Il sindaco Harla Branno aveva tutte le ragioni di essere soddisfatta. La visita diplomatica, benché piuttosto breve, era stata assai produttiva.
Come per tenere a bada l’euforia, disse: — Naturalmente non possiamo fidarci del tutto di loro.
Stava osservando lo schermo. Le navi della Flotta rientravano ad una ad una nell’iperspazio, per fare ritorno alle loro basi di sempre. Era chiaro che all’Unione Sayshell aveva fatto effetto quello spiegamento di forze, però non potevano esserle sfuggiti due particolari molto importanti: uno, che le navi erano rimaste costantemente nello spazio della Fondazione, due, che quando la Branno aveva ordinato che ripartissero avevano obbedito prontamente al comando.
D’altra parte l’Unione Sayshell non avrebbe certo dimenticato che quelle stesse navi potevano essere richiamate nella zona di confine nel giro di un giorno o anche meno. La manovra della Branno era stata sia una dimostrazione di forza, sia una dimostrazione di buona volontà.
— Verissimo, ma non ci si può fidare del tutto di loro — disse Kodell, — però non c’è nessuno, nella Galassia, che sia degno di assoluta fiducia. Ed è interesse di Sayshell osservare i termini dell’accordo. Siamo stati generosi.
— Molto dipenderà da come verranno elaborati i dettagli — disse la Branno. — Credo che ci vorranno mesi, per quest’operazione. Le linee generali di un accordo si possono accettare in un attimo, — ma dopo vengono le varie sfumature: come regolare la quarantena prescritta per le merci scambiate, come calcolare il valore del loro grano e del loro bestiame in rapporto al nostro, e così via.
— Sì, lo so, ma alla fine anche le questioni secondarie verranno risolte e il merito di tutta l’operazione andrà a voi, sindaco. È stato un colpo maestro, sul cui successo devo ammettere che avevo avanzato le mie riserve.
— Via, Liono, la faccenda non è stata poi così complicata. Semplicemente la Fondazione ha reso all’orgoglio di Sayshell quel riconoscimento che in fin dei conti meritava. Hanno mantenuto sempre una certa indipendenza, sin dai primi tempi dell’Impero. Non sono da ammirare?
— Sì ora che non ci procureranno più fastidi.
— Esattamente. Dunque è bastato piegarci nel nostro orgoglio quel tanto da far capire loro che li apprezzavamo. Ammetto che a me, sindaco di una Federazione che abbraccia gran parte della Galassia, è occorso un certo sforzo per accettare l’idea di visitare un piccolo raggruppamento stellare, o provincia, ma una volta che abbia preso la mia decisione non mi è bruciata tanto. Ed è servita a lusingarli. Spostando le navi verso il confine, ma mostrando nello stesso tempo umiltà ed ottime intenzioni, li abbiamo indotti ad acconsentire alla mia visita diplomatica.
Kodell annuì. — Abbiamo abbandonato l’apparenza del potere per conservarne solo la sostanza.
— Proprio così. Chi è che l’ha detto per primo?
— Credo Eriden. in uno dei suoi drammi, ma non ne sono sicuro. Chiederemo lumi ai nostri esperti di letteratura, su Terminus.
— Se ce ne ricorderemo. Dobbiamo cercare di fissare al più presto la data della futura visita dei sayshelliani al nostro pianeta, e adoperarci perché siano trattati alla pari. E ho paura che dovrete prendere strette misure di sicurezza, Liono. Ci sarà una reazione di sdegno, tra le nostre teste calde, e non è certo il caso di sottoporre i sayshelliani all’umiliazione, anche se lieve e passeggera, di vedere manifestazioni di protesta nei loro confronti.
— Certo, certo — disse Kodell. — A proposito, è stata una mossa abile quella di spedire avanti Trevize.
— Il mio parafulmine? A dire la verità ha funzionato meglio di quanto pensassi.
Comportandosi come uno sciocco ha attirato il fulmine delle proteste sayshelliane assai più rapidamente di quanto avessi previsto. Per lo spazio! Che scusa eccellente per la mia visita! Ero rammaricata che un membro della Fondazione avesse arrecato fastidi ai sayshelliani. e grata per la tolleranza che avevano mostrato nei suoi riguardi.
— Siete stata scaltra. Ma non credete che sarebbe stato meglio riportare indietro Trevize con noi?
— No. Tutto sommato preferisco saperlo da qualsiasi parte, tranne che su Terminus. Da noi costituirebbe un elemento di disturbo. I suoi discorsi assurdi sulla Seconda Fondazione mi hanno fornito la scusa ideale per spedirlo via, e naturalmente Pelorat è servito a indirizzarlo verso Sayshell. Ma non voglio che torni e continui a gridare ai quattro venti le sue sciocchezze. Non si sa mai, il fatto potrebbe avere conseguenze imprevedibili.
Kodell ridacchiò. — Credo che non esistano persone più credulone degli intellettuali che dedicano la loro vita allo studio. Mi chiedo quante altre fandonie Pelorat avrebbe bevuto se gliele avessimo propinate.
