tenuto chiuso l’occhio buono. E quando l’aveva aperto, il fiume c’era sempre, il sole c’era sempre, i moscerini continuavano a danzare nell’aria per poi scomparire, ma l’orso non c’era più. Quell’orso Lolla-Wossiky poteva vederlo solo tenendo chiuso l’occhio buono.

Lolla-Wossiky bevve due sorsi dal barilotto, e l’orso scomparve.


Un giorno Lolla-Wossiky attraversò una strada degli uomini bianchi, e se la sentì scorrere sotto i piedi come un fiume. Subito la corrente della strada lo trascinò via. All’inizio procedette incespicando, poi prese il ritmo e avanzò al piccolo trotto, il barilotto sulla spalla. I Rossi non usavano mai le strade dei Bianchi: col tempo asciutto il fondo diventava troppo duro, quando pioveva si affondava nel fango, e i solchi lasciati dalle ruote dei carri si protendevano come mani di Bianco per agguantare la caviglia dell’uomo rosso, farlo inciampare, sfiancarlo. Questa volta invece il terreno era morbido come l’erba primaverile sulla riva del fiume, purché Lolla-Wossiky continuasse a correre nella direzione giusta. Non più verso la luce, perché ora la luce si diffondeva tutt’intorno a lui, e Lolla-Wossiky capì che l’animale del sogno era ormai vicinissimo.

Per tre volte la strada giunse a un corso d’acqua — prima due torrentelli, poi un fiume — e ogni volta questo era attraversato da un ponte, fatto di grossi tronchi d’albero e robuste tavole di legno, con un tetto simile a quello delle case dei Bianchi. Lolla-Wossiky si fermò a lungo sul primo ponte. Non aveva mai sentito parlare di costruzioni del genere. Dove avrebbe dovuto esserci solo acqua si poteva stare ritti in piedi su una passerella così robusta e pesante e dalle pareti così spesse che l’acqua non si poteva né vederla né udirla.

E il fiume era infuriato. Lolla-Wossiky ne poteva avvertire la rabbia, sentiva come avrebbe voluto gonfiarsi e strappar via il ponte dai suoi sostegni. È così che fa l’uomo bianco, pensò Lolla-Wossiky. L’uomo bianco deve sempre conquistare, strappare le cose alla terra.

Eppure, in piedi sul ponte, avvertì anche qualcos’altro. Anche se il liquore aveva quasi lasciato il suo corpo, sul ponte il rumore nero era meno assordante. Là sopra udiva il silenzio verde meglio di quanto gli accadesse da molto, molto tempo. Quasi che il rumore nero provenisse in parte dal fiume. Com’era possibile? Il fiume non nutriva rancori contro l’uomo rosso. E nessun oggetto costruito dai Bianchi poteva avvicinare l’uomo rosso alla terra. Eppure era proprio ciò che accadeva in quel luogo. Lolla-Wossiky si affrettò a riprendere il cammino. Forse quando il suo animale del sogno l’avesse svegliato, avrebbe capito anche questo.

La strada sfociava in un paesaggio di prati e di pascoli, dove sorgevano alcuni edifici dell’uomo bianco. Tanti carri. Cavalli legati che brucavano l’erba. Il suono argentino dei martelli di metallo, i colpi regolari delle scuri sul legno, il rumore stridente delle seghe spinte avanti e indietro, un misto dei rumori prodotti dai Bianchi quando uccidono la foresta. Un’altra città dei Bianchi.

E invece no. Lolla-Wossiky si arrestò sul limitare della boscaglia. Che cos’era a renderla diversa, che cos’era che lui si sarebbe aspettato di vedere e non vedeva?

La palizzata. Non c’era alcuna palizzata.

Dov’era che i Bianchi andavano a nascondersi? Dove rinchiudevano i Rossi ubriachi e i Bianchi colpevoli di furto? Dove nascondevano le loro armi?

«Issa! Issa! Issa!» La voce di un Bianco si levò come uno squillo di campana nell’aria afosa di quel pomeriggio estivo.

Alla sommità di una collinetta erbosa, a circa mezzo miglio di distanza, stava sorgendo una strana costruzione in legno. Lolla-Wossiky non poteva scorgere gli uomini al lavoro, che gli restavano nascosti dietro la sommità della collina. Ma da dove si trovava vide sollevarsi una nuova intelaiatura in legno, spinta da lunghi pali.

«Adesso la parete laterale! Issa! Issa! Issa!»

Una seconda intelaiatura si sollevò lentamente, molto lentamente, ad angolo retto rispetto alla prima. Quando entrambe furono in piedi, si trovarono a contatto di spigolo. Per la prima volta Lolla-Wossiky scorse degli uomini. Alcuni ragazzi bianchi si arrampicarono velocissimi sulla struttura, levarono i martelli e li calarono come tommy-hawk per costringere il legno alla sottomissione. Dopo aver martellato per qualche tempo, si alzarono in piedi (erano in tre) proprio in cima all’intelaiatura coi martelli levati come lance appena estratte dal corpo di un bisonte. I pali che erano serviti a spingere le pareti in posizione vennero tolti. Le pareti rimasero in piedi, sostenendosi a vicenda. Lolla-Wossiky udì un applauso.

Poi a un tratto tutti i Bianchi comparvero in cima alla collina. L’avevano visto? Sarebbero venuti a scacciarlo, o ad arrestarlo? No, scendevano semplicemente il fianco della collina fino al luogo in cui si trovavano carri e cavalli. Lolla-Wossiky sparì nella boscaglia.

Bevuti quattro sorsi dal barilotto, salì su un albero e sistemò il barilotto nel punto dove dal tronco si dipartivano tre grossi rami. Bello fermo, bello sicuro. Le foglie, belle fitte; nessuno avrebbe potuto vederlo dal basso, neanche un Rosso.

Stavolta Lolla-Wossiky la prese alla larga, ma ben presto si trovò sulla collina dove sorgeva la nuova struttura. Lolla-Wossiky la studiò a lungo, ma non riuscì a capire a che cosa potesse servire. Quelle pareti intelaiate erano il loro nuovo sistema per costruire. Anche la nuova residenza di Assassino Bianco Harrison era stata costruita così, ma questo edificio era molto più grande. Più grande di qualsiasi altra cosa costruita dai Bianchi che Lolla-Wossiky avesse mai visto, più alto della palizzata del forte.

Prima quegli strani ponti, chiusi come case. Ora questo strano edificio, alto come gli alberi della foresta. Lolla-Wossiky uscì dal riparo della foresta incamminandosi sul terreno erboso, ondeggiando leggermente perché quando aveva bevuto il terreno non voleva mai saperne di restargli fermo sotto i piedi. Raggiunto l’edificio, mise piede sul pavimento di legno. Sì, quello era un pavimento da uomo bianco, quelle erano pareti da uomo bianco, ma l’edificio nel suo complesso non somigliava a niente che Lolla-Wossiky avesse mai visto. Dentro, un grande spazio aperto. Pareti altissime. Era la prima volta che vedeva l’uomo bianco costruire qualcosa che non desse una sensazione di angustia soffocante. Poteva perfino darsi che in quel luogo anche un uomo rosso potesse trovarsi a suo agio.

«Che cosa vuoi? Chi sei?»

Lolla-Wossiky si voltò così bruscamente che quasi perse l’equilibrio. Un Bianco di alta statura era in piedi accanto all’edificio. Il pavimento sopraelevato gli arrivava alla cintura. Non era vestito di pelle come un cacciatore, o in uniforme come un soldato. Era vestito all’incirca come un contadino, ma pulito. A Carthage City Lolla-Wossiky non aveva mai visto nessuno che gli somigliasse.

«Chi sei?» ripeté l’uomo.

«Uomo rosso» disse Lolla-Wossiky.

«Si sta facendo buio, ma di certo non è ancora notte. Dovrei essere cieco per non vedere di che colore sei. Ma io i Rossi li conosco bene, e tu non sei di queste parti.»

Lolla-Wossiky rise. Possibile che tra i Bianchi ci fosse qualcuno capace di distinguere i Rossi uno dall’altro, al punto da capire chi veniva da vicino e chi da lontano?

«Hai un nome, uomo rosso?»

«Lolla-Wossiky.»

«Hai bevuto, eh? Lo sento di qui, e non mi sembri neanche tanto sicuro sulle gambe.»

«Bevuto molto. Molto whisky.»

«E chi te l’ha dato? Dimmelo! Dove te lo sei procurato?»

Lolla-Wossiky era sconcertato. Prima d’allora nessun Bianco gli aveva mai chiesto dove si fosse procurato il liquore. Non ce n’era uno che non lo sapesse già. «Da Assassino Bianco Harrison» rispose.

«Harrison si trova duecento miglia a sudest. Come l’hai chiamato?»

«Governatore Bill Harrison.»

«L’hai chiamato ‘Assassino Bianco Harrison’.»

«Io Rosso molto ubriaco.»

«Questo lo capisco anche da solo. Ma sarà difficile che ti sia ubriacato a Fort Carthage per poi arrivare fin qui senza farti passare la sbronza. Allora, dove hai trovato quel whisky?»

«Adesso tu vuoi rinchiudermi?»

«Rinchiuderti? E dove, dimmi un po’? Sì, penso proprio che tu venga davvero da Fort Carthage. Be’, se vuoi saperlo, caro signor Lolla-Wossiky, da queste parti non abbiamo alcun posto in cui rinchiudere i Rossi ubriachi, perché da queste parti i Rossi non si ubriacano. E se succede, cerchiamo il Bianco che ha dato loro il liquore, e quando l’abbiamo trovato lo frustiamo. Perciò farai meglio a dirmi immediatamente dove hai trovato quel liquore.»

«Whisky mio» disse Lolla-Wossiky.

«Forse è meglio che tu venga con me.»

«Vuoi rinchiudermi?»

«Te l’ho già detto, noi non… Ascolta, hai fame?»

«Forse sì» disse Lolla-Wossiky.

«Hai un posto dove mangiare?»

«Io mangiare dove posso.»

«Bene, stasera verrai a mangiare a casa mia.»

Lolla-Wossiky non sapeva che cosa rispondere. Era forse uno scherzo da uomo bianco? Gli scherzi dei Bianchi erano molto difficili da capire.

«Allora, hai fame o no?»

«Forse sì» disse di nuovo Lolla-Wossiky.

«Su, allora, vieni!»

Un altro uomo bianco risalì la collina. «Corazza-di-Dio!» gridò. «Quella povera donna di tua moglie si chiedeva che fine avessi fatto!»

«Un minuto soltanto, reverendo Thrower. Penso che stasera avremo un altro ospite per cena.»

«E chi sarebbe? Santi numi, Corazza-di-Dio, direi proprio che si tratta di un Rosso.»

«Dice di chiamarsi Lolla-Wossiky. È uno Shaw-Nee. Ed è anche ubriaco fradicio.»

Lolla-Wossiky era stupefatto. Quel Bianco aveva capito che lui era uno Shaw-Nee senza bisogno di far domande. Dai capelli, strappati a uno a uno tranne l’alta striscia in mezzo alla testa? Gli altri Rossi lo capivano da questo. Dalla frangia del perizoma? L’uomo bianco non notava mai questo genere di cose.

