Poi Boardman si ricordò di non avere ancora chiesto a Ned quale fosse stato invece per lui il punto più difficile fino a quel momento. Si affrettò a informarsi.
«Il primo schermo» disse Rawlins «quello che mostrava tutte le cose cattive e indecenti che si agitano nella nostra mente.»
«Quale schermo?»
«Quello in fondo alla zona H. Un rettangolo dorato, assicurato con strisce metalliche a un muro alto. L’ho guardato e ci ho visto mio padre per un paio di secondi, e subito dopo una ragazza che conoscevo tempo fa e che si è fatta suora. Si spogliava e rideva.»
«Io non ho visto niente del genere.»
«Non poteva sfuggirvi. Era a una cinquantina di metri dal punto in cui avete ucciso il primo animale. Un po’ a sinistra, a metà del muro: era uno schermo rettangolare, incorniciato di metallo bianco, e sopra si muovevano dei colori, delle forme…»
«Ah, sì. Forme geometriche.»
«Io ho visto Maribeth che si stava spogliando» disse Rawlins, confuso. «E voi, soltanto forme geometriche?»
Anche la zona F nascondeva insidie mortali. Una piccola bolla color perla spuntata dal suolo si aprì, liberando un torrente di palline lucenti, che rotolarono verso Ned. Si avvicinarono con la perfida decisione di uno stuolo di formiche fameliche, e lo punsero dolorosamente. Lui ne calpestò quacuna, ma nell’agitazione rischiò di avvicinarsi troppo a una lampeggiante luce azzurra che si era accesa improvvisamente. Con un calcio lanciò verso la luce tre palline, ed esse si fusero.
Boardman ne aveva abbastanza. Si trovava nel labirinto solo da un’ora e quarantotto minuti, ma gli sembrava di esserci da un secolo. Il percorso ora attraversava una stanza dalle pareti rosa, dove, da sfiatatoi mascosti, uscivano getti di vapore. In fondo al locale c’era una stretta feritoia: se non ci si passava attraverso al momento giusto, si finiva schiacciati. L’apertura dava accesso a un lungo corridoio dal soffitto basso e i muri rosso-sangue che vibravano fino a dare la nausea. All’estremità del corridoio si apriva una piazza, dove si vedevano sei lastre di metallo bianco, ritte in piedi come spade in attesa. Una fontana lanciava in aria un getto d’acqua alto cento metri. La piazza era circondata da tre torri con molte finestre di dimensioni diverse. Alcuni riflettori prismatici giocavano contro i vetri. Nessuno era rotto. Sui gradini che conducevano a una delle torri, giaceva lo scheletro di una creatura lunga almeno dieci metri. Una sfera trasparente, certo un casco spaziale, le copriva ancora il teschio.
Alton, Antonelli, Cameron, Greenfield e Stein costituivano il gruppo attendato nella zona F, che serviva da base ausiliaria agli uomini del gruppo più avanzato. Nella piazza che si apriva al centro della zona, Rawlins e Boardman trovarono Antonelli e Stein, che erano venuti loro incontro.
«Ci manca poco» disse Stein. «Volete riposare qualche minuto, signor Boardman?»
Il vecchio gli lanciò un’occhiataccia, e tutti insieme proseguirono.
Infine, Antoneìli disse: «Davis, Ottavio e Reynolds si sono trasferiti nella zona E stamattina, quando Alton, Cameron e Greenfield ci hanno raggiunto. Petroncelli e Walker sono in ricognizione lungo il lato interno della zona E, e cacciano il naso anche nella zona D. Dicono che sembra molto meglio delle altre.»
La base ausiliaria consisteva in un paio di cupole, rizzate una accanto all’altra ai margini di un giardino.
Il posto era stato accuratamente esplorato e non c’era pericolo di aspettarsi delle brutte sorprese.
Rawlins entrò in una delle cupole e si levò le scarpe. Cameron gli diede un pulitore, e Greenfield una scatola di cibo.
Anche Boardman entrò. Ned era sbalordito dalla resistenza del vecchio. «Dite al comandante Hosteen che ha perso la sua scommessa!» esclamò Charles ridendo. «Ce l’abbiamo fatta!»