— È già stato sufficiente indurlo a credere all’esistenza della mitica Gaia. Ma lasciamo stare questi discorsi. Dovremo affrontare il Consiglio, quando torneremo, ed avremo bisogno dei suoi voti per l’accordo con Sayshell. Fortunatamente abbiamo la dichiarazione di Trevize, con l’impronta vocale e tutto il resto, in cui dice che ha lasciato Terminus di propria volontà. Esprimerò ufficialmente il mio vivo rincrescimento per il suo temporaneo arresto, e questo credo basterà a soddisfare il Consiglio.
— Lo so che siete abile nelle lusinghe, sindaco — disse Kodell, secco. — Ma non avete pensato che Trevize potrebbe continuare a cercare la Seconda Fondazione?
— Che la cerchi — disse la Branno, alzando le spalle. — Purché non lo faccia su Terminus. Così avrà qualcosa che lo terrà occupato e non lo condurrà da alcuna parte.
Che la Seconda Fondazione esista ancora è una leggenda del nostro secolo, così come Gaia è una leggenda di Sayshell.
Si appoggiò allo schienale della poltrona con aria profondamente soddisfatta. — Adesso — disse, — abbiamo Sayshell in mano, e quando l’Unione se ne accorgerà, sarà troppo tardi perché possa liberarsi dalla morsa. Così la Fondazione continua ad accrescere il suo potere e continuerà ad accrescerlo anche in futuro, con calma e con costanza.
— E il merito di ciò sarà interamente vostro, sindaco.
— È un particolare, questo, che non mi è sfuggito — disse la Branno, mentre la nave s’immergeva nell’iperspazio per riapparire dopo poco nello spazio intorno a Terminus.
L’Oratore Stor Gendibal, di nuovo a bordo della propria nave, aveva tutte le ragioni di essere soddisfatto; l’incontro con la Prima Fondazione non era durato a lungo, ma era stato assai produttivo.
Gendibal aveva spedito su Trantor un messaggio che, anche se non esplicitamente, lasciava capire che la missione fosse stata un successo. Per il momento bastava che il Primo Oratore sapesse che tutto era andato bene (e in effetti forse l’aveva già intuito dal fatto che alla fine non c’era stato bisogno di usare le forze complessive della Seconda Fondazione). Sui particolari, pensò, l’avrebbe informato poi.
Gli avrebbe spiegato, una volta su Trantor, come un lieve, impercettibile intervento sulla mente di Harla Branno avesse indotto il sindaco a passare da grandiose mire imperialistiche a mire pratiche, di tipo commerciale; come un lieve intervento a distanza sul capo dell’Unione Sayshell avesse indotto quest’ultimo a chiedere al sindaco un abboccamento, e come, in seguito a ciò, si fosse raggiunto tra i due un accordo amichevole, dopo il quale non si era più rivelata necessaria alcuna azione mentalica. Compor, che era tornato su Terminus con la propria nave, avrebbe fatto in maniera di assicurare che l’accordo fosse mantenuto. Era stata una dimostrazione quasi da manuale del modo in cui minime interferenze potessero portare a grossi risultati.
Quei risultati, Gendibal ne era certo, avrebbero messo al tappeto la Delarmi e gli avrebbero garantito la nomina a Primo Oratore subito dopo la convocazione formale della Tavola.
Non sottovalutava nemmeno l’importanza che avesse avuto la presenza a bordo di Sura Novi, anche se quel fatto, si disse, non andava sottolineato davanti agli Oratori.
Non solo Novi aveva fortemente contribuito alla sua vittoria, ma con la propria ammirazione incondizionata gli forniva anche, adesso, la scusa per indulgere al bisogno infantile (e molto umano, perché anche gli Oratori sono esseri umani, umanissimi) di esultare di gioia.
Novi, era chiaro, non aveva capito nulla di ciò che era successo, ma intuiva che lui avesse disposto le cose nel modo giusto, a suo piacimento, ed era assai orgogliosa del suo operato. Gendibal accarezzò la linearità della sua mente ed avvertì il calore di quell’orgoglio.
Disse: — Non ce l’avrei fatta senza di voi, Novi. È stato grazie a voi che ho potuto capire che quelli della Prima Fondazione, voglio dire, le persone a bordo della nave più grande...
— Sì Maestro, so a chi vi riferiate.
— È stato grazie a voi, dicevo, che ho potuto capire che avevano uno schermo difensivo, assieme a deboli facoltà mentaliche. L’effetto che ho riscontrato sulla nostra mente mi ha permesso di stabilire esattamente quali fossero le caratteristiche dell’uno e delle altre, e di organizzare la difesa più opportuna.
Novi disse, esitante: — Non capisco bene quello che dite, Maestro, ma avrei fatto di più per aiutarvi, se avessi potuto.