«Uno Shaw-Nee» disse il secondo Bianco. «Non sono una tribù particolarmente selvaggia?»

«Be’, ecco, questo non saprei dirvelo, reverendo Thrower» disse Corazza-di-Dio. «Di sicuro sono una tribù particolarmente sobria. Nel senso che in genere non bevono come invece fanno certi altri. Alcuni pensano che l’unico Rosso innocuo sia il Rosso che beve, perciò quando vedono che gli Shaw-Nee non bevono li considerano subito pericolosi.»

«Questo qui non sembra avere quel genere di problema.»

«Lo so. Ho cercato di scoprire chi gli avesse dato il whisky, ma non me l’ha voluto dire.»

Il reverendo Thrower si rivolse a Lolla-Wossiky.

«Non sai che il whisky è strumento del demonio, e che sarà la rovina dell’uomo rosso?»

«Non credo che sappia l’inglese al punto da capire di che cosa state parlando, reverendo.»

«Liquore molto male per uomo rosso» intervenne Lolla-Wossiky.

«Be’, allora forse capisce davvero» disse Corazza-di-Dio con una risatina. «Lolla-Wossiky, se davvero sai che il liquore è un male, come mai puzzi di whisky a buon mercato come una locanda irlandese?»

«Liquore molto male per uomo rosso» spiegò Lolla-Wossiky «ma uomo rosso sempre molta sete.»

«Per questo esiste una semplice spiegazione scientifica» disse il reverendo Thrower. «Gli europei, abituati a bere alcolici fin da tempi remoti, hanno sviluppato una certa tolleranza. Quelli che non riescono a resistere al desiderio dell’alcol in genere muoiono prima, hanno meno figli, e non riescono a mantenere adeguatamente quelli che hanno. Ne segue che la maggior parte degli europei ha costituzionalmente una certa resistenza all’alcol. Ma voi Rossi questa tolleranza non avete mai potuto svilupparla.»

«Molto giusto, dannazione» convenne Lolla-Wossiky. «Uomo bianco che dici la verità, come possibile che Assassino Bianco Harrison ancora non ti ha ammazzato?»

«Ehi, sentite questa» disse Corazza-di-Dio. «È la seconda volta che dà a Harrison dell’assassino.»

«E ha anche imprecato, cosa che personalmente non gradisco affatto.»

«Se viene da Carthage City, ha imparato a parlare l’inglese da una categoria di Bianchi che parole come ‘dannazione’ le usano a mo’ di punteggiatura, se capite che cosa intendo dire. Ma ascoltami, Lolla-Wossiky. Quest’uomo è il reverendo Philadelphia Thrower, ministro di Nostro Signore Gesù Cristo, perciò cerca di badare a come parli in sua presenza.»

Lolla-Wossiky non aveva la minima idea di che cosa potesse essere un ministro. A Carthage City non c’era niente del genere. Il massimo a cui poteva arrivare era che un ministro fosse più o meno come un governatore, solo più gentile.

«Tu poi vivere in questa grande casa?»

«Io vivere qui?» chiese Thrower. «Oh, no. Questa è la casa del Signore.»

«Di chi?»

«Di Nostro Signore Gesù Cristo.»

Lolla-Wossiky aveva sentito parlare di Gesù Cristo. I Bianchi lo tiravano in ballo in continuazione, specialmente quando erano arrabbiati o mentivano. «Lui uomo molto arrabbiato» disse Lolla-Wossiky. «Lui vive qui?»

«Gesù Cristo è il nostro Signore, amorevole e pronto al perdono» disse il reverendo Thrower. «Verrà a vivere qui, ma non come vivono i Bianchi nelle loro case. Quando i bravi cristiani vorranno adorarlo, cantando inni, pregando e ascoltando la parola del Signore, ci riuniremo in questo luogo. È una chiesa, o lo sarà.»

«Gesù Cristo parla qui?» Lolla-Wossiky pensò che sarebbe stato interessante incontrare personalmente un Bianco di quell’importanza.

«Oh, no, non di persona. Sono io a parlare per lui.»

Dai piedi della collina giunse una voce di donna. «Armor! Armor Weaver!»

Corazza-di-Dio si riscosse. «La cena è pronta, ed Eleanor ci sta chiamando, il che significa che ha già perso la pazienza. Andiamo, Lolla-Wossiky. Ubriaco o no, se vuoi cenare vieni con me.»

«Spero che tu accetti» disse il reverendo Thrower. «E dopo cena, spero di poterti insegnare la parola del Signore Gesù.»

«Io molto contento» disse Lolla-Wossiky. «Tu prometti non rinchiudermi. Io non piace essere rinchiuso. Io qui per trovare animale del sogno.»

«Non ti rinchiuderemo, sta’ tranquillo. Sei libero di uscire da casa mia in qualsiasi momento.» Corazza-di-Dio si rivolse al reverendo Thrower. «Vedete bene che cosa imparano questi Rossi da William Henry Harrison. A bere whisky e a finire in prigione.»

«Mi interessano di più le sue credenze pagane. L’animale del sogno! È così che intende la divinità?»

«L’animale del sogno non è un dio, è un animale che loro sognano e dal quale imparano certe cose» spiegò Armor. «A un certo punto partono per un lungo viaggio, e non tornano a casa finché non l’hanno sognato. Questo spiega che cosa sta facendo a duecento miglia dai principali villaggi Shaw-Nee, situati sul corso inferiore del My-Ammy.»

«Animale del sogno è vero» interloquì Lolla-Wossiky.

«Certo» replicò Corazza-di-Dio. Lolla-Wossiky capì che lo diceva solo per non offenderlo.

«Questa povera creatura ha evidentemente un disperato bisogno della parola del Vangelo» disse Thrower.

«A me sembra che in questo momento abbia più bisogno di una cena. Il Vangelo s’impara meglio a pancia piena, non vi pare?»

Thrower ridacchiò. «Non credo che nella Bibbia stia scritto da alcuna parte, Corazza-di-Dio, ma direi proprio che hai ragione.»

Corazza-di-Dio, le mani sui fianchi, si rivolse di nuovo a Lolla-Wossiky. «Allora, vieni o no?»

«Forse sì» disse Lolla-Wossiky.


Lolla-Wossiky aveva la pancia piena, ma di cibo degli uomini bianchi, morbido e liscio e troppo cotto, che ora continuava a brontolare dentro di lui. Thrower intanto raccontava le cose più strane. Come storie non erano male, se non avesse insistito tanto sulla questione del peccato originale e della redenzione. Una volta che Lolla-Wossiky pensò di aver capito, disse: «Che dio sciocco, se lui fatto tutti cattivi per bruciare nelle fiamme dell’inferno. Perché così arrabbiato? Tutta colpa sua!» Thrower allora si inquietò moltissimo e ricominciò a parlare ancora più a lungo e più in fretta di prima, per cui Lolla-Wossiky non si azzardò più a esprimere i propri pensieri.

Più Thrower parlava, più il rumore nero si faceva assordante. Era l’effetto del whisky che stava svanendo? Di solito non succedeva così in fretta. E una volta che Thrower si alzò per andare al gabinetto, il rumore nero si fece più debole. Che cosa strana… Lolla-Wossiky non si era mai accorto che la vicinanza o la lontananza di qualcuno potessero far sì che il rumore nero crescesse o diminuisse.

Ma forse era perché si trovava lì, nel posto dell’animale del sogno. Che il posto fosse proprio quello lo si capiva dal fatto che quando Lolla-Wossiky alzava lo sguardo era completamente circondato dalla luce bianca, tanto da non capire più dove stava andando. Non c’era da sorprendersi se in quel posto c’erano ponti che rendevano più debole il rumore nero, e pastori bianchi che lo rendevano più forte. Non c’era da sorprendersi se in quel posto c’era Corazza-di-Dio che nutriva gli uomini rossi senza vendere né regalare liquore, e che passava il tempo a disegnare la terra.

Mentre Thrower era fuori, Corazza-di-Dio mostrò a Lolla-Wossiky la sua carta. «Questo è un disegno dell’intera regione. A nordovest c’è il grande lago… quello che i Kicky-Poo chiamano ‘Acqua Grassa’. Qui c’è Fort Chicago… un avamposto francese.»

«Francesi. Una tazza di whisky per uno scalpo di Bianco.»

«Sì, questi sono i prezzi correnti» disse Corazza-di-Dio. «Ma i Rossi di queste parti non vanno a caccia di scalpi. Commerciano onestamente con me come io commercio onestamente con loro; noi non andiamo a sparare ai Rossi, e loro non vanno a caccia di Bianchi per riscuotere la taglia. Hai capito? Se ti sta venendo sete, ascolta questa: tre o quattro anni fa un Rosso ubriacone della tribù dei Wee-Aw ha sorpreso un ragazzino danese nella foresta e l’ha ammazzato. Pensi che siano stati i Bianchi a rintracciarlo? No davvero; sai bene che un Bianco, specialmente un contadino, uno come noi, non ha la minima speranza di ritrovare un Rosso in questi boschi. No, sono stati gli Shaw-Nee e gli Otty-Wa a ritrovarlo, due ore dopo che si era sparsa la voce della scomparsa del bambino. E pensi che siano stati i Bianchi a punire quel Rosso ubriacone? No davvero; gli stessi Rossi che l’avevano catturato l’hanno fatto stendere a terra e gli hanno chiesto: ‘Vuoi dimostrare il tuo coraggio?’, e quando lui ha detto di sì, per ammazzarlo ci hanno messo sei ore.»

«Molto gentili» disse Lolla-Wossiky.

«Gentili? A me non sembrerebbe» obiettò Corazza-di-Dio.

«Uomo rosso uccide ragazzo bianco per whisky, io mai gli permetto di mostrare suo coraggio, lui muore… uh! Così, subito, come serpente a sonagli, lui non uomo.»

«Devo dire che voi Rossi avete uno strano modo di pensare» rifletté Armor. «Vuoi dire che quando torturate qualcuno intendete fargli un favore?»

«Non qualcuno. Nemico. Prendiamo nemico, lui mostra suo coraggio prima di morire così poi suo spirito torna volando a casa. Dice sua madre e sue sorelle che lui morto da coraggioso, loro cantano canzoni e gridano per lui. Lui non mostra suo coraggio, allora suo spirito cade giù nella polvere e tu cammini sopra lui, schiacci lui nella polvere, lui non torna più a casa, nessuno ricorda suo nome.»

«È un bene che Thrower sia andato al gabinetto, perché mi sa che se ti avesse sentito spiegare questa dottrina se la sarebbe fatta addosso» disse Armor. Poi Armor guardò Lolla-Wossiky socchiudendo gli occhi. «Vuoi dire che in quel modo intendevano onorare il Wee-Aw che aveva ucciso il ragazzino?»

