Per quanto arrossati dalla stanchezza, gli occhi di Iselle erano asciutti. Betriz, che cercava di offrirle sostegno, si stava invece asciugando il volto rigato di lacrime. Era difficile stabilire quale delle due giovani donne stesse sostenendo l’altra.
Infine, il Cancelliere dy Jironal si schiarì la gola. «Porterò la notizia di questo lutto a Orico», annunciò, aggiungendo, con un certo ritardo: «Permettetemi di servirvi in questo triste momento, Royesse».
«Sì…» mormorò Iselle, con sguardo vacuo. «Ora lasciamo che tutte queste brave persone tornino ai loro compiti.»
Dy Jironal aggrottò le sopracciglia, dando l’impressione che cento pensieri diversi gli fluttuassero nella mente e che lui non sapesse quale afferrare per primo. Infine, il suo sguardo si posò su Betriz e su Cazaril. «Bisognerà rendere più consistente il vostro seguito in modo che sia adeguato al vostro nuovo rango. Provvederò io stesso», disse.
«Non sono in grado di pensare a queste cose, adesso», mormorò Iselle. «Potremo occuparcene domani, ma per stanotte, Lord Cancelliere, vi prego di lasciarmi al mio dolore.»
«Certamente, Royesse», assentì dy Jironal, inchinandosi. Poi accennò ad allontanarsi.
«Vi prego anche di non inviare nessun corriere a mia madre prima che io abbia avuto modo di scriverle una lettera», aggiunse Iselle.
Ormai sulla soglia, dy Jironal si arrestò, inchinandosi nuovamente in segno di assenso. «Certamente», garantì.
Uscendo, accompagnata da Betriz, la Royesse fece in modo di passare accanto a Cazaril. «Venite da me tra mezz’ora… Devo riflettere», gli mormorò.
Lui chinò il capo.
A poco a poco, la folla di cortigiani che si era raccolta nell’anticamera e nel salotto si disperse. Rimasero soltanto il segretario di Teidez, che aveva un’aria desolata e impotente, nonché gli Accoliti e i servitori incaricati di lavare il corpo del Royse e di prepararlo per il funerale. Sconvolti, i cantori intonarono un ultimo inno di preghiera, stavolta per il trapasso di un’anima, e le voci melodiose suonarono incerte e soffocate. Poi anche loro se ne andarono.
Cazaril non sapeva se gli faceva più male la testa o il ventre. Raggiunta a precipizio la propria camera, in fondo al corridoio, si chiuse la porta alle spalle e si preparò alla consueta aggressione notturna da parte di Dondo. Un’aggressione che, come testimoniava il suo ventre sempre più contratto, era imminente.
I crampi lo fecero piegare su se stesso, però, con sua sorpresa, Dondo rimase in silenzio. Possibile che anche lui fosse sgomento per la morte di Teidez? Se era stata sua intenzione garantire che la morte del ragazzo seguisse da presso quella di Orico, aveva ottenuto il risultato desiderato… anche se troppo tardi perché potesse servire agli scopi che lui si era preposto in vita.
Quel silenzio insolito non costituì però un sollievo per Cazaril. La sua acuita sensibilità a quella presenza malevola gli garantiva che Dondo era ancora intrappolato dentro di lui, famelico, furente… o forse intento a riflettere? Difficile saperlo, dato che l’intelligenza non era mai stata una delle sue caratteristiche primarie. Oppure la sua anima stava infine superando il profondo turbamento generato dalla morte per passare a… cosa? All’attesa? A braccare la preda? Dondo era stato un abile cacciatore, in fondo.
Cazaril si trovò a pensare che, se da un lato al demone interessava soltanto riempire i suoi due secchi con altrettante anime e tornare dal suo padrone, dall’altro Dondo probabilmente non condivideva quel desiderio. Il ventre del suo peggiore nemico era per lui una prigione odiosa, ma né l’inferno del Bastardo né il gelido oblio che attendeva gli spettri ripudiati dagli Dei erano un’alternativa soddisfacente. Cazaril non riusciva a immaginare quali fossero le altre possibilità, tuttavia era intensamente consapevole che, se Dondo stava cercando una forma fisica con cui rientrare nel mondo, in un modo o nell’altro, allora il suo corpo era quello più a portata di mano. Palpando il ventre contratto, Cazaril cercò di determinare, per l’ennesima volta, con quale rapidità stesse in effetti crescendo il tumore.
Dopo il solito, devastante quarto d’ora di terrore, finalmente i crampi passarono. Allora lui si ricordò della richiesta di Iselle. Scrivere una lettera per informare Ista della morte del figlio sarebbe stato tutt’altro che facile e non c’era da meravigliarsi che Iselle desiderasse la sua assistenza. Benché non si sentisse all’altezza del compito, Cazaril era ben determinato a offrire a Iselle tutto l’aiuto possibile, in quel momento di lutto. Si alzò quindi dal letto e salì le scale.
