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Fu così che, il mattino successivo, Cazaril venne condotto, dalla Provincara in persona, nello studiolo delle due giovani dame. La stanzetta soleggiata si trovava sul lato orientale della fortezza, all’ultimo piano della struttura, che era occupato dalla Royesse Iselle, da Lady Betriz, dalla loro dama di compagnia e da una cameriera. Anche il Royse Teidez aveva a disposizione alcune camere per il suo piccolo seguito, ma esse si trovavano nel nuovo edificio, dalla parte opposta del cortile, e Cazaril aveva il sospetto che fossero più vaste e dotate di focolari migliori. Lo studiolo di Iselle era arredato con un paio di tavolini, alcune sedie, una libreria mezza vuota e due cassapanche. La compresenza di Cazaril, che si sentiva goffo e troppo alto sotto il basso tetto di travi scoperte, e delle due giovani donne faceva sì che la camera sembrasse davvero piena. Perciò la dama di compagnia, sempre presente, fu costretta a spostarsi col suo lavoro di cucito nella stanza accanto, anche se le porte vennero lasciate aperte per salvaguardare le apparenze.

Cazaril aveva quasi l’impressione di avere davanti a sé un’intera classe, e non una singola allieva: una dama del rango di Iselle, infatti, non veniva quasi mai lasciata da sola, e di certo non in compagnia di un uomo, anche se prematuramente invecchiato, convalescente e al servizio della sua famiglia. Pur non sapendo cosa pensassero le due dame di quella soluzione, Cazaril si sentiva sollevato. Mai, nella sua vita, aveva avuto l’impressione di essere così repellente, goffo, degradato e zotico… Eppure quell’allegra atmosfera femminile era lontanissima da quella che si respirava su una panca per rematori di una galea roknari e, nel rilevare quel contrasto, mentre si abbassava per non battere la testa contro lo stipite nell’entrare nella stanza, Cazaril sentì la gola che gli si contraeva per un’ondata quasi incontrollabile di gioia.

La Provincara spiegò il motivo della sua presenza con poche parole decise, qualificandolo come il segretario-tutore di Iselle. «Adesso ne hai uno anche tu, come tuo fratello», aggiunse.

Dopo essere rimasta interdetta di fronte a quel dono, chiaramente inatteso, Iselle fu pronta ad accettarlo senza la minima rimostranza; anzi, a giudicare dalla sua espressione calcolatrice, la novità di essere istruita da un uomo e l’aumento di prestigio che ciò comportava parvero soddisfarla alquanto. Quanto a Lady Betriz, non si mostrò guardinga né ostile e sembrò accettare la novità con interesse, cosa che fece non poco piacere a Cazaril.

Abbigliato con la veste marrone tolta al mercante, fermata in vita dalla cintura tempestata in argento datagli dal siniscalco, Cazaril era certo di avere l’aspetto dello studioso, almeno quanto bastava per trarre in inganno le due ragazze. Inoltre, prima di presentarsi, si era munito di tutti i libri in darthacano che aveva trovato con una rapida ricerca nella biblioteca del defunto Provincar: una mezza dozzina di volumi in tutto. Lasciò cadere quei libri su uno dei tavolini con un tonfo sonoro e rivolse alle allieve un sorriso volutamente sinistro. Se quell’attività somigliava in qualche misura all’addestramento delle giovani reclute, o dei puledri, allora la chiave del successo consisteva nel prendere l’iniziativa fin dal primo momento e conservarla. Poteva anche essere un ignorante, ma doveva comportarsi in modo autoritario.

Allora la Provincara se ne andò con passo deciso. Per dimostrare di avere un piano, mentre ancora ne stava elaborando uno, Cazaril pensò di verificare la padronanza che la Royesse aveva del darthacano. Le fece leggere una pagina a caso di uno dei volumi, che per pura fortuna risultò trattare un argomento che lui conosceva molto bene: come minare e indebolire le fortificazioni nel corso di un assedio. Con vari aiuti e numerosi incitamenti, Iselle lesse faticosamente tre interi paragrafi. Poi Cazaril le rivolse qualche domanda, chiedendole di spiegare il contenuto di quanto aveva appena letto, ma lei incespicò nelle parole, in palese difficoltà.

«Il vostro accento è orribile», dichiarò infine il Castillar. «Un darthacano lo troverebbe quasi incomprensibile.»

«La mia governante ha sempre affermato che il mio accento era eccellente», ribatté Iselle, sollevando la testa di scatto e fissandolo con occhi di fuoco. «Anzi, secondo lei, ho un’intonazione molto melodica.»

«Certo, parlate come una pescivendola dell’Ibra meridionale che sta declamando la bontà delle sue merci… Anche loro sono molto melodiche, però qualsiasi nobile darthacano vi riderebbe in faccia, perché da quelle parti sono estremamente suscettibili e arroganti, per quanto concerne il loro orribile linguaggio», ribatté Cazaril, memore di un’occasione in cui si era venuto a trovare in una situazione del genere. «La vostra governante vi ha adulata, Royesse.»