«Molto male, uccidere ragazzino. Ma forse uomo rosso conosce Rosso ubriacone, molta sete, lui diventato come pazzo. Non come uccidere uomo per prendere sua casa, sua donna o sua terra, come fa sempre uomo bianco.»

«Devo dire che più conosco voi Rossi, più ho l’impressione che l’intera faccenda cominci a quadrare. È meglio che la sera dedichi alla Bibbia un po’ più di tempo, o c’è il rischio che prima o poi mi trasformi in un Rosso.»

Lolla-Wossiky rise a crepapelle.

«Che cos’è a divertirti tanto?»

«Molti uomini rossi diventano Bianchi poi muoiono. Ma uomo bianco non diventa mai Rosso. Io racconto questa storia, tutti ridono.»

«Voi Rossi avete un senso dell’umorismo che proprio non capisco.» Armor carezzò la carta. «Noi ci troviamo qui, immediatamente a valle del punto in cui il Tippy-Canoe si immette nel Wobbish. Tutti questi punti neri sono fattorie di Bianchi. I cerchietti sono villaggi rossi. Questo è Shaw-Nee, quest’altro è Winny-Baygo, capisci come funziona?»

«Assassino Bianco Harrison dice tu fai questo disegno di terra per trovare villaggi rossi. Dice tu fai questo per uccidere tutti.»

«Sicuro, è precisamente il tipo di fandonia che mi sarei aspettato da lui. Così avevi sentito parlare di me ancor prima di arrivare qui, eh? Be’, spero che tu non gli abbia creduto.»

«Oh, no. Nessuno crede ad Assassino Bianco Harrison.»

«Ottima cosa.»

«Nessuno crede a uomini bianchi. Uomo bianco sempre dice bugie.»

«Ehi, io no, hai capito? Io no. Harrison non vede l’ora di diventare governatore. Per conquistare il potere e mantenerlo inventerebbe qualsiasi cosa.»

«Lui dice che anche tu vuoi diventare governatore.»

Armor non rispose subito. Guardò la mappa. Guardò la porta della cucina dove sua moglie stava lavando i piatti. «Be’, penso che su questo non abbia mentito. Ma la mia idea di ciò che significa essere governatore è molto diversa dalla sua. Io voglio diventarlo perché Rossi e Bianchi possano vivere insieme pacificamente, coltivando la terra a fianco a fianco, frequentando le stesse scuole in modo che un giorno tra loro non vi siano più differenze. Harrison invece i Rossi li vuole eliminare.»

Se l’uomo rosso fosse diventato uguale al Bianco, allora non sarebbe più stato rosso. Che si seguisse la strada di Harrison o quella di Armor, alla fine dei Rossi non sarebbe rimasta più traccia. Ma questo LollaWossiky lo pensò soltanto, non lo disse. Sapeva che trasformare i Rossi in Bianchi era molto male, ma sterminarli col liquore com’era nei piani di Harrison, o sterminarli con le armi e cacciarli dalla loro terra com’era nei piani di Jackson, sarebbe stato ancora peggio. Harrison era un uomo molto cattivo. Armor avrebbe voluto essere buono, ma non sapeva come fare. Lolla-Wossiky lo capiva, e per questo non mise in questione quello che diceva Corazza-di-Dio.

Armor continuò a illustrargli la carta. «Quaggiù c’è Fort Carthage, è rappresentato da un quadratino perché è una città. Ho disegnato un quadratino anche per noi, anche se in realtà non siamo ancora una città. Abbiamo deciso di chiamarla Vigor Church, per via della chiesa che stiamo costruendo.»

«Church io capisco. Perché Vigor?»

«Per via dei primi Bianchi che si sono stabiliti qui, quelli che hanno aperto la strada e costruito i ponti, i Miller. Vivono lassù dietro la chiesa, continuando su questa strada. Mia moglie è la loro figlia più grande. Questo posto l’hanno chiamato Vigor in ricordo del figlio maggiore, di nome Vigor, morto annegato nel fiume Hatrack lassù dalle parti del Suskwahenny, durante il viaggio per venire qui. Così hanno dato il suo nome a questo posto.»

«Tua moglie, molto carina» disse Lolla-Wossiky.

Preso completamente alla sprovvista, Armor lì per lì non seppe che cosa rispondere. E nel retrobottega, dove avevano consumato la cena, sua moglie Eleanor doveva essere stata in ascolto, perché all’improvviso comparve sulla soglia.

«Nessuno mi aveva mai chiamata ‘carina’ prima d’ora» disse con voce pacata.

Lolla-Wossiky era sconcertato. La maggior parte delle donne bianche avevano il viso affilato, niente zigomi, il colorito malsano. Eleanor aveva il viso largo, la pelle scura, gli zigomi alti.

«Io penso che tu sia carina» disse Armor. «Davvero.»

Lolla-Wossiky non gli credette, e nemmeno Eleanor, anche se prima di scomparire ringraziò il marito con un sorriso. Lui non aveva mai pensato che lei fosse carina, questo era evidente. E un istante dopo Lolla-Wossiky ne capì il motivo. Era carina come avrebbe potuto esserlo una donna rossa. Perciò i Bianchi, che non vedevano mai nulla com’era veramente, non si accorgevano della sua bellezza e la consideravano bruttissima.

Questo significava anche che Corazza-di-Dio era sposato con una donna che egli riteneva brutta. Eppure non la rimproverava, né la picchiava, come avrebbe fatto un uomo rosso sposato con una brutta squaw. E questa, ne concluse Lolla-Wossiky, era una buona cosa.

«Tu molto felice» disse Lolla-Wossiky.

«È perché siamo cristiani» gli fece notare Corazza-di-Dio. «Anche tu saresti felice, se fossi cristiano.»

«Io non sarò mai felice» disse Lolla-Wossiky. E con questo intendeva dire: «Finché non tornerò a udire il silenzio verde, finché il rumore nero non se ne andrà». Ma sarebbe stato perfettamente inutile dire una cosa del genere a un Bianco, del tutto ignaro del fatto che metà delle cose che accadevano al mondo gli restavano del tutto invisibili.

«Ma certo che lo sarai», lo smentì Thrower, il quale fece il suo ingresso nella stanza pieno d’energia, pronto a ricominciare l’assedio al suo pagano. «Se accetterai Gesù Cristo come tuo salvatore, conoscerai la vera felicità.»

Ecco una promessa che valeva la pena di considerare. Ecco una buona ragione per parlare di questo Gesù Cristo. Forse in realtà Gesù Cristo era l’animale del sogno di Lolla-Wossiky. Forse sarebbe veramente riuscito a scacciare il rumore nero, e Lolla-Wossiky sarebbe tornato felice come prima che Assassino Bianco Harrison facesse saltare in aria il mondo col rumore nero del suo fucile.

«Gesù Cristo mi sveglia?» chiese Lolla-Wossiky.

«Seguitemi, ha detto, e io farò di voi dei pescatori di uomini» rispose Thrower.

«Lui mi sveglia? Lui fa me felice?»

«Eterna felicità, in seno al Padre Celeste» disse Thrower.

Le cose che Thrower diceva gli parevano assolutamente insensate, ma Lolla-Wossiky decise di provarci ugualmente: se Thrower fosse riuscito a svegliarlo, forse Lolla-Wossiky sarebbe riuscito a capire di che cosa stava parlando. Il fatto che il pastore rendesse più forte il rumore nero forse era indicazione del fatto che era anche in grado di curarlo.

Così quella notte Lolla-Wossiky dormì all’aperto nella foresta. Al mattino bevve i suoi quattro sorsi di whisky e si recò barcollando alla chiesa. Vedendolo ubriaco, Thrower si irritò, e Armor insisté nuovamente per sapere chi gli avesse dato il liquore. Siccome tutti coloro che partecipavano alla costruzione della chiesa si erano raccolti intorno a loro, Armor rivolse loro un discorso carico di minacce. «Se scopro chi di voi dà da bere a questi Rossi, giuro che gli brucio la casa e lo spedisco da Harrison, laggiù sull’Hio. Qui siamo cristiani. Non posso impedirvi di disegnare talismani sulle vostre case o di dedicarvi alle magie e agli incantesimi, anche se tutto questo rivela mancanza di fede nel Signore, ma sicuramente posso impedirvi di avvelenare il popolo cui il Signore ritenne opportuno destinare queste terre. Avete capito?»

Tutti i Bianchi presenti annuirono e dissero di sì e che lo ritenevano giusto e sacrosanto.

«Nessuno qui dato me whisky» disse Lolla-Wossiky.

«Forse se l’è portato dietro in una tazza!» suggerì uno degli uomini.

«Forse ha una distilleria nascosta nella foresta!» disse un altro.

Tutti risero.

«Vi prego di mostrare la dovuta reverenza» disse Thrower. «Questo pagano ora accetterà la fede di Nostro Signore Gesù Cristo, e verrà cosparso dell’acqua del battesimo come avvenne allo stesso Gesù. Che questo segno sia l’inizio di una grande opera missionaria tra gli uomini rossi delle foreste americane!»

Amen, mormorarono i presenti.

Be’, l’acqua era fredda, e questo fu più o meno tutto quello che Lolla-Wossiky ne ricavò, tranne per il fatto che quando Thrower gliela spruzzò addosso il rumore nero si fece ancora più forte. Gesù Cristo non si fece vedere, perciò nemmeno lui era l’animale del sogno. Lolla-Wossiky ne rimase deluso.

Ma non il reverendo Thrower. La cosa strana dei Bianchi era proprio questa. Sembrava che non si rendessero mai conto di quello che gli succedeva intorno. Dopo aver celebrato un battesimo che non aveva sortito il minimo effetto, Thrower se ne andò in giro per il resto della giornata tutto tronfio e impettito come se fosse appena riuscito ad attirare un bisonte nel bel mezzo di un villaggio affamato nel cuore dell’inverno.

Non meno cieco era Corazza-di-Dio. A mezzogiorno, quando Eleanor portò da mangiare agli operai in cima alla collina, questi permisero a Lolla-Wossiky di mangiare assieme a loro. «Mica possiamo cacciare un cristiano, vi pare?» disse uno di loro. Ma nessuno sembrava entusiasta all’idea di sedergli accanto, forse perché puzzava di whisky e di sudore, e nel camminare barcollava. Andò a finire che Lolla-Wossiky e Corazza-di-Dio sedettero insieme a una certa distanza dagli altri a parlare del più e del meno.

Finché Lolla-Wossiky non chiese al suo compagno: «A Gesù Cristo non piacciono talismani?»

«Certo che no. La Via è lui, e tutti gli incantesimi non sono altro che bestemmie.»

Lolla-Wossiky annuì gravemente. «Talismano dipinto non buono. Pittura non mai cosa viva.»

«Dipinto o intagliato, è la stessa cosa.»

«Talismano di legno, un poco più forte. Albero prima vivo.»

«Di legno o dipinto, per me non ha alcuna importanza. In casa mia non tollero talismani. Incantesimi, magie, scongiuri, niente di tutto questo. Un bravo cristiano si affida solo alla preghiera. Il Signore è il mio pastore, niente mi mancherà.»