Trovò Iselle già seduta alla scrivania dell’anticamera, rischiarata da una serie di candele sparse all’intorno. Una pergamena di ottima qualità, le penne e la cera per i sigilli già disposti davanti a lei. Poco lontano, Betriz era intenta ad ammucchiare su una pezza di seta un piccolo assortimento di monili. C’erano spille, anelli e anche il pallido mucchio scintillante del filo di perle di Dondo, che Cazaril non aveva ancora avuto modo di consegnare al Tempio.
«Bene. Siete arrivato», mormorò Iselle, sollevando lo sguardo dalla pergamena, che stava fissando con aria accigliata, rigirandosi intorno al pollice l’anello col sigillo. «Chiudete la porta.»
«Al vostro servizio, Royesse», replicò Cazaril.
«Prego con tutto il cuore perché sia così», ribatté Iselle, scrutandolo in volto.
«Stai così male, Iselle», intervenne Betriz, preoccupata. «Sei sicura di quello che vuoi fare?»
«Non sono sicura di nulla, se non del fatto che non mi rimane più tempo… e che non ho alternative», ribatté lei. «Cazaril, voglio che domattina voi partiate alla volta di Ibra come mio inviato, per concordare il mio matrimonio col Royse Bergon»
Lui sbatté le palpebre, sconcertato da quella richiesta. Gli sembrò che la giovane avesse seguito il filo di un ragionamento che a lui invece era sfuggito. «Il Cancelliere dy Jironal non mi permetterà mai di partire», obiettò.
«È ovvio che non potrete farlo apertamente», convenne Iselle, con un gesto impaziente. «Vi recherete prima a Valencia, che si trova più o meno sulla strada, in qualità di mio corriere personale, incaricato di riferire a mia madre la notizia della morte di mio fratello. Dy Jironal acconsentirà con gioia, credendo di liberarsi di voi… Vi concederà perfino un bastone da corriere, che vi permetterà di requisire cavalli di ricambio presso le stazioni di posta della Cancelleria. Sapete anche voi che, entro domani a mezzogiorno, lui avrà riempito il mio seguito di sue spie.»
«Questo è evidente.»
«Dopo esservi fermato a Valenda, però, non tornerete a Cardegoss, ma proseguirete per Zagosur, od ovunque si trovi attualmente il Royse Bergon. Nel frattempo, io insisterò perché Teidez venga sepolto a Valenda, nella sua amata terra.»
«Teidez non vedeva l’ora di andarsene da Valenda», le fece notare Cazaril, confuso.
«Già, però dy Jironal non può saperlo, giusto? Il Cancelliere non mi permetterà di lasciare Cardegoss e di allontanarmi dal suo controllo per nessun altro motivo, ma non potrà negare una richiesta motivata da un lutto di famiglia. Per prima cosa, domattina, chiederò l’aiuto di Sara in questo progetto.»
«Adesso siete doppiamente in lutto, per vostro fratello e per Dondo. Dy Jironal non vi potrà imporre un fidanzato per mesi e mesi a venire», le ricordò Cazaril.
«Un’ora fa, io sono diventata il futuro di Chalion», gli fece notare Iselle, scuotendo il capo. «Dy Jironal dovrà assumere il controllo della mia persona e mantenerlo, se vorrà dominare il futuro della nazione. Il momento critico non è l’inizio del mio lutto per Teidez, bensì l’inizio di quello per Orico, perché sarà soltanto allora, e non un momento prima, che io passerò in maniera assoluta sotto il controllo di dy Jironal, a meno che non mi sia già sposata. Una volta lasciata Cardegoss, non ho intenzione di farvi ritorno. Con questo clima, il corteo funebre di Teidez potrebbe impiegare settimane ad arrivare a destinazione e, se il clima non dovesse collaborare, troverò altri modi per causare qualche ritardo. Allorché voi tornerete col Royse Bergon, io dovrei essere al sicuro a Valenda.»
«Aspettate… Cosa? Tornare col Royse Bergon?» esclamò Cazaril.
«Sì, è evidente che dovrete portarlo da me. Pensateci… Se lascerò Chalion per sposarmi a Ibra, dy Jironal mi denuncerà come ribelle, costringendomi a far ritorno alla testa di truppe straniere. Se difenderò le mie posizioni fin dal primissimo momento, non dovrò mai cercare di riconquistarle. Siete stato voi a insegnarmelo!»