— Lo so, Novi. Ma quello che avete fatto è già stato sufficiente. Rabbrividisco se penso a che tremendo pericolo avrebbero potuto rappresentare. Ma è un pericolo scongiurato, ora che sono stati fermati quando il loro schermo e il loro campo erano ancora ben lontani dalla perfezione. Harla Branno, dimenticati sia lo schermo, sia il campo, se ne torna a casa soddisfatta di aver raggiunto un accordo commerciale con Sayshell che renderà l’Unione parte integrante della Federazione. Ammetto che bisognerà adoprarsi ancora parecchio per svuotare di ogni significato i risultati che hanno ottenuto nell’ambito della mentalica; di questo ci siamo finora occupati troppo poco, ma rimedieremo.
Rifletté sulla cosa e continuò, a voce più bassa: — Abbiamo sottovalutato la Prima Fondazione. Dobbiamo tenerla maggiormente d’occhio. Dobbiamo riuscire in qualche modo a far sì che la Galassia sia più unita. Bisogna che usiamo la mentalica per indurre coscienze a collaborare di più tra loro. Questo non può che aiutare il Piano, ne sono convinto. E farò di tutto per favorire questa maggiore collaborazione tra gli esseri viventi.
— Maestro... — disse Novi, ansiosa.
Gendibal di colpo sorrise. — Scusate sto parlando tra me e me. Vi ricordate di Rufirant, Novi?
— Quel testone di un contadino che vi attaccò? Me lo ricordo, sì.
— Sono convinto che agenti della Prima Fondazione muniti di schermi personali abbiano organizzato quello strano attacco e anche tutte le altre cose strane che si sono capitate. Non è stupefacente che non l’abbia capito subito? Ma è ancora più stupefacente che mi sia completamente dimenticato delle insidie della Prima Fondazione per concentrarmi sulla leggenda di Gaia, quel mondo misterioso di cui parlano i sayshelliani superstiziosi. Anche in quel caso voi, con la vostra mente, siete venuta in mio soccorso. Mi avete aiutato a capire che la fonte del campo mentalico fosse la nave da guerra della Branno: solo ed unicamente la nave da guerra della Branno.
— Maestro... — disse Novi, timidamente.
— Sì, Novi?
— Sarete ricompensato per quanto avete fatto?
— Certamente. Shandess darà le dimissioni ed io diventerò Primo Oratore. Così avrò la possibilità di contribuire attivamente a migliorare la Galassia.
— Avete detto Primo Oratore?
— Sì, Novi. Sarò lo studioso più importante e più potente di tutti.
— Il più importante di tutti? — disse lei, con aria afflitta.
— Perché fate quella faccia, Novi? Non volete che sia ricompensato?
— Sì, certo, Maestro. Ma se diventerete lo studioso più importante di tutti quanti, non vorrete, penso, una hamiana accanto a voi: sarebbe disdicevole.
— Chi vi dice che non vi vorrò accanto a me? Chi potrà impedirmi di tenervi vicino? — Gendibal sentì un moto di affetto per lei. — Novi, voi resterete con me dovunque andrò e chiunque diventerò. Così, quando dovrò affrontare gli individui maligni e rapaci che ogni tanto infestano la Tavola, la vostra mente sarà sempre là a dirmi quali siano i loro sentimenti prima ancora che loro stessi lo sappiano. Perché la vostra mente è innocente, lineare, priva di qualsiasi malizia. Inoltre... — Gendibal s’interruppe un attimo, come sbalordito da una rivelazione improvvisa.
— Inoltre — continuò, — anche a parte queste considerazioni, mi... mi piace avervi accanto ed intendo continuare a godere della vostra compagnia. Voglio dire, sempre che a voi vada bene.
— Oh Maestro — sussurrò Novi, e mentre lui le circondava la vita con un braccio, posò la testa sulla sua spalla.
Nell’intimo della ragazza, in quei recessi di cui a malapena la mente fosse consapevole, rimaneva costante l’essenza di Gaia a guidare gli eventi. Ma era proprio la maschera pressoché impenetrabile di ingenuità hamiana a rendere possibile la continuazione del grande compito. E quella maschera, adesso, era profondamente felice. Così felice, che Novi non provava quasi nessun rammarico per la distanza che la separava da se stessa-loro-tutti e trovava appagante l’idea di essere, per il futuro, solo quello che sembrava.
Pelorat si fregò le mani e disse con entusiasmo controllato: — Come sono contento di essere di nuovo su Gaia!
— Uhm — disse Trevize, distratto.
— Sapete che cosa mi ha detto Bliss? Il sindaco Branno sta tornando su Terminus dopo avere concluso un accordo commerciale con Sayshell. L’Oratore della Seconda Fondazione sta tornando su Trantor convinto di avere determinato lui questi avvenimenti, e quella donna, Novi, lo segue per assicurarsi che si dia inizio a quel cambiamento che porterà alla nascita della Galassia vivente. E nessuna delle due Fondazioni è minimamente consapevole dell’esistenza di Gaia. È davvero sorprendente.
— Lo so — disse Trevize. — Anche a me è stato detto tutto questo. Ma noi sappiamo dell’esistenza di Gaia, e possiamo parlarne.
