Parte ottava La contadina

1

Seduti intorno alla Tavola, gli Oratori erano chiusi nei loro schermi mentali. Era come se, di comune accordo, tutti avessero nascosto la loro mente per evitare di recare un insulto sanguinoso al Primo Oratore, dopo che questi aveva fatto la sua osservazione su Trevize. Lanciarono un’occhiata furtiva a Delora Delarmi, e anche questo fu abbastanza eloquente. La Delarmi era nota per essere la più irriverente di tutti: persino Gendibal rispettava le convenzioni più di lei.

Conscia degli sguardi altrui, la Delarmi capì che non aveva altra scelta che far fronte a quella situazione impossibile. Del resto, non aveva alcuna intenzione di sottrarsi al compito. In tutta la storia della Seconda Fondazione, nessun Primo Oratore era mai stato incriminato per analisi errata (e dietro quel termine di copertura c’era il termine, non ammesso, di incompetenza); una tale incriminazione ora diventava possibile. Lei non si sarebbe certo tirata indietro.

— Primo Oratore — disse, con le labbra sottili che, più pallide del solito, si confondevano col generale pallore del viso, — voi stesso affermate di non avere dati che suffraghino le vostre opinioni. Voi stesso affermate che la matematica psicostorica non vi abbia fornito risultati. Ci chiedete forse di prendere una decisione importantissima in base ad una sorta di esperienza mistica?

Il Primo Oratore alzò gli occhi. Aveva la fronte corrugata ed era conscio dello schermo mentale eretto dalla Tavola. Sapeva cosa significasse. Disse, gelido: — Non nascondo di non avere prove. Sono in assoluta buonafede. Quello che vi ho reso noto è un’idea derivata da intuizione, l’intuizione di un Primo Oratore che ha passato quasi tutta la vita ad analizzare attentamente il Piano Seldon. — Si guardò intorno con una solennità ed un orgoglio che raramente ostentava, e gli schermi mentali, uno dopo l’altro, si attenuarono e caddero. Quello della Delarmi (quando Shandess si voltò a guardarla) fu l’ultimo a cadere.

Con una franchezza disarmante che le riempì la mente fino in fondo, Delora Delarmi disse: — Naturalmente accetto la vostra dichiarazione, Primo Oratore.

Tuttavia penso che potreste voler riflettere ulteriormente sulla cosa. E mentre vi riflettete sopra, dopo avere già espresso rammarico per essere dovuto ricorrere all’intuizione, non vorreste per caso cancellare dalla registrazione le vostre osservazioni? Sempre che a vostro giudizio sia giusto farlo, s’intende...

— Quali sono queste osservazioni che dovrebbero essere cancellate dalla registrazione? — disse la voce di Gendibal, inserendosi nella conversazione.

Tutti gli Oratori si girarono: se non fosse stato per lo schermo mentale che li aveva isolati fino ad allora avrebbero captato la presenza di Gendibal da molto prima del suo arrivo nella sala.

— Tutti chiusi nei loro schermi fino a un momento fa! Nessuno si è accorto che arrivavo, eh? — disse Gendibal, ironico. — Com’è banale, questa riunione della Tavola! Non stavate in guardia pensando al mio arrivo imminente? O credevate che non sarei più arrivato?

Quello sfogo violava clamorosamente tutte le regole. Che Gendibal fosse in ritardo era già abbastanza grave; che fosse entrato senza preavviso era ancora più grave; che avesse cominciato a parlare prima che Shandess avesse ammesso la sua presenza lì era l’infrazione più grave di tutte.

Il Primo Oratore si girò verso di lui. Tutto il resto passava in secondo piano; la questione della disciplina era la più importante.

— Oratore Gendibal — disse, — siete in ritardo, arrivate senza preavviso e vi mettete a parlare: c’è qualche ragione per cui non dobbiate essere sospeso dalla carica per trenta giorni?

— Certo. Non si può procedere alla mia sospensione finché non si sia stabilito prima chi sia stato a fare in modo che arrivassi in ritardo, e perché l’abbia fatto. — Le parole di Gendibal erano fredde e misurale, ma la sua mente aveva avvolto i pensieri nella collera; all’Oratore non importava affatto che gli altri la percepissero.

Delora Delarmi indubbiamente la percepì. Disse, con veemenza: — Quest’uomo è pazzo.

— Pazzo? Pazza è la donna che lo dice, o consapevole della propria colpa. Primo Oratore, mi rivolgo formalmente a voi per chiedervi il diritto di usufruire del privilegio personale.

— Che tipo di privilegio personale, Oratore?

— Primo Oratore, io accuso una delle persone qui presenti di tentato omicidio.

Il caos esplose nella sala. Gli Oratori scattarono in piedi esprimendo con parole, sfumature mentali, espressioni il loro sgomento davanti a quell’affermazione.

Il Primo Oratore levò in allo le braccia e gridò: — L’Oratore Gendibal deve avere modo di spiegare il senso della sua richiesta. — Fu costretto ad intensificare mentalmente la sua autorità in un modo che era ben poco adatto al luogo, ma non c’era altra scelta.

Il clamore si placò.

Gendibal aspettò immobile che il silenzio fosse totale sia nella sala sia nelle menti.

Poi disse: — Mentre venivo qui, correndo lungo una strada hamiana ad una velocità che mi avrebbe permesso di arrivare comodamente in tempo per la riunione, sono stato fermato da numerosi agricoltori, e solo per un pelo sono scampato ad una rissa e forse alla morte. Dato come sono andate le cose, è chiaro che abbia fatto tardi e che sia potuto arrivare soltanto adesso. Innanzitutto mi sia concesso sottolineare come episodi del genere non si verificassero da tempo immemorabile, ovvero dall’epoca del Grande Saccheggio: non ho mai saputo di membri della Seconda Fondazione che siano stati apostrofati in modo irrispettoso da contadini hamiani, e tanto meno maltrattati.

