10

Seduto in camera da letto, circondato da una quantità di candele accese e reggendo il classico poema brajariano La leggenda dell’albero verde, Cazaril si concesse un sospiro appagato. La biblioteca dello Zangre, famosa ai tempi di Fonsa il Saggio, era stata da allora molto trascurata. Quel particolare volume, a giudicare dalla polvere che lo copriva, di certo non era stato più estratto dallo scaffale fin da quando il regno di Fonsa si era concluso… Ma, a parte i versi di Behar, ciò che Cazaril apprezzava era potersi concedere una quantità di candele tale da rendere la lettura fino a notte tarda un piacere e non una sofferenza. Al di là del suo appagamento, però, Cazaril si sentiva un po’ in colpa: il costo di quelle candele si sarebbe infatti accumulato sui libri contabili di Iselle, e sarebbe parso un po’ strano.

Con le tonanti cadenze dei versi di Behar che gli echeggiavano nella mente, si umettò un dito e girò la pagina… poi però si rese conto che la poesia di Behar non era l’unica cosa intorno a lui che stava tuonando ed echeggiando. Lanciò un’occhiata al soffitto, da dove giungevano rapidi tonfi e rumori striscianti, misti a risa soffocate e a voci che si chiamavano a vicenda. Ma imporre a Iselle e a Betriz di andare a letto a un’ora ragionevole era un compito che spettava a Nan dy Vrit e non a lui, quindi Cazaril tornò a concentrarsi sulle visioni teologicamente simboliche del poeta, ignorando quel chiasso, almeno finché non sentì uno stridio, simile a quello di un maiale spaventato.

Soltanto allora — pensando con un sogghigno che si trattava di un mistero con cui neppure il grande Behar poteva competere -, si alzò dal letto, si allacciò la tunica, infilò le scarpe e prese un candelabro protetto da una campana di vetro per farsi luce nel salire le scale.

Lungo la strada, incontrò Dondo dy Jironal che stava scendendo i gradini. Abbigliato, come sempre quand’era a corte, con una tunica di broccato azzurro e calzoni bianchi di lana e lino, Dondo teneva in mano la sopravveste bianca, insieme con la cintura e la spada. Appariva teso e arrossato in volto. Quando s’incrociarono, Cazaril fece per rivolgergli un saluto cortese, ma le parole gli morirono sulle labbra di fronte all’espressione omicida dello sguardo del nobile, che lo oltrepassò in silenzio con aria tempestosa.

Nell’imboccare il corridoio del piano superiore, poi, Cazaril scoprì che i candelabri fissati alle pareti erano tutti accesi e che li era radunata una quantità inspiegabile di persone… Non c’erano soltanto Betriz, Iselle e Nan dy Vrit, ma anche Lord dy Rinal, uno dei suoi amici, un’altra dama e Ser dy Sanda, stretti in un gruppetto e intenti a ridere di gusto. All’improvviso, Teidez e un paggio saettarono in mezzo a loro, lanciati all’inseguimento di un maialino ben pulito e adorno di nastri che, nel fuggire, si stava trascinando dietro una sciarpa. Il paggio riuscì finalmente a catturare l’animale proprio davanti ai piedi di Cazaril e Teidez lanciò un grido di trionfo.

«Nel sacco, nel sacco!» gridò dy Sanda.

Il tutore e Lady Betriz avanzarono proprio mentre Teidez e il paggio, unendo i loro sforzi, riuscivano a infilare la creatura in un grosso sacco di tela, nel quale essa non aveva nessuna voglia di entrare; chinandosi in avanti, Betriz accarezzò rapidamente dietro le orecchie la creatura che si dibatteva.

«Ti ringrazio, Lady Porcellina», disse. «Hai recitato a meraviglia la tua parte, ma adesso per te è ora di tornare a casa.»

Issatosi in spalla il pesante sacco, il paggio salutò i presenti e si allontanò, con passo barcollante a causa del peso, ma con un sorriso divertito che gli aleggiava ancora sulle labbra.

«Cosa sta succedendo qui?» chiese allora Cazaril, combattuto tra la voglia di ridere e un vago senso di allarme.

«Oh, è stato uno scherzo davvero grandioso!» esclamò Teidez. «Avreste dovuto veder l’espressione sulla faccia di Lord Dondo!»

«Che cosa avete fatto?» insistette Cazaril, con crescente apprensione. Aveva appena visto l’espressione di Dondo, e non aveva riso affatto.

Fu Iselle che intervenne a spiegare: «Dal momento che né i miei velati avvertimenti né le parole più esplicite di Lady Betriz sono riusciti a indurre Lord Dondo a desistere dalle sue attenzioni, o almeno a fargli capire che esse non erano gradite, abbiamo cospirato per procurargli l’appuntamento amoroso che tanto desiderava. Però, al posto della vergine che lui si aspettava di trovare, quando si è avvicinato in punta di piedi al letto di Betriz, Dondo ha trovato… Lady Porcellina!»

«Oh, state diffamando quella povera porcella, Royesse!» esclamò Lord dy Rinal. «Dopotutto, è possibile che anche lei sia vergine!»

«Dev’esserlo di certo, altrimenti non avrebbe strillato tanto», interloquì, ridendo, la dama che accompagnava dy Rinal.

«È un vero peccato che Lord Dondo non l’abbia trovata di suo gradimento», aggiunse dy Sanda, in tono acido. «Confesso di esserne sorpreso. Stando a quello che ho sentito dire sul suo conto, mi sarei aspettato che fosse pronto a dividere il letto con qualsiasi creatura.» E scoccò un’occhiata in tralice a Teidez, per verificare l’effetto che quelle parole avevano su di lui.