«Devo dedurre che non vi considerate un adulatore, Castillar?» chiese Iselle, accigliandosi.

Nel suo tono e nelle sue parole erano presenti sfumature e sottintesi che Cazaril non si era aspettato. Dal suo posto a sedere, su una cassapanca accostata al lato opposto del tavolino, fece un inchino ironico, ma una delle aderenze che gli tormentavano la schiena lo costrinse bruscamente a interrompere il gesto. «Confido di non essere un vero e proprio zoticone», replicò allora. «Tuttavia se desiderate un uomo che sciorini convenienti bugie in merito ai vostri talenti, stroncando così sul nascere qualsiasi vostra speranza di eccellere, sono certo che non faticherete a trovarne. Non tutte le prigioni sono fatte di sbarre di ferro, Royesse… Alcune hanno la forma di letti di piume.»

Iselle dilatò le narici e serrò le labbra. Troppo tardi, a Cazaril venne in mente che quello forse era l’approccio sbagliato: dopotutto, Iselle era giovane, poco più che una ragazzina. Avrebbe dovuto addolcire i suoi modi? Se Iselle si fosse lamentata di lui con la Provincara, inoltre, lui rischiava di perdere…

«Continuiamo», disse in quel momento Iselle, in tono gelido, voltando la pagina.

Aveva un’espressione assolutamente identica a quella — mista di rabbia e frustrazione — che Cazaril aveva scorto in alcuni giovani che, dopo essere caduti, si erano rialzati, sputando la polvere entrata loro in bocca, ed erano maturati fino a diventare i suoi migliori luogotenenti. Forse quel compito non era difficile come aveva temuto… Represse un sorriso e assunse un’aria grave e accigliata, rivolgendo alla ragazza un imperioso cenno di assenso. «Proseguite pure», replicò.

Un’intera ora trascorse in fretta, dedicata a quell’attività facile e piacevole… Piacevole per lui, almeno. Quando si accorse che la Royesse stava cominciando a massaggiarsi le tempie, e che la sua espressione accigliata non aveva più nulla a che vedere coi suoi sentimenti offesi, Cazaril le tolse il libro di mano.

Lady Betriz aveva accompagnato Iselle nella lettura, muovendo silenziosamente le labbra, e Cazaril le fece ripetere l’esercizio; avendo a disposizione l’esempio della Royesse, Betriz fu più rapida nel leggere il brano, ma lo fece con lo stesso accento dell’Ibra meridionale esibito da Iselle, probabile retaggio della loro precedente istitutrice. Iselle ascoltò con attenzione tutte le correzioni apportate da Cazaril.

Finita la lettura, Cazaril ritenne che si fossero ampiamente guadagnati tutti e tre il pasto di mezzogiorno, ma gli rimaneva ancora da assolvere a uno sgradevole compito, esplicitamente impostogli dalla Provincara. Mentre le ragazze accennavano ad alzarsi, si appoggiò allo schienale della sedia e si schiarì la gola. «Il vostro gesto di ieri, al Tempio, è stato davvero spettacolare, Royesse Iselle», disse.

«Vi ringrazio, Castillar», replicò la Royesse, incurvando l’ampia bocca in un sorriso, che si estese agli occhi dalle palpebre stranamente pesanti.

«Un insulto pubblico, rivolto a un uomo costretto a subirlo senza poter ribattere», proseguì lui, sorridendo a sua volta, però in maniera tirata. «Se non altro, i perdigiorno che hanno assistito alla scena si sono enormemente divertiti, almeno a giudicare dalle loro risate.»

«A Chalion ci sono molti mali cui non posso porre rimedio», obiettò Iselle, mostrando un certo disagio. «Ciò che ho fatto è stato ben poco.»

«Se si è trattato di un atto a fin di bene, vi siete comportata nel modo giusto», ammise Cazaril, con un cenno ingannevolmente cordiale. «Ditemi, Royesse, quali passi avete mosso, prima di agire, per accertarvi della colpevolezza di quell’uomo?»

Iselle, che stava sollevando il mento con aria di sfida, si bloccò a metà del gesto. «Ser dy Ferrej ha detto che era colpevole, e so che lui è una persona onesta.»

«Rammento con precisione ciò che Ser dy Ferrej ha affermato, dato che è estremamente attento nella scelta delle parole… E lui ha sostenuto di aver sentito dire che il giudice si era lasciato corrompere dallo spadaccino, e non di avere conoscenza diretta della cosa. Avete forse parlato con lui dopo cena per capire come fosse giunto a formulare quella convinzione?»

«No… Se avessi rivelato ciò che avevo intenzione di fare, me lo avrebbero proibito.»

