Parte quinta L’oratore

1

Trantor!

Per ottomila anni era stata la capitale di una grande e potente entità politica che abbracciava numerosi sistemi planetari in continua espansione. Poi, per dodicimila anni, era stata la capitale di un’entità politica che abbracciava l’intera Galassia. Era stata il centro, il cuore, la quintessenza dell’Impero Galattico.

Era impossibile pensare all’Impero senza pensare a Trantor. Anzi, proprio perché Trantor doveva continuare a brillare nel suo splendore metallico, nessuno si era accorto che l’Impero aveva perso il suo primato, la sua superiorità.

Trantor si era sviluppata a tal punto, da diventare una città che occupava un intero pianeta. La sua popolazione era stata stabilizzata (per legge) sui quarantacinque miliardi di individui e le uniche zone verdi, in superficie, erano quelle del Palazzo Imperiale e del complesso Università Biblioteca.

Il territorio di Trantor era ricoperto di metallo. Sia i deserti, sia le zone di giungle fertili erano stati sfruttati fino all’osso e brulicavano di persone, di giungle amministrative, di elaborazioni computerizzate, e di immensi magazzini pieni di cibo e di pezzi di ricambio. Le catene montuose erano state trasformate in pianure e gli abissi erano stati riempiti. I tunnel interminabili della città si snodavano sotto le grandi estensioni continentali, e gli oceani erano stati trasformati in enormi serbatoi sotterranei di acquacoltura, uniche (ed insufficienti) fonti locali di cibo e di minerali.

Il collegamento con i Mondi Esterni, dai quali Trantor importava le materie prime di cui aveva bisogno, era assicurato da mille spazioporti, da diecimila navi da guerra, da centomila navi mercantili e da un milione di navi da carico.

Nessuna città così grande era mai riuscita ad avere impianti di riciclaggio tanto perfetti. Nessun pianeta della Galassia aveva usato fino a tal punto l’energia solare od era ricorso agli espedienti di Trantor per liberarsi del sovrappiù di calore. Sul lato notturno del pianeta, nello strato superiore dell’atmosfera, erano posti radiatori scintillanti che venivano calati nella città di metallo durante il giorno. Quando sopraggiungeva la notte i radiatori salivano, e quando nasceva il giorno scendevano.

Così Trantor aveva sempre un’asimmetria artificiale che era quasi il suo simbolo.

Era stato allora, all’apice del suo sviluppo, che Trantor era assurta a guida dell’Impero.

Era una guida che non riusciva a governarlo bene, ma niente avrebbe potuto governare bene l’Impero. Era troppo grande per essere tenuto insieme da un singolo pianeta, anche nei periodi storici in cui gli imperatori erano dinamici ed efficienti. E come avrebbe potuto Trantor governarlo bene quando, nelle epoche di decadenza, la corona imperiale era finita in mano a politici furbi e a stupidi incompetenti, e quando la burocrazia era diventata ricettacolo di individui altamente corruttibili!

Eppure, anche nei momenti peggiori il ruolo di guida assunto da Trantor aveva conservato sempre una sua intrinseca dignità. Senza quel pianeta, l’Impero Galattico sarebbe svanito come neve al sole. Pur smembrandosi inesorabilmente, finché Trantor fu Trantor l’Impero mantenne intatto il proprio nucleo di tradizioni millenarie, di orgoglio, di potere, di gloria.

Solo quando successe l’impensabile, quando Trantor crollò e fu saccheggiata, quando milioni di suoi cittadini furono uccisi e miliardi di loro furono lasciati morire di fame, quando la forte copertura di metallo fu scalfita, bucata e fusa dalla flotta barbara, tutti si resero conto che l’Impero era effettivamente crollato. I pochi sopravvissuti distrussero quel che restava dell’antica potenza e, nel giro di una generazione, Trantor, un tempo il più importante pianeta che la razza umana conoscesse, diventò un viluppo spaventoso di rovine.

Tutto questo era successo due secoli e mezzo prima. Nel resto della Galassia, le antiche glorie non erano state ancora dimenticate, Trantor sarebbe rimasto per sempre il pianeta ideale nel quale ambientare romanzi storici, il mondo che più di lutti gli altri simboleggiava il passato ed i suoi fasti, il luogo che aveva dato origine a detti come «tutte le astronavi portano su Trantor», «È come cercare una persona su Trantor», «C’è un abisso fra questo e Trantor», e così via.

In tutto il resto della Galassia, ma non su Trantor. Lì le antiche glorie erano state completamente dimenticate. Il metallo che aveva ricoperto la superficie era scomparso praticamente dappertutto. Trantor adesso era un mondo abitato da agricoltori autonomi sparsi un po’ dovunque. Era un porto dove le navi mercantili facevano scalo raramente e dove, le volte in cui lo facevano, non erano accolte particolarmente bene. Lo stesso termine “Trantor”, benché ufficialmente fosse usato ancora, non era più in auge presso la popolazione. Dai trantoriani dell’epoca moderna il pianeta era chiamato “Hame” che nel dialetto locale significava “patria”.

Quindor Shandess pensava a questo e ad altro, mentre se ne stava seduto in un piacevole stato di dormiveglia. Cullato dal lieve torpore in cui era immersa la sua mente, lasciava correre i pensieri a ruota libera, senza seguire un filo particolare.

Era Primo Oratore della Seconda Fondazione da diciott’anni ed avrebbe potuto continuare ad esserlo per altri dieci o dodici, se si fosse mantenuto sufficientemente lucido da sostenere le necessarie battaglie politiche.

Era il corrispondente perfetto, quasi l’immagine speculare del sindaco di Terminus, che era a capo della Prima Fondazione, però tra loro c’era una differenza profonda, sotto ogni aspetto. Il sindaco di Terminus era noto in tutta la Galassia e quindi la Prima Fondazione era semplicemente, per i vari mondi abitati, “la Fondazione”. Il Primo Oratore della Seconda Fondazione era conosciuto invece soltanto dai suoi colleghi.