«Che scommessa?» chiese Antonella Greenfield s’intromise. «Credo che Muller stia seguendo i nostri spostamenti con qualche suo sistema» disse. «I suoi sono stati molto regolari. Occupa il settore più interno della zona A, e si sposta seguendo un piccolo arco, a seconda dei movimenti del nostro gruppo avanzato.»
Boardman rise, e disse: «Hosteen ha scommesso tre contro uno che non saremmo arrivati fin qui. L’ho sentito.» Poi, rivolto a Cameron, che era il tecnico addetto alle comunicazioni, disse: «Credete possibile che Muller usi qualche apparecchio di ricognizione?»
«È molto probabile.»
«Abbastanza perfezionato da poter distinguere i lineamenti di una persona?»
«Può darsi, ma non posso esserne certo.»
«Se vede la mia faccia» disse Boardman «possiano anche tornarcene immediatamente a casa. Non avevo mai pensato che fosse in grado di tenerci d’occhio. Qualcuno di voi ha una termoplastica? Mi serve subito una faccia nuova.»
Non perse tempo in spiegazioni, ma quando ebbe finito, sfoggiava un naso lungo e magro, labbra sottili piegate all’ingiù e un mento aguzzo, degno di una strega. Non era certo una faccia simpatica, comunque non ricordava nemmeno lontanamente quella di Charles Boardman.
Dopo una notte di sonno tutt’altro che tranquillo, Rawlins si preparò a raggiungere l’avamposto della zona E. Boardman non l’avrebbe accompagnato, questa volta, ma si sarebbero tenuti continuamente in contatto. Charles avrebbe visto e sentito quello che vedeva e sentiva Ned, e sarebbe stato in grado d’impartirgli gli ordini necessari.
La mattina era fredda e ventosa. Prima della partenza vennero controllati i circuiti di comunicazione. Rawlins uscì dalla cupola, fece dieci passi, poi si fermò e rimase lì, solo, rivolto verso il centro del labirinto, a guardare la luce arancione del giorno che si rifletteva contro il verde del cielo.
«Alza la mano destra, se mi senti, Ned» disse Boardman.
Lui l’alzò.
«Ora vai avanti, e parla.»
«Dove è nato Richard Muller?»
«Sulla Terra. In qualche angolo del Governatorato nordamericano.»
«Anch’io sono di là» disse Rawlins.
«Sì, lo so. Credo che Muller sia nato nella parte occidentale del continente.»
«Posso partire, adesso?»
«Ascoltami, prima. Finora siamo stati impegnatissimi a entrare nel labirinto e voglio assicurarmi che tu non abbia perso di vista il vero motivo di tutta questa fatica. Noi siamo qui per Muller, ricordatelo!»
«Ma… come potete supporre che potrei dimenticarlo?»
«Avevamo la preoccupazione di restare vivi, e il problema della sopravvivenza può far passare in seconda linea tutto il resto. Adesso bisogna tornare a una visione più ampia delle cose. La peculiare qualità di Richard Muller, dono o maledizione che sia, è di immenso valore, ed è tuo compito assicurartene l’uso. Ned, il destino delle galassie dipende da quello che succederà nei prossimi giorni fra te e Muller. I millenni prenderanno un nuovo corso e l’esistenza di miliardi di creature, di là da venire, cambierà in bene o in male, a seconda di come andranno le cose qui, adesso.»
«Sembrate convinto di quello che dite.»
«Lo sono. A volte, anche i discorsi apparentemente retorici e roboanti possono essere sinceri. Ti trovi a un bivio della storia galattica, Ned. Per questo andrai da Muller, mentirai, ingannerai, tradirai. Probabilmente la coscienza ti rimorderà per un certo tempo, ti odierai, persino, ma poi finirai per renderti conto di aver compiuto un atto di eroismo.»
Proseguì da solo per un breve tratto. Poi Stein e Alton lo accompagnarono fino all’entrata della zona E. Non ci furono incidenti. Gli indicarono la direzione da seguire, e lui passò attraverso una girandola di scintille azzurre per penetrare finalmente nella zona triste e austera che stava oltre. Mentre affrontava una salita, vide una colonna di pietra con un’incavatura a metà. Nella penombra della cavità brillava qualcosa di mobile e lucente che poteva essere un «occhio».