Cazaril la fissò, sconcertato, e Iselle si protese in avanti, con un’espressione sempre più intensa. «Voglio prendere il Royse Bergon come consorte, certo, però non intendo rinunciare a Chalion per avere lui… No, neppure a un campicello, non a vantaggio di dy Jironal e neppure a vantaggio della Volpe. Queste sono le mie condizioni: Bergon e io erediteremo ciascuno la sua corona. Bergon avrà autorità a Chalion in qualità di Roya-consorte e io ne avrò a Ibra come Royina-consorte, agendo l’uno tramite l’altra, in maniera uguale e reciproca. In futuro, nostro figlio — alla Madre e al Padre piacendo — erediterà e unificherà i due. La mia futura autorità su Chalion dovrà essere soltanto mia, non consegnata al mio sposo come dote. Non intendo trasformarmi in un’altra Sara… Una semplice, ignorata moglie, senza avere voce in capitolo in seno al mio stesso consiglio!»
«La Volpe cercherà di ottenere di più», la avvertì Cazaril.
«È per questo che il mio inviato potete essere soltanto voi», affermò Iselle, sollevando il mento. «Se non riuscirete a ottenere la mano del Royse Bergon nel rispetto delle condizioni che non violano la mia futura sovranità, allora abbandonate le trattative e tornate a casa. Dopo la morte di Orico, innalzerò la mia bandiera e muoverò personalmente contro dy Jironal.» L’ombra nera le ribolliva intorno. Con voce ferma, concluse: «Maledizione o no, non intendo essere comandata a bacchetta da Martou dy Jironal, come una giumenta alla cavezza».
Sì, Iselle aveva il coraggio, la volontà e l’astuzia per resistere a dy Jironal, doti che Orico non aveva e che Teidez non sarebbe mai riuscito a sviluppare. Cazaril scorgeva quelle virtù nei suoi occhi, vedeva interi eserciti, con le lance spianate, muoversi nella nera massa di oscurità che la avviluppava, simile a una cappa di fumo che si leva da una città in fiamme. Ecco dunque la forma che la maledizione scagliata contro la sua Casa avrebbe assunto nel corso della generazione seguente: non dolore individuale, ma una guerra civile tra la Royesse e i suoi nobili, una guerra che avrebbe devastato la nazione da un capo all’altro. A meno che Iselle non fosse riuscita a liberarsi dell’appartenenza alla sua Casa e della maledizione, passando sotto la protezione di Bergon… «Cavalcherò per voi, Royesse», promise Cazaril.
«Bene», approvò lei, passando una mano sulla pergamena. «Adesso dobbiamo preparare una serie di lettere. Per prima cosa, ne scriveremo una che vi autorizzi a trattare con la Volpe… E credo che questa missiva debba essere stilata di mio pugno. Dal momento che avete letto e scritto diversi trattati, dovrete suggerirmi le frasi giuste, in modo che io non dia l’impressione di essere una ragazza ignorante.»
«Farò del mio meglio… però non sono un esperto di cose legali.»
«Se avremo successo, disporrò delle spade con cui dare peso alle mie parole», ribatté Iselle, scrollando le spalle. «Altrimenti nessun cavillo legale potrà dare loro la forza necessaria. Cerchiamo di essere semplici e chiari. Cominciamo…»
Tre faticosi quarti d’ora d’intensa concentrazione produssero una versione definitiva, che Iselle firmò con eleganza prima di apporvi il proprio sigillo; nel frattempo, Betriz finì di radunare il mucchietto di monete e di gioielli.
«È tutto il denaro che abbiamo?» domandò Iselle.
«Purtroppo sì», sospirò Betriz.
«In tal caso, Cazaril dovrà impegnare i gioielli al suo arrivo a Valenda, o in qualche altro luogo sicuro», decise Iselle, avvolgendo i preziosi nella seta e spingendo il fagotto verso Cazaril. «I vostri fondi, mio signore. La Figlia voglia che siano sufficienti a farvi arrivare a destinazione e a permettervi di tornare indietro.»
«Saranno più che sufficienti, se non verrò truffato», le assicurò Cazaril.
«Ricordate che dovete spenderli senza inutili risparmi: sarete il mio rappresentante a Ibra, no? Rammentate di curare l’abbigliamento… Il Royse Bergon dovrà viaggiare con lo stile che si addice al suo rango e al mio, per non recare vergogna a Chalion.»
«Questo potrebbe essere difficile, senza disporre di un esercito, intendo… Comunque ci rifletterò. Molto dipenderà da molte cose ancora in sospeso. Dovremo anche elaborare un mezzo di comunicazione sicuro, perché senza dubbio dy Jironal, o le sue spie, faranno di tutto per intercettare qualsiasi lettera da voi ricevuta.»
«Ah.»
«Esiste un codice cifrato, molto semplice ma pressoché impossibile da decifrare, perché si basa sulla possibilità di avere due copie della stessa edizione di un determinato libro: una me la porterei appresso e l’altra rimarrebbe qui con voi. Le parole vengono selezionate con sequenze di tre numeri — numero di pagina, di riga e di parola all’interno della riga -, mediante i quali chi riceve la missiva può individuare ogni termine. Non bisogna scegliere sempre gli stessi numeri per la stessa parola, bensì cercarla su un’altra pagina. Ci sono codici migliori, però non ho il tempo d’insegnarveli. Il vero problema è che non ho due libri uguali…»
«Provvederò io a trovarli, prima che voi partiate, domattina», promise Betriz.