Lolla-Wossiky capì allora che Corazza-di-Dio non era meno cieco di Thrower. Perché la casa di Corazza-di-Dio era protetta dai talismani più efficaci che Lolla-Wossiky avesse mai visto in vita sua. Uno dei motivi per cui Lolla-Wossiky era rimasto così colpito da Armor era proprio il fatto che la sua casa fosse eccezionalmente ben protetta, in quanto chi aveva fabbricato quei talismani aveva avuto l’accortezza di usare cose viventi. Composizioni di piante verdi appese sotto la veranda, semi pieni di vita collocati in vasi disposti secondo un preciso disegno, collane d’aglio, macchie fatte con il succo di vari tipi di bacche, e tutto disposto con tale maestria che, persino sotto l’effetto del liquore bevuto per smorzare il rumore nero, Lolla-Wossiky si sentiva spingere e tirare dalla forza dei talismani e degli incantesimi protettivi.

Eppure Corazza-di-Dio non sospettava minimamente che la sua casa fosse protetta dai talismani. «A casa dei miei suoceri, invece, è tutto un talismano. Al Junior, il suo fratello più piccolo… eccolo lì, lo vedi quel ragazzetto sui sei anni che lotta con il biondino svedese? Dicono che sia un grande intagliatore di talismani.»

Lolla-Wossiky guardò il ragazzetto, ma qualcosa gli impediva di vederlo con chiarezza. Il biondino con cui stava facendo la lotta lo vedeva, ma l’altro non riusciva proprio a metterlo a fuoco, chissà perché.

Armor continuava a parlare. «Non è una cosa da dare il voltastomaco? Così piccolo, e già lontano da Cristo. A ogni modo, per Eleanor è stato molto difficile rinunciare a talismani e cose varie. Ma c’è riuscita. Me lo ha giurato solennemente, o non ci saremmo mai sposati.»

Proprio in quel momento Eleanor, la bella moglie che ai Bianchi pareva brutta, venne a prendere il cestino del pranzo. Pur avendo udito le ultime parole del marito, non mostrò la minima reazione. Ma quando prese la scodella di Lolla-Wossiky e lo guardò negli occhi, egli ebbe l’impressione che la donna gli chiedesse: «Li hai visti, tu, quei talismani?»

Lolla-Wossiky le rivolse il più largo dei sorrisi, così da farle capire che non aveva la minima intenzione di svelare al marito il suo segreto.

Lei ricambiò il sorriso, esitante, incerta. «Ti è piaciuto il pranzo?» gli chiese.

«Tutto cotto troppo» disse Lolla-Wossiky. «Sapore di sangue tutto sparito.»

La donna spalancò gli occhi. Armor rise e diede a Lolla-Wossiky una pacca sulla spalla. «Vedi, questo significa essere civilizzati. Si smette di bere sangue. Spero che il battesimo ti indirizzi sulla retta via… perché è evidente che da molto tempo percorri una via sbagliata.»

«Mi chiedevo…» disse Eleanor, e poi tacque, lanciando un’occhiata prima al perizoma di Lolla-Wossiky, poi di nuovo al marito.

«Ah, sì, ne abbiamo parlato ieri sera. Ho dei pantaloni e una camicia che non uso più, e comunque Eleanor me ne sta cucendo degli alta, per cui pensavo che una volta ricevuto il battesimo potresti davvero cominciare a vestirti da cristiano.»

«Oggi giornata molto calda» disse Lolla-Wossiky.

«Ti capisco, Lolla-Wossiky, ma noi cristiani crediamo che sia necessario vestire con modestia.» E ridendo Armor gli diede un’altra pacca sulle spalle.

«Potrei portargli i vestiti nel pomeriggio» disse Eleanor.

Lolla-Wossiky pensò che fosse un’idea assolutamente stupida. I Rossi vestiti da Bianchi avevano sempre l’aria stupida. Ma quella gente cercava solo di essere gentile, e lui non aveva intenzione di mettersi a discutere. Poteva anche darsi che una volta indossati quegli abiti da Bianco il battesimo si decidesse a funzionare. Forse il rumore nero sarebbe finalmente sparito.

Perciò non rispose. Si limitò a guardare là dove il biondino correva in cerchio urlando: «Alvin! Ally!» Lolla-Wossiky si sforzò in tutte le maniere di vedere colui che veniva inseguito, ma vedeva soltanto un piede che toccava terra alzando la polvere, una mano che si agitava nell’aria, ma il ragazzino tutto intero non riusciva proprio a vederlo. Che cosa stranissima.

Eleanor attendeva una sua risposta. Lolla-Wossiky non aprì bocca, impegnato com’era a guardare il ragazzino che non c’era. Alla fine Corazza-di-Dio rise e disse: «Porta qui i vestiti, Eleanor. Lo vestiremo come Dio comanda, e magari domani potrà darci una mano a costruire la chiesa, cominciando a imparare un mestiere da cristiano. Gli metteremo un martello in mano, e vedremo quello che saprà fare».

Lolla-Wossiky non fece attenzione alle ultime parole, altrimenti se la sarebbe subito data a gambe. Aveva visto quel che succedeva agli uomini rossi che cominciavano a usare gli attrezzi dei Bianchi. Ogni volta che sollevavano un attrezzo di metallo si allontanavano di un piccolo passo dalle cose della terra. Lo stesso accadeva con le armi da fuoco. Se l’uomo rosso cominciava a usare il fucile per andare a caccia, la prima volta che tirava il grilletto era già mezzo bianco; Ta-Kumsaw diceva sempre che un uomo rosso poteva usare un fucile solo per ammazzare i Bianchi, e in questo aveva ragione. Ma Lolla-Wossiky non udì quello che Armor stava dicendo a proposito di mettergli un martello in mano, perché aveva appena fatto una straordinaria scoperta. Se chiudeva l’occhio buono, riusciva a vedere quel ragazzino. Proprio come l’orso orbo da un occhio che aveva incontrato sul fiume. Apriva l’occhio, ed ecco il biondino che correva e strillava, ma niente Alvin Miller Junior. Lo richiudeva, e non c’era altro che rumore nero con qualche traccia di verde… e proprio nel mezzo, ecco il ragazzo, luminoso e splendente come se avesse avuto il sole nella tasca dei calzoni, che rideva e giocava con una voce piena di musicalità.

Poi il ragazzo scomparve.

Lolla-Wossiky riaprì l’occhio. Davanti a lui c’era il reverendo Thrower. Armor ed Eleanor non c’erano più; gli uomini erano tutti tornati al lavoro intorno alla chiesa. Evidentemente era stato Thrower a far scomparire il ragazzo. O forse no… perché adesso che Thrower era ritto accanto a lui, Lolla-Wossiky vedeva il ragazzo con l’occhio buono. Esattamente come qualsiasi altro bambino.

«Lolla-Wossiky, mi è venuto da pensare che in realtà dovresti assumere un nome cristiano. Non avevo mai battezzato un Rosso prima d’ora, e ho sconsideratamente usato il tuo barbaro appellativo. Ma adesso dovresti assumere un nuovo nome, un nome cristiano. Non necessariamente quello di un santo — non siamo papisti — ma qualcosa che richiami il tuo nuovo impegno nei confronti di Cristo.»

Lolla-Wossiky annuì. Non avrebbe avuto niente da obiettare a un nuovo nome, purché il battesimo facesse finalmente effetto. Se avesse incontrato l’animale del sogno, al suo ritorno a casa si sarebbe fatto dare un nuovo nome. Cercò di spiegarlo a Thrower, ma il pastore bianco non riusciva a capire. Alla fine però afferrò l’idea che Lolla-Wossiky voleva un nuovo nome e aveva intenzione di assumerlo quanto prima, e questo lo addolcì.

«Tra l’altro, già che siamo qui» disse Thrower «mi chiedevo se non saresti disposto a farti esaminare la testa. Sto lavorando per definire alcune categorizzazioni sistematiche nell’ambito della neonata scienza della frenologia, basata sull’ipotesi che i talenti e le inclinazioni dell’animo umano si riflettano nelle protuberanze e nelle depressioni che caratterizzano la forma del cranio, o forse ne siano addirittura la conseguenza.»

Lolla-Wossiky non capì una sola parola di ciò che Thrower andava dicendo, per cui annuì in silenzio. Quando un Bianco cominciava a vaneggiare, quello era un espediente che di solito funzionava, e Thrower non faceva eccezione. Così andò a finire che Thrower tastò la testa di Lolla-Wossiky per dritto e per rovescio, fermandosi ogni tanto per tracciare uno schizzo o prendere un appunto su un foglio di carta e bofonchiando cose del genere: «Molto interessante», «Ah!» o «Vorrei che il tale vedesse questo!» Quando ebbe finito, Thrower lo ringraziò.

«Hai dato un enorme contributo alla causa della scienza, signor Wossiky. Sei la prova vivente che un Rosso non presenta necessariamente i bernoccoli della crudeltà e del cannibalismo, ma dispone del normale arsenale di qualità e difetti di qualsiasi altro essere umano. I Rossi non sono intrinsecamente diversi dai Bianchi, per lo meno non in termini semplici e facilmente categorizzabili. Secondo tutti gli indizi si direbbe anzi che sei uno straordinario oratore, con un senso religioso profondamente sviluppato. Non è un caso che tu sia il primo Rosso ad accogliere il messaggio del Vangelo nel corso del mio apostolato nel Nord America. Debbo dire anzi che il tuo schema frenologico mostra molte, importanti somiglianze con il mio. In breve, mio caro cristiano fresco di battesimo, non sarei sorpreso se anche tu finissi col diventare un missionario del Vangelo e predicassi a immense moltitudini di Rossi, uomini e donne, facendo loro conoscere le verità celesti. Contempla questa visione, signor Wossiky. Se non mi sbaglio, questo sarà il tuo futuro.»

Lolla-Wossiky colse solo vagamente il significato di ciò che Thrower gli andava dicendo. Qualcosa a proposito del fatto che sarebbe diventato un predicatore. Qualcosa a proposito di prevedere il futuro. Lolla-Wossiky cercò di cavarne un senso, ma non ci riuscì.

Quella sera, Lolla-Wossiky si ritrovò vestito da Bianco. Si sentiva un perfetto idiota. L’effetto del liquore era svanito, e non avendo avuto la possibilità di svignarsela nella foresta a bere i suoi quattro sorsi il rumore nero cominciava a farlo star male sul serio. Peggio ancora, aveva tutta l’aria di voler piovere, e al buio, senza poter ricorrere al suo senso della terra, ben difficilmente sarebbe potuto arrivare alla botticella.

Di conseguenza il terreno cominciò a muoversi e a ondeggiare sotto i suoi piedi, e lui era ancora più malfermo di quando aveva bevuto. Dopo cena, a casa di Armor, cercando di alzarsi dalla sedia, rovinò a terra. Eleanor volle assolutamente che trascorresse la notte da loro. «Non possiamo mandarlo a dormire nel bosco, proprio ora che sta per piovere» disse, e quasi a conferma delle sue parole si udì tuonare e la pioggia cominciò a sferzare il tetto e le finestre della casa. Mentre Thrower e Armor facevano il giro della casa chiudendo le imposte, Eleanor preparò un letto sul pavimento della cucina. Riconoscente, Lolla-Wossiky si infilò sotto le coperte senza nemmeno togliersi quegli abiti rigidi e scomodissimi, e giacque con l’unico occhio chiuso, cercando di ignorare le fitte lancinanti del rumore nero che come lame gli sezionavano il cervello una sottile fetta alla volta.