«Però lo avete confidato a Lady Betriz», obiettò Cazaril, indicando la donna bruna.

«È stato per questo che le ho suggerito di chiedere alla Dea di elargirle la fiamma al primo tentativo», intervenne Betriz, sentendosi chiamata in causa.

«La fiamma al primo tentativo…» ripeté Cazaril, scrollando le spalle. «Lady Iselle, la vostra mano è forte, giovane e salda. Siete certa che accendere subito il fuoco non sia stato soltanto merito vostro?»

«I cittadini hanno applaudito…» mormorò Iselle, accigliandosi.

«Certamente», la interruppe Cazaril. «In media, la metà di quanti si presentano davanti a un giudice se ne va inevitabilmente delusa e furente. Questo però non significa per forza che abbia subito un torto.»

Quella particolare affermazione parve infine colpire nel segno, almeno a giudicare dall’improvviso cambiamento dell’espressione di Iselle, che da arrogante si fece sconvolta, cosa tutt’altro che piacevole a vedersi.

«Ma… ma…» balbettò la giovane.

«Non sto dicendo che abbiate avuto torto, Royesse», sospirò Cazaril. «Intendo soltanto farvi notare che vi siete mossa alla cieca… Se non siete andata a sbattere contro un albero, è stato solo per misericordia degli Dei e non per attenzione da parte vostra.»

«Oh.»

«È possibile che voi abbiate calunniato un uomo onesto, oppure che il vostro sia stato un atto di giustizia… Io non lo so, ma il punto è che non lo sapete neppure voi.»

Dalle labbra di Iselle uscì un altro «Oh», stavolta tanto soffocato da essere a stento udibile.

Cazaril non riuscì a trattenersi e, dando voce a quel tipo di ragionamento pratico e spietato che lo aveva aiutato a sopravvivere in tante situazioni difficili, aggiunse: «Indipendentemente dal fatto che la vostra azione sia stata giusta o sbagliata, rimane il fatto che vi siete creata un nemico, lasciandovelo poi alle spalle, vivo. Un atto di grande carità, ma un errore dal punto di vista tattico…» No, non era proprio il genere di commento da fare davanti a una giovane dama, si rese conto subito dopo. Si trattenne dal premersi le mani sulla bocca, un gesto che non sarebbe servito a consolidare la sua figura di tutore severo e lucido.

Lady Iselle e Lady Betriz inarcarono di scatto le sopracciglia, mantenendo per qualche momento un’espressione sorpresa.

«Vi ringrazio per i vostri buoni consigli, Castillar», disse Iselle dopo un lungo, pensoso silenzio.

La risposta di Cazaril fu un soddisfatto cenno di approvazione: se era riuscito a farle capire quella difficile lezione, allora era partito col piede giusto. E adesso, agli Dei piacendo, avrebbe potuto approfittare della generosa tavola imbandita dalla Provincara…

Iselle, però, si rimise a sedere e incrociò le mani in grembo. «Voi dovrete essere anche il mio segretario, oltre che il mio tutore, giusto?» domandò.

«Sì, mia signora», assentì Cazaril, accasciandosi a sua volta sulla sedia. «Avete bisogno di assistenza per scrivere una lettera?» aggiunse, trattenendosi a stento dal suggerire di farlo dopo aver mangiato.

«Ho bisogno della vostra assistenza, certo, ma non per una lettera. Ser dy Ferrej ha detto che un tempo siete stato un corriere. È così?»

«In passato, ho cavalcato come corriere per conto del Provincar della Guarida, mia signora, quand’ero più giovane.»

«Un corriere è una spia», continuò Iselle, con un lampo calcolatore nello sguardo.

«Non necessariamente, anche se a volte era difficile… convincere la gente del contrario. Noi eravamo anzitutto fidati messaggeri, anche se ci si aspettava che tenessimo occhi e orecchie aperti per riferire quello che avevamo notato.»

«Benissimo», dichiarò Iselle, sollevando il mento di scatto. «In tal caso, il primo incarico che intendo assegnarvi, come mio segretario, è proprio quello di tenere occhi e orecchie aperti per scoprire se ho commesso un errore oppure no. È evidente che io non posso scendere in città o fare domande in giro, perché sono costretta a rimanere in cima a questa collina, nel mio… letto di piume.» Fece una smorfia. «Però voi potete indagare per mio conto», concluse, fissandolo con occhi pieni di fiducia.

Cazaril ne fu quasi sconvolto. «Immediatamente?» balbettò, avvertendo un nodo allo stomaco che non aveva nulla a che fare con la fame. La sua lezione era stata assimilata fin troppo bene.

«Con discrezione, e in base alle opportunità che si presenteranno», replicò Iselle, un po’ a disagio.

«Vedrò cosa fare per accontentarvi, mia signora», replicò Cazaril, deglutendo a fatica.