Eppure era la Seconda Fondazione, guidata ora da Shandess e prima di lui da numerosi altri a detenere il vero potere. La Prima era insuperabile quanto a forza materiale, tecnologia, arsenale militare. La Seconda era insuperabile quanto a poteri mentali ed a controllo psicologico. Ove fosse sorto un conflitto tra le due, che importanza avrebbero avuto le astronavi e le armi della Prima Fondazione, quando la Seconda Fondazione era in grado di controllare la mente di chi pilotava le astronavi e maneggiava le armi?

Ma per quanto ancora Shandess avrebbe potuto crogiolarsi nella consapevolezza dei suoi poteri segreti? Era il venticinquesimo Primo Oratore della storia, ed era in carica da un periodo un po’ superiore a quello medio: che fosse il caso di mostrare meno attaccamento per la poltrona e di lasciare spazio ai candidati più giovani? C’era per esempio l’Oratore Gendibal, un giovane assai acuto che era entrato da poco a far parte della Tavola. Quella sera ci sarebbe stato un colloquio tra di loro, e Shandess non vedeva l’ora di discorrere col collega. Era forse giusto augurarsi anche che un giorno Gendibal lo sostituisse nella carica di Primo Oratore?

Shandess rispose a se stesso con sincerità, e dovette ammettere che non aveva alcuna voglia di abbandonare la propria carica; gli piaceva troppo.

Benché anziano, era perfettamente capace di assolvere i suoi compiti. Aveva i capelli grigi, ma poiché un tempo li aveva avuti biondi e adesso li portava cortissimi, la differenza di colore non si notava molto. Gli occhi erano celesti, e l’abito che in quel momento indossava era del colore marroncino prediletto dagli agricoltori trantoriani.

Il Primo Oratore, se avesse voluto, avrebbe potuto facilmente confondersi tra la popolazione di Hame: ciò nonostante, il suo potere era qualcosa di assai concreto e reale. Sarebbe bastata un’opportuna messa a fuoco con gli occhi e con la mente, ed i trantoriani avrebbero agito conformemente alla sua volontà, per poi dimenticare tutto una volta compiute le azioni richieste.

Era una cosa che succedeva di rado, o quasi mai. La Regola d’Oro della Seconda Fondazione diceva: «non fare niente a meno che tu non ci sia costretto, e quando sei costretto ad agire, prima esita».

Il Primo Oratore emise un lieve sospiro. Ad uno che come lui viveva nella vecchia Università, a poca distanza dalle tristi e tuttavia suggestive rovine del Palazzo Imperiale, veniva da chiedersi ogni tanto quanto d’Oro fosse effettivamente la Regola.

All’epoca del Grande Saccheggio, la Regola d’Oro era stata lesa fino al limite di rottura. Non si poteva salvare Trantor senza sacrificare nel contempo il Piano Seldon, che mirava a fondare il Secondo Impero. Sarebbe stato umano risparmiare quei quarantacinque miliardi di persone, ma se così si fosse fatto sarebbe rimasto in piedi il nucleo del Primo Impero, e questo avrebbe ritardato il corso della storia ed avrebbe determinato distruzioni ancora più grandi, secoli dopo. E, forse, il Secondo Impero non avrebbe avuto modo di sorgere...

Il Grande Saccheggio era stato chiaramente previsto, ed i Primi Oratori dell’epoca precedente ad esso avevano studiato per decenni il problema, ma non avevano trovato una soluzione che garantisse la salvezza di Trantor e nello stesso tempo consentisse la nascita del Secondo Impero. Così era stato scelto il male minore, e Trantor era dovuto soccombere.

Gli uomini della Seconda Fondazione erano riusciti per il rotto della cuffia a salvare il complesso Università-Biblioteca, ed in seguito quest’atto era stato vissuto come una colpa. Benché nessuno avesse mai potuto dimostrare che l’esistenza della Biblioteca avesse condotto all’ascesa fulminea del Mulo, si era intuito che tra i due ci fosse un collegamento: e questo per poco non aveva determinato la rovina generale.

Dopo i decenni del Saccheggio e del Mulo era venuta l’età d’Oro della Seconda Fondazione.

Prima di allora, nei due secoli e mezzo successivi alla morte di Hari Seldon, i membri della Seconda Fondazione si erano nascosti come talpe nei recessi della Biblioteca, badando solo a tenersi lontano dagli imperiali. Svolgevano mansioni di bibliotecari in una società decadente cui interessava sempre meno l’anacronistica Biblioteca Galattica, che alla fine venne completamente trascurata, proprio come desideravano i bibliotecari stessi.

Era una vita meschina. Essi si limitavano a salvaguardare il Piano, mentre ai confini della Galassia la Prima Fondazione combatteva per la sopravvivenza contro nemici sempre più forti, sola, senza aiuti da parte della Seconda Fondazione di cui ignorava l’esistenza.

Era stato il Grande Saccheggio a liberare la Seconda Fondazione, un altro dei motivi (il giovane Gendibal di recente aveva avuto il coraggio di dire che era l’unico) per cui era stato permesso.

Dopo il saccheggio, l’Impero era scomparso, ed in seguito i trantoriani sopravvissuti non avevano mai messo piede nel territorio della Seconda Fondazione se non dietro invito. I membri della Seconda Fondazione avevano fatto in modo che il complesso Università-Biblioteca, sopravvissuto al Saccheggio, sopravvivesse anche alla Grande Rinascita. Anche le rovine del Palazzo erano state conservate intatte. In quasi tutto il resto del pianeta, non c’era più traccia di metallo. I grandi tunnel interminabili erano stati riempiti, ricoperti, distrutti, eliminati, sepolti sotto rocce e terreno tranne lì, dove il metallo cingeva ancora gli antichi spazi aperti.

Si sarebbe potuto considerare quasi un monumento alla memoria delle glorie passate, il sepolcro dell’Impero, ma per i trantoriani, per gli abitanti di Hame, si trattava di un luogo sinistro, abitato dagli spiriti, che era meglio evitare. Solo gli uomini della Seconda Fondazione osavano mettere piede negli antichi corridoi, o toccare il titanio luccicante.

Eppure, il Mulo per poco non aveva condotto alla rovina di tutto.