«Grazie», replicò Cazaril. Per lui, malato com’era, era una follia intraprendere un viaggio del genere, valicando le montagne in pieno inverno. Sarebbe caduto da cavallo in mezzo alla neve, morendo assiderato, e sia lui sia le lettere di cui era latore sarebbero state divorate dai lupi… «Vorrei… Il mio spirito è disponibile, ma il mio corpo è un territorio occupato, e in buona parte distrutto», osservò. «Ho paura di crollare durante il viaggio. Il mio amico, il March dy Palliar, è un buon cavaliere e un valido combattente. Posso suggerirvi di scegliere lui come vostro inviato?»
Iselle si accigliò. «Temo che, per avere la mano di Bergon, sarà necessario sostenere con la Volpe un duello di astuzia e non di spada. È dunque meglio inviare la mente a Ibra e tenere la spada qui a Chalion», rispose.
Il pensiero di lasciare accanto a Iselle e Betriz un amico su cui fare affidamento, e che aveva a sua volta altri amici, rasserenò Cazaril. «In ogni caso, domani potrò invitarlo a discutere con noi della cosa?» domandò.
Iselle lanciò un’occhiata a Betriz e, dopo un momento, annuì con decisione. «Sì. Accompagnatelo da me il più presto possibile.» Poi trasse a sé un altro foglio di pergamena e prese una penna pulita. «Adesso scriverò una lettera personale al Royse Bergon, che voi riceverete sigillata e che gli trasmetterete senza aprirla. Quindi sarà la volta della lettera per mia madre. Non credo che voi possiate essermi d’aiuto con nessuna delle due, dunque vi consiglio di andare a dormire un poco, finché potete.»;
Cazaril si alzò e s’inchinò.
«Sono lieta che sarai tu a riferirle la notizia, e non un qualsiasi corriere della Cancelleria», sussurrò Iselle, mentre lui arrivava alla porta. «Anche se non sarà una cosa facile.»
Tratto un profondo respiro, Iselle si chinò sul foglio di pergamena, con la luce delle candele che faceva brillare come un’aureola i capelli dorati intorno al volto assorto. Lasciandola immersa in quella polla di luce, Cazaril si addentrò nell’oscurità del corridoio gelido.
All’alba, Cazaril venne destato da un insistente bussare alla porta della sua camera. Quando si alzò, incespicando, dal letto per andare ad aprire, non si trovò davanti un paggio venuto a convocarlo, come si era aspettato, bensì dy Palliar.
Abitualmente ordinato, quella mattina Palli dava l’impressione di essersi vestito al buio, a casaccio. I capelli arruffati sporgevano in tutte le direzioni e gli occhi erano cerchiati di scuro. Entrò di slancio nella stanza, mentre i fratelli dy Gura, assonnati ma allegri, sorridevano a Cazaril dal corridoio. Consegnata a Ferda, il più alto dei due, la candela che aveva vicino al letto, Cazaril attese che questi la accendesse dalla candela nel corridoio, restituendola poi a Palli, che la prese con mani leggermente tremanti.
«Per i demoni del Bastardo, Caz! Cosa stai combinando?» esclamò Palli, dopo che la porta fu chiusa.
«A cosa ti riferisci?» domandò Cazaril, confuso.
Palli accese un altro paio di candele, vicino alla bacinella e alla brocca di Cazaril, e si girò di scatto. «Mi hai detto di pregare per ricevere una guida, tramite i miei sogni. Ebbene, vorrei farti sapere che la scorsa notte, in sogno, sono stato ucciso cinque volte, mentre cavalcavo per andare chissà dove, e ogni volta si è trattato di una fine più orribile delle precedenti. Nell’ultimo sogno, sono stato divorato dai miei cavalli. Non voglio salire su un cavallo, un mulo o qualsiasi altro animale da trasporto per almeno una settimana!»
«Oh», mormorò Cazaril. Quella notizia per lui era fin troppo chiara. «In tal caso, non voglio che tu vada da nessuna parte.»
«Saperlo è un sollievo.»
«Andrò io stesso.»
«Dove? Con questo clima? Ha cominciato a nevicare, sai?»
«Ah, ci mancava soltanto questo. Non te lo ha ancora detto nessuno? Il Royse Teidez è morto verso mezzanotte, a causa della ferita infetta.»
«Questo cambia le cose, a Chalion», osservò Palli, rannuvolandosi.
«Infatti. Dammi il tempo di vestirmi e vieni di sopra con me», replicò Cazaril, sciacquandosi in fretta la faccia con l’acqua fredda e infilandosi gli abiti del giorno prima.