— Nemmeno io — disse il Primo Oratore.

— I membri della Seconda Fondazione di solito non passeggiano da soli in territorio hamiano! — gridò la Delarmi. — Voi provocate episodi del genere, comportandovi così!

— È vero che ho l’abitudine di passeggiare da solo in territorio hamiano — disse Gendibal. — Ho fatto centinaia di passeggiate, ed in tutte le direzione possibili. Ma non ero mai stato abbordato prima d’ora. Gli altri non passeggiano a lungo ed in ogni direzione come me, però nessuno si esilia dal mondo o si rinchiude nell’Università.

Eppure episodi del tipo di quello capitatomi non erano mai successi. Ricordo che in certe occasioni la Delarmi... — Gendibal s’interruppe un attimo, come se si fosse ricordato troppo tardi del titolo onorifico; poi, di proposito, lo trasformò nel peggiore degli insulti. — Voglio dire, ricordo che varie volte l’Oratrice Delarmi si è trovata in territorio hamiano, e che tuttavia non è mai stata abbordata.

— Forse perché non ho attaccato discorso per prima e ho mantenuto le distanze — disse la Delarmi, con sguardo torvo. — Mi sono comportata come una che meritava rispetto, e mi hanno rispettato.

— Strano — disse Gendibal. — Avrei detto che era perché il vostro aspetto incuta assai più paura del mio. Dopotutto, anche qui sono pochi quelli che abbiano il coraggio di avvicinarvi. Ma ditemi, come mai, avendo avuto innumerevoli occasioni per abbordarmi, gli hamiani avranno scelto di farlo proprio il giorno in cui dovevo partecipare ad un’importante riunione della Tavola?

— Se non è stato il vostro comportamento a provocarli, allora si sarà trattato di un caso — disse Delora Delarmi. — Nemmeno la matematica di Seldon è riuscita a togliere il fattore caso dalla Galassia, soprattutto per quanto concerne gli individui. O non mi tirereste fuori anche voi le sensazioni, le intuizioni, i sesti sensi? — (Alcuni Oratori si lasciarono andare ad un lieve sospiro mentale, davanti a quella stoccata destinata al Primo Oratore.)

— Non è stato il mio comportamento, non è stato il caso: è stato un intervento fatto di proposito — disse Gendibal.

— Come possiamo saperlo? — disse il Primo Oratore gentilmente. Dopo la stoccata della Delarmi era logico che il suo atteggiamento verso Gendibal fosse più disponibile.

— La mia mente è aperta, Primo Oratore. Offro a voi e a tutta la Tavola il ricordo degli avvenimenti.

Agli Oratori occorsero pochi secondi per assimilare i ricordi di Gendibal.

— Traumatizzante — disse Shandess, alla fine. — Vi siete comportato molto bene, Oratore Gendibal. Erano circostanze assai difficili. Riconosco che il comportamento hamiano è anomalo e ci autorizza ad un’indagine. Nel frattempo, vi prego di unirvi a noi e di partecipare alla riunione...

— Un momento — intervenne la Delarmi. — Come possiamo essere certi che il resoconto dell’Oratore sia accurato?

Gendibal s’indignò per l’insulto, ma mantenne la sua calma e la sua compostezza.

— La mia mente è aperta.

— Ho conosciuto menti aperte che non erano affatto aperte.

— Non ne dubito, Oratore, dato che anche voi, come noi tutti, dovete tenere la mente pronta alle eventuali ispezioni... La mia però, quando è aperta, è aperta sul serio.

Shandess disse: — Cerchiamo di non provocare ulteriori...

— Mi scuso per l’interruzione, Primo Oratore, ma chiedo di usufruire del privilegio personale — disse Delora Delarmi.

— Che tipo di privilegio personale, Oratore?

— L’Oratore Gendibal ha accusato uno di noi di tentato omicidio probabilmente perché ritiene che il contadino sia stato istigato ad attaccarlo. Finché l’accusa non viene ritirata, io devo essere considerata come una potenziale omicida; il che vale anche per tutte le altre persone presenti in questa sala, compreso voi.

— Pensate di ritirare l’accusa, Oratore Gendibal? — disse Shandess.

Gendibal si sedette al suo posto e strinse forte i braccioli della poltrona, come prendendo possesso di essa. — La ritirerò — disse, — appena qualcuno mi spiegherà come mai un agricoltore hamiano abbia radunato vari amici e sia partito di casa con la chiara intenzione di impedirmi, col loro aiuto, di arrivare in tempo a questa riunione.

— Forse le ragioni sono molteplici — disse Shandess. — Ripeto che si indagherà opportunamente su tale episodio. Intanto, Oratore Gendibal, vorreste ritirare l’accusa per permetterci di continuare la discussione?

— Non posso, Primo Oratore. Per lunghi minuti ho sondato con delicatezza la mente dell’hamiano, cercando il modo di correggere il suo comportamento senza produrre danni, e non ci sono riuscito: la sua mente mancava della necessaria elasticità, le emozioni erano cristallizzate, come se fossero state fissate da una forza esterna.

Delora Delarmi disse, con un sorrisetto: — E pensate che uno di noi fosse questa forza esterna? La colpa non potrebbe essere invece di quella fantomatica organizzazione che a vostro avviso sarebbe potentissima ed in competizione con noi?

— Sì — disse Gendibal.

— In tal caso noi, che non facciamo parte della famosa organizzazione nota a voi solo, non siamo colpevoli, e quindi dovreste ritirare la vostra accusa. O pensate forse che uno dei presenti sia sotto controllo del nemico? Che appaia in un modo, ma sia in realtà in un altro?