Come al solito, credettero che si fosse addormentato.

«Sembra ancora più ubriaco di stamani» osservò Thrower.

«Sono certo che non si è mai allontanato dalla chiesa» disse Armor. «Non vedo come possa essersi procurato da bere.»

«Ho sentito dire che quando un alcolizzato smette di bere» fece notare Thrower «all’inizio si comporta in modo da sembrare più ubriaco di quando si trova ancora sotto l’effetto dell’alcol.»

«Spero che il motivo sia soltanto questo» sospirò Armor.

«Oserei dire che stamattina è rimasto alquanto deluso dal battesimo» disse Thrower. «Ovviamente penetrare i sentimenti di un selvaggio è impossibile, ma…»

«Io non lo definirei selvaggio, reverendo Thrower» intervenne Eleanor. «A modo suo, anzi, lo direi civilizzato.»

«Seguendo il vostro ragionamento, anche un orso potrebbe dirsi civilizzato» disse Thrower. «A modo suo, naturalmente.»

«Intendevo dire» ribatté Eleanor, con un tono ancor più mite e pacato che proprio per questo sottolineava la forza delle sue parole «che l’ho visto leggere.»

«Voltar le pagine, vorrete dire» rettificò Thrower. «Leggere mi sembra impossibile.»

«No. Leggeva, formando le parole con le labbra» insisté Eleanor. «I cartelli sulla parete della prima stanza, dove serviamo i clienti. Leggeva le parole.»

«È possibile, sapete» disse Armor. «So di certo che gli Irrakwa leggono né più né meno come i Bianchi. Sono stato lassù più di una volta per affari, e vi assicuro che prima di firmare un contratto con loro bisogna stare bene attenti alle clausole scritte in piccolo. Che i Rossi possano imparare a leggere è un dato di fatto.»

«Ma questo ubriacone…»

«Chissà che cosa potrebbe diventare, una volta libero dal vizio dell’alcol?» disse Eleanor.

Poi se ne andarono nell’altra stanza e uscirono dalla porta principale, per accompagnare Thrower a casa prima che la pioggia rinforzasse al punto di costringerlo a trascorrere la notte da loro.

Rimasto solo, Lolla-Wossiky cercò di trovare un senso in tutto quello che gli era accaduto. Il battesimo da solo non era riuscito a svegliarlo dal suo sogno. Né c’erano riusciti i vestiti da Bianco. Forse poteva finalmente ottenere il suo scopo non bevendo per una notte, come aveva suggerito Eleanor, anche se ciò lo rendeva pazzo di dolore e gli impediva di dormire.

Qualunque cosa accadesse, tuttavia, sapeva che l’animale del sogno si trovava da quelle parti e lo stava aspettando. La luce bianca adesso lo circondava completamente; era qui che Lolla-Wossiky si sarebbe svegliato. Se l’indomani fosse rimasto lontano dalla collina su cui sorgeva la chiesa, se avesse vagato per i boschi intorno a Vigor Church, forse allora l’animale del sogno avrebbe potuto trovarlo.

Una cosa era sicura. Non avrebbe trascorso un’altra notte senza whisky. O, per lo meno, non finché nascosto in cima a un albero aveva un barilotto che poteva mandar via il rumore nero consentendogli finalmente di dormire.


Lolla-Wossiky girò i boschi in lungo e in largo. Vide molti animali, ma tutti lo sfuggirono; era così ubriaco, o così impedito dal rumore nero, che non riusciva a essere parte della terra, e gli animali lo evitavano come se fosse stato un Bianco.

Scoraggiato, cominciò a bere più di quattro sorsi alla volta, pur sapendo bene che in quel modo avrebbe ben presto esaurito la sua scorta di whisky. Adesso camminava sempre meno nella foresta, e sempre più sui sentieri e sulle strade dell’uomo bianco. A metà giornata, si presentava a qualche fattoria. Qualche volta le donne si mettevano a urlare e correvano a nascondersi nel bosco insieme coi figli. Altre volte gli puntavano addosso un fucile costringendolo ad andarsene. Certune invece gli davano da mangiare e gli parlavano di Gesù Cristo. Alla fine Corazza-di-Dio gli ingiunse di non avvicinarsi più alle fattorie quando gli uomini lasciavano mogli e figli per recarsi a lavorare alla chiesa.

Così Lolla-Wossiky si trovò senza nulla da fare. Sapeva che l’animale del sogno era vicino, ma non riusciva a trovarlo. Non poteva camminare nella foresta perché gli animali lo scansavano, e sempre più spesso gli capitava di inciampare e cadere finché non ebbe paura di rompersi una gamba e morire di fame, perché non era nemmeno più in grado di chiamare qualche piccolo animale per sfamarsi. Non poteva andare alle fattorie perché gli uomini ce l’avevano con lui. Così andava a sdraiarsi su un prato delle terre comuni, dormendo sotto l’effetto del whisky o cercando di sopportare il dolore del rumore nero. Non aveva altra scelta.


Qualche volta raccoglieva le energie necessarie a salire sulla collina dove gli uomini lavoravano alla costruzione della chiesa. Ogni volta che andava lassù, qualcuno esclamava: «Ecco il cristiano rosso!» e tutti ridevano, e Lolla-Wossiky capiva che in quelle voci e in quelle risate c’erano scherno e cattiveria.

Il giorno che cadde la trave di colmo, Lolla-Wossiky non si trovava alla chiesa. Stava dormendo sull’erba del pascolo comune, vicino alla veranda di Armor, quando udì il boato. Si svegliò di colpo, e il rumore nero lo investì più forte che mai, anche se quel mattino aveva bevuto otto sorsi e sarebbe dovuto restare ubriaco fino a mezzogiorno. Restò lì disteso a stringersi la testa finché gli uomini cominciarono a scendere dalla collina imprecando e brontolando a proposito della cosa stranissima che era loro accaduta.

«Che cosa è successo?» chiese Lolla-Wossiky. Voleva saperlo perché, di qualunque cosa si trattasse, aveva fatto sì che il rumore nero diventasse così forte come non era da anni. «Hanno ammazzato qualcuno?» Questo perché era stata una fucilata a dare inizio ai suoi patimenti. «Assassino Bianco Harrison ha sparato a qualcuno?»

All’inizio, ritenendolo ubriaco, nessuno gli diede retta. Poi qualcuno gli spiegò cos’era accaduto.

Stavano collocando la prima metà della trave di colmo, proprio alla sommità della struttura, quando il palo centrale si era spaccato di colpo, scagliando in aria la trave. «È venuta giù di peso che pareva il piede di Dio sceso a calcare la terra, e proprio lì sotto manco a farlo apposta c’era il piccolo Alvin Junior, il ragazzo di Al Miller. Be’, lo avevamo dato per spacciato. Il ragazzo è rimasto lì, immobile, e la trave è piombata giù con un gran botto — devi avere sentito il rumore, ecco perché ti è sembrata una fucilata — e, non ci crederai, ma si è divisa a metà, proprio nel punto dove si trovava Alvin, si è proprio divisa in due, e i due pezzi sono caduti uno da una parte, uno dall’altra, senza fargli nemmeno un graffio.»

«Quel ragazzo ha qualcosa di strano» commentò uno.

«Deve avere un angelo custode proprio in gamba» aggiunse un altro.

Alvin Junior. Il ragazzo che Lolla-Wossiky non riusciva a vedere se non chiudendo l’occhio.

Quando Lolla-Wossiky arrivò alla chiesa, tutti se n’erano andati. Anche la trave di colmo non c’era più, i detriti erano stati accuratamente spazzati, non restava più traccia dell’incidente. Ma Lolla-Wossiky non guardava con il suo occhio sano. Non appena era giunto in vista della chiesa, aveva cominciato a sentirlo. Un mulinello, non troppo veloce finché ne restava ai margini, ma sempre più forte via via che si avvicinava. Un mulinello di luce, e più si avvicinava più il rumore nero si indeboliva. Finché Lolla-Wossiky non si trovò in piedi sul pavimento della chiesa, proprio là dove — lo sapeva — si era trovato il ragazzo. Come faceva a saperlo? Il rumore nero si era attenuato. Certo, non era scomparso, e il dolore non era passato, ma Lolla-Wossiky riusciva di nuovo a sentire la terra verde, solo un poco, non come una volta, ma riusciva a sentire la piccola vita che brulicava sotto il pavimento di legno, uno scoiattolo nel prato non molto distante, cose che, sobrio o ubriaco, non sentiva da anni, da quando quel colpo di fucile gli aveva fatto esplodere nella testa il rumore nero.

Lolla-Wossiky girò più volte su se stesso, senza vedere altro che le pareti della chiesa. Finché non chiuse l’occhio. Allora, sì, vide il mulinello, la luce bianca che girava vorticosamente intorno a lui, e il rumore nero che indietreggiava. Adesso era alla fine del suo sogno, e con l’occhio chiuso riusciva a vedere, a vedere con chiarezza. Davanti a lui c’era un sentiero di luce, una strada luminosa come il cielo a mezzogiorno, che lo abbagliava come un campo innevato in una giornata serena. Senza bisogno di aprire l’occhio, sapeva già dove quel sentiero l’avrebbe portato. Su per la collina, giù dall’altra parte, quindi su per un’altra collina ancora più alta, fino a una casa a breve distanza da un fiume, una casa in cui viveva un ragazzo bianco che Lolla-Wossiky riusciva a vedere solo chiudendo il suo unico occhio.


Ora che il rumore nero si era un po’ allontanato, il suo passo era tornato silenzioso. Fece più volte il giro della casa. Nessuno lo udì. All’interno, risate, urla, strilli. Bambini felici, bambini che bisticciavano. Le voci severe dei genitori. A parte la lingua, avrebbe potuto essere il suo villaggio. I suoi fratelli e le sue sorelle nei tempi felici prima che Assassino Bianco Harrison si prendesse la vita di suo padre.

Il padre bianco, Alvin Miller, uscì per andare al gabinetto. Qualche momento dopo uscì anche il ragazzo, di corsa, come se avesse avuto paura di qualcosa. Giunto davanti alla porta del gabinetto, si mise a strepitare. Aprendo l’occhio, Lolla-Wossiky capiva soltanto che lì c’era qualcuno che gridava. Chiudendolo, vedeva distintamente il ragazzo, soffuso di luce, e udiva la sua voce simile a un canto d’uccello sull’acqua, pura musica, anche se ciò che diceva era stupido, infantile, come ci si poteva aspettare appunto da un bambino.

«Se non esci subito la farò proprio qui davanti, così quando esci ci metterai il piede dentro!»