Mentre scendeva le scale per raggiungere la propria camera, Cazaril si sentì assalire dai ricordi dell’epoca in cui era stato un paggio. A quel tempo, si considerava uno spadaccino soltanto perché era un po’ più abile della mezza dozzina di altri giovani nobili che condividevano con lui addestramento e doveri nella casa del Provincar. Un giorno, era arrivato al castello un nuovo paggio, un ragazzo tozzo e cupo; nel corso della successiva sessione di addestramento, il maestro d’armi del Provincar aveva invitato Cazaril a misurarsi con lui. Orgoglioso di un paio di mosse che aveva elaborato per conto suo — incluso un complicato passaggio che, se eseguito con una spada vera, avrebbe staccato le orecchie alla maggior parte dei suoi compagni -, Cazaril aveva sperimentato quella particolare manovra sul nuovo compagno. Tuttavia, una volta conclusa la sua mossa, ritrovandosi con la spada di piatto contro la testa del nuovo paggio, aveva scoperto che la spada di quest’ultimo era premuta contro l’mbottitura che gli proteggeva il ventre con tanta forza da essere quasi piegata in due.

Cazaril aveva poi saputo che quel paggio era diventato il maestro d’armi del Roya di Brajar. Lui, invece, era rimasto uno spadaccino mediocre: i suoi interessi erano troppo numerosi e diversificati per permettergli di allenarsi con la dovuta costanza. Però non aveva mai dimenticato quel momento, la sorpresa nata dalla consapevolezza che l’avversario lo aveva «ucciso»… E la prima lezione alla delicata Iselle aveva fatto riaffiorare quel particolare ricordo. Sconcertato, cercò di capirne il motivo: forse era a causa dello stesso lampo apparso in occhi così diversi… E poi, come si chiamava quel paggio?…

Al suo ingresso in camera, Cazaril trovò sul letto un altro paio di tuniche e di calzoni, con ogni probabilità appartenuti al siniscalco al tempo in cui era più giovane e magro. Mentre li riponeva nella cassapanca ai piedi del letto, si ricordò d’un tratto del libretto del mercante defunto, ancora riposto nella sopravveste nera, e lo prese, deciso a portarlo al Tempio quel pomeriggio stesso. Subito dopo, però, tornò a posarlo, pensando che forse, all’interno di quelle pagine cifrate, si annidava parte di quella certezza morale che la Royesse gli aveva chiesto di ricercare per suo conto, qualche prova più chiara a favore o contro il giudice e magari anche una guida ai segreti della situazione di Valenda. Prima di consegnarlo, avrebbe provveduto a esaminarlo personalmente, decise.


Dopo pranzo, Cazaril si concesse uno splendido sonnellino, e si stava appena ridestando con tutta calma e con un meraviglioso senso di benessere, quando dy Ferrej bussò alla sua porta. Doveva consegnargli i registri e i libri contabili relativi alle camere della Royesse. Betriz arrivò di lì a poco, con una cassetta piena di lettere da sistemare. Cazaril trascorse quindi il resto del pomeriggio cercando di mettere ordine in quel materiale e di familiarizzarsi col suo contenuto.

I libri contabili erano abbastanza semplici da gestire: vi era segnato l’acquisto di un oggetto o di un gioiello di scarso valore, i regali ricevuti ed elargiti, i gioielli di effettivo pregio, ereditati o avuti in dono, i capi di vestiario. Nei libri erano annotati anche il cavallo da sella di Iselle, il suo mulo, Fiocco di Neve, e un assortimento di altri oggetti. Certe voci, come per esempio la biancheria o il mobilio, non vi figuravano, probabilmente perché inclusi nei registri della Provincara. In futuro, però, lui si sarebbe dovuto occupare anche di quelli. Una dama del rango di Iselle, infatti, aveva di solito una dote che comprendeva interi carri — se non addirittura chiatte — di oggetti di pregio; senza dubbio Iselle avrebbe ben presto cominciato ad accumulare la sua dote, in previsione del futuro viaggio fino alla dimora del marito che le sarebbe stato assegnato. Cazaril si chiese se avrebbe dovuto includere anche se stesso nell’elenco, come prima voce di quell’inventario di nozze, e s’immaginò nell’atto di scrivere: Segretario-tutore, un pezzo, dono della nonna. Età: trentacinque anni. Gravemente danneggiato durante la spedizione. Valore…?

Di norma, la processione nuziale era un viaggio di sola andata. Invece la madre di Iselle, la Royina Vedova, era tornata alla dimora d’origine… distrutta. Cazaril cercò di scacciare quell’immagine. Il pensiero di Lady Ista continuava a turbarlo. Si diceva che la follia scorresse nel sangue di alcune famiglie nobili… anche se non in quella di Cazaril, colpita piuttosto dalla sfortuna nelle alleanze politiche e da una generale imprudenza finanziaria. Era vero che entrambe le cose alla lunga si erano rivelate altrettanto devastanti. Era possibile che Iselle corresse il rischio… Si augurò che così non fosse.