— Bliss non la pensa così. Dice che se parlassimo nessuno ci crederebbe, e che questo non può non saltare agli occhi anche a noi. Del resto, io almeno non ho nessuna intenzione di lasciare Gaia.
Trevize si ridestò dai suoi pensieri e alzò la lesta a guardare Janov. — Che cosa?
— Voglio restare qui. Sapete, Golan, quasi stento a crederci. Solo poche settimane fa conducevo su Terminus una vita solitaria, una vita che si ripeteva uguale da decenni. Immerso nelle mie riflessioni e nei miei studi, vedevo nel mio futuro soltanto altre riflessioni e altri studi, fino alla morte. Non concepivo nient’altro che quell’esistenza appartata ed ero contento di vegetare così. Poi di colpo, inaspettatamente, ho cominciato a viaggiare per la Galassia, sono rimasto coinvolto in una crisi galattica e... non ridete Golan, ho trovato Bliss.
— Non rido — disse Trevize. — ma voi siete sicuro di quello che fate?
— Oh, sì. La storia della Terra non m’interessa più. Il fatto che fosse l’unico pianeta che ospitasse un’ecologia ricca ed una vita intelligente è stato spiegato a sufficienza, mi pare. Con la faccenda degli Eterni, se ricordate.
— Sì, mi ricordo. Ed intendete restare su Gaia?
— Certo. La Terra rappresenta il passato ed io sono stufo del passato: Gaia è il futuro.
— Voi non siete parte di Gaia, Janov. O pensate di poterlo diventare?
— Bliss dice che un pochino posso diventarlo, anche se solo dal punto di vista intellettuale, non biologico. Lei naturalmente mi aiuterà.
— Ma dal momento che lei è parte di Gaia, come potrete voi due avere una vita in comune, un punto di vista in comune, un qualsiasi interesse in comune?
Si trovavano fuori, all’aria aperta, e Trevize osservò con aria grave l’isola fertile e tranquilla che li ospitava. Guardò di là dalla costa, il mare, e sull’orizzonte che la distanza rendeva violaceo la sagoma di un’altra isola. Tutto era tranquillo, civile, vivo, e formava un’unità.
— Janov — disse, — Bliss è un mondo e voi siete solo un piccolo individuo. E se lei si stancasse di voi? È molto giovane...
— Ci ho pensato. Golan. Sono giorni e giorni che penso solo a questo. Penso che sì, un giorno si stancherà di me, non sono uno stupido romantico. Ma qualunque cosa mi darà fino a quel momento, sarà sufficiente. Mi ha già dato tanto. Da lei ho ricevuto più di quanto credessi possibile. Se anche non dovessi vederla più da adesso in poi, mi sentirei ugualmente soddisfatto.
— È incredibile — disse Trevize con dolcezza. — Secondo me siete uno sciocco romantico, ma questo in fondo non mi dispiace. Non ci conosciamo da molto, Janov, però siamo stati insieme notte e giorno per settimane; non vorrei sembrare idiota; ma devo dire che mi siete molto simpatico.
— E voi siete molto simpatico a me, Golan — disse Pelorat.
— Per questo non vorrei che vi fosse fatto del male — disse Trevize — Devo assolutamente parlare a Bliss.
— No, non fatelo, vi prego: finirebbe per essere una ramanzina.
— Non le farò alcuna ramanzina. Quello che voglio dirle non riguarda soltanto voi, e quindi desidero parlarle in privato. Vi prego, non mi va di fare le cose a vostra insaputa; ditemi che non avete niente in contrario a che le parli e chiarisca alcuni dettagli. Se le sue risposte mi soddisferanno vi farò le mie più vive congratulazioni, i miei auguri più fervidi e terrò la bocca chiusa per sempre, qualunque cosa accada.
Pelorat scosse la testa. — Rovinerete tutto.
— Vi prometto di no.
— E va bene. Ma sarete molto prudente vero, amico mio?
— Vi do la mia parola d’onore.
— Pel mi ha detto che volevate vedermi — disse Bliss.
— Sì — disse Trevize.
Si trovavano nel piccolo appartamento che gli era stato assegnato. Bliss si sedette elegantemente, accavallando le gambe, e quando sollevò il viso guardando con malizia Trevize i suoi begli occhi castani e i suoi lunghi capelli neri brillarono.
— Mi disapprovate, vero? — disse. — Mi avete disapprovato fin dal primo momento.
Trevize rimase in piedi. — Voi leggete nella mente, nel pensiero — disse. — Sapete che cosa penso di voi, e perché.
Bliss scosse la testa lentamente. — Gaia non ha accesso alla vostra mente, e lo sapete. Ci occorreva la vostra decisione, la decisione di una mente lucida e non condizionata. Quando assumemmo il controllo della “Far Star” circondammo voi e Pel di un campo che agiva come un tranquillante sui vostri nervi, ma ci fu indispensabile farlo. Se vi avessimo lasciato in preda al panico o alla rabbia, ne avreste potuto ricavare un danno che vi avrebbe magari impedito di rendervi utile al momento giusto. Ogni nostro intervento su di voi si è fermato lì. Non ho mai potuto tentare di andare oltre quella minima interferenza, né l’ho fatto. Perciò non so quali siano i vostri pensieri.