Poi silenzio, mentre il ragazzo si faceva sempre più inquieto e alla fine cominciò a tirarsi dei gran pugni sulla testa come a dire: «Stupido, stupido, stupido!» Qualcosa mutò nell’espressione di Al Junior; Lolla-Wossiky aprì l’occhio e vide che il padre era uscito e gli stava dicendo qualcosa.

Il ragazzo gli rispose, pieno di vergogna. Il padre lo rimproverò. Lolla-Wossiky chiuse l’occhio.

«Sissignore» disse il ragazzo.

Il padre doveva aver ripreso a parlare ma, tenendo chiuso l’occhio, Lolla-Wossiky non poteva udirlo.

«Scusami, papà.»

Poi il padre doveva essersene andato, perché il piccolo Alvin entrò a sua volta nel gabinetto. Qui disse qualcosa, a voce così bassa che nessuno avrebbe potuto udirlo. Ma Lolla-Wossiky lo udì. «Be’, basterebbe che tu costruissi un altro gabinetto e tutto si accomoderebbe.»

Lolla-Wossiky rise. Stupido il ragazzo, stupido il padre, come tutti i ragazzi, come tutti i padri.

Finito quel che aveva da fare, il ragazzo rientrò in casa.

Eccomi, disse in silenzio Lolla-Wossiky. Ho seguito il sentiero luminoso, sono giunto in questo luogo, ho assistito a uno stupido bisticcio familiare di Bianchi: e ora dov’è il mio animale del sogno?

E di nuovo vide la luce bianca addensarsi all’interno della casa, seguendo il ragazzo su per le scale. Per Lolla-Wossiky era come se le pareti non esistessero. Vide che il ragazzo si muoveva con grande cautela, come se avesse dovuto guardarsi dagli agguati di qualche nemico. Quando arrivò davanti alla sua camera vi si tuffò dentro, chiudendosi subito la porta alle spalle. Lolla-Wossiky lo vedeva così distintamente che gli pareva quasi di udire i suoi pensieri; e poi, perché così gli sembrava, e perché era quasi alla fine del suo sogno, quasi sul punto di svegliarsi, udì veramente i pensieri del ragazzo, o per lo meno provò quel che lui provava. Era delle sorelle che aveva paura. Uno stupido litigio, nato da una presa in giro, che poi si era venata di cattiveria… e lui ora aveva paura della loro vendetta.

Questa giunse quando il ragazzo, dopo essersi spogliato, si infilò la camicia da notte sulla testa. Punture! Insetti, pensò il ragazzo. Ragni, scorpioni, minuscoli serpenti! In fretta e furia si sfilò la camicia da notte, cominciò a prendersi a schiaffi, strillò di dolore, di sorpresa, di paura.

Ma Lolla-Wossiky ora sentiva la terra con chiarezza sufficiente a capire che non c’erano insetti. Non sul suo corpo, non sotto la camicia. Anche se intorno a lui c’erano molti esseri viventi. Piccole vite, piccoli animali. Scarafaggi, che a centinaia vivevano nelle pareti e sotto i pavimenti.

Ma non in tutte le pareti e non sotto tutti i pavimenti. Solo in quelli della stanza di Alvin Junior. Andavano tutti quanti a rifugiarsi lì.

Era forse per ostilità? Gli scarafaggi erano troppo piccoli per poter odiare. Quelle minuscole creature provavano solo tre cose: la paura, la fame, e il terzo senso, il senso della terra. La fiducia in come le cose avrebbero dovuto essere. Forse il ragazzo dava loro da mangiare? No. Andavano da lui per un altro motivo. Lolla-Wossiky era incredulo, ma lo avvertiva distintamente negli scarafaggi e non poteva dubitarne. Il ragazzo in qualche modo li aveva chiamati. Il ragazzo possedeva il senso della terra, per lo meno a sufficienza da poter chiamare a sé quelle creaturine.

E perché, poi? A chi potevano interessare degli scarafaggi? Ma Alvin Junior era solo un ragazzo. Non era necessario che la cosa avesse un senso. Era sufficiente la scoperta che le piccole vite accorrevano al suo richiamo. I ragazzi rossi questo lo imparavano da piccoli, ma sempre assieme al padre o a un fratello, sempre in occasione della prima caccia. Uno si inginocchia e parla in silenzio alla vita che ha bisogno di prendere, e le chiede se è il momento giusto, e se è disposta a morire per donare nuova forza al cacciatore. È il momento giusto per morire? chiede il ragazzo rosso. E se la vita acconsente, è lei stessa ad andargli incontro.

Il ragazzo aveva fatto la stessa cosa. Solo che la faccenda nel suo caso non era altrettanto semplice. Non aveva chiesto agli scarafaggi di morire per lui, perché non ne aveva bisogno. No, li aveva chiamati a sé perché fossero al sicuro. Per proteggerli. Era come un trattato. In certi posti gli scarafaggi non dovevano andare. Nel letto di Alvin. Nella culla di Calvin, il suo fratellino. Nei vestiti di Alvin, piegati sullo sgabello. In cambio, Alvin non ne uccideva nemmeno uno. In camera sua, gli scarafaggi erano al sicuro. Era come un santuario, una riserva. Un bambino che giocava con cose che non poteva capire: che stupidaggine!

Ma la cosa più straordinaria era che quel ragazzo bianco fosse riuscito a fare qualcosa che non era alla portata nemmeno di un Rosso adulto. Forse che l’uomo rosso diceva all’orso: «Vieni a vivere con me, e sarai al sicuro?» Forse che l’orso ci avrebbe creduto? Non c’era da stupirsi che quel ragazzo fosse circondato dalla luce. Nel suo caso non si trattava di uno stupido dono da uomini bianchi, come quello di Hooch, né dei potenti talismani viventi di Eleanor. Non si trattava neanche della capacità dell’uomo rosso di adattarsi al disegno della terra. No, Alvin non si adattava a nulla. Era la terra ad adattarsi a lui. Se voleva che gli scarafaggi vivessero in una certa maniera, se voleva stringere un patto con loro, la terra si adattava di conseguenza. In quel piccolo spazio, in quel particolare momento, con quelle minuscole vite, Alvin Junior aveva dato un ordine, e la terra gli aveva obbedito.

Il ragazzo si rendeva conto di quanto tutto questo fosse miracoloso?

No, no, non ne aveva la minima idea. E come avrebbe potuto? Chi tra i Bianchi avrebbe mai potuto intuirlo?

E ora, proprio perché non capiva, Alvin Junior stava per distruggere la sua stessa fragilissima costruzione. Gli insetti che lo avevano morso erano spilli di metallo che le sorelle gli avevano infilato nella camicia da notte. Ora le udiva ridere dietro la parete. E siccome si era appena preso un gran spavento, adesso era molto arrabbiato. Far pari con loro, vendicarsi; Lolla-Wossiky avvertiva la sua rabbia infantile. Per una piccola presa in giro, loro lo avevano ripagato spaventandolo, pungendolo in cento posti diversi, facendolo sanguinare. Far pari con loro, fargli prendere una tale paura…

Alvin Junior si mise a sedere sul bordo del letto, arrabbiatissimo, e cominciò a sfilare gli spilli dalla camicia da notte mettendoli da parte uno per uno. Gli uomini bianchi tenevano sempre in gran conto quei loro inutili attrezzi di metallo, persino quand’erano così piccoli che quasi non si vedevano. E mentre Alvin se ne stava lì seduto, vide gli scarafaggi correre lungo la parete, entrando e uscendo dalle fessure del pavimento, e in loro scorse la sua vendetta.

Lolla-Wossiky lo sentì pensare a un piano. Poi Alvin si inginocchiò sul pavimento e a bassa voce lo spiegò agli scarafaggi. Perché era solo un bambino, e per di più bianco, senza nessuno che potesse guidarlo, Alvin parlò agli scarafaggi usando la voce, nella convinzione che in qualche modo capissero la sua lingua. Ma non era così… la cosa importante era l’ordine delle cose, la maniera in cui disponeva il mondo nella sua mente.

E, nella sua mente, Alvin mentì agli scarafaggi. Fame, disse loro. E nella stanza accanto, cibo. Se si fossero insinuati sotto il muro entrando nella camera delle sue sorelle e si fossero arrampicati sui letti e sui corpi, avrebbero trovato del cibo. Cibo, se si fossero affrettati, cibo in abbondanza per tutti. Era una menzogna, e Lolla-Wossiky avrebbe voluto gridargli di non farlo.

Se un uomo rosso si inginocchiava per chiamare una preda di cui non aveva bisogno, la preda avrebbe capito che era una menzogna e non gli avrebbe obbedito. Quella stessa menzogna avrebbe separato l’uomo rosso dalla terra, costringendolo per qualche tempo a camminare da solo. Ma quel ragazzo bianco riusciva a mentire con tanta forza che le minuscole menti degli scarafaggi gli credettero. E si affrettarono, a centinaia, a migliaia, a insinuarsi sotto il muro entrando nella stanza adiacente.

Alvin Junior udì qualcosa, e ne fu felice. Ma Lolla-Wossiky era infuriato. Aprì l’occhio, per non dover vedere la gioia di Alvin Junior quando questi capì di aver ottenuto la sua vendetta. Udì invece gli strilli delle sorelle quando cominciarono a sentirsi addosso gli scarafaggi. E poi i genitori e i fratelli che arrivavano di corsa. E i colpi, i pestoni con cui schiacciavano gli scarafaggi, facendone strage. Lolla-Wossiky chiuse l’occhio e li sentì morire, ogni volta una puntura di spillo. Era trascorso tanto tempo da quando il rumore nero aveva soffocato ogni altra morte dietro un unico, immenso ricordo di morte, che Lolla-Wossiky si era dimenticato di quelle piccole fitte.

Come la morte delle api.

Gli scarafaggi, inutili animali che si cibano di rifiuti, che nascosti nelle loro tane producono sgradevoli fruscii, che sulla pelle fanno solo ribrezzo; ma erano parte della terra, parte della vita, parte del silenzio verde, e ora venivano uccisi inutilmente perché avevano creduto a una menzogna, e la loro morte era un rumore malvagio.

Ecco perché mi trovo qui, capì Lolla-Wossiky. È la terra che mi ha condotto fin qui, sapendo che il ragazzo aveva simili poteri, sapendo che non c’era nessuno che potesse insegnargli a usarli, nessuno che potesse insegnargli che bisognava attendere il bisogno della terra prima di trasformarla. Nessuno che potesse insegnargli a essere rosso, e non bianco.

Non sono venuto qui per incontrare il mio animale del sogno, ma per essere l’animale del sogno di questo ragazzo.

Il baccano cessò. Le sorelle, i fratelli e i genitori se ne tornarono a letto. Infilando le dita nelle commessure fra un tronco e l’altro, Lolla-Wossiky cominciò a salire, con cautela, senza fidarsi del proprio senso dell’equilibrio ma tenendo chiuso l’occhio in modo che fosse la terra a guidarlo. Le imposte del ragazzo erano aperte; Lolla-Wossiky appoggiò i gomiti sul davanzale e così appeso guardò dentro.