«E dopo che abbiamo inondato quella porcellina col mio miglior profumo darthacano, per di più!» sospirò Lady Betriz, nel cui sguardo il divertimento rivaleggiava con una rabbia bruciante e con una profonda soddisfazione.

«Dovevate dirmelo…» cominciò Cazaril, ma subito dopo si chiese cosa, esattamente, gli avrebbero dovuto dire. Era evidente che non gli avevano rivelato il tenore dello scherzo perché lui si sarebbe opposto. Allora dovevano forse riferirgli le insistenti pressioni di Dondo? Domandandosi fino a che punto quelle pressioni fossero diventate sgradevoli, Cazaril serrò i pugni sino ad affondare le unghie nei palmi, consapevole che non c’era nulla che lui poteva fare. Rivolgersi a Orico o alla Royina Sara sarebbe stato del tutto inutile…

«Sarà la storia più interessante della settimana in tutta Cardegoss», dichiarò Lord dy Rinal. «Era da anni che Lord Dondo non era più vittima di uno scherzo, e credo che fosse davvero ora di pareggiare i conti. Mi pare già di sentire la gente che si mette a esclamare oink al suo passaggio, e sono certo che per mesi lui non potrà mangiare maiale senza sentire intorno a sé quel verso. Royesse, Lady Betriz… Vi ringrazio dal profondo del cuore.»

I due cortigiani e la dama si congedarono dagli altri, probabilmente per raccontare lo scherzo agli amici ancora svegli.

«Royesse… Non è stata una mossa saggia», mormorò Cazaril, dopo aver represso gli altri commenti che gli erano saliti alle labbra.

Per nulla intimidita, Iselle si girò a guardarlo con espressione accigliata. «Quell’uomo indossa le vesti di un sacro generale dell’Ordine della Signora della Primavera, e tuttavia cerca di derubare le donne della loro verginità, sacra alla Dea, proprio come deruba… Ecco, avete detto che non ci sono prove delle sue altre ruberie, però in questo caso la Dea ci è testimone che abbiamo prove a sufficienza! Se non altro, l’episodio di stasera gli insegnerà quanto sia poco saggio derubare chi dipende da me. Dopotutto, si suppone che lo Zangre sia un palazzo reale, non un fienile!»

«Rallegratevi, Cazaril», aggiunse dy Sanda. «Lord Dondo non può certo vendicare la propria vanità offesa a spese del Royse e della Royesse.» Poi si guardò intorno e vide che Teidez si era allontanato lungo il corridoio per recuperare i nastri che il maialino aveva seminato durante la fuga. Allora abbassò la voce, prima di aggiungere: «Inoltre, è valsa la pena mostrare a Teidez il suo… eroe sotto una luce meno lusinghiera. Quand’è uscito incespicando dalla camera di Betriz, reggendosi i pantaloni, Lord Dondo ha trovato i nostri testimoni ad attenderlo e, nel passargli tra le gambe per fuggire, Lady Porcellina per poco non lo ha gettato a terra, facendogli fare la figura del perfetto idiota. È stata la lezione migliore che sono riuscito a impartire a Teidez in tutto il mese trascorso dal nostro arrivo, e adesso forse riusciremo a riguadagnare un po’ del terreno perduto».

«Prego che voi abbiate ragione», replicò Cazaril, con cautela, evitando di precisare che il Royse e la Royesse erano le uniche persone a essere al sicuro dalla vendetta di Dondo.

Nonostante i suoi timori, per parecchi giorni non ci furono segni di rappresaglie e Lord Dondo sopportò le battute di dy Rinal e dei suoi amici con aria tesa ma sorridente. A ogni pasto, Cazaril si sedette a tavola con l’aspettativa — quasi con la certezza — di veder servire un particolare maiale, arrostito e decorato con nastri. Non successe mai, eppure lui continuò a sentirsi tutt’altro che tranquillo, mentre Lady Betriz, che in un primo tempo si era lasciata contagiare dai suoi timori, adesso pareva calmissima. Contrariamente a lei, però, Cazaril aveva avuto ampia dimostrazione del fatto che Dondo, a onta del temperamento irascibile, era capace di aspettare a lungo l’occasione giusta per vendicarsi.

Con sollievo di Cazaril, entro una quindicina di giorni i cortigiani smisero d’imitare il verso del maiale nei corridoi del castello. Nuove feste, altre burle e pettegolezzi più freschi presero il posto dello scherzo giocato a Lord Dondo; col trascorrere dei giorni, Cazaril arrivò addirittura a sperare che Dondo avesse deciso d’inghiottire in silenzio l’amara medicina che gli era stata pubblicamente somministrata. Forse era stato merito del fratello, incline a considerare orizzonti più vasti della piccola società chiusa dentro le mura del castello di Zangre. Sì, poteva darsi che fosse intervenuto per smorzare la reazione di Lord Dondo… anche perché dall’esterno stavano giungendo notizie allarmanti. Si parlava di un intensificarsi della guerra civile nell’Ibra meridionale, di atti di banditismo nelle province e del fatto che il maltempo aveva bloccato i passi montani molto in anticipo rispetto al solito.

Alla luce di quei rapporti, Cazaril cominciò a pensare ai problemi logistici connessi al trasferimento della Royesse e del suo seguito, qualora la corte avesse lasciato il castello di Zangre in anticipo per trasferirsi presso la sua residenza invernale prima della Giornata del Padre. Era dunque seduto nel suo studio, intento a calcolare la quantità di cavalli e di muli necessari, quando uno dei paggi di Orico si presentò sulla porta dell’anticamera.

«Mio signore dy Cazaril… Il Roya vi chiede di raggiungerlo nella Torre di Ias», disse il giovane.