— Può essere — disse impassibile Gendibal, perfettamente consapevole che la Delarmi stesse allungandogli una corda che aveva in fondo un nodo scorsoio.

Preparandosi a stringere il nodo scorsoio, Delora Delarmi disse: — La vostra idea di un’organizzazione misteriosa, segreta, sconosciuta potrebbe sembrare un tipico delirio paranoide. Ed in questo quadro paranoide s’inserirebbe bene la fantasia degli hamiani che vengono influenzati e degli Oratori che sono controllati dall’esterno.

Tuttavia sono disposta a seguire ancora per un attimo la vostra singolare linea di pensiero e vi chiedo: chi di noi è controllato dall’organizzazione, Oratore? Forse io?

— Non direi, Oratore — disse Gendibal. — Se aveste scelto un modo così indiretto per liberarvi di me, non mostrereste tanto apertamente la vostra antipatia nei miei confronti.

— Potrei farlo apposta perché giungeste a tali conclusioni — disse la Delarmi, gongolante. — Sarebbe una deduzione più che plausibile, per una mente paranoide.

— Può darsi. Voi ve ne intendete molto più di me, in questo campo.

— Sentite, Oratore Gendibal — disse l’Oratore Lestin Gianni, con foga, — se discolpate l’Oratore Delarmi, incolpate direttamente noialtri. Che motivi potremmo avere avuto per farvi fare tardi alla riunione, od addirittura per farvi uccidere?

Gendibal rispose prontamente, come se aspettasse da tempo quella domanda. — Quando sono entrato, stavate parlando di cancellare dalla registrazione certe osservazioni del Primo Oratore. Io sono l’unico che non abbia potuto udire quelle osservazioni. Spiegatemi su che cosa vertessero e credo che vi saprò dire il motivo per cui qualcuno mi abbia costretto ad arrivare in ritardo.

Shandess disse: — Avevo affermato una cosa su cui l’Oratore Delarmi ed anche altri hanno trovato molto da ridire; basandomi sulla mia intuizione e sull’uso assolutamente improprio della matematica psicostorica, avevo affermato che Golan Trevize sia probabilmente l’elemento-chiave da cui dipenda il futuro del Piano.

— Che cosa pensino gli altri Oratori non mi riguarda — disse Gendibal. — Io concordo con voi: Trevize è la chiave di tutto. Trovo che il suo esilio improvviso sia troppo strano per essere privo di pericoli.

— Volete dire, Oratore Gendibal, che Trevize s lo strumento dell’organizzazione misteriosa, o che lo sia chi l’ha mandato in esilio? — disse Delora Delarmi. — Non saranno per caso strumenti dell’organizzazione tutti quanti, a parte voi, il Primo Oratore e me, che avete scagionato poco fa?

— A questi vaneggiamenti non vale nemmeno la pena rispondere — disse Gendibal. — Mi sia invece permesso di chiedere se fra i presenti ci sia qualcuno che sia d’accordo con il Primo Oratore e con me. Presumo abbiate letto l’analisi matematica che, con l’approvazione del Primo Oratore, ho fatto circolare tra di voi.

Silenzio.

— Ripeto la domanda: c’è qualcuno che sia d’accordo?

Silenzio.

— Primo Oratore — disse Gendibal, — ora è chiaro perché si è voluto che ritardassi.

— Spiegatevi meglio — disse Shandess.

— Voi avete affermato che vi pareva importante tenere d’occhio questo Trevize, questo membro della Prima Fondazione. Una dichiarazione del genere rappresenta un’iniziativa importante, dal punto di vista tattico, e se gli Oratori hanno letto la mia analisi, avranno capito cosa ci fosse nell’aria. La regola è che, se gli Oratori dissentono da voi all’unanimità, allora, per l’autolimitazione prescritta dalla tradizione, non potete procedere oltre. Se invece anche un solo Oratore vi sostiene, voi siete in grado di dare il via alla nuova linea d’azione. Bene, in questo caso io ero l’unico Oratore che potesse appoggiarvi, come chiunque abbia letto la mia analisi doveva sapere; per questo bisognava a tutti i costi impedirmi di partecipare alla riunione. Il piano per poco non ha avuto successo, ma adesso sono qui, e sostengo il Primo Oratore. Sono d’accordo con lui e lui può quindi, in accordo con la nostra tradizione, ignorare i dissenzienti, cioè gli altri dieci Oratori.

Delora Delarmi batté un pugno sul tavolo. — Il vostro discorso insinua che qualcuno sapesse in anticipo quello che il Primo Oratore avrebbe detto, che sapesse in anticipo che l’Oratore Gendibal si sarebbe dichiarato d’accordo, contrariamente agli altri dieci, il che è chiaramente impossibile. Non solo, il vostro discorso lascia capire anche che l’iniziativa del Primo Oratore non piacerebbe all’organizzazione inventata dalla vostra mente paranoide, e che tale organizzazione, allo scopo di combattere la detta iniziativa, avrebbe posto sotto il suo controllo uno o più Oratori.

— Sì, è esatto — convenne Gendibal. — La vostra analisi è magistrale.

— Chi accusate? — gridò la Delarmi.

— Nessuno in particolare: rimetto la questione nelle mani del Primo Oratore. È evidente che all’interno della Seconda Fondazione ci sia qualcuno che lavori contro di noi. Propongo che chiunque faccia parte di essa sia sottoposto a un’analisi mentale completa. Chiunque, Oratori compresi. E non escludo né me, né il Primo Oratore.