Prima con l’occhio aperto. Vide un letto, uno sgabello sul quale erano appoggiati i vestiti accuratamente ripiegati, e ai piedi del letto una culla. La finestra dava sullo spazio vuoto tra il letto e la culla. Sul letto una sagoma indistinta, delle dimensioni di un ragazzo.

Lolla-Wossiky tornò a chiudere l’occhio. Sul letto era disteso Alvin. Lolla-Wossiky avvertì in lui il calore dell’eccitazione, come una febbre. Aveva avuto tanta paura di essere scoperto, era stato così esilarato dalla vittoria, e ora giaceva tremante, cercando di respirare regolarmente, cercando di soffocare il riso.

Di nuovo con l’occhio aperto, Lolla-Wossiky si arrampicò fino ad avere i piedi sul davanzale, quindi balzò nella stanza. Si era aspettato che Alvin lo scorgesse, che gridasse; ma la sagoma del ragazzo restò immobile sotto le lenzuola; non si udì rumore alcuno.

Quando Lolla-Wossiky teneva aperto l’occhio sano, il ragazzo non poteva vederlo più di quanto lui stesso non riuscisse a vedere il ragazzo. Dopo tutto per il ragazzo quella era la fine del sogno, e Lolla-Wossiky era il suo animale del sogno. Il suo compito era quello di mettere il ragazzo di fronte alle sue visioni, non di farsi vedere per quello che era, un Rosso ubriacone orbo da un occhio.

Che visione potrò mai mostrargli?

Lolla-Wossiky infilò la mano sotto i calzoni da Bianco, dove ancora indossava il perizoma, ed estrasse il coltello dalla guaina. Stringendolo con forza, alzò entrambe le mani sopra la testa. Poi chiuse l’occhio.

Il ragazzo aveva gli occhi chiusi e ancora non si era accorto di lui. Così Lolla-Wossiky raccolse la luce bianca che circondava il ragazzo e l’attirò a sé, sentendosi pervadere da un chiarore che si faceva sempre più forte. Ora la luce scaturiva dalla sua stessa pelle. Lolla-Wossiky si lacerò sul davanti la camicia che era stato costretto a indossare, quindi tornò ad alzare le mani. Adesso Alvin Junior poteva scorgere il chiarore anche attraverso le palpebre abbassate. Il ragazzo aprì gli occhi.

Lolla-Wossiky avvertì il terrore di Alvin di fronte all’apparizione in cui egli si era trasformato: un uomo rosso splendente e luminoso, con un occhio solo e un coltello affilato stretto in pugno. Ma non era la paura ciò che Lolla-Wossiky voleva. Nessuno dovrebbe temere il suo animale del sogno. Perciò inviò verso il ragazzo la luce che egli stesso emanava, in modo che avvolgesse entrambi, e assieme alla luce inviò le parole: tranquillo, calmati, non avere paura.

Il ragazzo si calmò un pochino, ma continuò a dimenarsi all’indietro nel letto, fino a trovarsi in posizione seduta, con le spalle appoggiate alla parete.

Era giunto il momento di svegliare il ragazzo da una vita di sonno. Come fare? Nessun essere umano, rosso o bianco, era mai stato l’animale del sogno di un altro. Eppure, senza bisogno di pensare, Lolla-Wossiky capì che cosa doveva fare. Che cosa il ragazzo avesse bisogno di vedere e di provare. Lolla-Wossiky fece esattamente tutto quello che gli venne in mente e che gli desse la sensazione di essere la cosa giusta.

Lolla-Wossiky strinse il coltello dalla lama scintillante, ne premette la lama contro il palmo dell’altra mano… e tagliò. Con forza, con decisione, a fondo, così che il sangue sprizzò dalla ferita e gli ruscellò lungo il braccio raccogliendosi dentro la manica e cominciando quasi subito a gocciolare sul pavimento.

Il dolore giunse all’improvviso, un istante dopo; Lolla-Wossiky capì immediatamente come prendere il dolore trasformandolo in un’immagine, che subito inviò alla mente del ragazzo. L’immagine della camera delle sue sorelle così come poteva vederla una debole, minuscola creatura che, divorata dalla fame, correva innanzi in cerca di cibo, sicura che in quel luogo avrebbe trovato ciò che cercava; su quei corpi morbidi, così le era stato promesso, doveva arrampicarsi su uno di quei corpi, lì avrebbe trovato il cibo. Ma grandi mani cominciarono a colpire all’impazzata, e la creaturina venne scagliata sul pavimento. L’impiantito ora tremava sotto passi giganteschi, un’ombra improvvisa, il dolore straziante della morte.

Più e più volte, per ciascuna di quelle minuscole vite, prima la fame e la fiducia, e poi il tradimento, la catastrofe, l’annientamento.

Molte sopravvissero, ma si fecero piccole per la paura, corsero via all’impazzata, si nascosero. Fuggirono, sì, dalla camera delle sorelle, dalla stanza della morte. Ma meglio restare lì e morire che andare a rifugiarsi nell’altra stanza, nella stanza delle menzogne. Non parole, nella vita di quelle minuscole creature non esistevano parole, né pensieri che potessero essere chiamati tali. Ma la paura di morire non era niente in confronto all’altra, alla paura di un mondo impazzito, di un luogo in cui poteva succedere qualsiasi cosa, in cui non ci si poteva fidare più di nulla, in cui nulla era più sicuro. Il posto più orribile che si potesse immaginare.

Lolla-Wossiky interruppe la visione. Il ragazzo si era coperto gli occhi con le mani e singhiozzava disperatamente. Lolla-Wossiky non aveva mai visto nessuno così torturato dal rimorso; la visione che Lolla-Wossiky gli aveva inviato era più forte di qualsiasi sogno che un uomo potesse concepire nella propria immaginazione. Sono un terribile animale del sogno, pensò Lolla-Wossiky. Sicuramente preferirebbe che io non lo avessi mai svegliato. Impaurito dai suoi stessi poteri, Lolla-Wossiky aprì l’occhio.

Immediatamente il ragazzo sparì, e Lolla-Wossiky capì che anche il ragazzo avrebbe pensato che lui fosse scomparso. E adesso? si chiese. È forse destino che io lo faccia impazzire? Che gli faccia qualcosa di terribile, come il rumore nero per me?

Dal modo in cui il letto si scuoteva, dal movimento sotto le lenzuola, capì che il ragazzo stava ancora piangendo a dirotto. Lolla-Wossiky chiuse l’occhio e inondò nuovamente il ragazzo di luce. Tranquillo, calmati.

Il pianto del ragazzo si mutò in un piagnucolio sommesso. Poco dopo Alvin tornò a guardare Lolla-Wossiky, che ancora splendeva di una luce abbagliante.

Lolla-Wossiky non sapeva che cosa fare. Mentre taceva, incerto, Alvin cominciò a parlare, a supplicarlo: «Mi dispiace, non lo farò più, io…»

Mentre Alvin continuava a balbettare le sue scuse, Lolla-Wossiky gli inviò altra luce, per aiutarlo a vedere meglio. Al ragazzo giunse quasi come una domanda. Che cosa non farai più?

Alvin non era in grado di rispondere, non lo sapeva. Che cos’aveva fatto, in fondo? Era perché aveva mandato gli scarafaggi a morire?

Guardò l’Uomo Luminoso e scorse l’immagine di un Rosso inginocchiato davanti a un cervo, che chiedeva all’animale di avvicinarsi a lui per essere ucciso; il cervo avanzava, tremante, impaurito; il Rosso scoccava la sua freccia, che si conficcava vibrando nel fianco del cervo; le gambe gli cedevano, e cadeva. Il suo peccato non aveva dunque a che fare con la morte o l’uccisione, poiché morire e uccidere erano parte della vita.

Erano forse i suoi poteri? La capacità di fare in modo che le cose andassero esattamente al loro posto, si spezzassero esattamente nel punto giusto, o si saldassero così tenacemente da restare unite per sempre, senza bisogno di colla o di martello? La sua capacità di fare in modo che le cose si disponessero come dovevano, nel giusto ordine? Si trattava forse di quello?

Alvin guardò di nuovo l’Uomo Luminoso, e stavolta nella visione si vide premere le mani contro una pietra, e la pietra si scioglieva sotto le sue mani come se fosse stata di burro, assumendo proprio la forma che lui voleva, liscia e intera, e poi la palla cadeva lungo il fianco della montagna e rotolava via, una palla perfetta, una perfetta sfera, ingrandendosi sempre di più finché non diventava un mondo intero, con la forma che le sue mani gli avevano dato, con alberi ed erba che crescevano a vista d’occhio sulla superficie, e animali che correvano, saltavano, volavano, nuotavano, strisciavano e scavavano sopra e sotto e dentro la palla di pietra che lui stesso aveva fatto. No, non era un dono terribile, era un dono meraviglioso, se solo avesse saputo come usarlo.

Se non è la morte e non sono i miei poteri, che cos’ho fatto allora?

Stavolta l’Uomo Luminoso non gli mostrò proprio niente. Stavolta Alvin non ricevette una risposta sotto forma di visione. Stavolta la studiò nella propria mente. Aveva la sensazione di non riuscire a capire, di essere troppo stupido per capire; e poi all’improvviso capì.

Era perché l’aveva fatto solo per se stesso. Era perché gli scarafaggi avevano pensato che lui lo facesse per loro, mentre in realtà lo stava facendo solo per se stesso. Far del male agli scarafaggi, alle sue sorelle, a tutti, far soffrire tutti quanti, e tutto questo perché? Perché Alvin Miller Junior era arrabbiato e voleva far pari…

Allora guardò l’Uomo Luminoso e vide una fiamma scaturire dall’unico occhio e colpirlo diritto al cuore. «Non userò mai più il mio dono a mio vantaggio» mormorò Alvin Junior, e dopo aver pronunciato queste parole sentì che il cuore gli bruciava in maniera quasi insopportabile, come se gli fosse andato a fuoco. Poi l’Uomo Luminoso sparì di nuovo.

Lolla-Wossiky restò in piedi ansimante, con la testa che gli girava. Si sentiva debole, sfinito. Non aveva alcuna idea di ciò che il ragazzo aveva pensato. Momento per momento, aveva saputo soltanto quali visioni doveva inviargli, e poi alla fine niente visioni, solo starsene lì, questo era tutto ciò che aveva dovuto fare, starsene lì finché all’improvviso non aveva inviato al ragazzo una vampata di fuoco che gli era penetrata nel cuore.

E adesso? Per due volte aveva chiuso l’occhio apparendo al ragazzo. Aveva forse finito? Sapeva che non era così.

Lolla-Wossiky chiuse l’occhio per la terza volta. Adesso si avvide che il ragazzo era diventato molto più luminoso di lui; che la luce era passata da lui al ragazzo. E poi capì; lui era l’animale del sogno del ragazzo, sì, ma allo stesso tempo il ragazzo era il suo. Anche per Lolla-Wossiky era arrivato il momento di svegliarsi da una vita trascorsa a sognare.