La corrispondenza della Royesse era scarsa, tuttavia non priva d’interesse. C’erano alcune lettere brevi ma gentili, scritte dalla nonna e risalenti a prima che la Royina Vedova lasciasse la corte per tornare a vivere coi figli nella casa paterna. Erano missive piene di consigli generici: Sii buona, obbedisci a tua madre, recita le preghiere, occupati del tuo fratellino… Seguivano alcuni messaggi di zii o di zie, gli altri figli della Provincara. Iselle non aveva altri parenti dal lato del padre, il defunto Roya, perché Ias era l’unico figlio superstite dello sventurato genitore. C’era poi una serie di lettere di buon compleanno e di auguri in occasione delle ricorrenze sacre, inviati dal fratellastro, l’attuale Roya, Orico.

Compiaciuto, Cazaril notò che quelle lettere erano state scritte dal Roya in persona; era infatti improbabile che Orico avesse alle sue dipendenze uno scrivano con una calligrafia così irregolare e stentata. Si trattava prevalentemente di lettere molto brevi, che rivelavano il tentativo di un adulto di essere gentile nei confronti di una bambina. Quando descrivevano il serraglio, però, diventavano fluide e spontanee per almeno un paio di paragrafi, forse perché Orico adorava quel luogo o forse perché era convinto che esso fosse un argomento interessante tanto per lui quanto per Iselle.

Quel piacevole lavoro venne interrotto nel tardo pomeriggio allorché un paggio si presentò a Cazaril, richiedendo la sua presenza per un’uscita a cavallo con la Royesse e con Lady Betriz. Affibbiatasi rapidamente al fianco la spada avuta in prestito, Cazaril scese nel cortile, dove trovò i cavalli già sellati e in attesa. Il paggio lo guardò con aria sorpresa e crìtica quando lui, non essendo più salito in sella per oltre tre anni, chiese l’ausilio dei gradini per sistemarsi con cautela in groppa alla sua cavalcatura. Gli avevano dato un animale tranquillo e docile, lo stesso castrato baio che lui aveva visto cavalcare alla dama di compagnia della Royesse, il pomeriggio del suo arrivo al castello; mentre si preparavano a partire, la dama in questione si affacciò a una finestra, salutandoli con un fazzolettino di lino, palesemente soddisfatta di rimanere a casa. La cavalcata si rivelò più tranquilla di quanto Cazaril avesse anticipato: una semplice passeggiata sino al fiume e ritorno. Inoltre, giacché lui aveva precisato che la conversazione si sarebbe svolta esclusivamente in darthacano, il silenzio fu quasi assoluto, cosa che la rese ancor più rilassante.

Al rientro, andarono a cena, poi Cazaril poté ritirarsi nella propria camera. Provò gli abiti nuovi, li ripiegò nella cassapanca, quindi si mise a decifrare le prime pagine del libro di quel povero, stolto mercante di lana. Ben presto, però, le sue palpebre si fecero pesanti, e lui dormì come un sasso fino al mattino successivo.


Le cose continuarono com’erano cominciate. Le mattine vennero dedicate alle lezioni: darthacano, roknari, geometria, aritmetica e geografia. Per quest’ultima materia, Cazaril fece ricorso ad alcune eccellenti mappe in possesso del tutore di Teidez e intrattenne la Royesse con una serie di resoconti, accuratamente censurati, relativi ad alcuni dei suoi viaggi più interessanti a Chalion, a Ibra, a Brajar, nella grande Darthaca o nei cinque principati roknari della costa settentrionale, perennemente in lotta fra loro.

La sua descrizione dell’Arcipelago Roknari, che era quella di uno schiavo, richiese da parte sua una censura ancora maggiore. Nel trattare quell’argomento, Cazaril scoprì che la noia dimostrata da Iselle e da Betriz per l’apprendimento della lingua roknari parlata dalle caste elevate si poteva curare con lo stesso metodo da lui adottato con un paio di paggi della casa del Provincar della Guarida, cui era stato un tempo incaricato d’insegnare quella lingua. Il sistema era molto semplice: consisteva nell’insegnare alle due dame una parola di roknari volgare (anche se non eccessivamente volgare) per ogni venti vocaboli di roknari di corte che potevano dimostrare di aver memorizzato. Naturalmente non avrebbero mai avuto bisogno di usare quei termini rozzi, ma era comunque utile che fossero in grado di comprenderli, se li avessero sentiti. E riuscivano a farle ridacchiare entrambe in maniera adorabile.