Inarcando le sopracciglia con aria sorpresa, Cazaril posò la penna e seguì il paggio, chiedendosi quale servizio intendesse richiedergli Orico, ben noto per le sue idee tanto improvvise quanto eccentriche. Già due volte, in precedenza, gli aveva ordinato di accompagnarlo nel serraglio, dove gli aveva fatto svolgere compiti più adatti a un paggio o a uno stalliere, come tenere un animale per la catena o andare a prendere le spazzole o il foraggio. Però… No, non si era trattato solo di quello: con aria apparentemente distratta, il Roya ne aveva approfittato anche per porgli domande ben mirate sul conto di sua sorella Iselle. Cazaril non si era fatto pregare, rivelando l’orrore di Iselle all’idea di poter essere data in sposa a qualche regnante dell’Arcipelago o a un altro principe roknari. Aveva spiegato ogni cosa con tatto, augurandosi che Orico lo stesse ascoltando più attentamente di quanto lasciava supporre il suo atteggiamento assonnato.

Preceduto dal paggio, Cazaril raggiunse la lunga stanza al secondo piano della Torre di Ias, che dy Jironal usava come Cancelleria quando la corte risiedeva al castello di Zangre. Era un ambiente rivestito di scaffali carichi di libri e di pergamene. Lì venivano ospitate anche le sacche da sella con sigillo utilizzate dai corrieri reali. All’arrivo di Cazaril, le due guardie in livrea, sull’attenti davanti alla porta, lo seguirono all’interno, tenendolo d’occhio.

Il Roya Orico era seduto insieme col Cancelliere dietro un grande tavolo coperto di documenti e aveva l’aria stanca; quanto a dy Jironal, abbigliato quel giorno come un semplice cortigiano, anche se con la catena simbolo della sua carica, appariva teso e attento. Un altro cortigiano, che Cazaril riconobbe come Ser dy Maroc, responsabile dell’armeria e del guardaroba reale, era fermo a un’estremità del tavolo, mentre dall’altra parte c’era uno dei paggi di Orico, che aveva l’aria molto preoccupata.

«È Castillar dy Cazaril, sire», annunciò il paggio che aveva accompagnato Cazaril, poi scoccò una rapida occhiata all’altro paggio e si addossò alla parete opposta, cercando di rendersi invisibile.

«Sire, Lord Cancelliere», salutò Cazaril, con un inchino.

Dy Jironal si accarezzò la barba brizzolata e guardò Orico, prendendo la parola allorché questi si limitò a scrollare le spalle. «Castillar… Volete fare a sua maestà il favore di togliervi la tunica e girarvi?»

Con la gola serrata da un improvviso senso di disagio, Cazaril si limitò ad annuire e slacciò il colletto della tunica, sfilandosela insieme con la sopravveste e ripiegando il tutto su un braccio. Teso in volto, eseguì quindi un dietro-front in perfetto stile militare e rimase immobile. Alle proprie spalle, sentì due uomini sussultare.

«Ve l’avevo detto», borbottò poi una voce giovanile. «Io l’ho visto.»

Ah, dunque si trattava di quel paggio.

Sentendo qualcuno schiarirsi la gola, Cazaril attese che il rossore gli fosse svanito dalle guance prima di tornare a voltarsi. «È tutto, sire?» chiese in tono calmo.

«Castillar…» replicò Orico, agitandosi sulla sedia. «Si sussurra… Siete accusato… È stata formulata un’accusa… Pare che voi siate stato riconosciuto colpevole del crimine di stupro, a Ibra, e pubblicamente fustigato.»

«È una menzogna, sire. Chi lo afferma?» ribatté Cazaril, guardando Ser dy Maroc, che era leggermente impallidito.

Dy Maroc non era al soldo dei due fratelli dy Jironal e, per quanto ne sapeva Cazaril, non era neppure uno dei complici abituali di Dondo… Possibile che fosse stato corrotto per l’occasione? O che fosse onesto ma stupido?

«Anch’io voglio vedere mio fratello, e subito!» esclamò in quel momento una voce limpida e decisa, nel corridoio. «È nel mio diritto!»

Le guardie di Orico scattarono in avanti, poi si affrettarono a indietreggiare di nuovo quando la Royesse Iselle, seguita da una pallidissima Lady Betriz e da Ser dy Sanda, fece irruzione nella stanza.

Un semplice colpo d’occhio fu sufficiente a Iselle per capire cosa stava accadendo. «Cosa significa tutto questo, Orico?» esclamò. «Dy Sanda mi ha riferito che hai arrestato il mio segretario! E questo senza neppure avvertirmi!»

Mentre la bocca del Cancelliere dy Jironal assumeva una piega contrariata, a indicare che quell’intrusione non rientrava nei suoi piani, Orico agitò le mani grassocce in un gesto conciliatorio. «No, no, non lo abbiamo arrestato», garantì. «Nessuno è stato arrestato. Siamo qui riuniti soltanto per indagare su un’accusa.»

«Che genere di accusa?»

«È una cosa molto grave, Royesse, e non è adatta alle vostre orecchie», intervenne dy Jironal. «Sarebbe meglio se vi ritiraste.»

Ignorandolo, Iselle prese una sedia e vi si lasciò cadere, incrociando le braccia. «Se viene mossa una grave accusa contro un mio fidato servitore, la cosa è indubbiamente adatta alle mie orecchie. Cazaril, di cosa si tratta?»

«Alcune persone hanno messo in giro una voce diffamante», replicò Cazaril, inchinandosi. «Le cicatrici che ho sulla schiena sarebbero, a dir loro, la punizione che ho subito per un crimine da me commesso.»

«Lo scorso autunno, a Ibra», intervenne dy Maroc, con fare nervoso.