Il Mulo era stato su Trantor; che cosa sarebbe successo se avesse scoperto la natura di quel mondo? Le sue armi materiali erano ben più potenti di quelle di cui disponeva la Seconda Fondazione, e le sue armi mentali erano quasi pari a quelle dei suoi avversari. La Seconda Fondazione sarebbe stata ostacolata dalla necessità di fare esclusivamente ciò che era necessario e non di più, e dalla consapevolezza che una vittoria immediata poteva determinare una perdita più grande in seguito.

Se non fosse stato per Bayta Darell e per il suo intervento tempestivo... Ed anche quello si era verificato senza alcun aiuto da parte della Seconda Fondazione!

E poi... era sopraggiunta l’Età d’Oro. I Primi Oratori dell’epoca erano riusciti a trovare il modo di agire, di fermare il Mulo nel suo iter di conquiste, di controllare infine la sua mente, di bloccare poi il passo alla stessa Prima Fondazione quando questa si era fatta sospettosa ed aveva cominciato a domandarsi troppe cose sulla natura e l’identità della Seconda. Preem Palver, diciannovesimo Primo Oratore, il più grande di tutti, era riuscito, non senza terribili sacrifici, ad eliminare definitivamente ogni pericolo ed a salvare il Piano Seldon.

Ora, da centoventi anni, la Seconda Fondazione era tornata a essere quello che era stata un tempo, si era nascosta nella parte di Trantor dove gli haminiani non mettevano piede. I suoi membri non sfuggivano ora gli imperiali, ma la Prima Fondazione, che si era allargata come l’antico Impero Galattico e che era ancora più potente di esso quanto a conoscenze tecnologiche.

Il Primo Oratore chiuse gli occhi, cullato dal piacevole tepore della stanza e scivolò in quello stato mentale indefinito ma rilassante che stava a metà strada tra il sogno allucinatorio ed il pensiero cosciente.

Basta con i pensieri tetri, pensò. Sarebbe andato tutto bene. Trantor era ancora la capitale della Galassia, perché ospitava la Seconda Fondazione, che era più forte di quanto non fosse stato l’Imperatore in passato, e più di lui in grado di controllare la situazione.

Poi sarebbe venuto il Secondo Impero, che però non sarebbe stato come il primo.

Sarebbe stato un Impero Confederato, con i vari stati dotati di notevole autonomia, sicché non si sarebbero avuti i difetti di un governo unitario e centralizzato, apparentemente forte ma in realtà debole. Il nuovo Impero sarebbe stato più flessibile, meno monolitico. Sarebbe stato in grado di far fronte alle tensioni, e sarebbe stato guidato sempre – sempre – dagli uomini e dalle donne della Seconda Fondazione, che agivano in segreto. Trantor sarebbe tornata ad essere la capitale, e con i suoi quarantamila psicostorici sarebbe stata più potente di quanto lo fosse mai stata con i suoi quarantacinque miliardi di...

Il Primo Oratore si svegliò all’improvviso dal suo torpore. Il sole era più basso nel cielo. Che avesse parlato, nel sonno? Che si fosse lasciato sfuggire qualche considerazione ad alta voce?

Se la Seconda Fondazione doveva sapere molto e dire poco, gli Oratori che la governavano dovevano sapere di più e dire di meno, e il Primo Oratore doveva sapere più di tutti e dire meno di tutti.

Shandess fece un sorriso ironico. Era sempre allettante l’idea di diventare patrioti trantoriani. Era allettante pensare che l’intero scopo del Secondo Impero fosse quello di dare origine all’egemonia trantoriana. Seldon aveva lanciato un avvertimento in merito; aveva previsto persino una simile eventualità, con cinque secoli di anticipo.

Il Primo Oratore si rese conto di non aver dormito troppo a lungo; non era ancora l’ora fissata per l’udienza. Era ansioso di parlare in privato con Gendibal. Gendibal era abbastanza giovane da considerare il Piano con occhi nuovi, ed abbastanza intelligente da intuire cose che agli altri sfuggivano. Non era da escludersi che Shandess stesso avesse da imparare qualcosa da lui.

Nessuno poteva dire con sicurezza quanto Preem Palver in persona, il grande Preem Palver, avesse tratto vantaggio da Kol Benjoam che, non ancora trentenne, era venuto a parlargli dei vari modi in cui si potesse fronteggiare la Prima Fondazione.

Benjoam, che in seguito era stato riconosciuto come il più grande teorico dopo Seldon, non aveva mai parlato di quel colloquio privato negli anni successivi, ma alla fine era diventato il ventunesimo Primo Oratore. Alcuni attribuivano a lui, anziché a Palver, il merito delle grandi realizzazioni dell’amministrazione palveriana.

Shandess si chiese che cosa Gendibal avrebbe potuto dirgli. Di solito i giovani in gamba che incontravano per la prima volta da soli il Primo Oratore mettevano tutto il succo delle loro teorie nella prima frase. E certo non chiedevano mai quella prima, importante udienza per motivi banali, non potevano rischiare di fare cattiva impressione sul Primo Oratore e di rovinarsi così la carriera.

Quattro ore dopo, Gendibal si trovava davanti a Shandess: non mostrava il minimo segno di nervosismo ed aspettò con calma che il Primo Oratore iniziasse il discorso.

— Avete chiesto un’udienza privata per discutere di una questione importante, Oratore — disse Shandess. — Vi spiace dirmi in sintesi di che si tratti?

E Gendibal, con la stessa tranquillità con cui avrebbe potuto descrivere che cosa avesse mangiato a cena, disse: — Primo Oratore, il Piano Seldon non ha senso.

2

Stor Gendibal non aveva bisogno del riconoscimento degli altri per sentirsi in gamba. Si era sempre considerato una persona eccezionale. Era stato reclutato all’età di dieci anni da un agente della Seconda Fondazione che aveva riconosciuto le potenzialità della sua mente.

Si era dimostrato bravissimo negli studi, e con la Psicostoria si era trovato perfettamente a suo agio reagendo come un’astronave reagisce ad un campo gravitazionale.

La Psicostoria lo aveva attratto, e lui si era diretto verso di essa con naturalezza.

Aveva letto il testo di Seldon sui fondamenti di quella scienza quando gli altri ragazzi della sua età stavano ancora a pensare sulle equazioni differenziali.