«Forse ho scoperto una parte del sistema di ricognizione di Muller» disse. «C’è qualcosa che mi guarda da una colonna.»
«Coprilo con l’intonaco-spray» consigliò Boardman.
«Potrebbe sembrare un atto di ostilità. E poi un archeologo non farebbe mai una cosa del genere.»
«Giusto. Vai avanti.»
La zona E aveva un aspetto meno minaccioso. Gli edifici, scuri e compatti, si stringevano l’un l’altro come tartarughe impaurite. Ogni zona era così diversa dalle altre, che Rawlins cominciò a pensare che fossero state costruite in periodi diversi: un nucleo di settori residenziali, e quindi un’espansione graduale di anelli esterni zeppi di trabocchetti, a mano a mano che i nemici si facevano più pericolosi. Era una spiegazione da archeologo, e lui la tenne mentalmente in serbo per servirsene al momento buono.
Proseguì ancora per un poco, poi vide Walker che gli veniva incontro. Walker era sulla quarantina, magro, austero, freddo.
«Ce l’avete fatta, Rawlins. Fate bene attenzione alla vostra sinistra: quel muro ruota su cardini.»
«Tutto bene qui?»
«Più o meno. Abbiamo perso Petroncelli un’ora fa.»
Ned si irrigidì. «E questa dovrebbe essere una zona sicura!»
«Non lo è affatto. È più pericolosa della F, e rischiosa quanto la G. L’abbiamo sottovalutata mentre usavamo i ricognitori. In realtà non c’è motivo perché le zone debbano necessariamente diventare più sicure verso il nucleo centrale, no? Questa è una delle peggiori.»
«Un inganno, dunque» disse Rawlins. «Falsa sicurezza.»
«Già. Andiamo, ora. Seguitemi e non fate funzionare troppo il vostro cervello: qui non c’è posto per la fantasia. Bisogna seguire il percorso e basta.»
Rawlins ubbidì. Non vedeva nessun pericolo, tuttavia saltava quando saltava Walker e svoltava quando svoltava lui. Poco distante sorgeva il secondo campo. Là trovò Davis, Ottavio, Reynolds… e la metà superiore di Petroncelli.
«Proseguite per la zona D oggi stesso?» gli chiese Walker con interesse.
«Sarei di questo parere.»
«Vi diremo che cosa bisogna evitare. Là è successo l’incidente a Petroncelli, proprio vicino all’entrata della zona D, a circa cinque metri da qui. Si fa scattare inavvertitamente un campo magnetico o chissà cos’altro, e si finisce tagliati a metà. I ricognitori però l’hanno passata liscia.»
«Può darsi che il campo agisca su qualsiasi cosa in movimento, tranne i robot» disse Rawlins.
«Però a Muller non è successo niente» ribatté Walker. «Lascerà in pace anche voi se girerete attorno al punto pericoloso. Vi faremo vedere come.»
«E oltre quel punto?»
«Non c’è ancora andato nessuno di noi.»
«Se sei stanco, passa lì la notte» disse Boardman.
«No, preferisco continuare.»
«Sarai solo, Ned. Perché non vuoi riposare?»
«Dite al cervello elettronico di esaminarmi e stabilire il mio grado di stanchezza. Io mi sento pronto per proseguire.»
Boardman controllò. Il calcolatore, che conosceva il ritmo delle pulsazioni di Ned, il suo livello ormonale e molte altre cose più intime, non sollevò obiezioni al suo desiderio di proseguire.
«E va bene» disse Boardman. «Continua pure.»
«Sto per entrare nella zona D. In questo punto è morto Petroncelli. Vedo la linea di scatto, sottilissima, molto ben dissimulata. Ecco, sono passato. Sì… questa è la zona D. Adesso mi fermo e aspetto che il cervello elettronico mi dia l’orientamento. Questa zona sembra un po’ più semplice della E. Non dovrei metterci molto per attraversarla.»
La zona C era difesa da fiamme color rame, ma erano solo un miraggio.
«Dite alle galassie che il loro destino è in buone mani» disse Rawlins a voce bassa. «Tra un quarto d’ora dovrei trovare Muller.»