Un sussulto di Betriz, unito a un improvviso dilatarsi dei suoi occhi, indicò che, nell’aggirare Cazaril per seguire Iselle, anche lei aveva visto la devastazione presente sulla sua schiena. Accanto a lei, Ser dy Sanda sussultò a sua volta.

«Posso rimettermi la tunica, sire?» domandò Cazaril, impassibile.

«Sì, sì», concesse Orico.

«La natura del crimine in questione, Royesse, è tale da gettare gravi dubbi sul fatto che quest’uomo possa essere accettato come fidato servitore, presso di voi o presso qualsiasi altra dama», riprese dy Jironal, con disinvoltura.

«Di cosa lo accusate, di stupro?» esclamò Iselle, in tono sprezzante. «Cazaril? È la menzogna più assurda che abbia mai sentito.»

«Tuttavia quelle sono cicatrici lasciate da una fustigazione», sottolineò dy Jironal.

«Dono di un capo vogatore roknari, a causa di un mio sconsiderato atto di sfida», precisò Cazaril, a denti stretti. «È successo lo scorso autunno, al largo della costa di Ibra… Questi dettagli, se non altro, sono esatti.»

«Plausibile, eppure… strano», insistette dy Jironal, assorto. «Le crudeltà commesse sulle galee sono leggendarie, ma un capo vogatore competente si guarda bene dal danneggiare uno schiavo al punto di renderlo inutilizzabile.»

«L’ho provocato», spiegò Cazaril, con un accenno di sorriso.

«In che modo?» chiese Orico, appoggiandosi allo schienale della sedia e tormentandosi il doppio mento.

«Gli ho passato la mia catena intorno alla gola, cercando di strangolarlo. Ci sono quasi riuscito, ma mi hanno staccato da lui un po’ troppo presto.»

«Dei santissimi… Avete cercato di suicidarvi?» esclamò il Roya.

«Io… non lo so con certezza. A quel punto, credevo di non avere più la capacità d’infuriarmi, ma… Mi avevano dato un nuovo compagno di panca, un ragazzo ibrano di non più di quindici anni. Sosteneva di essere stato rapito, e io gli ho creduto, perché era chiaro che era di buona famiglia, curato, educato nel parlare… Si è riempito subito di vesciche e le sue mani hanno preso a sanguinare sui remi. Quel ragazzo — mi ha detto di chiamarsi Danni, ma non ho mai saputo il suo cognome — era spaventato, ma anche pieno di orgoglio e, quando il capo vogatore ha cercato di usarlo in un modo proibito ai roknari, lui lo ha colpito, prima che potessi fermarlo. Il suo è stato un gesto folle e sciocco, ma il ragazzo non si è reso conto delle conseguenze, e io ho pensato… Ecco, a dire il vero non avevo le idee molto chiare, ma ho pensato che se avessi colpito ancora più forte sarei riuscito a distrarre il capo vogatore, che non se la sarebbe presa con lui.»

«Attirando così la sua rappresaglia su di voi?» interloquì Betriz, meravigliata.

Cazaril si limitò a scrollare le spalle. Prima di passargli la catena intorno al collo, aveva sferrato al capo vogatore una ginocchiata all’inguine tale da garantire il sopirsi di ogni ardore amoroso per almeno una settimana. Non aveva riflettuto che quella settimana sarebbe passata, e che si sarebbe tornati al punto di partenza. «È stato un gesto inutile o, meglio, lo sarebbe stato, se per puro caso il mattino successivo non ci fossimo imbattuti nella flotta ibrana, che ci ha salvati tutti», concluse.

«In tal caso, avrete qualche testimone», osservò dy Sanda, in tono incoraggiante. «Dalla vostra storia, pare addirittura che ce siano parecchi: il ragazzo, gli schiavi sulla galea, i marinai ibrani… Sapete che ne è stato del ragazzo?»

«Non ne ho idea. Per parecchio tempo sono rimasto presso il Tempio Ospedale della Misericordia della Madre, a Zagosur, perché ero troppo malato per muovermi e, quando ne sono uscito, gli altri si erano sparpagliati chissà dove.»

«Una storia veramente eroica», commentò dy Jironal, in un tono sbrigativo, rammentando così implicitamente che quella era la versione di Cazaril. Poi si accigliò e fece correre lo sguardo sui presenti, soffermandosi per un momento su dy Sanda e sull’indignata Iselle, prima di aggiungere: «Tuttavia… Suppongo che voi potreste chiedere alla Royesse un mese di licenza per raggiungere Ibra e rintracciare alcuni di questi testimoni così convenientemente sparpagliati, sempre che vi sia possibile trovarli».

Lasciare le dame prive di protezione per un mese? E poi, avrebbe fatto ritorno o sarebbe stato assassinato e sepolto in una fossa nei boschi circostanti Cardegoss, lasciando che tutti a corte pensassero a una sua fuga e ne deducessero che era veramente colpevole? Accanto a Iselle, Betriz impallidì e si portò una mano alle labbra, ma il suo sguardo di fuoco rimase appuntato su dy Jironal, segno che almeno lei era disposta a credere alle parole di Cazaril e non ai segni sulla sua schiena.

«No», dichiarò Cazaril, raddrizzandosi. «Quest’accusa mi diffama ingiustamente, e la mia parola giurata si contrappone a qualsiasi diceria. A meno che abbiate prove più concrete dei semplici pettegolezzi di palazzo, respingo questa menzogna. Oppure… Da chi avete saputo questa storia? Ne avete rintracciato le origini? Chi è che mi accusa… Siete voi, dy Maroc?» E fissò il cortigiano con aria accigliata.

«Spiegatevi, dy Maroc», lo invitò dy Jironal, con un cenno della mano.