— La decisione che dovevo prendere l’ho presa — disse Trevize. — Essa è stata a favore di Gaia e di Galaxia, la Galassia vivente. Perché allora, tutte queste chiacchiere sulla mia mente lucida e non condizionata? Avete avuto quello che volevate, quindi adesso potete influenzarmi quanto vi pare.
— No, non è così. Potranno occorrere altre decisioni, in futuro. Voi dovete restare come siete. Finché siete vivo rappresentate un talento raro nella Galassia. Ci sono indubbiamente altre persone come voi, ed altre come voi ne nasceranno, ma per il momento conosciamo soltanto Golan Trevize, e non possiamo condizionarlo.
Trevize disse, dopo un attimo di riflessione: — Voi siete Gaia e in questo momento non vorrei parlare con Gaia, ma con voi come individuo, se questo ha un significato per un gaiano.
— Certo che ha un significato. Le nostre vite non sono affatto fuse l’una con l’altra. Posso staccarmi dalla coscienza comune, per brevi periodi di tempo.
— Sì — disse Trevize, — penso anch’io che lo possiate fare. L’avete fatto, ora?
— Sì.
— Allora per prima cosa permettetemi di dirvi che avete barato. Non sarete magari entrata nella mia mente per influenzarmi nella mia decisione, però siete entrata di sicuro nella mente di Janov per ottenere di farmi scegliere in un certo modo. Non è vero?
— Lo pensate?
— Lo penso. Al momento cruciale Pelorat mi ha ricordato di avere avuto un’impressione in passato, osservando la Galassia sullo schermo, che essa fosse qualcosa di vivo e questa sua osservazione mi ha indotto a compiere la scelta che ho compiuto. L’idea sarà anche stata di Pelorat, ma era vostra la mente che l’ha fatta affiorare, no?
— Era un pensiero presente nella sua mente — disse Bliss, — ma ce n’erano anche tanti altri. Ho facilitato la strada solo a quello ed a nessun altro. Perciò è stato esso a sgusciare fuori della coscienza e a esprimersi in parole. Badate bene però, non sono stata io a crearlo: c’era già.
— Tuttavia, così facendo, avete indirettamente influenzato la mia decisione, che in tal modo non è stata del tutto libera...
— Gaia ha ritenuto necessario compiere questa mossa.
— Ah sì? Be’, forse vi farà sentire migliore, o meno meschina, sapere che se pure il discorso di Janov mi ha indotto a prendere la mia decisione in quel certo momento, avrei preso la stessa decisione anche se lui non avesse detto niente o avesse cercato di convincermi a scegliere un’altra soluzione. Desidero che afferriate bene il concetto.
— È una notizia che mi solleva — disse Bliss, gelida. — Era questo che desideravate comunicarmi quando avete chiesto di vedermi?
— No.
— Che cos’altro c’è, allora?
Trevize si sedette nella poltrona che si trovava davanti a quella di Bliss. La avvicinò tanto che le loro ginocchia quasi si toccarono e protendendosi verso la ragazza disse: — Quando arrivammo nelle vicinanze di Gaia, c’eravate voi nella stazione spaziale. Siete stata voi a intrappolarci, voi a venirci a prendere, voi a rimanere in nostra compagnia da quel momento in poi, fatta eccezione per il pranzo con Dom, al quale non partecipaste. In particolare c’eravate voi sulla “Far Star” quando presi la mia decisione. Sempre voi.
— Io sono Gaia.
— Non è una spiegazione sufficiente. Anche un coniglio e un sasso sono Gaia.
Tutto ciò che esista sul pianeta è Gaia ma non tutte le creature e le cose partecipano di Gaia in misura uguale. Alcuni esseri sono più uguali d’altri. Perché proprio Bliss ci ha assistito e sorvegliato?
— Secondo voi, perché?
Trevize saltò il fosso e disse: — Perché penso che non siate Gaia: penso che siate qualcosa di più di Gaia.
Bliss fece un verso di derisione.
Trevize continuò, imperterrito: — Quando stavo per fare la mia scelta, la donna che era con l’Oratore...
— Lui la chiamava Novi.
— Sì, quella Novi, dunque, ha detto che Gaia fu fondata dai robot, che ora non esistono più e che insegnarono agli abitanti del pianeta una particolare versione delle Tre Leggi della Robotica.
— Infatti, è verissimo.
— I robot non esistono più?
— Così ha detto Novi.
— Invece Novi non ha detto così. Le sue esatte parole sono state: «Gaia fu fondata migliaia di anni fa con l’aiuto dei robot, i quali per un breve periodo di tempo servirono la specie umana, che ora non servono più».