La riunione della Tavola si chiuse nel caos più totale, una confusione quale non si era mai registrato nella storia della Seconda Fondazione. E quando Shandess disse finalmente la frase con cui aggiornava la seduta, Gendibal, senza parlare con nessuno, andò subito nella sua stanza. Sapeva bene di non avere un solo amico fra gli Oratori; e persino l’aiuto che poteva dargli il Primo Oratore nasceva da un sentimento tutt’altro che entusiasta.

Non sapeva dirsi se temesse di più per se stesso o per la Seconda Fondazione: avvertiva un amaro sentore di rovina.

2

Gendibal non dormì bene. Nei suoi sogni, come nei suoi pensieri coscienti, era impegnato a litigare con Delora Delarmi. In un particolare sogno la figura di lei si confuse con quella di Rufirant, Gendibal si ritrovò così ad affrontare una gigantesca Delarmi che gli si faceva incontro con enormi pugni pronti a colpirlo e con un sorriso insidioso che rivelava una chiostra di denti aguzzi come aghi.

Alla fine si svegliò, più tardi del solito e con la sensazione di non avere riposato affatto. Il cicalino stava ronzando sommessamente. Gendibal si girò e premette il contatto.

— Sì? Cosa c’è?

— Oratore... — La voce era quella del supervisore del suo piano e suonava meno rispettosa del dovuto. — C’è un visitatore che desidera parlarvi.

— Un visitatore? — Gendibal punzonò la tabella degli appuntamenti e lo schermo gli mostrò che non ne aveva fino a mezzogiorno. Premette il bottone dell’ora e vide che erano le otto e trentadue del mattino. Disse, stizzito: — Chi diavolo è, per la Galassia?

— Non vuol dire il suo nome, Oratore. Poi, con tono di chiara disapprovazione, il supervisore aggiunse: — Uno di quegli hamiani, Oratore. Dice che è qui dietro vostro invito. — L’ultima frase fu detta con disapprovazione ancora maggiore.

— Fatelo aspettare in sala d’attesa finché non vengo io. Mi ci vorrà un po’.

Gendibal non si preoccupò di far presto. Mentre si lavava, si abbandonò a riflessioni: che qualcuno si servisse di un hamiano per mettergli i bastoni fra le ruote poteva anche essere; ma gli sarebbe piaciuto sapere chi fosse, quel qualcuno. E come mai l’hamiano fosse venuto addirittura a domandare di lui lì? Si trattava forse di una trappola raffinata?

Che cosa poteva mai spingere un contadino hamiano all’interno dell’Università?

Che motivi avrebbe potuto addurre? E che motivi reali aveva?

Per una frazione di secondo Gendibal rimase incerto, chiedendosi se non fosse il caso di armarsi. Poi decise di no: non poteva ammettere di non essere capace di controllare un hamiano lì nei locali dell’Università. Ci sarebbe riuscito certo, senza correre rischi e senza lasciare segni nella sua mente.

Pensò che l’incidente con Karoll Rufirant, il giorno prima, lo avesse turbato troppo. A proposito, che si trattasse dello stesso Rufirant? Ora che forse era libero da influenze esterne, poteva essere venuto da lui a porgergli le sue scuse, timoroso di eventuali punizioni. Ma come poteva sapere l’indirizzo? Sapere a chi rivolgersi?

Gendibal percorse con passo spedito il corridoio ed entrò nella sala d’attesa. Lì si arrestò di colpo, sbalordito, e si rivolse al supervisore, che si fingeva indaffarato, nel suo cubicolo dalle pareti di vetro.

— Non mi avete detto che il visitatore fosse una visitatrice.

Il supervisore disse, calmo: — Ho parlato in generale di un hamiano. Voi non mi avete chiesto se fosse un hamiano maschio od un hamiano femmina...

— Fornite un numero minimo di informazioni, eh? A quanto pare questa è una delle vostre caratteristiche. Lo terrò a mente. — (Avrebbe dovuto verificare se il supervisore fosse stato nominato dalla Delarmi, pensò. E da quel momento in poi avrebbe dovuto anche tener d’occhio gli impiegati che aveva intorno, gli umili di cui era facile non accorgersi quando si era Oratori.) — Ci sono sale di riunione libere?

— L’unica libera è la numero quattro, Oratore — disse l’impiegato.

— Lo sarà per tre ore. — Diede una breve occhiata alla hamiana, poi a Gendibal.

Il suo sguardo era privo di espressione.

— Useremo la numero quattro, supervisore, ma vi consiglio di controllare meglio i vostri pensieri. — Gendibal colpì abbastanza rudemente e lo schermo dell’altro si chiuse troppo piano. Sapeva bene che era poco dignitoso da parte sua maltrattare una mente inferiore, ma una persona che non fosse capace di schermare un’illazione antipatica riguardante un superiore doveva imparare a comportarsi meglio. Il supervisore avrebbe avuto per qualche ora un leggero mal di testa: se lo meritava davvero.

3

Gendibal non si ricordava il nome dell’hamiana, né aveva voglia di cercarlo nella propria mente; del resto, lei non poteva pretendere che se lo ricordasse.

— Voi siete... — disse, con tono seccato.

— Novi, Mastro Tedioso — disse lei, quasi trattenendo il respiro. — Il primo nome sta Sura, ma mi chiamano tutti Novi.

— Sì, Novi. Ci siamo conosciuti ieri, mi ricordo bene di voi. Siete accorsa in mia difesa. Ma come avete fatto a venire fin qui?

— Mastro Tedioso, tu avevi detto che potevo scrivere lettere. Hai detto «metti Casa dell’Oratore, Appartamento ventisette». Ho portato io la lettera, e ci ho fatto vedere la scritta, la mia scritta. — Novi parlava della sua impresa con una sorta di timido orgoglio. — Loro dicono «Per chi sta lettera?» e io, che stavo a sentire quando tu rispondevi a quel grosso fesso di Rufirant, dico «per Stor Gendibal, Mastro Tedioso».