Trovò Betriz ancora vestita con l’abito da lutto nero e lavanda della notte precedente e, dal suo aspetto, dedusse che non era andata a dormire. Condotti i fratelli dy Gura nell’anticamera, in modo che non potessero essere visti dal corridoio, Cazaril entrò nel salotto insieme con Palli, chiudendosi la porta alle spalle.
«Tutte le lettere sono pronte per andare… a Valenda», affermò Betriz in tono esitante, guardando Palli. Poi indicò un pacchetto sigillato sul tavolo.
«Iselle sta dormendo?» chiese Cazaril.
«Sta riposando, ma so che vuole vedervi, entrambi», replicò Betriz, scomparendo nella camera da letto. Dall’interno giunse un sommesso mormorare di voci, poi Betriz riapparve, con un paio di libri sotto il braccio. «Ieri mi sono intrufolata nella biblioteca del Roya e ho trovato due volumi identici. I duplicati non erano molti, e ho scelto i due libri più grossi, così da avere un maggior numero di parole tra cui scegliere.»
«Bene», approvò Cazaril, prendendo uno dei volumi e soffocando a stento una cupa risata nello scorgere le lettere dorate incise sulla costa: Il quintuplice sentiero. «Una scelta perfetta. Ho proprio bisogno di rinfrescare le mie nozioni di teologia», commentò, deponendo il libro accanto alle lettere.
Iselle apparve in quel momento, avvolta in una pesante vestaglia blu scuro, sotto cui facevano capolino i merletti della sua camicia da notte; i capelli color ambra le ricadevano sulle spalle e il suo volto appariva pallido e gonfio per la mancanza di sonno. «Mio signore dy Palliar», disse, rivolgendo un cenno del capo a Cazaril e a Palli. «Vi ringrazio per essere venuto in mio aiuto.»
«Io… ecco…» balbettò Palli, scoccando a Cazaril un’occhiata disperata, che pareva chiedere: A che cosa sto acconsentendo?
«Vuole dunque partire al vostro posto?» domandò Betriz a Cazaril, in tono ansioso. «Non dovreste tentare questo viaggio… No, non dovreste proprio.»
«Ecco… no. Palli, ti chiedo di pronunciare un giuramento in nome degli Dei e in particolare della Signora della Primavera. Dovrai servire e proteggere la Royesse Iselle a costo della vita. Ciò che ti domando non costituisce un tradimento, giacché lei è la legittima Erede di Chalion. Tu avrai l’onore di essere il primo tra i cortigiani a giurarle fedeltà», disse Cazaril.
«Io… posso pronunciare un giuramento di fedeltà in aggiunta a quello dato a Orico, ma non posso giurare di essere fedele a voi invece che a lui», replicò Palli, rivolto a Iselle.
«Non pretendo che serviate me al posto di Orico, però mi aspetto che voi anteponiate le mie esigenze a quelle del Cancelliere di Orico.»
«Questo lo posso fare, e anche con piacere», dichiarò Palli, illuminandosi in volto, poi baciò la fronte, le mani e le pantofole di Iselle, rimanendo in ginocchio davanti a lei nel pronunciare i giuramenti richiesti a un nobile di Chalion, mentre Betriz e Cazaril facevano da testimoni. «Royesse… Che ne pensate di Lord dy Yarrin come nuovo Santo Generale dell’Ordine della Figlia?» chiese poi.
«Credo che non spetti ancora a me attribuire simili incarichi, benché di certo egli sia un candidato più accettabile di qualsiasi altro proveniente dal gruppo di fedeli a dy Jironal.»
Annuendo lentamente, Palli si rialzò. «Glielo farò sapere», disse.
«Iselle avrà bisogno di tutto il supporto pratico che le potrai fornire, nel corso del funerale di Teidez», affermò Cazaril. «Dal momento che lui verrà sepolto a Valenda, posso suggerire che Iselle selezioni il tuo contingente di truppe provenienti da Palliar come parte del corteo del Royse? Questo vi fornirà una buona scusa per conferire spesso, e ti permetterà di rimanerle accanto quando lascerà Cardegoss.»
«Avete una mente davvero pronta», disse Iselle.
Cazaril non aveva assolutamente quell’impressione. Gli pareva anzi che la sua mente faticasse a seguire quella di Iselle, come se fosse stata calzata di stivali appesantiti da dieci chili di fango. L’autorità che era ricaduta su di lei, la notte precedente, sembrava aver liberato un’energia repressa, racchiusa da tempo nel suo animo, e adesso tale energia ardeva dentro di lei, all’interno del bozzolo di oscurità che l’avviluppava. Cazaril aveva paura di chiudere gli occhi, per timore di vedere quella nube incombere anche dietro le palpebre chiuse.
«Ma dovete proprio partire da solo, Cazaril?» domandò Betriz, contrariata. «La cosa non mi piace.»