«Me ne ha parlato un mercante di seta ibrano, con cui ho trattato per rifornire il guardaroba del Roya», affermò dy Maroc, traendo un profondo respiro. «Quell’uomo ha asserito di aver riconosciuto il Castillar per averlo visto fustigare pubblicamente a Zagosur e si è mostrato sconvolto di trovarlo qui. Si era trattato di un caso molto spiacevole, mi ha detto. Il Castellar aveva violato la figlia di un uomo che lo aveva accolto presso di sé e gli aveva dato ospitalità. Ecco perché gli era rimasto impresso.»

«Siete certo che non mi abbia semplicemente scambiato per qualcun altro?» chiese Cazaril, grattandosi la barba.

«No, perché conosceva il vostro nome», ribatté dy Maroc.

Cazaril socchiuse gli occhi, consapevole ormai che non si trattava di un errore, ma di una vera e propria menzogna, proferita a pagamento. Ma chi era stato a mentire: il mercante o il cortigiano?

«Dov’è adesso questo mercante?» intervenne dy Sanda.

«È ripartito alla volta di Ibra. Temeva cominciasse a nevicare.»

«Quando, esattamente, avete appreso questa storia?» chiese Cazaril, senza scomporsi.

Dy Maroc esitò, agitando le dita lungo il fianco, come se stesse contando. «Il mercante è partito tre settimane fa, e mi ha parlato della cosa proprio prima di andarsene.»

Sì, adesso so chi sta mentendo, pensò Cazaril, con un vago, amaro sorriso. Non dubitava che a palazzo ci fosse stato davvero un mercante di seta ibrano e che fosse ripartito da Cardegoss nella data indicata. Ma se n’e andato molto prima che Dondo provasse a corrompermi con lo smeraldo… Al momento della partenza di quel mercante, Dondo non poteva sapere che il tentativo di comprarmi sarebbe fallito. Non aveva bisogno d’inventare quella menzogna per liberarsi di me. Sfortunatamente, però, quello non era certo un ragionamento che Cazaril poteva addurre a propria difesa.

«Quel mercante non aveva ragione di mentire», aggiunse dy Maroc.

Tu però ce l’hai, una ragione… Mi chiedo quale sia, pensò Cazaril. «Dunque sapete di questa grave accusa da tre settimane», disse. «Tuttavia l’avete sottoposta soltanto adesso all’attenzione del vostro signore. Mi sembra un comportamento davvero strano da parte vostra, dy Maroc.»

Il cortigiano si limitò a fissarlo.

«Se l’ibrano se n’è andato, ormai è impossibile appurare chi sta dicendo la verità», intervenne Orico, in tono lamentoso.

«In tal caso, a Lord dy Cazaril dovrebbe essere concesso il beneficio del dubbio», dichiarò dy Sanda, raddrizzandosi. «Forse voi non lo conoscete bene, ma lo stesso non si può dire della Provincara dy Baocia, che gli ha dato la propria fiducia. Dopotutto, il Castillar ha servito il suo defunto marito per sei o sette anni.»

«Quand’era più giovane», osservò dy Jironal. «Gli uomini cambiano, soprattutto se vengono esposti alla brutalità della guerra. Se su di lui esiste anche il minimo dubbio, a mio parere non dovrebbe occupare un ruolo così importante e, se posso dirlo, ricco di tentazioni», aggiunse, guardando Betriz.

Chiamata in causa indirettamente, la dama trasse un lungo, furente respiro, ma la sua esplosione venne prevenuta da Iselle. «Oh, stupidaggini!» esclamò la Royesse. «Nel bel mezzo della brutalità della guerra voi stesso avete consegnato a quest’uomo le chiavi della fortezza di Gotorget, che nel nord ancorava l’intero schieramento di battaglia di Chalion. È chiaro che a quel tempo vi fidavate a sufficienza di Cazaril, March dy Jironal, e non è stato certo lui a infrangere quella fiducia!»

Il sorriso di dy Jironal divenne più teso. «Chalion è diventata un vero Stato belligerante, se adesso perfino le fanciulle cercano di darci consigli sulle strategie da adottare», commentò, a denti stretti.

«Non potrebbero certo consigliarcene di peggiori», ringhiò a mezza voce Orico, ma soltanto un fugace spostarsi dello sguardo nella sua direzione indicò che il Cancelliere lo aveva sentito.

«Già che ci siamo, dy Jironal…» intervenne dy Sanda, in tono perplesso. «Si può sapere come mai il Castillar non è stato riscattato insieme col resto degli ufficiali, quando avete consegnato Gotorget ai roknari?»

Cazaril serrò i denti, implorando silenziosamente dy Sanda di lasciar cadere l’argomento.

«I roknari hanno riferito che lui era morto», fu la risposta del Cancelliere. «Quando ho appreso che era ancora vivo, ho supposto che ci avessero mentito per vendicarsi di lui. Però, se il mercante di seta ha detto la verità, è possibile che lui si fosse nascosto per la vergogna. Dev’essere sfuggito ai roknari, aggirandosi per qualche tempo nelle terre di Ibra, fino al suo arresto.» E scoccò una fugace occhiata a Cazaril.

Menti sapendo di mentire, pensò questi. D’altro canto, dy Jironal non poteva ancora essere certo che Cazaril sapesse della sua menzogna. La cosa, peraltro, non gli era particolarmente utile, dato che quello non era il momento più adatto per lanciare una contro-accusa. Quell’accusa infamante aveva già dimezzato la sua credibilità, a prescindere dall’esito dell’inchiesta voluta da Orico.

«Io comunque non capisco come la sua perdita sia stata accettata senza nessuna indagine», insistette dy Sanda, fissando dy Jironal. «Dopotutto, lui era il comandante della fortezza.»