All’età di quindici anni aveva cominciato a frequentare l’Università Galattica di Trantor (l’antica Università di Trantor era stata ribattezzata così), dopo avere superato un colloquio nel corso del quale, alla domanda su quali fossero le sue ambizioni, aveva risposto fermamente: — Diventare Primo Oratore prima dei quarant’anni.

Dire semplicemente «Diventare Primo Oratore» gli sarebbe sembrato troppo poco; di poter arrivare a quella carica, infatti, gli pareva scontato. Il difficile era arrivarci in giovane età: persino Preem Palver ci era riuscito solo a quarantadue anni.

Quando Gendibal aveva risposto in quel modo, un’ombra appena percettibile era apparsa sul viso di chi lo interrogava; il giovane, che aveva già una certa padronanza della psicolingua, era stato in grado di interpretarla: aveva capito perfettamente, come se l’altro glielo avesse annunciato a voce alta, che nella documentazione a lui relativa sarebbe stato annotato «soggetto difficile da trattare».

Certo, perché no? Gendibal aveva tutte le intenzioni di essere un «soggetto difficile da trattare».

Adesso aveva trent’anni, ne avrebbe compiuti trentuno di lì a pochi mesi, ed era già membro del Consiglio degli Oratori. Aveva al massimo nove anni di tempo per diventare Primo Oratore, ma sapeva che ce l’avrebbe fatta. L’udienza con Shandess era fondamentale per i suoi piani; perciò, sforzandosi di dare l’impressione giusta al suo interlocutore, aveva cercato in tutti i modi di migliorare la propria padronanza della psicolingua.

Quando due Oratori della Seconda Fondazione comunicavano tra loro, la loro lingua era diversa da qualsiasi altra lingua della Galassia: non entravano in gioco soltanto le parole, ma anche i gesti più apparentemente insignificanti, nonché la comprensione di ogni minima sfumatura mentale.

Un estraneo avrebbe udito ben poche parole, ma in un breve lasso di tempo si verificava un intenso scambio mentale ed in una forma comunicativa che, almeno letteralmente, riusciva comprensibile soltanto ad un altro Oratore.

La lingua degli Oratori aveva il vantaggio della velocità e della infinita gamma di sfumature, ma aveva anche uno svantaggio: rendeva praticamente impossibile mascherare le proprie opinioni reali.

Gendibal sapeva bene quale fosse la propria opinione sul Primo Oratore.

Shandess, secondo lui, era un uomo che si era lasciato alle spalle il periodo di massimo rigoglio mentale. Non si aspettava crisi di sorta né era preparato a fronteggiarle. Gli mancavano l’acutezza e la prontezza che servivano a risolvere le situazioni difficili. Benché fosse affabile e armato di buona volontà, era la tipica persona che poteva provocare un disastro irrimediabile. Gendibal doveva allontanare quei pensieri non solo dalle parole, dai gesti e dall’espressione del viso, ma anche dalla sua stessa mente. Però non era sicuro di poterlo fare così bene da impedire a Shandess di captare tracce delle sue opinioni segrete.

Del resto, nemmeno Gendibal poteva evitare di captare tracce dell’opinione che il Primo Oratore aveva di lui: oltre la facciata di affabilità e cordialità, in fondo abbastanza sincera, Gendibal colse in lui un atteggiamento vagamente divertito e paternalistico, e rafforzò le difese mentali per non rivelare il proprio risentimento.

Il Primo Oratore sorrise e si appoggiò allo schienale della poltrona. Non arrivò al punto di mettere i piedi sulla scrivania, però manifestò una tranquilla disinvoltura, una noncuranza amichevole che indussero Gendibal a chiedersi quale fosse il reale effetto della sua affermazione.

Poiché non era stato invitato a sedersi, il giovane aveva a disposizione una rosa limitata di azioni ed atteggiamenti atti a ridurre al minimo la sua incertezza. Ed era impossibile che il Primo Oratore non se ne rendesse conto.

— Il Piano Seldon non ha senso? — disse Shandess. — Che affermazione singolare! Avete guardato di recente il Primo Radiante[4], Oratore Gendibal?

— Lo studio di frequente, Primo Oratore. È mio dovere e anche mio piacere farlo.

— Per caso studiate solo quelle parti che rientrino nel vostro campo visivo? Lo osservate in micro-metodo, un sistema di equazioni qui, un piccolo aggiustamento là?

Oh, non dico, è importantissimo farlo, ma ho sempre pensato che di tanto in tanto osservare l’intero corso costituisca un esercizio eccellente. Studiare acro per acro il Primo Radiante è indubbiamente utile, ma osservarlo come un continente è davvero stimolante. A dir la verità è da lungo tempo che non lo guardo in questo modo nemmeno io, Oratore. Volete farmi compagnia?

Gendibal non osò indugiare troppo: bisognava accettare, e accettare di buon grado, altrimenti sarebbe stato come avere detto di no. — Sarà per me un onore e un piacere, Primo Oratore.

Shandess premette un pulsante sul fianco della scrivania. Tutti gli uffici degli Oratori erano forniti di congegni analoghi e quelli che si trovavano nell’ufficio di Gendibal erano esattamente identici a quelli della scrivania di Shandess. La Seconda Fondazione era una società egualitaria in tutte le sue manifestazioni formali, cioè in quelle poco importanti. Anzi, ufficialmente l’unico privilegio del Primo Oratore era quello deducibile dal suo titolo: prendeva sempre la parola per primo.

La stanza divenne buia, ma quasi subito l’oscurità si attenuò, diventando perlacea.

Entrambe le lunghe pareti si colorarono di una tinta chiara che sfumò in un bianco luminoso e alla fine apparvero, stampate nettamente, le equazioni, così piccole da non poter essere lette facilmente.

— Se non avete obiezioni — disse il Primo Oratore, lasciando intendere che non ne avrebbe ammessa alcuna, — ridurrei l’ingrandimento perché si possa vedere quanto più “continente” possibile.

Le equazioni diventarono ben presto linee sottili, spirali scure sullo sfondo perlaceo.

Shandess sfiorò i tasti della piccola consolle incorporata nel bracciolo della sua poltrona. — Lo riporteremo all’inizio, all’epoca in cui viveva Hari Seldon, e lo regoleremo in modo che proceda a piccoli passi, diciamo di un decennio alla volta.