Cazaril affrontò anche con una certa trepidazione il primo incarico che gli era stato assegnato dalla Royesse: indagare sulla probità del Justiciar provinciale. Domande indirette rivolte alla Provincara e a dy Ferrej gli fornirono le informazioni di base, senza però dargli nessuna certezza in un senso o nell’altro. Peraltro lui non ebbe mai modo d’incontrare il Justiciar nella sua veste ufficiale, ma soltanto in occasioni pubbliche. Alcune escursioni in città, mirate a rintracciare qualcuno che potesse parlargli con franchezza — perché aveva conosciuto il Cazaril di diciassette anni prima — lo lasciarono alquanto avvilito: l’unico a riconoscerlo all’istante fu un anziano fornaio, che aveva fatto per molto tempo affari d’oro vendendo dolci durante le parate dei paggi del castello. Un individuo d’indole pacifica, poco incline a invischiarsi in qualche causa legale.

Cazaril cominciò anche a lavorare alla decifrazione del libretto di annotazioni del mercante morto, una pagina dopo l’altra, con la massima rapidità concessagli dai suoi altri doveri. Con suo notevole sollievo, dato che si trattava di esperimenti decisamente disgustosi, scoprì che i primi tentativi del mercante per evocare i demoni del Bastardo erano risultati del tutto inefficaci. Il nome dello spadaccino compariva soltanto accompagnato da aggettivi infuocati, oppure era addirittura sostituito da essi, mentre il nome del giudice non era mai menzionato. Tuttavia, prima che lui riuscisse a decifrare anche solo per metà l’enigma di quel libretto, il problema del giudice ricadde su spalle certamente più esperte delle sue.

Dalla città di Taryoon, dove il figlio della Provincara aveva spostato la propria capitale, una volta ereditato il titolo paterno, giunse infatti un Funzionario Inquirente inviato dalla corte del Provincar della Baocia. Con un rapido calcolo mentale, Cazaril valutò che, tra la festa della Figlia e quell’arrivo inatteso, erano trascorsi esattamente i giorni necessari perché un messaggio della Provincara a suo figlio venisse scritto, inviato e letto, perché gli ordini venissero trasmessi alla Cancelleria di Giustizia della Baocia e perché l’Inquirente si mettesse in viaggio, segno evidente che la Provincara aveva fatto leva sui propri privilegi. Cazaril non sapeva fino a che punto la dama s’intendesse di questioni legali, ma l’idea che la nipote si fosse lasciata alle spalle un nemico libero di far danno aveva di certo toccato in lei un punto sensibile. Almeno così lui interpretò quel fatto.

Il giorno successivo all’arrivo dell’Inquirente, si scoprì che il Giudice Vrese era partito all’improvviso nel corso della notte, con due servitori e pochi bagagli preparati in tutta fretta, lasciandosi alle spalle una casa in subbuglio e un focolare pieno delle ceneri di documenti bruciati.

Cazaril cercò d’indurre Iselle a non considerare quell’evento come una prova della colpevolezza del giudice, ma sapeva che si trattava di una cautela esagerata persino per un uomo come lui, sempre prudentissimo nei giudizi. D’altra parte, l’unica spiegazione alternativa — che Iselle fosse stata davvero toccata dalla Dea, quel giorno — lo turbava troppo perché potesse prenderla in considerazione. Gli Dei, almeno così sostenevano gli eruditi teologi della Santa Famiglia, operavano in maniera segreta, sottile e, soprattutto, parsimoniosa, tramite il mondo e non in esso. Anche per i luminosi, eccezionali miracoli di risanamento — ma, se per questo, anche per gli oscuri miracoli connessi a disastri o decessi — era necessario che la libera volontà degli uomini aprisse un canale, in modo da permettere al bene o al male di penetrare nella vita reale. Cazaril aveva incontrato un paio di individui che sembravano davvero toccati dagli Dei e alcuni che credevano fermamente di esserlo stati: non erano soggetti alla cui presenza ci si poteva sentire a proprio agio. Di conseguenza, si augurava che la Figlia della Primavera se ne fosse andata, soddisfatta dell’azione del suo avatar, e che non fosse più presente nella giovane dama.

Iselle aveva ben pochi contatti col fratello e col suo seguito personale, alloggiati dall’altra parte del cortile, e incontrava Teidez soltanto durante i pasti o se uscivano insieme per una cavalcata. Cazaril, però, aveva l’impressione che l’intimità tra i due fosse stata più forte da bambini, prima che la pubertà li separasse, spingendoli verso i distinti mondi degli uomini e delle donne.