«L’ipotesi di una vendetta roknari nei confronti di Cazaril implicava che lui, in battaglia, avesse fatto pagare ai nemici un caro prezzo, no? Non si spiegherebbe altrimenti il trattamento che ha subito in seguito», intervenne Iselle.

La smorfia sul volto di dy Jironal indicò che la piega presa dal discorso non era di suo gradimento. Appoggiatosi allo schienale della sedia, il Cancelliere accantonò quella digressione con un cenno della mano. «A quanto pare, siamo arrivati a una situazione di stallo: la parola di un uomo contro quella di un altro e nessun mezzo per arrivare a una decisione. Sire, vi consiglio di usare prudenza e di assegnare al Castillar dy Cazaril un posto di minore importanza, o di rimandarlo presso la Vedova dy Baocia.»

«Lasciando che questa accusa diffamante non venga confutata? No, non intendo accettarlo!» esclamò Iselle, furente.

Massaggiandosi la testa come se gli dolesse, Orico scoccò una serie di occhiate in tralice al suo distaccato consigliere e all’agitatissima sorellastra. «Oh, Dei, odio questo genere di cose…» gemette. Subito dopo, tuttavia, la sua espressione cambiò e lui si sollevò di scatto, esclamando: «Ma certo, esiste la giusta soluzione… proprio la giusta soluzione, eh, eh…» Chiamato a sé con un cenno il paggio che aveva convocato Cazaril, gli mormorò qualcosa all’orecchio, sotto lo sguardo accigliato di dy Jironal, che però non riuscì a sentire le parole del sovrano.

«Quale sarebbe la giusta soluzione, sire?» domandò, apprensivo, dopo che il paggio fu uscito.

«Non è una soluzione mia, bensì degli Dei», precisò Orico. «Lasceremo che siano gli Dei a decidere chi è innocente e chi sta mentendo.»

«Non penserete di sottoporre la questione all’ordalia delle armi, vero?» esclamò dy Jironal, con una nota di orrore nella voce.

Cazaril non faticò a condividere quel suo stato d’animo, e così fece pure dy Maroc, almeno a giudicare dal modo in cui il sangue gli defluì dal volto.

«Ecco un’altra idea valida», osservò Orico, guardando dy Maroc e Cazaril. «Questi due mi sembrano due avversari che si equivalgono. Certo, dy Maroc è più giovane, e se la cava bene negli addestramenti con la spada, ma l’esperienza ha i suoi vantaggi.»

Lady Betriz appuntò lo sguardo su dy Maroc e assunse un’aria preoccupata. Anche Cazaril era turbato, benché per ragioni probabilmente opposte alle sue. Senza dubbio, dy Maroc era molto abile nell’arte del duello, il che significava che, nel corso di una vera battaglia, sarebbe sopravvissuto al massimo cinque minuti. In quel momento, dy Jironal incontrò il suo sguardo per la prima volta da quando l’inchiesta era iniziata e, nel comprendere che lui stava facendo il medesimo calcolo, Cazaril si sentì contrarre lo stomaco per il disgusto all’idea di massacrare quel ragazzo, per corrotto che fosse.

«Non so se quell’ibrano abbia mentito», interloquì dy Maroc. «So soltanto quello che mi ha detto.»

«Sì, sì», annuì Orico, accantonando quelle giustificazioni con un cenno impaziente. «Credo che il mio piano sia il migliore.» Poi sbuffò, si sfregò il naso con la manica e si dispose ad attendere, mentre sulla stanza calava un silenzio pieno di tensione.

Fu il paggio, di ritorno nella sala, a romperlo. «Umegat, sire», annunciò il ragazzo.

L’azzimato e vivace stalliere roknari entrò nella stanza e, nel vedere quel gruppetto, assunse un’aria vagamente sorpresa. Tuttavia continuò ad avanzare senza indugi e si fermò davanti, al suo padrone con un profondo inchino. «Come posso servirvi, mio signore?» domandò.

«Umegat… Voglio che tu vada fuori e che catturi il primo corvo sacro che vedrai, portandolo qui», rispose Orico. Poi si rivolse al paggio. «Tu! Va’ con lui per fare da testimone. Avanti, spicciatevi», concluse, battendo le mani.

Senza manifestare la minima sorpresa o porre domande di sorta, Umegat s’inchinò di nuovo e uscì; contemporaneamente, Cazaril sorprese dy Maroc nell’atto di scoccare a dy Jironal una supplichevole occhiata in cui sembrava chiedere direttive… Un’occhiata che il Cancelliere non notò.

«Dunque, come possiamo organizzare la cosa?» borbottò Orico. «Sì, ci sono… Cazaril, voi vi metterete su un lato della stanza, e dy Maroc si metterà sul lato opposto.»

Dopo una rapida — e approssimativa — valutazione delle probabilità, dy Jironal, con un impercettibile cenno del capo, indicò a dy Maroc l’estremità della stanza dove c’era la finestra aperta, relegando di conseguenza Cazaril sul lato più buio.

«Voi spostatevi tutti di lato, per fare da testimoni», proseguì Orico, rivolto a Iselle e al suo seguito. «Questo vale anche per voi», aggiunse, guardando il paggio e le due guardie. Alzatosi, aggirò quindi il tavolo per disporre le sue pedine umane nel modo più soddisfacente possibile, mentre dy Jironal rimaneva seduto, intento a giocherellare con una penna, scuro in volto.

Umegat tornò molto prima di quanto Cazaril si sarebbe aspettato, tenendo un corvo sotto un braccio. Il paggio che gli saltellava intorno con fare eccitato.

«È il primo corvo che avete visto?» chiese Orico al ragazzo.

