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Quella notte disciolsi qualche pizzico di polvere in due flaconi di vino. Halum sembrò incerta quando gliene porsi uno, e la sua incertezza rimbalzò su di me, tanto che esitai a procedere: poi lei mi rivolse un magico tenero sorriso e vuotò il suo flacone. — Non ha nessun sapore — disse, mentre io bevevo. Ci sedemmo a parlare nella sala dei trofei di Noim, piena di becchi di uccelli-spada e con molte pellicce di scudi-di-tempesta drappeggiate. Quando la droga cominciò a far effetto, Halum rabbrividì e io staccai dalla parete una pesante pelle scura, gliela misi sulle spalle e la tenni stretta a me fin quando il brivido non fu passato.

Sarebbe andato tutto bene? A dispetto di tutto quel che avevo detto, avevo paura. Nella vita di ogni uomo c’è qualcosa che egli sente di dover fare, qualcosa che punge il centro della sua anima fin quando non è fatta; ma quando quest’uomo sarà sul punto di realizzarla, conoscerà la paura, perché forse avere quel che lo ha ossessionato gli porterà più dolore che piacere. Così fu per me, Halum e la droga sumariana. Ma la mia paura passò, mentre la droga faceva effetto. Halum sorrideva, Halum sorrideva.

Il muro tra le nostre anime divenne una membrana attraverso la quale potevamo scivolare come volevamo. Halum fu la prima ad attraversarla. Io mi tenni indietro, paralizzato dal pudore, pensando perfino in quel momento che penetrare nella sua mente sarebbe stata un’intrusione nella verginità della mia sorella di legame ed una violazione della legge che proibisce ogni intimità fisica tra parenti di legame. E così oscillai per qualche minuto dopo il crollo delle ultime barriere, troppo inibito per mettere in pratica il mio stesso credo. Nel frattempo Halum, resasi conto finalmente che nulla glielo impediva, scivolò senza esitazioni nel mio spirito. La mia reazione istantanea fu un tentativo di difesa: non volevo che lei scoprisse questo o quello, in particolar modo non volevo che sapesse del desiderio che avevo di lei. Ma dopo un minuto di questa imbarazzata preoccupazione, smisi di cercar di coprire la mia anima con foglie di fico e andai verso Halum, iniziando la vera comunione, l’inestricabile congiunzione.

Mi trovai, ma sarebbe più esatto dire che mi persi, in corridoi dai pavimenti di vetro e pareti d’argento, dove giocava una fresca luce brillante simile alla lucidità cristallina che si vede riflessa dal bianco fondo sabbioso in una laguna tropicale poco profonda. Era l’intima natura virginale di Halum. Nei corridoi c’erano delle nicchie dove, messi ordinatamente in mostra, si trovavano tutti gli elementi della sua vita, i ricordi, le immagini, gli odori, i sapori, le visioni le fantasie, le delusioni, le delizie. Su tutto imperava la purezza. Non vidi traccia di estasi sessuali, di passioni carnali. Non so se Halum si fosse preoccupata di nascondermi, per pudicizia, tutta l’area della sua sessualità o se invece l’avesse allontanata dalla sua coscienza al punto che io non riuscii a scoprirla.

Ella mi venne incontro senza paura, si unì a me con gioia. Non ho dubbi su questo. Quando le nostre anime si unirono fu un’unione completa, senza riserve. Nuotai in quelle lucenti profondità ed il fango si staccò dalla mia anima: ella guariva, purificava. Forse mentre lei mi mondava io la stavo macchiando? Non posso dirlo. Non posso dirlo. Ci circondammo, ci mescolammo, ci demmo sostegno l’un l’altro, ci penetrammo a vicenda. A mescolarsi con la mia anima c’era l’anima di Halum, che per tutta la vita era stata il mio sostegno ed il mio coraggio, il mio ideale ed il mio scopo, una fresca, incorruttibile, perfetta incarnazione di bellezza. E forse mentre la mia corruttibile anima prendeva un’ombra di incorruttibilità, la prima macchia corrosiva appariva sulla lucente incorruttibilità di Halum. Non posso dirlo. Io andai a lei e lei venne a me. Ad un certo punto del nostro viaggio l’uno nell’altra, incontrai una zona dove c’era qualcosa di strano, di contorto, e mi ricordai di quando, da giovane, stavo partendo da Città di Salla per fuggire a Glin e Halum mi aveva abbracciato nella casa di Noim e a me era parso di sentire nel suo abbraccio un tremore di passione, a stento represso, un barlume di desiderio fisico. Per me. Per me. E pensai di avere trovato di nuovo quella zona di passione, solo che quando la guardavo più da vicino, spariva, e io vedevo soltanto la pura lucente superficie metallica della sua anima. Forse, sia la prima che la seconda volta, non feci altro che proiettare in lei i desideri che bruciavano dentro di me. Non lo so. Le nostre anime erano unite: non avrei saputo dire dove finivo io e dove cominciava Halum.