Così si ha la sensazione meravigliosa del fluire della storia, e non si è distratti dai dettagli. Mi chiedo se l’abbiate mai fatto...

— Non esattamente in questo modo, Primo Oratore.

— Ma avreste dovuto, sapete? La sensazione è fantastica. Osservate la scarsità di tracciati scuri all’inizio: non erano possibili molte alternative, nei primi decenni. I punti di ramificazione, però, crescono esponenzialmente col tempo. Se non fosse per il fatto che, appena viene scelta una particolare ramificazione, nel suo futuro si estingue una vasta schiera di altre alternative, tutto diventerebbe ben presto ingovernabile. Naturalmente, nell’affrontare il futuro, dobbiamo stare bene attenti a quali siano le estinzioni su cui contare.

— Lo so, Primo Oratore. — Gendibal non poté fare a meno di rispondere con una nota lievemente brusca nella voce.

Il Primo Oratore fece finta di non averla avvertita.

— Notate le linee sinuose dei simboli in rosso: seguono uno schema preciso.

Secondo ogni apparenza, il loro ordine dovrebbe essere casuale, dato che ciascun Oratore si guadagna il suo posto aggiungendo particolari sottili al Piano originario di Seldon. In fin dei conti sembrerebbe non esserci modo di prevedere dove si possa aggiungere facilmente un particolare o dove un certo Oratore troverà i suoi interessi o le sue disposizioni, eppure io sospetto da tempo che il miscuglio di Seldon Nero ed Oratore Rosso segua una legge inderogabile dipendente quasi esclusivamente dal tempo.

Gendibal guardò gli anni passare e le linee nere e rosse disegnare uno schema intrecciato quasi ipnotico: lo schema in se stesso non significava nulla, naturalmente; quello che contava erano i simboli da cui era composto.

Qui e là apparvero alcuni ruscelletti azzurri: si gonfiarono, si ramificarono, acquistarono sempre più rilievo, poi si disgregarono, confondendosi con le linee nere e rosse.

— Deviazione Azzurra — disse il Primo Oratore, con un senso di disgusto che Stor Gendibal condivise con lui. — Ce ne saranno sempre di più, adesso, finché arriveremo al Secolo delle Deviazioni.

Ci arrivarono. Si poté dedurre con esattezza quando fosse cominciato il fenomeno disgregante del Mulo, perché il Primo Radiante d’un tratto si riempì di ruscelletti azzurri che si ramificavano a vista d’occhio. Alla fine sembrò che la stanza stessa fosse diventata azzurra: le linee si erano ispessite e segnavano la parete col loro disegno luminoso che denunciava un tragico inquinamento (inquinamento era indubbiamente la parola giusta).

Il fenomeno raggiunse il suo apice, poi cominciò a declinare, diminuì di intensità, persistette per un lungo secolo, ed infine, ridotto agli sgoccioli, terminò. Quando fu scomparso, e quando il Piano fu tornato alle consuete linee nere e rosse, apparve chiaro che nella situazione fosse stato determinante l’intervento di Preem Palver.

Avanti, avanti, avanti...

— Ecco il presente — disse tranquillo il Primo Oratore.

Avanti, avanti, avanti...

Lo schema si ridusse ad un vero e proprio groviglio di linee nere strettamente intrecciate, con tracce di rosso in mezzo.

— La nascita del Secondo Impero — disse il Primo Oratore, e spense il Primo Radiante. La stanza fu inondata di nuovo dalla luce normale.

— È stata un’esperienza emozionante — disse Gendibal.

— Sì — disse il Primo Oratore — e si tende, fin che si può, a cercare di non riconoscere il tipo di emozione che viene suscitato in noi. Ma lasciamo stare questo; permettetemi invece di riassumere i punti salienti. Innanzitutto avrete notato la totale assenza di Deviazioni Azzurre dopo l’epoca di Preem Palver, vale a dire negli ultimi centoventi anni. Avrete visto anche che non ci sono probabilità ragionevoli di Deviazioni superiori alla quinta classe nei prossimi cinque secoli. Inoltre, non vi sarà sfuggito che abbiamo cominciato a calcolare gli sviluppi della Psicostoria successivi alla fondazione del Secondo Impero. Come certo saprete, Hari Seldon, benché fosse un genio eccelso, non era ovviamente onniscente. Noi abbiamo perfezionato le sue teorie: sappiamo sulla Psicostoria più cose di quante non ne sapesse lui.

«Seldon fece arrivare i suoi calcoli fino al Secondo Impero, noi siamo andati più in là. In effetti, mi sia concesso dirlo senza con questo offendere nessuno, il nuovo Iper-Piano che va oltre l’epoca della fondazione del Secondo Impero è in gran parte opera mia, ed è ad esso che devo la mia attuale carica.

«Vi dico tutto questo perché mi risparmiate chiacchiere inutili. Davanti ad una situazione del genere, come potete concludere che il Piano Seldon sia senza senso? È invece senza pecche. Il solo fatto che sia sopravvissuto al Secolo delle deviazioni, sia detto con tutto il necessario rispetto per il genio di Palver, dimostra che non abbia pecche. Quali sono i suoi punti deboli? Come potete mai affermare che non sia valido?

Ritto in piedi davanti a Shandess, Gendibal disse: — Avete ragione voi, Primo Oratore: il Piano Seldon non ha pecche.

— Allora ritirate quanto avete detto?

— No, Primo Oratore: la pecca del Piano Seldon è proprio la sua mancanza di pecche. È la sua perfezione ad essere fatale.

3

Il Primo Oratore osservò calmo Gendibal. Aveva imparato a controllare la propria espressione e lo divertiva il fatto che Gendibal, al contrario, non ci riuscisse. Il giovane, mentre parlava con il suo interlocutore, faceva di tutto per nascondere i suoi sentimenti, ma ogni volta, immancabilmente, li rivelava.

Shandess lo studiò spassionatamente: era un ragazzo magro, di statura leggermente superiore alla media; aveva labbra sottili e mani ossute che non stavano mai ferme; gli occhi neri erano seri, e lo sguardo tendeva ad essere torvo.