Senza motivazioni precise, il severo segretario-tutore del Royse, Ser dy Sanda, pareva infastidito dal rango privo di valore effettivo, quello di Castillar, assunto da Cazaril, e non perdeva occasione per esigere un posto più importante a tavola o in una processione. E accompagnava la sua richiesta con un sorriso tanto contrito quanto insincero che, a ogni pasto, serviva più ad attirare l’attenzione sulle sue pretese che a lenire gli eventuali sentimenti feriti di Cazaril. Questi, dal canto suo, prese in considerazione l’eventualità di spiegare a dy Sanda quanto poco gli importassero le questioni di rango, ma, poiché dubitava che l’altro tutore avrebbe capito, alla fine si limitò a sorridere a sua volta. La cosa ebbe l’effetto di confondere terribilmente dy Sanda, convinto che quei sorrisi facessero parte di qualche misterioso piano volto a danneggiarlo. Un giorno, poi, dy Sanda si presentò nello studio di Iselle, pretendendo la restituzione delle mappe e dando l’impressione di aspettarsi che Cazaril cercasse di difenderle, neanche fossero documenti contenenti segreti di stato. Lui invece fu pronto a rendergliele, accompagnando il gesto con qualche parola di ringraziamento, e a dy Sanda non rimase che andarsene senza poter dare sfogo alla propria irritazione.

«Che razza di uomo!» esclamò Lady Betriz, a denti stretti. «Si comporta come…»

«Come uno dei gatti del castello, quando arriva un gatto nuovo», concluse per lei Iselle. «Cosa gli avete fatto, Cazaril, per indurlo a soffiarvi contro in quel modo?»

«Vi garantisco che non ho marcato il territorio urinando davanti alla sua finestra», rispose Cazaril serissimo, inducendo Betriz a soffocare una risatina e a guardarsi intorno con aria colpevole, per accertarsi che la dama di compagnia fosse troppo lontana per sentire la loro conversazione.

Subito dopo, tuttavia, Cazaril si chiese se non fosse stato troppo rozzo. Ancora non sapeva bene come comportarsi con quelle due giovani donne, anche se che nessuna delle due si era ancora lamentata di lui, nonostante le lezioni di darthacano.

«Suppongo presuma che mi piacerebbe avere il suo incarico», aggiunse, dopo un momento. «È evidente che non ci ha riflettuto.» O forse, gli venne in mente d’un tratto, dy Sanda ci aveva pensato anche troppo. Quanto Teidez era nato, il fatto che potesse essere l’Erede del suo fratellastro Orico, sposatosi da poco, non era sembrato tanto evidente. Tuttavia, a mano a mano che gli anni si erano susseguiti senza che la Royina di Orico riuscisse a concepire un figlio, l’interesse — forse addirittura malsano — della corte di Chalion nei confronti di Teidez probabilmente era aumentato. Forse era quello il motivo per cui Ista aveva lasciato la capitale: voleva allontanare i figli da un’atmosfera inquieta e portarli in una tranquilla e pulita città di campagna. Una mossa saggia.

«Oh, no, Cazaril, restate con noi, è molto meglio!» esclamò Iselle.

«Lo è senza dubbio», garantì lui.

«Non è giusto. Voi siete due volte più intelligente di dy Sanda e avete viaggiato dieci volte più di lui, quindi perché lo sopportate con tale… tranquillità?» protestò Betriz, faticando a trovare la giusta definizione e pronunciando l’ultima parola con un lieve timore, quasi avesse paura che Cazaril potesse ritenerla un sostituto per un termine meno lusinghiero.

«Credete che lui sarebbe più felice, se mi offrissi come bersaglio per la sua stupidità?» domandò Cazaril, sorridendo alla sua inattesa sostenitrice.

«Certo, è chiaro che lo sarebbe!»

«In tal caso, la vostra domanda contiene già la risposta.»

Betriz aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse senza emettere suono, mentre accanto a lei Iselle scoppiava in una risata.

La compassione di Cazaril nei confronti di dy Sanda aumentò una mattina, quando il segretario si presentò pallidissimo, al punto di essere quasi verdastro in volto, portando l’allarmante notizia che il suo reale pupillo era scomparso e non si trovava in casa o nelle cucine, nei canili o nelle stalle. Affibbiatosi la spada al fianco, Cazaril si preparò in tutta fretta a uscire a cavallo con gli altri per cercare il giovane Royse, cominciando già a esaminare mentalmente le campagne e la città e valutando le possibili ipotesi: una ferita, un’aggressione dei banditi, una caduta nel fiume… o una visita alle taverne. Possibile che Teidez fosse già abbastanza grande da cercare una casa di piacere? Be’, quello sarebbe stato un motivo sufficiente per scrollarsi di dosso il seguito di sorveglianti.

Prima però che Cazaril potesse elencare le diverse possibilità a dy Sanda, il quale era assolutamente convinto che il Royse fosse stato vittima di un’aggressione, il giovane entrò a cavallo nel cortile, bagnato e infangato, con l’arco appeso alla spalla e un giovane stalliere che lo seguiva, portando di traverso sulla sella la carcassa di una volpe. Nel vedere il gruppetto di uomini, pronti a partire, Teidez si arrestò, fissando tutti con aria inorridita e cupa.