E vi hanno lasciato passare, Novi? Non hanno preteso di leggere la lettera?

— Stavo assai spaventata. Penso che hanno provato pena. Dico «Tedioso Gendibal promise di mostrarmi il Posto dei Tediosi», e loro sorridono. Uno di loro al cancello dice all’altro «non le mostrerà solo quello». E mi mostrano dove andare, e dicono di non andare da altre parti o mi buttano fuori che io non me ne accorgo.

Gendibal arrossì lievemente. Per Seldon, pensò, se avesse provato il desiderio di divertirsi con una hamiana non l’avrebbe mai fatto così davanti a tutti, e sarebbe stato più esigente nella sua scelta. Guardò Novi e in cuor suo scosse la testa.

Sembrava giovanissima; forse era più giovane di quanto il duro lavoro dei campi non la facesse apparire. Non poteva avere più di venticinque anni, ed a quell’età di solito le hamiane erano già sposate. Lei però portava i capelli neri a treccia, il che significava che non era sposata, anzi, era ancora vergine. Del che Gendibal non si stupiva affatto; il suo modo di comportarsi, il giorno prima, dimostrava che la ragazza avesse un bel caratterino, e non sarebbe stato facile trovare un hamiano disposto a sopportare per tutta la vita la sua lingua tagliente e la sua indole manesca. D’altra parte, non si poteva nemmeno dire che Novi fosse attraente. Benché avesse chiaramente fatto di tutto per riuscire presentabile, la sua faccia restava brutta e spigolosa, e le sue mani erano rosse e nodose. La figura, almeno per quello che si poteva intravedere oltre il vestito, era più un monumento alla solidità ed alla resistenza che alla grazia.

Sotto lo sguardo critico di Gendibal, Novi si sentì a disagio e spaventata, ed il labbro inferiore cominciò a tremare. Gendibal captò le sensazioni della hamiana e provò compassione. In effetti, lei gli era stata di grande aiuto, il giorno prima, ed era questo solo che contava.

Cercando di essere cordiale e di metterla a suo agio, disse: — Allora siete venuta a vedere il, ehm, il Posto degli Studiosi?

Spalancando i grandi occhi neri (che erano piuttosto belli), lei disse: — Mastro, non stare arrabbiato con me, ma vengo qui per star tediosa io stessa.

— Tu vuoi diventare una studiosa? — fece Gendibal, stupefatto. — Ma, donnina mia...

S’interruppe. Come poteva mai spiegare ad una contadina ignorante che livello di intelligenza, di educazione, di energia mentale occorresse per diventare quello che i trantoriani chiamavano “tedioso”?

Ma Sura Novi proseguì imperterrita. — Io so leggere e scrivere. Ho letto interi libri dalla fine ed anche dall’inizio. E c’ho voglia di stare tediosa. Non voglio fare la moglie del contadino, non sto adatta ai campi. Non sposerò un contadino, non farò figli al contadino. — Drizzò la testa e disse, con orgoglio: — Sono stati a chiedermi in moglie tanti: dico sempre no. Gentile lo dico, ma no.

Gendibal vide chiaramente che mentiva; nessuno l’aveva chiesta in moglie.

Facendo finta di crederle, disse: — Che cosa farete nella vita, se non vi sposate?

Novi posò una mano sul tavolo. — Starò tediosa. Non starò contadina.

— E se non posso farvi diventare una studiosa?

— Allora non sto niente e aspetto di morire. Non voglio star niente nella vita, se non tediosa.

Per un attimo Gendibal ebbe la tentazione di esplorarle la mente per vedere da che cosa derivasse quel suo desiderio, ma non era giusto farlo.

Un Oratore non poteva sollazzare il proprio io frugando nella mente inerme degli altri. La mentalica, la scienza e la tecnica del controllo mentale, aveva come tutte le altre discipline un suo codice morale. Almeno, così era in teoria. (E di colpo Gendibal si pentì di avere maltrattato il supervisore.)

Disse: — Perché non volete fare la contadina, Novi? — Con la manipolazione mentale avrebbe potuto renderla contenta del suo stato, indurre uno zoticone hamiano a chiederla in moglie e lei a dirgli di sì. Non ci sarebbe voluto molto e sarebbe stata una buona azione. Ma era contro la legge, e quindi irrealizzabile.

— Non voglio — disse lei. — Il contadino sta zuccone. Lavora con le zolle e diventa anche lui zolla. Se starò contadina, starò zolla e zuccona pure io. Non c’avrò tempo di leggere e scrivere e dimenticherò tutto. La mia testa — e qui Novi portò una mano alla tempia, — starà alla fine secca, appassita. No, il tedioso sta diverso.

Pensieroso! — (Con quella parola, capì Gendibal, intendeva non meditabondo, ma intelligente.)

— Il tedioso — continuò Novi, — vive coi libri e con... con quei cosi che non ricordo il nome. — Fece dei gesti vaghi che non avrebbero detto niente a Gendibal sulla natura degli oggetti che pretendevano di descrivere, se lui stesso non avesse capito attraverso le radiazioni mentali della donna a che cosa si riferisse.

— Microfilm — suggerì. — Come sapete dei microfilm?

— Nei libri ho letto tante cose — disse lei, orgogliosa.

Gendibal bruciava dal desiderio di saperne di più su quella strana contadina così desiderosa di imparare. Gli hamiani non venivano mai reclutati, ma se Novi fosse stata più giovane, se avesse avuto magari solo dieci anni...

Che spreco di intelligenza! No, non avrebbe disturbato quella ragazza, non avrebbe interferito in alcun modo, ma a che serviva essere Oratori se non si potevano nemmeno esaminare le menti insolite ed imparare da esse?