«Sì, mio signore», rispose il ragazzo, con un filo di voce. «Ecco, i corvi erano tutti in volo sopra la Torre di Fonsa, quindi ne abbiamo visti contemporaneamente almeno sei o sette. Umegat si è fermato in mezzo al cortile con le braccia protese e gli occhi chiusi, e questo corvo gli si è andato a posare sulla manica!»

Cazaril sforzò invano la vista per cercare di determinare se a quel volatile borbottante mancassero per caso due penne della coda.

«Benissimo», dichiarò Orico, soddisfatto. «Umegat, ora voglio che tu ti metta nel centro esatto della stanza e che, al mio segnale, lasci andare il corvo sacro, così vedremo verso quale uomo volerà e avremo la risposta al nostro interrogativo. Un momento, però… Prima tutti dovrebbero pregare in cuor loro gli Dei perché ci guidino.»

«Ma, sire, come interpreteremo la risposta?» obiettò Betriz, mentre accanto a lei Iselle stava già assumendo un composto atteggiamento di preghiera, poi fissò intensamente Umegat e aggiunse: «Il corvo deve volare verso il bugiardo, o verso l’uomo sincero?»

«Oh», mormorò Orico, incerto.

«E cosa faremo se quell’uccellaccio si limiterà a volare in cerchio?» aggiunse dy Jironal, con una sfumatura esasperata nella voce.

In tal caso, sapremo che gli Dei sono confusi quanto noi, pensò Cazaril.

«Dal momento che la verità è sacra agli Dei, essi lasceranno volare il corvo verso l’uomo sincero, sire», interloquì Umegat, con un inchino, accarezzando il corvo per calmarlo.

«Oh, benissimo», annuì Orico. «Allora puoi procedere.»

Umegat, che Cazaril cominciava a ritenere dotato di una spiccata inclinazione teatrale, si posizionò in un punto equidistante dai due accusati e protese il braccio su cui era appollaiato l’uccello, ritraendo con lentezza la mano con cui lo controllava e rimanendo quindi del tutto immobile, con un’espressione di assoluta devozione sul volto.

Cazaril non poté fare a meno di chiedersi quale effetto avesse sugli Dei la cacofonia di preghiere che, senza dubbio, in quel momento si stava levando dalla stanza.

Un istante dopo, Umegat proiettò il corvo verso l’alto e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi: stridendo, l’uccello allargò le ali e aprì a ventaglio la coda, cui mancavano due penne.

Immediatamente dy Maroc allargò le braccia con aria speranzosa: sembrava chiedersi se gli sarebbe stato concesso afferrare il volatile a mezz’aria, qualora gli fosse passato sopra. Cazaril, che era sul punto di gridare Caz, Caz, fu invece assalito da una curiosità teologica: che cos’altro avrebbe potuto rivelargli quella prova, considerato che lui conosceva già la verità? Rimase allora immobile e in silenzio, le labbra socchiuse, osservando il corvo che, ignorando la finestra aperta, volava dritto verso di lui.

«Bene, bravo», sussurrò al volatile, quando esso gli affondò gli artigli nella spalla, dondolandosi sulle zampe. Poi, inclinato all’indietro il becco nero, il corvo lo fissò con occhi scintillanti e inespressivi.

Da un lato della stanza, Iselle e Betriz presero a saltellare e a gridare di gioia, abbracciandosi con tale impeto che per poco il corvo non spiccò di nuovo il volo, spaventato. Accanto a loro, dy Sanda si concesse un cupo sorriso, mentre dy Jironal serrava i denti per l’irritazione e dy Maroc appariva vagamente sgomento.

«Bene», dichiarò Orico, facendo il gesto di spolverarsi le mani grassocce. «La questione è risolta. E adesso, per gli Dei, voglio il mio pranzo!»


Circondato Cazaril come una sorta di guardia d’onore, Iselle, Betriz e dy Sanda lo scortarono fuori della Torre di Ias e nel cortile.

«Come avete fatto a scoprire cosa stava succedendo e venire in mio soccorso?» chiese Cazaril, guardando verso il cielo, nel quale adesso non c’era traccia di corvi.

«Un paggio mi ha informato che sareste stato arrestato stamattina, e sono andato immediatamente dalla Royesse», spiegò dy Sanda.

Cazaril si domandò se anche dy Sanda, come lui, avesse l’abitudine di pagare svariati osservatori, sparsi per il palazzo, per sapere in anticipo ogni novità, e come mai, in quel caso, lui non fosse stato avvertito in tempo dai suoi informatori. «Ti ringrazio per avermi protetto le… Per il tuo intervento tempestivo», replicò, rifiutandosi di proferire la parola spalle. «Sarei già stato allontanato, se non foste venuti tutti in mio soccorso.»

«Non c’è bisogno di ringraziamenti», affermò dy Sanda. «Sono convinto che voi avreste fatto lo stesso per me.»

«Mio fratello aveva bisogno di qualcuno che lo pungolasse», aggiunse Iselle, con una vena di amarezza nella voce. «Lasciato a se stesso, si piega sotto il vento più forte.»

Combattuto tra l’impulso di lodare l’acutezza dell’analisi e quello di rimproverare la giovane per la sua eccessiva franchezza, Cazaril preferì evitare di ribattere e si girò invece verso dy Sanda. «Da quanto tempo questa storia sul mio conto sta circolando a corte?» chiese.

«Credo da quattro o cinque giorni», replicò dy Sanda, scrollando le spalle.

«Noi non ne abbiamo saputo nulla fino a oggi!» protestò Betriz, indignata.

«Probabilmente, è sembrata troppo cruda per le vostre orecchie di fanciulla, mia signora», disse dy Sanda, in tono di scusa, poi accettò i rinnovati ringraziamenti di Cazaril e si congedò dagli altri, per andare a controllare i progressi di Teidez nello studio.