Abbandonando il tentativo d’issarsi in sella senza sottoporre la schiena a trazioni dolorose, Cazaril si sedette sui gradini per montare, tenendo le redini del castrato baio, e rimase a guardare con affascinato interesse quattro adulti che rimproveravano un ragazzo, ponendogli domande tanto ovvie da essere addirittura retoriche. Dove sei stato? Perché lo hai fatto? erano cose che non c’era neppure bisogno di chiedere. E Perché non lo hai detto a nessuno? era un interrogativo la cui risposta stava diventando ormai evidente.

Teidez sopportò quella tempesta a labbra serrate, ma quando infine dy Sanda s’interruppe per riprendere fiato, protese la preda rossiccia verso Beetim, il capo cacciatore. «Scuoiala per me», ordinò. «Voglio la pelliccia.»

«La pelliccia non vale nulla in questa stagione, giovane signore, perché il pelo è troppo rado e si stacca», replicò il cacciatore, in tono severo, poi indicò le mammelle della volpe, gonfie di latte, e proseguì: «Inoltre porta sfortuna abbattere una madre durante la stagione della Figlia della Primavera. Adesso dovrò bruciare i baffi di questa povera bestia, altrimenti il suo spirito agiterà i miei cani per tutta la notte. E dove sono i cuccioli? Avreste dovuto uccidere anche loro, già che c’eravate, perché è crudele lasciarli morire di fame…» Appuntò uno sguardo di fuoco sullo stalliere terrorizzato e aggiunse: «O forse voi due li avete nascosti da qualche parte, eh?»

«Abbiamo cercato la tana, ma non siamo riusciti a trovarla», ringhiò Teidez, gettando con violenza l’arco sull’acciottolato.

«Quanto a te, sai che saresti dovuto venire da me…» intervenne di nuovo dy Sanda, rivolto allo sfortunato stalliere, inveendo contro di lui con termini più duri di quelli che aveva usato col Royse, per poi concludere, in tono imperioso: «Beetim, provvedi a infliggere una punizione corporale a questo ragazzo per la sua stupidità e insolenza!»

«Con piacere, mio signore», assentì Beetim, cupo in volto. Quindi si allontanò verso le stalle con la volpe in una mano e l’altra che trascinava con decisione il ragazzo.

Due stallieri anziani provvidero a scortare i cavalli nei loro stallaggi. Nel consegnare loro la cavalcatura, Cazaril si concesse di pensare con gioia alla colazione, che non sembrava più rimandata a tempo indefinito. Intanto osservava dy Sanda, il cui terrore era stato sostituito dall’ira: confiscò l’arco di Teidez e scortò in casa il giovane tetro in volto. Poco prima che la porta si richiudesse con violenza alle spalle dei due, la voce di Teidez fluttuò fino a loro in un’ultima obiezione, pronunciata in tono lamentoso. «Ma mi annoio tanto!»

Cazaril scoppiò a ridere, consapevole che quella, per un ragazzo, era un’età orribile, traboccante di slanci e di energia, tormentata da adulti incomprensibili e arbitrari, pieni d’idee stupide che escludevano la possibilità di sottrarsi alle preghiere del mattino per andare a caccia in una splendida alba di primavera… Nel sollevare lo sguardo verso il cielo, che cominciava a tingersi di un azzurro più intenso col dissiparsi delle nebbie mattutine, il Castillar rifletté che la tranquillità propria della casa della Provincara, che per lui era un vero balsamo per l’anima, doveva bruciare come acido lo spirito del povero, controllatissimo Teidez.

Considerati i loro rapporti, dy Sanda non avrebbe accolto di buon grado un consiglio da parte sua, eppure Cazaril aveva l’impressione che, se dy Sanda stava cercando di salvaguardare la propria influenza sul Royse — così da esercitarla quando il giovane fosse diventato adulto, con tutti i privilegi di un nobile di alto rango di Chalion, se non addirittura di un Roya -, allora stava procedendo nel modo più sbagliato possibile. Se avesse continuato così, Teidez si sarebbe liberato di lui alla prima opportunità.

D’altro canto, Cazaril fu costretto ad ammettere che dy Sanda era un uomo coscienzioso. Un individuo meno onesto e con maggiori ambizioni avrebbe potuto benissimo incoraggiare le tendenze di Teidez e i suoi capricci, invece di controllarli, in modo da conquistarsi il suo favore non grazie alla propria fedeltà, ma a una sorta di dipendenza. A Cazaril era capitato d’incontrare qualche rampollo di nobile famiglia rovinato in quel modo… ma era una cosa che non aveva mai visto accadere nella famiglia dy Baocia e, finché la sua educazione fosse dipesa dalla Provincara, era improbabile che Teidez corresse il rischio d’imbattersi in quel genere di parassiti. Sulla scia di quella confortante riflessione, Cazaril si costrinse infine ad abbandonare il suo sedile e ad alzarsi.

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