— Novi — disse, — sedetevi là un momento. State buona, non dite niente e non pensate a niente. Pensate soltanto di stare per addormentarvi. Avete capito?

Lei di colpo tornò a essere spaventata. — Perché devo fare questo, Mastro?

— Perché desidero riflettere sul modo in cui potresti diventare una studiosa.

Dopotutto, per quanti libri avesse letto, la hamiana non poteva assolutamente sapere che cosa significasse in realtà essere studiosi. Era quindi necessario scoprire che cosa pensasse che uno studioso fosse.

Gendibal sondò la sua mente con estrema cautela e delicatezza; saggiò senza toccare, come uno che posasse la mano su una lustra superficie metallica senza lasciare alcuna impronta. Per Novi lo studioso era uno che leggesse libri in continuazione, anche se lei non aveva la minima idea del perché si leggessero i libri.

Nella sua mente si immaginava a compiere i lavori a lei noti – prendere cose e trasportarle, cucinare, pulire, ubbidire ad ordini – stando all’interno del complesso universitario, dove c’erano tanti libri e dove avrebbe avuto il tempo di leggerli e di

“diventare colta”. In sostanza, ciò cui Novi aspirava era fare la serva, la sua serva.

Gendibal aggrottò la fronte. Una serva hamiana, per di più brutta, sgraziata, ignorante, appena capace di leggere e scrivere: era impensabile.

Avrebbe dovuto semplicemente allontanarla dalla strada che si era intestardita a percorrere. Doveva esserci un modo per correggere i suoi desideri, per indurla ad aspirare alla vita di contadina, un modo che non lasciasse segni e che nemmeno la Delarmi potesse criticare.

E se Novi fosse stata mandata dalla Delarmi stessa? Che si trattasse in realtà di un complicato piano volto a farlo incriminare per intervento illecito su una hamiana?

No, era ridicolo. Un’ipotesi del genere rasentava davvero la paranoia. Ora il compito di Gendibal era trovare nei meandri della mente elementare di Novi quel filo di corrente che andava deviato. Sarebbe occorsa una spinta appena percettibile. A rigor di termini fare ciò era contro la legge, ma non avrebbe prodotto alcun male e nessuno avrebbe notato niente.

D’un tratto Gendibal si rese conto di avere individuato qualcosa di strano nella mente di Novi, qualcosa su cui, distrattamente, non si era soffermato. Tornò indietro un attimo. Indietro, e poi ancora indietro.

Per la Galassia! Era forse vittima di un’illusione? No, non lo era. Adesso distingueva bene il minuscolo filo di corrente fuori posto, riconosceva l’anomalia, che era però lieve, priva di ramificazioni.

Emergendo dalla sua mente, disse; — Novi...

Lei lo guardò. — Sì, Mastro?

— Potete lavorare con me: farò di voi una studiosa. ..

Con gli occhi luccicanti di gioia, lei disse: — Mastro. ..

Gendibal captò subito che stesse per buttarsi ai suoi piedi. Le posò le mani sulle spalle e la tenne forte. — Non muovetevi, restate dove siete. Restate così.

Era un po’ come parlare con un animale addestrato a rispondere agli ordini umani.

Quando vide che il comando era stato assimilato, lasciò andare le spalle muscolose della donna.

— Se volete diventare una studiosa — le disse, — bisogna che vi comportiate come tale. Ciò significa che dovrete essere sempre calma, parlare a bassa voce, fare quello che vi dico di fare. E dovrete sforzarvi di parlare come parlo io. Sarà necessario anche che conosciate gli altri studiosi. Vi fa paura questo?

— No, non mi fa paura, Mastro, se tu starai con me.

— Starò con voi. Ma adesso, prima di tutto, bisognerà che vi trovi una stanza con bagno, che vi faccia avere un posto in sala da pranzo e vi procuri dei vestiti. Dovrete indossare abiti maggiormente adatti a uno studioso.

— Questi stanno gli unici che... — cominciò lei, con aria afflitta.

— Ve ne procureremo altri.

Gendibal pensò che avrebbe dovuto cercare una donna che procurasse a Novi il guardaroba necessario. Poi ci voleva qualcuno che insegnasse alla hamiana i rudimenti dell’igiene personale. In fondo, anche se aveva indossato il suo vestito migliore e anche se a suo modo si era fatta bella, non era riuscita a eliminare dal proprio corpo un odore piuttosto pungente e sgradevole.

Poi bisognava mettere in chiaro davanti agli altri che il loro rapporto era del tutto innocente. Sotto sotto si sapeva benissimo che gli uomini (ed anche le donne) della Seconda Fondazione facessero ogni tanto qualche incursione godereccia tra gli hamiani. Purché non si verificassero interventi indebiti sulle menti dei contadini, nessuno si sognava di criticare la cosa. Gendibal non aveva mai effettuato quel genere di incursioni perché non sentiva alcun bisogno (od almeno così amava credere) di sperimentare un sesso più rozzo, anche se magari più eccitante, di quello che si potesse sperimentare lì all’Università. Le donne della Seconda Fondazione erano forse pallide in confronto alle hamiane, però erano pulite ed avevano la pelle liscia.

Ma anche se fossero nati malintesi, anche se qualcuno avesse riso sotto i baffi davanti a quell’Oratore che non solo passeggiava tra gli hamiani, ma portava addirittura una donna hamiana nel suo appartamento, Gendibal avrebbe dovuto sopportare la situazione. Stando le cose come stavano, quella contadina, Sura Novi, era la chiave che gli avrebbe assicurato la vittoria nello scontro imminente ed inevitabile con l’Oratore Delarmi e il resto della Tavola.