«È stata tutta colpa mia, vero?» commentò allora Betriz, con voce soffocata e aria depressa. «Dondo vi ha attaccato per vendicarsi dello scherzo del maiale. Oh, Lord Caz, mi dispiace!»

«No, mia signora», dichiarò Cazaril, deciso. «Tra Dondo e me esiste una vecchia ruggine che risale a prima… di Gotorget.» La ragazza sembrò rasserenarsi e lui continuò: «Posso tuttavia concedervi che lo scherzo del maiale non ha migliorato le cose, per cui non dovreste davvero rifare una cosa del genere».

Betriz sospirò, ma le sfuggì anche un accenno di sorriso. «Ecco, se non altro ha smesso di cercare d’impormi le sue attenzioni», disse. «Almeno a questo, lo scherzo è servito.»

«Non posso negare che sia un beneficio, ma… Dondo è un uomo potente, quindi v’imploro — imploro entrambe — di girare alla larga da lui.»

«Qui siamo sotto assedio, vero? Io, Teidez e il nostro seguito», osservò Iselle, scoccandogli una rapida occhiata.

«Confido che la situazione non sia così grave», mormorò Cazaril. «D’ora in avanti, però, cercate di agire con maggiore cautela, d’accordo?»

Dopo aver accompagnato le dame nelle loro camere, Cazaril non tornò ai suoi calcoli e scese invece di nuovo le scale, oltrepassando le stalle e raggiungendo il serraglio, dove trovò Umegat nella voliera, intento a persuadere gli uccelli più piccoli a fare una sorta di bagno secco in una bacinella piena di cenere, come terapia preventiva contro i pidocchi. Pulito e ordinato come sempre, col tabarro protetto da un grembiule, il roknari sollevò lo sguardo su di lui e lo accolse con un sorriso, che però Cazaril non ricambiò.

«Umegat, devo saperlo», esordì, senza preamboli. «Siete stato voi a scegliere il corvo oppure è stato lui a scegliere voi?»

«Ha importanza, mio signore?»

«Per me sì!»

«Perché?»

Cazaril aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse senza emettere suono. «È stato un trucco, vero?» chiese quindi, in tono quasi di supplica. «Li avete ingannati, portando il corvo che nutro sulla mia finestra. Gli Dei non sono veramente intervenuti in quella stanza, non è così?»

«Il Bastardo è il più subdolo tra gli Dei, mio signore», ribatté Umegat, inarcando le sopracciglia. «Soltanto perché una cosa è un trucco, non è detto che il Dio non c’entri. Temo che così funzionino le cose…» Rivolse un ciangottio all’uccello che aveva in mano, e che aveva finito di svolazzare nella cenere, lo attirò sul proprio dito con un seme prelevato dalla tasca del grembiule, e lo rimise nella vicina gabbia.

«Era il corvo cui do da mangiare», insistette Cazaril, seguendolo verso la gabbia. «È ovvio che sia volato da me. Gli date da mangiare anche voi, vero?»

«Io nutro tutti i corvi sacri della Torre di Fonsa, come fanno anche i paggi, le dame, i visitatori che giungono al castello e gli Accoliti e i Divini dei Templi cittadini. Il vero miracolo di quei corvi è che non siano diventati tanto grassi da non riuscire più a volare», ribatté lo stalliere. Con un’abile torsione del polso afferrò un altro uccello e lo immerse nella ciotola di cenere.

«Voi siete un roknari, ma non appartenete alla fede quaternariana», disse Cazaril, ritraendosi per evitare le nuvolette di cenere.

«No, mio signore», fu la serena risposta di Umegat. «Sono un Devoto quintariano fin da quand’ero giovane.»

«Vi siete convertito al vostro arrivo a Chalion?»

«No, quand’ero ancora nell’Arcipelago.»

«Come… mai non siete stato impiccato per eresia?»

«Sono riuscito a imbarcarmi su una nave per Brajar prima che mi prendessero», spiegò Umegat, con un sorriso d’un tratto più teso.

In effetti, lo stalliere aveva ancora i pollici… Accigliandosi, Cazaril scrutò con maggiore attenzione i fini lineamenti del suo interlocutore. «Che tipo era vostro padre, nell’Arcipelago?» chiese infine.

«Era di mentalità ristretta, ma molto devoto alla sua fede quadruplice.»

«Non era questo che intendevo.»

«Lo so, mio signore, ma lui è morto ormai da vent’anni, e la cosa non ha più importanza. Sono contento di ciò che sono adesso.»

Cazaril si grattò la barba, riflettendo, mentre Umegat prendeva un altro volatile. «Da quanto tempo siete capo stalliere di questo serraglio?» domandò poi.

«Fin dall’inizio, cioè da circa sei anni. Sono arrivato qui col leopardo e coi primi uccelli, come dono.»

«Da parte di chi?»

«Oh, dell’Arcidivino di Cardegoss e dell’Ordine del Bastardo… Un dono in occasione del compleanno del Roya. Da allora, al serraglio sono stati aggiunti molti splendidi animali.»

«È una collezione davvero insolita», convenne Cazaril.

«Sì, mio signore.»

«Quanto insolita?»

«Molto.»

«Non potete dirmi di più?»

«Vi supplico di non chiedermi altro, mio signore.»

«Perché?»

«Perché non desidero mentirvi.»

«Come mai?» insistette Cazaril. Gli sembrava che tutti gli altri non avessero problemi a mentirgli.

Umegat trasse un profondo respiro e gli sorrise, scrutandolo con attenzione. «Perché, mio signore, è stato il corvo a scegliere me», replicò.

Ricambiato il sorriso con aria alquanto tesa, Cazaril si congedò con un inchino e si affrettò ad andarsene.

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