«Credo che debba essere solo, almeno fino a Valenda», replicò Iselle. «A Cardegoss non c’è praticamente nessuno di cui mi fidi abbastanza da mandarlo con lui, mentre a Valenda mia nonna gli potrà fornire degli uomini. A dire il vero, non dovreste arrivare alla corte della Volpe solo e senza seguito, perché non voglio fargli pensare che siamo disperati… Anche se è vero», commentò con una nota di amarezza nella voce.
«Ma che farete, se doveste sentirvi male lungo la strada?» insistette Betriz, tormentando il velluto nero della sua veste. «Supponete che il vostro tumore si aggravi… Chi brucerà il corpo, se doveste morire?»
«Tumore?» esclamò Palli, girandosi di scatto. «Cazaril! Cosa significa?»
«Cazaril, non glielo avete detto? Credevo che fosse un vostro amico!» esclamò Betriz. Poi si rivolse a Palli: «Ha intenzione di cavalcare fino a Ibra con un grosso, malefico tumore nel ventre, e senza nessuno che lo aiuti lungo la strada. Non credo che questo sia coraggio… A mio parere si tratta di stupidità! È evidente che deve andare a Ibra, perché non c’è nessun altro all’altezza di questo compito, però non deve farlo da solo!»
Palli si appoggiò allo schienale della sedia, passandosi un pollice sulle labbra, mentre fissava Cazaril con occhi socchiusi. «Mi pareva che avessi un aspetto malato», disse infine.
«Sì… Ecco, non c’è nulla da fare al riguardo.»
«Hmm… Quanto è grave? Voglio dire, stai…»
«Vuoi sapere se sto morendo? Sì. Tra quanto tempo? Nessuno lo sa. E questo, come ti farebbe notare l’Erudito Umegat, rende la mia vita del tutto uguale alla tua. Del resto, chi vuol morire nel proprio letto?»
«Tu hai sempre sostenuto di volerlo fare in età avanzatissima, a letto e con la moglie di qualcuno.»
«Con la mia, preferibilmente», sospirò Cazaril, riuscendo a trattenersi dal guardare Betriz. «Ah, be’, quello della mia morte è un problema che sta nelle mani degli Dei. Quanto a me, partirò non appena sellato un cavallo.» Alzatosi con un grugnito, allungò la mano per prelevare il libro e le lettere.
Palli scoccò un’occhiata a Betriz, che aveva le mani serrate e lo stava fissando con aria implorante, poi borbottò un’imprecazione, si alzò e si diresse bruscamente verso la porta dell’anticamera, spalancandola di scatto. Foix dy Gura, che era appoggiato con l’orecchio contro il lato opposto del battente, si raddrizzò, barcollando, e sorrise al suo comandante, mentre Ferda, appoggiato alla parete opposta, scoppiava in una risata.
«Salve, ragazzi! Ho un lavoretto per voi», annunciò Palli.
Tallonato da Palli, Cazaril oltrepassò il portone dello Zangre vestito in maniera adeguata per affrontare un viaggio invernale, con le sacche da sella appesantite da un cambio di vestiario, una piccola fortuna in gioielli, un testo di teologia e alcune lettere che potevano costituire un atto di tradimento.
Al suo arrivo alle stalle, constatò che i fratelli dy Gura lo avevano preceduto; tornati a Palazzo Yarrin sulla scorta di ordini urgenti impartiti da Palli, i due ne avevano approfittato per cambiare la divisa azzurra e bianca con un abbigliamento più adatto a un viaggio, calzando alti e logori stivali da equitazione.
Betriz era con loro, avvolta in un mantello di lana bianca, e i tre stavano confabulando. La giovane, poi, gesticolava con slancio per dare maggiore enfasi alle proprie parole. Sollevando lo sguardo, Foix si accorse del sopraggiungere di Cazaril e, sul suo ampio volto, si dipinse un’espressione seria e quasi intimorita. Mormorò qualcosa e fece cenno a Betriz di guardarsi alle spalle. La conversazione s’interruppe e i due fratelli si girarono per rivolgere un inchino a Cazaril. Quanto a Betriz, lo scrutò come se intendesse memorizzare il suo volto.
«Ferda», chiamò Palli.
Il giovane scartò sull’attenti davanti a lui e Palli prese due lettere dalla sopravveste, l’una sigillata e l’altra soltanto ripiegata. Porgendo la prima a Ferda, disse: «Questa è un’autorizzazione da parte mia, in qualità di Lord Devoto dell’Ordine della Figlia, che ti dà diritto a ottenere dai capitoli del nostro Ordine qualsiasi tipo di assistenza di cui tu possa aver bisogno nel corso del viaggio. Ogni debito sarà saldato da me, a Palliar». Poi gli diede la lettera ripiegata. «Quest’altra dovrai aprirla a Valenda.» Annuendo, Ferda ripose in tasca entrambe le missive, ignorando che la seconda poneva lui e il fratello agli ordini di Cazaril, nel nome della Figlia, senza fornire altri dettagli. Il viaggio fino a Ibra sarebbe stato pieno di sorprese per i due giovani.