4

Gendibal rivide Novi solo dopo cena, quando la hamiana fu condotta a lui dalla donna a cui l’aveva affidata. A quella donna Gendibal aveva spiegato lungamente come stesse la situazione o per lo meno come non si trattasse affatto di una faccenda sessuale. Lei aveva capito o, se non altro, non aveva mostrato in alcun modo di non aver capito, il che probabilmente era quasi lo stesso.

Novi adesso, in piedi davanti a Gendibal, aveva un’aria insieme timida, orgogliosa, imbarazzata e trionfante.

— State molto bene, Novi — disse lui.

I vestiti che le avevano dato le stavano effettivamente a pennello e la ragazza ora non era per niente ridicola: sembrava quasi che le avessero stretto la vita od alzato i seni. Ma forse, semplicemente, l’abito da contadina con cui lui l’aveva vista in precedenza non metteva in particolare risalto le forme...

Aveva il sedere sporgente, non sgradevole a vedersi; il viso naturalmente restava brutto, ma se Novi avesse perduto l’abbronzatura contadina ed imparato a curare la pelle, non sarebbe stato proprio bruttissimo.

Per l’Impero, si disse Gendibal, quella donna in realtà pensava che Novi fosse la sua amante! Aveva cercato di renderla bella per lui.

Be’, rifletté, perché no, in fondo? Novi avrebbe dovuto presentarsi davanti alla Tavola degli Oratori e più fosse apparsa attraente, più sarebbe stato facile per lui convincere gli altri dell’esattezza delle sue opinioni.

Fu mentre pensava a questo che ricevette il messaggio del Primo Oratore, un messaggio che poteva essere spedito soltanto in una società mentalica come quella della Seconda Fondazione e che era definito, in modo informale, “effetto coincidenza”. Quando una persona pensava a un’altra persona e questa per caso pensava alla prima, si verificava una stimolazione reciproca grazie alla quale nel giro di pochi secondi i due pensieri prendevano forma nettamente, diventando chiari e, secondo ogni apparenza, simultanei.

Era un fenomeno che poteva apparire stupefacente anche a quelli che ne comprendevano la dinamica, specie se i pensieri iniziali erano, per l’una o l’altra delle persone o per entrambe, così vaghi da non essere stati notati dalla coscienza.

— Non posso restare con voi stasera, Novi — disse Gendibal. — Devo sbrigare del lavoro. Lavoro da studioso. Vi accompagnerò fino alla vostra stanza. Lì troverete diversi libri e potrete esercitarvi nella lettura. Vi mostrerò come usare il bottone che serve a chiamare in caso di bisogno. Vi rivedrò domattina.

5

Gendibal disse, con garbo: — Primo Oratore...

Shandess si limitò ad annuire. Aveva l’aria cupa e dimostrava tutti i suoi anni.

Sembrava un astemio che avesse un gran bisogno di una bella bevuta. Alla fine disse:

— Vi ho “chiamato”...

— Senza messaggeri, sì. Ho immaginato dalla “chiamata” diretta che si trattasse di qualcosa d’importante.

— Infatti. Il vostro uomo, quel Trevize membro della Prima Fondazione...

— Sì?

— Non verrà su Trantor.

Gendibal non apparve sorpreso. — Perché dovrebbe? Le informazioni che abbiamo ricevuto dicono che stesse per partire in compagnia di un professore di storia che è alla ricerca della Terra.

— Sì, il Pianeta Originario delle leggende. Ed è proprio per questo che Trevize sarebbe dovuto venire su Trantor. Dopotutto, come può il professore sapere dove sia la Terra? Né voi né io lo sappiamo. Non si può nemmeno essere sicuri che esista o che sia mai esistita. Mi pareva logico quindi che i due venissero qua a cercare le informazioni necessarie nella nostra Biblioteca. Fino a questo momento pensavo che la situazione non fosse ancora ad un punto di crisi. Credevo che Trevize si sarebbe diretto qui e che attraverso lui avremmo saputo ciò che abbiamo bisogno di sapere.

— E sarà certo per questa ragione che non gli sia stato permesso venire qui.

— Ma dove si recherà, allora?

— Non l’abbiamo ancora scoperto, a quanto pare.

— Sembra che la cosa non vi preoccupi — disse il Primo Oratore, stizzito.

— Mi chiedo se non sia meglio così — disse Gendibal. — Voi pensavate di tenere Trevize sotto controllo e di usarlo come fonte di informazioni, ma non potrà rivelarsi una fonte di informazioni ben più preziosa, capace di condurci fino a persone ancora più importanti di lui, se andrà dove vuole andare e farà quello che vuole fare? Sempre che stiamo attenti a non perderlo di vista, naturalmente.

— No, non basta — disse Shandess. — Voi mi avete convinto dell’esistenza di questo nuovo nemico e io adesso non mi do pace. Anzi, sono giunto a pensare che se non riusciremo a mettere Trevize sotto il nostro controllo, per noi sarà la fine. Ho la netta sensazione che lui, e soltanto lui, sia la chiave di tutto.

Gendibal disse, con foga: — Qualunque cosa succeda, noi non saremo sconfitti, Primo Oratore. La sconfitta sarebbe stata un’ipotesi possibile se questi Anti-Muli, per usare la vostra definizione, avessero continuato a scavarci sotto la fossa senza essere notati. Ma adesso sappiamo che ci siano e non avanzeremo più alla cieca. Alla prossima riunione della Tavola, se noi due riusciremo a lavorare insieme, daremo inizio al contrattacco.