Sarebbe stato difficile, pensò, indurre un tipo del genere ad abbandonare le proprie convinzioni.

— Vi esprimete per paradossi, Oratore — disse.

— Sembra un paradosso perché riteniamo il Piano Seldon così importante, che diamo per scontate certe cose e le accettiamo in modo acritico.

— Cos’è che mettete in dubbio, allora?

— La base stessa del Piano. Sappiamo tutti che esso non può funzionare se la sua natura, od anche la sua esistenza, siano note a troppe delle persone il cui comportamento sia destinato a prevedere.

— Questo non sfuggì ad Hari Seldon mi pare. Diventò anzi uno dei due assiomi fondamentali della Psicostoria.

— Seldon non previde l’intervento del Mulo, Primo Oratore, e quindi non previde nemmeno quanto i membri della Prima Fondazione sarebbero stati ossessionati dall’idea della Seconda Fondazione, della cui funzione erano venuti a conoscenza tramite il Mulo.

— Hari Seldon... — disse Shandess, e d’un tratto rabbrividì e s’interruppe.

Tutti i membri della Seconda Fondazione sapevano quale fosse stato l’aspetto fisico di Hari Seldon. Dappertutto si potevano vedere riproduzioni a due od a tre dimensioni, fotografiche ed olografiche, in bassorilievo ed a tutto tondo, dello scienziato. Le immagini, che lo rappresentavano in tutte le pose, sia in piedi sia seduto, risalivano agli ultimi anni della sua vita. Seldon appariva in esse un vecchio benevolo con un viso grinzoso e saggio che era come il simbolo della genialità pienamente maturata.

Ma il Primo Oratore si era appena ricordato di avere visto una volta una foto che si riteneva essere di Seldon giovane. Era una foto che circolava poco, poiché un Seldon giovane sembrava quasi una contraddizione in termini. Eppure Shandess l’aveva vista, e d’un tratto gli era parso che Stor Gendibal somigliasse straordinariamente all’uomo ritratto.

Era ridicolo, naturalmente. Era una di quelle idee irrazionali che ogni tanto affliggevano anche le persone più ragionevoli. Per un attimo, assurdamente, aveva pensato che Seldon da giovane avesse più di un tratto in comune con Gendibal, ma se avesse avuto davanti la foto in quel momento avrebbe constatato subito che la somiglianza fosse solo un’illusione. Come mai, però, quell’idea sciocca gli era venuta in mente proprio adesso?

Shandess si riprese dal suo momentaneo disorientamento. Era stata una pausa brevissima, un’incertezza così fuggevole, da poter essere notata solamente da un Oratore. Gendibal l’avrebbe interpretata secondo la sua particolare sensibilità.

— Hari Seldon — ripeté Shandess, questa volta con molta decisione, — sapeva bene come ci fosse un numero infinito di possibilità che non poteva prevedere, e fu per questo che diede vita alla Seconda Fondazione. È vero, non riuscimmo a prevedere l’intervento del Mulo, ma lo riconoscemmo quando entrò in azione e lo fermammo. Non prevedemmo che la Prima Fondazione si sarebbe intestardita a cercarci, ma quando questo avvenne ce ne accorgemmo e trovammo il rimedio. Che cosa ci può essere di sbagliato in tutto ciò?

— Innanzitutto — disse Gendibal, — la Prima Fondazione è tuttora ossessionata dall’idea della Seconda.

C’era meno deferenza, adesso, nel suo tono di voce. Il giovane, capì Shandess, aveva notato la breve pausa del suo interlocutore e l’aveva attribuita ad incertezza.

Bisognava respingere l’attacco.

— Lasciate che prevenga le vostre osservazioni — disse il Primo Oratore con vivacità. — Probabilmente qualcuno della Prima Fondazione, confrontando le terribili difficoltà dei primi quattro secoli o quasi della sua storia con la tranquillità degli ultimi centoventi anni, arriverà a concludere che questa tranquillità sia dovuta alla Seconda Fondazione, che si sta prendendo opportuna cura del Piano. E naturalmente le sue conclusioni saranno esatte. Questo qualcuno penserà, giustamente, che la Seconda Fondazione non sia stata distrutta veramente, ed in effetti ci è arrivata notizia che un giovane di Terminus, il pianeta-capitale della Prima Fondazione, è convintissimo di ciò: si tratta di un funzionario del governo di cui al momento non ricordo il nome...

— Golan Trevize — disse Gendibal in tono gentile. — Sono stato io a stralciare la notizia dai rapporti e ad inoltrarla al vostro ufficio.

— Davvero? — disse il Primo Oratore con cortesia esagerata. — E come mai questo Trevize ha attratto la vostra attenzione?

— Uno dei nostri agenti su Terminus ci ha spedito un tedioso rapporto sui membri del Consiglio eletti di recente. Una procedura di ordinaria amministrazione, uno di quei rapporti che vengono regolarmente ignorati da tutti gli Oratori. Questo ha attratto la mia attenzione per come vi veniva descritto il nuovo Consigliere, Golan Trevize: se ne parlava come di una persona eccezionalmente sicura di sé e combattiva.

— L’avete giudicata simile a voi, eh?

— No, affatto — disse Gendibal, secco. — Mi è sembrato dalla descrizione un tipo avventato che si diverta a fare cose ridicole, ed io non sono certo così. In ogni modo ho condotto uno studio in profondità: non mi ci è voluto molto per capire che ci sarebbe stato molto utile se l’avessimo reclutato in giovanissima età.

— Può anche essere — disse il Primo Oratore, — ma sapete che non reclutiamo nessuno su Terminus.

— Lo so bene. In ogni caso, pur non essendo stato addestrato da noi, ha un’intuizione eccezionale, anche se è del tutto indisciplinato. Non mi sono quindi sorpreso granché quando ho letto che aveva indovinato che la Seconda Fondazione esista ancora: non mi sono stupito, ma ho ritenuto la cosa abbastanza importante da inoltrare al vostro ufficio un appunto.

— Dal vostro modo di fare arguisco che ci siano stati nuovi sviluppi...

— Infatti. Trevize ha usato le sue notevoli facoltà intuitive in un modo indisciplinato, caratteristico di certi membri della Prima Fondazione, e di conseguenza è stato esiliato.