«Avete abiti pesanti a sufficienza?» domandò quindi Palli, girando intorno ai cugini come un comandante che ispezionasse le truppe. «Siete armati a dovere contro i banditi?»
I due mostrarono le spade lucide e le balestre cariche, con la corda protetta dall’umidità, e accompagnate da una scorta adeguata di quadrelle: tutto era in buone condizioni.
Alcuni fiocchi di neve vorticavano nell’aria umida, posandosi su capelli e indumenti per sciogliersi subito. Lì, in città, la nevicata dell’alba si era ridotta a una semplice spolverata, ma sulle colline di certo era stata più consistente.
«Cazaril… Ho pensato che questo potrà servirvi, sui passi montani», disse Betriz, tirando fuori da sotto il mantello un peloso oggetto bianco.
Dopo averlo fissato per un istante con aria interdetta, Cazaril si rese conto che si trattava di un cappello di pelliccia, realizzato nello stile tipico dei montanari che vivevano nella regione meridionale di Chalion, con ali da ripiegare sulle orecchie e una cordicella da legare sotto il mento. Sebbene quel genere di copricapo fosse usato da uomini e donne, quello era stato indubbiamente creato per una dama. Infatti era in bianca pelliccia di coniglio e decorato con ricami floreali in filo dorato.
Inarcando le sopracciglia con aria divertita, Foix sogghignò, mentre Ferda si portò una mano alla bocca per coprire una risata.
«Grazioso», commentò Cazaril.
«Ho avuto poco tempo… non sono riuscita a trovare altro», ribatté Betriz, arrossendo. «È sempre meglio che ritrovarsi con le orecchie congelate!»
«Infatti vi ringrazio», convenne Cazaril. «Non disponevo di un cappello adeguato.» Ignorando i sogghigni dei due giovani, tolse il copricapo dalle mani di Betriz e s’inginocchiò per riporlo con cura nelle sacche da sella, un gesto che non era inteso soltanto a gratificare la dama, anche se lo sbuffo soddisfatto che lei indirizzò a Ferda lo divertì. Quando avessero fatto la conoscenza coi venti che soffiavano sulle montagne di confine, i due fratelli avrebbero smesso di sogghignare.
Sopraggiunse Iselle, avvolta in un mantello di velluto color porpora, ma tanto scuro da sembrare nero, e accompagnata da un tremante funzionario della Cancelleria, che consegnò a Cazaril un bastone da corriere numerato, chiedendogli di apporre una firma su un registro. Richiuso in fretta il registro, il funzionario si affrettò a riattraversare il ponte levatoio per mettersi al sicuro dal freddo.
«Siete riuscita a ottenere l’ordine da dy Jironal?» domandò Cazaril, riponendo il bastone in una tasca interna del mantello. Doveva proteggerlo, dato che esso gli avrebbe garantito cavalli freschi, cibo e un letto pulito, anche se duro e stretto, in ogni stazione di posta lungo le strade principali di tutta Chalion.
«Non da dy Jironal, da Orico. Lui è ancora il Roya di Chalion, anche se ho dovuto ricordare la cosa perfino al funzionario della Cancelleria», rispose Iselle. «Gli Dei vi accompagnino, Cazaril.»
«Purtroppo lo faranno», sospirò Cazaril, chinando il capo per baciare le mani gelide della Royesse.
Consapevole che Betriz lo stava tenendo d’occhio, esitò, poi si schiarì la gola e prese anche le mani di lei nelle proprie. Le dita di Betriz si contrassero al contatto delle sue labbra, e lei si lasciò sfuggire un lieve sussulto, ma i suoi occhi rimasero fissi in lontananza, sopra la sua testa. Nel raddrizzarsi, Cazaril vide i fratelli dy Gura che sembravano avvizzire sotto il suo sguardo di fuoco.
Al sopraggiungere di uno stalliere del castello, che conduceva per le briglie tre cavalli da corriere sellati, Palli strinse la mano ai cugini. Ferda prese le redini del cavallo destinato a Cazaril, uno slanciato roano che si adattava alla sua alta statura, e il muscoloso Foix lo aiutò a montare. «State bene, signore?» gli chiese poi, mentre lui si assestava sulla sella con un leggero grugnito. Non siamo ancora partiti e già si preoccupano per me… Ma cosa ha detto loro Betriz? «Sì, va tutto bene. Ti ringrazio.»
Ferda gli porse le redini, Foix lo aiutò ad assicurare dietro l’arcione le preziose sacche da sella, poi i due fratelli montarono a loro volta, Ferda con agilità e suo fratello con maggiore pesantezza, e i tre si avviarono per uscire dal cortile. Voltandosi sulla sella, Cazaril vide Iselle e Betriz percorrere il ponte levatoio e oltrepassare il portone dello Zangre; prima di scomparire al di là di esso, Betriz si voltò, sollevando una mano. Cazaril ricambiò quel gesto di saluto, poi i cavalli superarono la prima curva e gli edifici di Cardegoss nascosero il portone. Un singolo corvo s’intestardì a seguirli, svolazzando di grondaia in cornicione.