Fece tre passi avanti, inginocchiandosi accanto al letto, accostando il viso a quello minuto e spaventato del ragazzo, che adesso emanava un tale chiarore che Lolla-Wossiky a malapena riusciva a distinguere che chi lo fissava non era un uomo adulto, ma un bambino. Che cosa voglio, io, da lui? Perché sono qui? Che cos’ha da darmi, questo fanciullo dagli straordinari poteri?

«Rendi intere tutte le cose» sussurrò Lolla-Wossiky in lingua shawnee.

Il ragazzo l’aveva capito? Esitante, alzò la piccola mano sino a sfiorare la guancia di Lolla-Wossiky, sotto l’orbita vuota. Poi alzò il dito e toccò la palpebra cadente.

Subito scoccò una scintilla, e nell’aria si udì un crepitio. Senza fiato, il ragazzo ritrasse la mano. Ma Lolla-Wossiky non lo vide, perché all’improvviso Alvin Junior era diventato invisibile. Lolla-Wossiky tuttavia non si curava più di ciò che vedeva, perché ciò che sentiva era assolutamente impossibile.

Silenzio. Silenzio verde. Il rumore nero era completamente scomparso. Il suo senso della terra era tornato. L’antica ferita era guarita.

Lolla-Wossiky restò in ginocchio, boccheggiando per riprendere fiato, mentre la terra tornava a essere per lui quella che era stata in passato. Erano trascorsi tanti anni; aveva dimenticato la forza di quelle sensazioni, vedere in ogni direzione, udire il respiro di ogni animale, sentire l’odore di ogni pianta. Un uomo rimasto senz’acqua fino a trovarsi sul punto di morire di sete, e all’improvviso l’acqua fresca gli si riversa in gola con tale violenza che egli non riesce a inghiottire, non può respirare; è ciò che brama sopra ogni altra cosa, ma è troppo forte, troppo improvviso, non può contenerlo, non può sopportarlo…

«Non ha funzionato» sussurrò il ragazzo. «Mi spiace.»

Lolla-Wossiky aprì l’occhio sano, e ora per la prima volta vide il ragazzo come un qualsiasi essere umano. Alvin fissava con aria desolata l’occhio mancante. Lolla-Wossiky se ne chiese il perché. Alzò la mano e si toccò. La palpebra cadeva ancora sopra l’orbita vuota. Allora capì. Il ragazzo aveva creduto di doverlo guarire da quella ferita. No, no, non essere deluso, bambino, tu mi hai guarito da un’altra ferita, molto più profonda; che me ne importa di questa piccola, insignificante infermità? La vista non l’ho mai persa; era il mio senso della terra a essere scomparso. E tu me l’hai restituito.

Tutto questo avrebbe voluto gridarlo davanti al ragazzo, gridarlo e cantarlo, tanta era la gioia che provava. Ma la sensazione era troppo forte. Le parole non riuscivano a venirgli alle labbra. Non avrebbe nemmeno più potuto inviargli visioni, perché adesso entrambi erano svegli. Il sogno era finito. Ciascuno dei due era stato l’animale del sogno dell’altro.

Lolla-Wossiky strinse il ragazzo con entrambe le mani, lo attirò a sé, lo baciò sulla fronte, con forza e vigore, come un padre, come un fratello, come un vero amico il giorno prima di morire. Poi corse alla finestra, superò d’un balzo il davanzale e si lasciò cadere a terra. La terra gli cedette morbidamente sotto i piedi come faceva con gli altri uomini rossi, come a lui non accadeva da anni; dove lui posava il piede, l’erba si drizzava a sostenerlo; i cespugli si dividevano, le foglie si ammorbidivano cedendo sotto i suoi passi mentre correva nel sottobosco; e ora finalmente gridò, urlò, cantò, senza curarsi che lo potessero udire. Gli animali non lo sfuggivano più, ma gli si avvicinavano per ascoltare la sua canzone; gli uccelli canori si destavano per cantare insieme con lui; un cervo sbucò d’un balzo dalla boscaglia per attraversare una radura al suo fianco, e Lolla-Wossiky poté posargli la mano sulla groppa.

Corse finché non ebbe più fiato, e per tutto questo tempo non incontrò un solo nemico, né provò alcun dolore; era di nuovo intero, in ogni senso che avesse una qualche importanza. Si fermò sulla riva del fiume Wobbish, di fronte alla foce del Tippy-Canoe, affannato, ridente, boccheggiante.

Solo allora si accorse che la mano gli sanguinava ancora dal taglio che si era fatto per dare dolore al ragazzo bianco. I calzoni e la camicia ne erano intrisi. Quegli indumenti da uomo bianco! Non ne aveva mai avuto bisogno. Subito se ne liberò, gettandoli nel fiume.

Allora accadde un fatto strano. I vestiti non si mossero. Restarono immobili sulla superficie dell’acqua senza affondare, senza scivolare a valle trascinati dalla corrente.

Com’era possibile? Il sogno dunque non era finito? Forse non era ancora del tutto sveglio?

Lolla-Wossiky chiuse l’occhio.

Immediatamente scorse una cosa orribile, che gli strappò un grido di paura. Non appena aveva chiuso l’occhio, si era visto nuovamente di fronte il rumore nero, nella forma di un’immensa distesa, dura e congelata. Era il fiume. Era l’acqua. Era fatta di morte.

Aprì l’occhio, e di nuovo vide solo acqua, ma i vestiti erano sempre immobili.

Chiuse l’occhio, e vide che nel punto in cui si trovavano i vestiti, sulla superficie nera, c’era uno scintillio che si raccoglieva in piccole pozze, dalle quali si sprigionava una luce abbagliante. Quello scintillio non era altro che il suo stesso sangue.

Adesso vedeva chiaramente che il rumore nero non era una cosa. Era il nulla. Il vuoto. Il punto in cui finiva la terra e cominciava il vuoto; era il confine del mondo. Ma là dove il suo sangue scintillava, era come un ponte gettato sul nulla. Lolla-Wossiky si inginocchiò, con l’occhio sempre chiuso, e protese la mano ferita e ancora sanguinante fino a toccare l’acqua.

Era solida, calda e solida. Passò la mano sanguinante sulla superficie dell’acqua, e il sangue formò come una piattaforma. Lolla-Wossiky avanzò carponi finché non vi fu sopra. Era dura e liscia come il ghiaccio, ma calda, accogliente.

Aprì l’occhio. Era di nuovo sul fiume, tranne che sotto di lui la superficie si era solidificata. Ovunque fosse stata toccata dal sangue, l’acqua era dura e liscia.

Avanzò carponi fino al punto in cui si trovavano i vestiti, e cominciò a spingerli davanti a sé. Continuò ad avanzare finché non fu in mezzo al fiume, e poi proseguì, creando davanti a sé un sottile ponte luminoso di sangue che lo conduceva dall’altra parte.

Quello che stava facendo era impossibile. Il ragazzo non l’aveva soltanto guarito. Aveva fatto molto di più. Aveva cambiato l’ordine delle cose. Era spaventoso e magnifico insieme. Lolla-Wossiky abbassò lo sguardo sulla superficie dell’acqua, tra le sue mani. Il suo riflesso ricambiò lo sguardo con l’unico occhio. Poi chiuse l’occhio, e davanti a lui si spalancò una visione completamente nuova.

Si vide in piedi in mezzo a una radura, mentre rivolgeva la parola a cento, mille uomini rossi di ogni tribù. Li vide costruire una città di capanne, mille, cinquemila, diecimila Rossi, tutti forti e interi, liberi dal liquore dell’uomo bianco, dall’odio dell’uomo bianco. Nella visione, lo chiamavano «Profeta», ma lui insisteva di non esserlo affatto. Era solo la porta, la porta aperta. Attraversatela, diceva, e sarete potenti, un solo popolo, una sola terra.

La porta. Tenska-Tawa.

Nella visione, gli compariva davanti il volto di sua madre che gli diceva quel nome. Tenska-Tawa! Ora il tuo nome è questo, perché colui che sognava si è svegliato.

Quella notte non vide solo questo ma molto di più, con lo sguardo abbassato sull’acqua solidificata del fiume Wobbish; vide tante cose che non gli sarebbe bastata una vita per raccontarle tutte; in quell’ora sull’acqua vide l’intera storia della terra, la vita di ogni essere umano, uomo o donna, Bianco, Rosso o Nero che fosse, la vita di chiunque avesse mai posato il piede sulla sua terra. Vide l’inizio e vide la fine. Guerre catastrofiche e meschine crudeltà, assassini e nefandezze; ma insieme anche tutta la bontà, tutta la bellezza di cui l’essere umano può essere capace.

E soprattutto ebbe una visione della Città di Cristallo. La città fatta d’acqua solida e trasparente come vetro, acqua che non si sarebbe mai sciolta, che formava torri di cristallo così alte che avrebbero dovuto gettare sulla terra un’ombra lunga sette miglia. Ma, terse e trasparenti com’erano, non gettavano alcuna ombra, i raggi del sole le attraversavano in ogni loro parte senza incontrare ostacoli. Ogni essere umano, uomo o donna, ovunque si trovasse, avrebbe potuto spingere lo sguardo nel cristallo e scorgere tutte le visioni che Lolla-Wossiky stava scorgendo in quel momento. E in questo modo avrebbe raggiunto la perfetta comprensione, che vedeva con occhi di pura luce e parlava con la voce del fulmine.

Lolla-Wossiky, che da quel momento in poi si sarebbe chiamato Tenska-Tawa, non sapeva se avrebbe costruito la Città di Cristallo, o se vi avrebbe vissuto, o se addirittura sarebbe mai giunto a vederla prima di morire. Sarebbe già stato sufficiente fare le prime cose che aveva visto nell’acqua solida del Wobbish. Continuò a guardare finché la sua mente non fu più in grado di sopportare quel che vedeva. Allora avanzò carponi fino all’altra sponda, risalì la scarpata e camminò finché non giunse alla radura che aveva visto nella visione.

Qui avrebbe chiamato a raccolta i Rossi, avrebbe insegnato loro ciò che aveva visto nella sua visione, e li avrebbe aiutati a diventare, non i più forti, ma forti; non i più grandi, ma grandi; non i più liberi, ma liberi.


Un certo barilotto nella biforcazione di un certo albero. Per tutta l’estate rimase nascosto alla vista di chiunque passasse da quelle parti. Ma la pioggia riuscì a trovarlo, e il solleone estivo, e gli insetti, e i dentini degli scoiattoli ghiotti di sale. Si bagnava, si asciugava, si riscaldava, si raffreddava; non c’è botte che possa durare a lungo in simili condizioni. A un certo punto si spaccò, una minuscola fenditura, ma sufficiente; il liquido che conteneva ne uscì, una goccia alla volta; nel giro di poche ore il barilotto era vuoto.

Non importava. Nessuno andò mai a cercarlo. Nessuno sentì la sua mancanza. Nessuno se ne dispiacque quando il ghiaccio dell’inverno lo schiantò, e i frammenti si sparsero sul terreno innevato.

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