— Be’, Trev, questo non vuol forse dire che non esistano più?
— No, vuol dire che non servono più gli uomini: potrebbero invece governarli...
— È ridicolo!
— Governarli, o sorvegliarli. Come mai eravate presente al momento in cui ho preso la decisione? Non mi pareva che foste così necessaria. Era Novi che fungeva da coordinatrice e poiché anche lei era Gaia, non ci sarebbe stato, a rigor di logica, alcun bisogno di voi. A meno che...
— A meno che?
— A meno che voi non siate il supervisore cui spetta il compito di assicurarsi che Gaia non dimentichi le Tre Leggi. A meno che, insomma, non siate un robot così ben costruito da non potersi distinguere da un essere umano.
— Se non mi si può distinguere da un essere umano, come mai voi pensate di potermi distinguere? — disse Bliss con una punta di sarcasmo.
Trevize si appoggiò allo schienale della poltrona. — Non siete stati voi gaiani a ripetermi che io abbia la rara facoltà di essere sicuro delle mie idee, di prendere decisioni giuste e compiere le scelte giuste, di individuare le alternative corrette? Non sono io a sostenere questo: siete voi che lo sostenete. Ebbene, dal primo momento In cui vi ho visto mi sono sentito a disagio. C’era qualcosa che non andava, in voi. Io sono sensibile al fascino femminile almeno quanto Pelorat, anzi, direi di più, e voi avete l’aspetto di una bella donna. Eppure, nemmeno per un attimo ho provato la benché minima attrazione.
— Voi mi distruggete.
Fingendo di non avere sentito, Trevize continuò: — Quando saliste a bordo della nostra nave, Janov ed io avevamo appena finito di discutere sulla possibilità che Gaia ospitasse una civiltà non umana e appena vi vide Janov, nella sua ingenuità, vi chiese: «siete umana?» Probabilmente un robot è costretto a dire la verità, ma immagino che gli sia lecito essere evasivo. Voi vi limitaste a rispondere: «perché, non sembro umana?» Sì, Bliss, sembrate umana, ma lasciate che vi ripeta la domanda: siete umana?
Bliss tacque, e Trevize proseguì. — Credo di avere intuito fin dal primo momento che non eravate una donna, ma un robot. A causa di questa mia sensazione tutti gli avvenimenti che seguirono li vidi in una luce particolare; soprattutto il fatto che non partecipaste al pranzo.
— Credete che non sia in grado di mangiare, Trev? — disse Bliss. — Vi siete dimenticato che a bordo della “Far Star” feci fuori un piatto di gamberetti? Vi assicuro che sono in grado di mangiare e di compiere qualsiasi altra funzione biologica, compresa, prima che me lo chiediate, quella sessuale. Ma posso anche dirvi che questo in sé non dimostra che io non sia un robot. Già migliaia di anni fa i robot avevano raggiunto il massimo della perfezione, e si potevano distinguere dagli esseri umani soltanto attraverso un’analisi mentalica del cervello. L’Oratore Gendibal avrebbe potuto capire che cosa fossi se si fosse disturbato anche solo minimamente a prendermi in considerazione. Ma naturalmente non l’ha fatto.
— Però, benché io non abbia facoltà mentaliche, sono ugualmente convinto che siate un robot.
— E se anche lo fossi? — disse Bliss. — Non ammetto niente, sia chiaro, tuttavia sono curiosa: se lo fossi?
— Non m’interessano le vostre ammissioni. So che siete un robot. L’ultima prova, del resto superflua, l’ho avuta quando avete affermato di potervi staccare dalla coscienza comune di Gaia per parlare con me come individuo. Credo che non l’avreste potuto fare se foste stata parte di Gaia, ma è chiaro, non lo siate. Siete un robot supervisore, e quindi al di fuori della coscienza del pianeta. Ed adesso che ci penso, mi chiedo di quanti supervisori Gaia abbia bisogno, quanti ne abbia.
— Ripeto: non ammetto niente, ma sono curiosa. Se fossi un robot?
— Se foste, come siete, un robot, vorrei sapere questo: che cosa cercate da Janov Pelorat? Janov è mio amico e per certi versi è come un bambino. Crede di amarvi, crede di desiderare solo quello che siete disposta a dargli, e pensa addirittura che sia già sufficiente ciò che gli abbiate dato. Non conosce, non immagina nemmeno le pene provocate dalla perdita dell’amore, tanto meno immagina che dolore possa procurargli apprendere che non siete umana...
— E voi le conoscete, le pene dell’amore perduto?
— Ho avuto i miei momenti difficili. Non ho condotto una vita ritirata come quella di Janov, non sono mai stato così assorbito dalla ricerca intellettuale da dimenticare ogni altra cosa, persino una moglie ed un figlio. Janov invece è rimasto immerso tutta la vita nei suoi studi, e adesso di colpo rinuncia a tutto per voi: non voglio che soffra. Non permetterò che soffra. Se è vero che ho fatto un favore a Gaia, merito una ricompensa: come ricompensa vi chiedo di assicurarmi che non rovinerete l’esistenza al mio amico.