— In realtà — disse il Primo Oratore, — non è per la faccenda di Trevize che vi ho chiamato. Ho cominciato la conversazione parlando di questo argomento solo perché mi pareva una sconfitta personale. Non avevo analizzato bene quell’aspetto della situazione che mi avete fatto rilevare voi. Ho anteposto un risentimento personale all’esame spassionato della questione, e ve ne chiedo scusa. È un altro il motivo per cui desideravo incontrarvi.

— Un motivo più grave, Primo Oratore?

— Sì, Oratore Gendibal. — Shandess sospirò e tamburellò con le dita sul tavolo, mentre Gendibal, in piedi davanti a lui, aspettava pazientemente.

Alla fine Shandess disse in tono gentile, come per indorare la pillola: — Ad una riunione di emergenza della Tavola indetta dall’Oratore Delarmi...

— Senza il vostro consenso, Primo Oratore?

— Per quello che si proponeva, aveva bisogno solo del consenso di altri tre Oratori, tra i quali non ero naturalmente compreso io. Alla riunione di emergenza, dicevo, voi siete stato incriminato, Oratore Gendibal. Siete stato accusato di non meritare la carica di Oratore e verrete processato. È la prima volta in più di tre secoli che si proceda all’incriminazione di un Oratore...

Sforzandosi di dominare ogni minimo segno di rabbia, Gendibal disse: — Certo non avrete votato anche voi per l’incriminazione.

— No, ma sono stato l’unico. Gli altri dieci membri hanno votato all’unanimità contro di voi. Per l’incriminazione occorrono, come ben sapete, otto voti compreso quello del Primo Oratore, oppure dieci senza il suo.

— Ma io non ero presente.

— Non avreste potuto votare.

— Avrei potuto parlare in mia difesa.

— Non a quello stadio. Non più. I precedenti sono pochi, ma chiari. Vi potrete difendere al processo, che naturalmente verrà istruito al più presto.

Gendibal chinò la testa, pensieroso. Poi disse: — La faccenda non mi preoccupa eccessivamente, Primo Oratore. Credo che il vostro istinto vi abbia detto la verità: la questione di Trevize è la più importante di tutte. Posso suggerirvi di rinviare il processo sulla base di queste considerazioni?

Shandess sollevò una mano — Voi non capite la situazione, Oratore, ma non posso farvene una colpa. L’incriminazione è talmente rara, che io stesso ho dovuto esaminare attentamente le procedure legali del caso. Non c’è nulla che possa avere la precedenza; siamo costretti ad andare direttamente al processo, anteponendolo a qualsiasi altra cosa.

Gendibal poggiò sul tavolo le mani a pugno e si protese verso Shandess. — Non direte mica sul serio?

— È la legge.

— La legge non deve essere di intralcio quando si sia davanti ad un pericolo indubbio ed incombente.

— Per la Tavola siete voi il pericolo indubbio ed incombente, Oratore Gendibal.

No, statemi a sentire. La legge che scatta in questo caso è basata sulla convinzione che niente sia più grave della possibile corruzione o del possibile abuso di potere da parte di un Oratore.

— Ma io non sono colpevole né di corruzione, né di abuso di potere, e voi lo sapete bene, Primo Oratore. Qui siamo davanti ad una vendetta personale della Delarmi. Se abuso c’è, è tutto da parte sua. Io ho solo la colpa di essermene sempre infischiato troppo di quegli stupidi che sono abbastanza vecchi da essere arteriosclerotici ma abbastanza giovani da detenere il potere.

— Quelli come me, Oratore?

Gendibal sospirò. — Ecco, vedete, ancora una volta ho mancato di diplomazia.

Non mi riferivo a voi, Primo Oratore. Va bene allora, che si faccia subito questo processo. Domani stesso. Anzi stasera, meglio ancora. Fuori il dente, fuori il dolore, poi passeremo alla faccenda di Trevize. Aspettare è un rischio che non possiamo correre.

— Oratore Gendibal — disse Shandess. — credo che non abbiate afferrato bene la situazione. Prima d’ora ci sono stati solo due casi di incriminazione, nessuno dei due ha portato ad una condanna: voi invece sarete condannato. Dopo non sarete più membro della Tavola e non avrete più voce in capitolo per quanto riguardi la politica della Seconda Fondazione. Anzi, non avrete nemmeno diritto di voto alla riunione annuale dell’Assemblea.

— E voi non farete niente per impedire questo?

— Non posso. Gli altri si opporrebbero all’unanimità e io sarei costretto in seguito a rassegnare le dimissioni, il che credo sia proprio ciò che sperino.

— E la Delarmi diventerebbe Primo Oratore?

— Con molte probabilità.

— Ma non bisogna permettere che questo avvenga!

— Infatti. Ed è per tale motivo che sarò costretto a votare contro di voi.

Gendibal trasse un respiro profondo. — Continuo a pretendere un processo immediato.

— Vi occorre tempo per preparare la vostra difesa.

— Che difesa? Non ascolteranno alcuna difesa: insisto per il processo immediato.

— Gli Oratori avranno bisogno di tempo per istruire il processo.

— Non devono istruire proprio niente: mi hanno già condannato in cuor loro e non sentono certo la necessità di raccogliere prove e documentazioni. Anzi, saranno più pronti a condannarmi domani che dopodomani, e più stasera che domani; questo dovreste dire loro, per indurli ad accelerare i tempi.

Shandess si alzò e fissò Gendibal, in piedi davanti a lui.

— Perché avete tanta fretta? — disse.

— La questione di Trevize non concede indugi.

— Una volta che sarete condannato e che io sarò messo in una posizione di debolezza davanti a tutti gli altri Oratori uniti contro di me, che cosa pensate mai che si possa fare per fronteggiare il pericolo rappresentato da Trevize?

— Non abbiate paura — disse Gendibal in tono convinto. — Nonostante tutto, non sarò condannato.

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