Il Primo Oratore inarcò le sopracciglia. — Vi siete interrotto di colpo. È evidente che vogliate che interpreti il significato della vicenda. Senza usare il mio computer, applicherò mentalmente un’approssimazione rozza delle equazioni di Seldon, concludendo che un sindaco scaltro che sospetta che la Seconda Fondazione esista ancora, preferisce che un certo individuo, ribelle, non lo gridi a tutta la Galassia e non avverta in questo modo la Seconda Fondazione del pericolo. In altre parole. Branno la Bronzea ha pensato che Terminus sarebbe stato più al sicuro senza Trevize.

— Avrebbe potuto imprigionarlo o farlo assassinare di nascosto.

— Le equazioni non si possono applicare validamente agli individui, come ben sapete: sono esatte solo se si prendono in considerazione le masse. Il comportamento individuale è imprevedibile; si può presumere che il sindaco sia una persona umana che ritenga crudele buttare uno in prigione o, ancor più, assassinarlo.

Gendibal rimase in silenzio per un po’. Era un silenzio eloquente ed il giovane lo mantenne abbastanza a lungo da provocare incertezza nel Primo Oratore, ma non tanto a lungo da determinare in lui una reazione difensiva di rabbia.

Con tempismo perfetto pose fine a un certo punto al suo mutismo e disse: — La mia interpretazione è diversa dalla vostra: io credo che Trevize rappresenti in questo momento l’elemento di punta della più grande minaccia che abbia mai insidiato la Seconda Fondazione. Una minaccia superiore addirittura a quella incarnata dal Mulo.

4

Gendibal era soddisfatto. La sua affermazione aveva avuto l’effetto sperato: il Primo Oratore non se l’era aspettata ed era stato preso in contropiede. Adesso era Gendibal ad avere il coltello dalla parte del manico, e se poteva avere ancora il minimo dubbio sulla cosa, la successiva affermazione di Shandess glielo dissipò.

— Tutto ciò ha qualcosa a che vedere con le vostre convinzioni a proposito del Piano Seldon?

Sentendo di avere la situazione in pugno Gendibal si lasciò andare ad un didascalismo che difficilmente avrebbe permesso al Primo Oratore di riprendersi. — Primo Oratore — disse, — che sia stato Preem Palver a riportare il Piano alla normalità dopo l’episodio aberrante rappresentato dal Secolo delle Deviazioni è ritenuto un articolo di fede. Studiate il Primo Radiante e vedrete che le Deviazioni scomparvero solo vent’anni dopo la morte di Palver, e che dopo di allora non ce ne furono più: il merito si potrebbe attribuire ai Primi Oratori che succedettero a Palver, ma è un’ipotesi improbabile.

— Improbabile? Certo, nessuno di noi è mai stato un Palver, ma... perché improbabile?

— Mi permettete di dimostrarvelo? Usando la matematica della Psicostoria, sono in grado di provare senza possibilità di dubbio che le probabilità che le Deviazioni scompaiano del tutto sono troppo infinitesime per essersi verificate in quest’ultimo secolo. Non è necessario che mi concediate di fare questa dimostrazione se non avete né il tempo né la voglia di assistervi. Richiede almeno mezz’ora di stretta concentrazione. Posso sempre, in alternativa, chiedere che si riunisca al completo la Tavola degli Oratori e procedere lì alla dimostrazione, significherebbe però una perdita di tempo per me ed una discussione inutile.

— Sì, e magari io perderei anche la faccia. Provatemi le vostre teorie adesso. Una parola di avvertimento, però... — Shandess stava facendo uno sforzo eroico per riguadagnare il terreno perduto. — Se ciò che mi mostrerete si rivelerà una sciocchezza, non passerò sopra alla cosa.

— Se si rivelerà una sciocchezza — disse Gendibal con un flusso spontaneo di orgoglio che schiacciò l’altro, — rassegnerò immediatamente le dimissioni.

In realtà la dimostrazione richiese ben più di un’ora, perché il Primo Oratore mise in dubbio quasi con furia la validità della matematica di Gendibal.

Gendibal ricuperò parte del tempo perduto grazie alla sua capacità di usare con destrezza il Micro-Radiante. Il congegno che poteva localizzare olograficamente qualsiasi porzione del vasto Piano e che non aveva bisogno né di pareti, né di consolle a scrivania, era entrato in uso solo un decennio prima e il Primo Oratore non aveva mai imparato a maneggiarlo bene. Gendibal lo sapeva, e Shandess si rendeva conto che l’altro lo sapeva.

Il giovane Oratore fissò il congegno al pollice della mano destra e manipolò i comandi con le altre quattro dita, come se stesse suonando uno strumento musicale.

(In effetti, proprio lui aveva scritto un breve saggio sulle analogie tra Micro-Radianti e strumenti musicali).

Le equazioni che elaborò con tranquilla sicurezza si mossero avanti ed indietro sinuosamente, accompagnando il suo commento. Manovrato da Gendibal, il congegno fornì definizioni, enunciò assiomi, produsse grafici sia bidimensionali, sia tridimensionali (per non parlare delle proiezioni di relazioni multidimensionali).

Il commento del giovane era chiaro e acuto, e il Primo Oratore gettò la spugna; era ormai completamente sconfitto, e disse:

— Non ricordo di aver mai visto prima un’analisi del genere. A chi si deve?

— A me, Primo Oratore: ho pubblicato i fondamenti matematici alla base di questo studio.

— Complimenti, Oratore Gendibal. Questo vi darebbe diritto alla carica di Primo Oratore, ove io morissi o mi dimettessi.

— A ciò non ho pensato affatto. Tuttavia, poiché è del tutto impossibile che mi crediate, ritirerò quanto detto: ci ho pensato, e spero di diventare Primo Oratore, visto anche che chi succederà a voi dovrà per forza seguire una procedura che soltanto io comprendo chiaramente.

— Sì — disse Shandess, — la falsa modestia può essere assai pericolosa. Di che procedura parlate? Forse sono in grado di seguirla anch’io. Sono troppo vecchio per compiere atti creativi del genere di quello compiuto da voi, ma non sono così vecchio da non saper seguire le vostre istruzioni.