— Devo fingere di essere un robot e rispondervi?
— Sì — disse Trevize. — E subito.
— Benissimo, allora. Supponiamo che sia un robot, Trev, e che sia, come avete detto, un supervisore. Supponiamo che siano pochi, pochissimi i robot che svolgano la mia stessa funzione, e che ci si incontri assai di rado. Supponiamo inoltre che ciò che ci guida nella vita sia il desiderio di salvaguardare il benessere degli esseri umani e che gli esseri umani di Gaia non ci sembrino tali, dato che sono solo parti di una coscienza planetaria globale.
«Supponiamo che salvaguardare il benessere di Gaia ci appaghi, ma non del tutto.
Che ci sia in noi qualcosa di primitivo che ci faccia desiderare ardentemente la compagnia di quelli che consideriamo esseri umani veri, ovvero di quelle persone che esistevano all’epoca in cui i robot furono progettati e costruiti. Non fraintendetemi; non sto affermando di essere vecchia di migliaia d’anni (presumendo ch’io sia un robot). La mia età, o (sempre presumendo ch’io sia un robot) la durata della mia esistenza fino a questo momento è quella che vi ho detto quando ci siamo conosciuti.
Tuttavia, partendo, ripeto, da quelle premesse la mia struttura in sostanza è quella stessa che caratterizzava i miei simili in un passato lontano, per cui ciò che mi sta più a cuore sono sempre gli esseri umani.
«Pel è un essere umano. Non fa parte di Gaia. È troppo vecchio perché possa diventare parte di Gaia. Desidera restare su questo pianeta con me perché non provi verso di me la diffidenza che provate voi: non pensa che sia un robot. Ebbene, anch’io desidero stare con lui. Se, come asserite, sono sul serio un robot, una reazione del genere appare più che logica: i robot hanno gli stessi sentimenti degli esseri umani, dunque dovete concedermi la capacità di amare come un essere umano. Se vi venisse da obiettare che nonostante tutto resto un robot, vi risponderei che forse un robot non è capace di avvertire nell’amore quella sfumatura mistica che è tipicamente umana, ma che nessuno, nemmeno voi, sarà mai in grado di distinguere la mia reazione emotiva dal sentimento che comunemente si definisce amore. Perciò che importanza ha a questo punto sottilizzare?
Bliss s’interruppe e guardò Trevize con un orgoglio che non faceva concessioni.
— Mi state dicendo che non abbandonerete Pelorat? — disse Trevize.
— Se partite dal presupposto ch’io sia un robot, capite da solo che la Prima Legge non mi consentirebbe mai di abbandonarlo, a meno che non fosse lui stesso ad ordinarmi di farlo ed a meno che non fossi convinta anch’io che dicesse sul serio; a meno che, insomma, restando con lui non gli facessi più male che lasciandolo.
— Se un uomo più giovane...
— Quale uomo più giovane? Voi siete più giovane di Pel, ma non credo proprio che abbiate bisogno di me nello stesso senso suo; di fatto, poi, non mi desiderate, per cui la Prima Legge mi impedirebbe di attaccarmi a voi.
— Non parlo di me, ma di un altro possibile uomo...
— Non ce ne sono altri. Su questo pianeta, solo Pel e voi potete essere considerati creature umane nel senso non-gaiano.
Trevize disse, addolcendo il tono: — E se non foste un robot?
— Decidetevi — disse Bliss.
— Ho detto “se” non foste un robot?
— Allora non avreste il diritto di dire proprio niente: starebbe a Pel ed a me decidere del nostro destino.
— Ritorno al punto di partenza, allora — disse Trevize. — Voglio una ricompensa, e come ricompensa vi chiedo di trattare bene il mio amico. Non toccherò più il tasto della vostra identità. Vi domando solo, parlando da persona intelligente a persona intelligente, di trattare bene Janov.
Bliss disse, con dolcezza: — Lo tratterò bene non per ricompensare voi, ma perché lo voglio, perché è mio ardente desiderio farlo.
Dopo una breve pausa, chiamò: — Pel! — E ancora: — Pel!
Pelorat entrò nella stanza. — Sì, Bliss?
Bliss lo prese per mano. — Credo che Trev voglia dirti qualcosa.
Pelorat le strinse la mano e Trevize prese fra le sue le loro mani intrecciate. — Janov — disse, — sono contento per voi due.
— Oh, amico mio! — disse Pelorat.
— Probabilmente me ne andrò da Gaia — disse Trevize. — Ora vado a parlare della cosa con Dom. Non so se e quando ci rincontreremo, Janov, ma che ci rivediamo o no, è stato bello conoscersi.
— Sì, è stato bello — disse Pelorat, sorridendo.
— Addio, Bliss, vi dico grazie in anticipo.
— Addio Trev.
E Trevize, salutando con la mano, lasciò la casa.
— Siete stato in gamba, Trev — disse Dom. — D’altra parte me l’aspettavo, da voi.