Di lì a poco, i tre s’imbatterono poi nel Cancelliere dy Jironal, che stava rientrando al castello dal suo palazzo, a cavallo e seguito da due guardie armate e a piedi. Era evidentemente andato a casa per lavarsi, cambiarsi e sbrigare la corrispondenza personale più urgente. A giudicare dal volto grigiastro e dagli occhi arrossati, la notte precedente non doveva aver dormito molto più di Iselle.
Fermando il cavallo, dy Jironal rivolse a Cazaril uno strano, piccolo gesto di saluto.
«Dove siete diretto, Lord Cazaril… sui cavalli della mia Cancelleria?» domandò, notando le selle leggere da corriere, contrassegnate dallo stemma di Chalion.
«A Valenda, mio signore», rispose Cazaril, accennando un inchino. «Secondo la Royesse Iselle, non è giusto che sia un estraneo a comunicare una notizia così drammatica alla madre e alla nonna, dunque mi ha scelto come suo corriere personale.»
«Ista la Folle, eh?» commentò dy Jironal, sarcastico. «Non invidio il vostro compito.»
«Infatti», annuì Cazaril. Poi, in tono speranzoso, aggiunse: «Ordinatemi di tornare accanto a Iselle, e vi obbedirò all’istante».
«No, no», disse dy Jironal, con un sorrisetto soddisfatto. «Non riesco a immaginare nessuno più adatto di voi a compiere questo triste dovere. Proseguite pure. A proposito, quando avete intenzione di ritornare?»
«Non lo so ancora con certezza. Iselle desidera che, prima di rientrare a corte, mi accerti che sua madre abbia superato questo colpo doloroso… e non mi aspetto che Ista prenda bene la notizia.»
«Lo immagino. Vorrà dire che vi aspetteremo.»
Non dubito che lo farai, pensò Cazaril. Lui e dy Jironal si scambiarono un cauto cenno di saluto, poi i due gruppi proseguirono nelle direzioni opposte. Ma Cazaril si girò e vide che il Cancelliere, svoltando l’angolo verso il portone dello Zangre, aveva fatto altrettanto. Sì, dy Jironal sapeva che sarebbe stato impossibile tendergli subito un’imboscata, giacché quei cavalli da corriere costituivano un enorme vantaggio. Durante il ritorno, però, sarebbe stato tutto molto diverso… Ma io non tornerò lungo questa strada, si disse.
E se non fosse tornato affatto? Aveva soppesato tutti i disastri conseguenti a un fallimento, ma non si era chiesto quale sarebbe stata la sua sorte, se avesse avuto successo. Che ne facevano gli Dei, dei santi utilizzati sino in fondo? Per quel che ne sapeva, non ne aveva mai incontrato uno, salvo forse Umegat… E quel pensiero non era affatto rassicurante.
Raggiunte le porte cittadine, i tre oltrepassarono il ponte che conduceva alla strada del fiume. Il corvo di Fonsa smise di seguirli e si appollaiò sui merli della porta, lanciando qualche triste richiamo, la cui eco li seguì lungo la discesa nel burrone. Cazaril si chiese se Betriz li avrebbe guardati percorrere la strada, dalle finestre del castello. Ma, se pure lo avesse fatto, lui non sarebbe stato in grado di vederla, così in alto e nell’ombra dell’interno del palazzo.
I suoi cupi pensieri furono dispersi da un martellare di zoccoli. Era un corriere in arrivo — una donna — che li oltrepassò al galoppo, su un cavallo affannato e coperto di schiuma, rivolgendo loro un cenno di saluto. I corrieri donna erano decisamente preferiti da alcuni responsabili alle assegnazioni dei cavalli della Cancelleria, almeno sulle strade più sicure: secondo loro, il peso minore e le mani più leggere affaticavano meno gli animali. Rispondendo al saluto, Foix si girò sulla sella per contemplare la donna e Cazaril non ritenne che stesse semplicemente ammirando il suo talento equestre.
«Adesso possiamo galoppare, mio signore?» domandò Ferda, tutto speranzoso, affiancando il cavallo a quello di Cazaril. «Le giornate sono corte, e i cavalli riposati.»
Ma io non lo sono, per i cinque Dei, pensò Cazaril con un sospiro. «Sì», rispose tuttavia, spronando il roano, che si lanciò subito in uno sciolto galoppo allungato.
Davanti a loro, la strada si aprì, attraverso un panorama striato di neve, snodandosi in mezzo a grigi veli di nebbia, pervasi dal vago sentore di vegetazione marcescente proprio dell’inverno, per poi svanire lungo l’orizzonte incerto.