Era una capitolazione completa, e Gendibal, istintivamente, si sentì ben disposto verso il collega più anziano, pur rendendosi conto che l’altro, con il suo comportamento, mirava proprio ad ottenere da lui quella particolare disponibilità.

— Grazie, Primo Oratore. Sono lieto che diciate così, perché avrò un gran bisogno del vostro aiuto. Non posso sperare di influenzare la Tavola senza la vostra guida illuminata. — (Cortesia per cortesia.) — Presumo dunque che abbiate già capito dalla mia dimostrazione come sia impossibile che il Secolo delle Deviazioni sia stato corretto dall’azione dei Primi oratori e che le Deviazioni da allora siano cessate completamente.

— Sì, mi è chiaro — disse Shandess. — Se la vostra matematica è corretta, il ritorno del Piano alla normalità e ad un funzionamento perfetto quale quello attuale è spiegabile soltanto se si presume che si possano prevedere con un certo grado di sicurezza le reazioni di piccoli gruppi di persone od addirittura dei singoli individui.

— Proprio così. Poiché la matematica della Psicostoria non permette questo, le Deviazioni non sarebbero dovute sparire, e men che mai rimanere per tanto tempo assenti dal quadro. Capirete dunque che cosa intendessi quando ho affermato che la pecca del Piano Seldon sia la sua mancanza di pecche.

— Allora, o nel Piano Seldon sono presenti le Deviazioni, o c’è qualcosa di errato nella vostra matematica — disse il Primo Oratore. — Poiché devo ammettere che da più di un secolo non si vedono Deviazioni nel Piano, sono costretto a concludere che ci sia effettivamente qualcosa di errato nella vostra matematica, salvo riconoscere che nei vostri calcoli non abbia notato errori di sorta...

— State escludendo una terza alternativa — disse Gendibal. — Può essere benissimo che il Piano Seldon sia privo di Deviazioni e che tuttavia sia ineccepibile la mia matematica, la quale denuncia come impossibile un fatto del genere.

— In che modo le due cose potrebbero essere compatibili?

— Supponiamo che il Piano Seldon sia controllato attraverso un metodo psicostorico così avanzato da permettere di prevedere le reazioni di piccoli gruppi e persino di singoli individui, un metodo che noi della Seconda Fondazione non conosciamo. In questo caso, e soltanto in questo caso, sarebbe matematicamente comprensibile l’assenza di Deviazioni dal Piano.

Per un po’ (un po’ relativo ai parametri della Seconda Fondazione) il Primo Oratore restò in silenzio. Poi disse: — Non conosco un metodo psicostorico così raffinato, e dal vostro modo di fare deduco che non lo conosciate nemmeno voi. Se né voi né io lo conosciamo, le probabilità che questa micro-Psicostoria, se così posso chiamarla, sia stata messa a punto da un altro Oratore o da un altro gruppo di Oratori che sarebbero riusciti a tenerla nascosta al resto della Tavola, sono infinitamente piccole. Non siete d’accordo?

— Sono d’accordo.

— Allora, o la vostra analisi è sbagliata, o la micro-Psicostoria è una realtà, ma una realtà di cui si è impadronito un qualche gruppo estraneo alla Seconda Fondazione.

— Esatto, Primo Oratore: la seconda alternativa dev’essere per forza quella giusta.

— Siete in grado di dimostrare la verità di questa affermazione?

— No, non in senso formale. Però riflettete... Non c’è già stata una persona capace di influenzare il Piano Seldon grazie al controllo dei singoli individui?

— Immagino che vi riferiate al Mulo.

— Sì, certo.

— Il Mulo sapeva solo distruggere. Il problema, qui, è che il Piano Seldon funziona anche troppo bene, molto meglio di quanto gli consentirebbe la matematica.

Ci vorrebbe un Anti-Mulo, una persona capace, come il Mulo, di non tenere in alcun conto il Piano, ma decisa, con questo suo comportamento, a perfezionare le cose, anziché distruggerle.

— Infatti, Primo Oratore: avete coniato un’espressione assai efficace. Che cos’era il Mulo? Un mutante. Ma da dove veniva? Quali furono le sue origini? Nessuno lo sa.

Non potrebbero esserci altri individui come lui?

— No, sembra proprio di no. L’unica cosa che si sappia bene del Mulo è che fosse sterile. Per questo fu soprannominato “Mulo”. O credete che quella della sterilità sia una leggenda?

— Non penso a discendenti del Mulo, ma che il Mulo possa essere la pecora nera di un gruppo magari nutrito di persone dotate di poteri particolari. Queste persone per qualche motivo avrebbero interesse a non distruggere il Piano, ma a sostenerlo.

— Perché mai dovrebbero sostenerlo?

— Perché noi lo sosteniamo? Perché miriamo a fondare il Secondo Impero, le cui sorti saranno decise da noi, o meglio dai nostri eredi morali. Se altre persone stanno occupandosi attivamente del Piano, o meglio di noi, è ovvio che intendono non lasciare a noi il compito di prendere decisioni: vogliono prenderle loro, anche se non sappiamo a che scopo. Non dovremmo forse cercare di scoprire verso che tipo di Secondo Impero cercano di spingerci?

— Secondo voi come si potrebbe scoprirlo?

— Perché il sindaco di Terminus ha esiliato Golan Trevize? Perché così ha permesso ad una persona potenzialmente pericolosa di muoversi liberamente per la Galassia. Non posso credere che l’abbia fatto per motivi umanitari. Nel corso della storia chi ha governato la Prima Fondazione ha sempre agito seguendo una politica realista, vale a dire senza tener conto della morale. Salvor Hardin, uno degli eroi della Prima Fondazione, di fatto prese decisioni che andavano contro la morale. No, credo che il sindaco sia stato costretto ad agire come ha agito da agenti degli Anti-Mulo, tanto per usare il termine da voi coniato. Penso che Trevize sia stato reclutato da loro e che sia l’elemento di punta del piano pericoloso che è stato ordito contro di noi. Un piano di una pericolosità inaudita.

— Per Seldon, forse avete ragione — disse il Primo Oratore.

— Ma come faremo a convincere la Tavola?

— Sottovalutate il vostro carisma, Primo Oratore.

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