Emergemmo dallo stato ipnotico. La notte era quasi trascorsa. Sbattemmo le palpebre, scuotemmo le nostre teste annebbiate, sorridemmo incerti. C’è sempre un momento, quando finisce la comunione delle anime, in cui ci si sente demoralizzati, si pensa di aver rivelato troppe cose e si vorrebbe riprendere indietro quel che si è dato. Fortunatamente quel momento di solito è breve. Guardai Halum e sentii il mio corpo bruciare di un amore santo, un amore che non era amore carnale e cominciai a dirle, come una volta Schweiz aveva detto a me: — Io ti amo. - Ma la voce mi si strozzò in gola. La parola «Io» mi si fermò tra i denti, come un pesce in una rete. Io. Io. Io. Io ti amo, Halum. Io. Se soltanto avessi potuto dirlo. Io. Ma non voleva venir fuori. Era lì, ma non riusciva a passarmi tra le labbra. Presi le sue mani tra le mie ed ella sorrise d’un sereno sorriso lunare e allora sarebbe stato così facile urlare quelle parole. Ma c’era qualcosa che le teneva prigioniere. Io. Io. Come potevo parlare ad Halum d’amore e usare quel linguaggio da trivio? Pensai che non avrebbe capito, che le mie oscenità avrebbero rovinato tutto. Pazzia: le nostre anime erano state una, come poteva un semplice modo di dire distruggere tutto? Fuori, dunque. Io ti amo. Balbettando dissi: — Si ha… un tale amore… per te… un tale amore, Halum…

Accennò di sì come per dire: — Non parlare, queste tue parole impacciate spezzano l’incanto. - Come per dire: — Sì, c’è amore anche per te, Kinnall. - Come per dire: — Io ti amo, Kinnall. - Leggera, si alzò e andò alla finestra: fresca luce lunare d’estate sul perfetto giardino della grande villa, i cespugli, gli alberi, bianchi e silenziosi. Mi avvicinai e le misi le mani sulle spalle, con delicatezza. Lei si scosse e sospirò. Pensai che tutto fosse a posto. Ero sicuro che tutto fosse a posto.

Non ci mettemmo ad analizzare quel che era successo tra noi quella notte. Avrebbe potuto far scoppiare come una bolla tutto quel che avevamo dentro. Potevamo parlare della nostra trance il giorno seguente e tutti i giorni a venire. L’accompagnai alla sua stanza, non troppo distante dalla mia sullo stesso corridoio, e la baciai timidamente sulla guancia. Ella ricambiò con un bacio fraterno, sorrise di nuovo e chiuse la porta dietro di sé. Tornato nella mia stanza, rimasi sveglio per qualche tempo a rivivere tutto quel che era successo. Il fervore missionario si ravvivò in me: di nuovo sarei stato un messia, mi ripromisi, avrei girato per Salla diffondendo la mia religione d’amore, non mi sarei più nascosto nella casa del mio fratello di legame come un rottame, un relitto, un uomo esiliato senza speranza nel suo stesso paese. L’avvertimento di Stirron non aveva nessun significato per me. Come poteva cacciarmi da Salla? Avrei fatto cento proseliti in una settimana. Mille, diecimila. Avrei dato la droga allo stesso Stirron e avrei lasciato che l’Eptarca proclamasse la nuova legge dallo stesso trono!

Halum mi aveva ispirato. La mattina dopo sarei uscito a cercar discepoli.


Si udì del rumore in cortile. Guardai dalla finestra e vidi un carro da terra: Noim era tornato dal suo viaggio d’affari. Entrò in casa, lo sentii passare nel corridoio davanti alla mia camera, poi sentii bussare più in là. Sbirciai nel corridoio: stava davanti alla porta di Halum e parlava con lei. Cosa significava? Andava da Halum, che per lui non era nient’altro che un’amica, e non veniva a salutare il suo fratello di legame? Sospetti non degni di me mi si affacciarono alla mente… accuse false. Li scacciai. La conversazione finì, la porta di Halum si chiuse. Noim, senza accorgersi di me, proseguì verso la sua stanza da letto.


Non riuscivo a dormire. Scrissi qualche pagina, ma era tutta roba che non valeva nulla, e verso l’alba uscii a passeggiare tra la nebbia grigia. Mi sembrò di udire un grido in lontananza. Qualche animale che cercava il suo compagno, pensai. Qualche belva sperduta che si aggirava nell’alba.

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