Erano seduti davanti a una tavola apparecchiata ed anche questo pasto, come il primo, non solleticava certo la gola. Ma a Trevize non importava: probabilmente non avrebbe mangiato mai più su Gaia.
Disse: — Ho agito come prevedevate che agissi, ma forse non per i motivi che pensavate voi.
— Certo, quando avete deciso, vi sarete sentito sicuro della vostra scelta.
— Sì, ma non perché un sesto senso mistico mi abbia infuso la sicurezza. Se ho scelto Galaxia, è stato perché ho usato il semplice ragionamento, quello stesso ragionamento che chiunque altro avrebbe potuto usare per arrivare a una decisione.
Volete che vi spieghi come ho proceduto?
— Ne sarei veramente lieto, Trev.
— Tre erano le alternative — disse Trevize. — Unirsi alla Prima Fondazione, unirsi alla Seconda Fondazione o unirsi a Gaia. Se avessi scelto la Prima Fondazione, il sindaco Branno avrebbe preso misure immediate per cercare di stabilire la supremazia sulla Seconda Fondazione e su Gaia. Se avessi scelto la Seconda Fondazione l’Oratore Gendibal avrebbe preso misure immediate per cercare di stabilire la supremazia sulla Prima Fondazione e su Gaia. In un caso e nell’altro il cambiamento che avrebbe avuto luogo sarebbe stato irreversibile, e se l’una o l’altra delle soluzioni si fosse rivelata sbagliata, il risultato sarebbe stato irreversibilmente catastrofico.
«Se avessi scelto Gaia, invece, sia la Prima sia la Seconda Fondazione sarebbero rimaste convinte di avere conseguito una non disprezzabile vittoria ed avrebbero continuato ad agire come prima, dato che, come mi era stato detto, l’edificazione di Galaxia avrebbe richiesto un lavoro di generazioni e generazioni, se non addirittura di secoli. Scegliere Gaia è stato dunque il mio modo di guadagnare tempo, di assicurarmi che, se la mia decisione si fosse dimostrata sbagliata, ci sarebbe stata la possibilità di modificare la situazione, od addirittura di ribaltarla.
Dom alzò le sopracciglia; per il resto il suo viso quasi cadaverico rimase inespressivo. Disse, con la sua voce stridula: — E ritenete che la vostra decisione si dimostrerà sbagliata?
Trevize si strinse nelle spalle. — Credo di no, ma per esserne sicuro devo fare una cosa. Devo visitare la Terra, sempre che riesca a trovarla.
— Se volete andarvene noi certo non vi fermeremo, Trev...
— Non sono fatto per il vostro mondo.
— Nemmeno Pel, se è per quello, ma nel caso rimaniate, la vostra presenza sarà gradita quanto la sua. In ogni modo non vi tratterremo. Ditemi, come mai desiderate visitare la Terra?
— Credo che lo sappiate già, Dom — disse Trevize.
— No invece.
— C’è un dato che mi avete tenuto nascosto. Forse avevate le vostre buone ragioni, ma avrei preferito che me ne aveste parlato.
— Non capisco che cosa intendiate dire.
— Vedete, Dom, per compiere la mia scelta ho usato il computer, e per un breve attimo mi sono trovato in contatto con la mente di chi era intorno a me: il sindaco Branno, l’Oratore Gendibal, Novi. Ho appreso così alcuni fatti che, presi isolatamente, non significavano molto per me. Mi riferisco per esempio ai vari interventi che, attraverso Novi, Gaia ha effettuato allo scopo di indurre l’Oratore a venire su questo pianeta.
— D’accordo, e allora?
— Uno degli interventi di Gaia è stato quello di togliere dalla Biblioteca di Trantor tutti i documenti che parlassero della Terra.
— Tutti i documenti che parlassero della Terra?
— Proprio così. Per cui è evidente che la Terra dev’essere molto importante. A quanto sembra, di essa non deve sapere nulla la Seconda Fondazione, ma non devo sapere nulla nemmeno io. Se però devo assumermi la responsabilità di assicurare un futuro alla Galassia, è giusto che pretenda di essere informato. Vi spiace dirmi perché era così importante sopprimere ogni dato sulla Terra?
Dom disse, con solennità: — Trev, Gaia non sa niente di questa sottrazione di documenti. Niente!
— Mi state dicendo che non ne sia responsabile?
— Infatti: non ne è responsabile.
Trevize rifletté un attimo, passandosi con aria assorta la punta della lingua sulle labbra. — Chi è stato, allora?
— Non lo so. Non vedo lo scopo di una simile operazione.
I due uomini si guardarono, poi Dom disse: — Avete ragione. Pareva che fossimo arrivati alla migliore delle soluzioni, ma finché questo mistero non sarà chiarito, sarà difficile dormire sonni tranquilli. Rimanete un po’ con noi; cercheremo insieme di fare luce su questa storia. Poi, quando ripartirete, avrete tutto il nostro aiuto.
— Grazie — disse Trevize.