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Muller, sopraggiunto in quel preciso momento, afferrò in un colpo d’occhio la scena. «A terra!» urlò.

Rawlins fece quattro passi verso sinistra, scivolò sul pavimento viscido di sangue e finì sopra un mucchio di carogne sul bordo della strada. Nel medesimo istante, Muller sparò. Tre colpi rapidi e precisi abbatterono i «cinghiali»; poi Muller fece per avvicinarsi a Ned, ma proprio allora comparve uno dei ricognitori inviati dal campo della zona F. L’uomo imprecò sottovoce, estrasse di tasca il globo disintegratore e ne puntò l’apertura rettangolare verso il robot, che istantaneamente si disintegrò.

Rawlins intanto si era rialzato. «Non dovevate distruggerlo!» disse. «Veniva per aiutarmi.»

«Non c’era nessun bisogno di aiuto. Puoi camminare?»

«Credo di sì.»

«Sei ferito gravemente?»

«Sono tutto pieno di morsi. Ma è meno peggio di quello che sembra.»

«Vieni con me.» Già alcuni divoratori di carogne cominciavano ad arrivare nella piazza, richiamati dalla misteriosa telepatia del sangue, e si mettevano al lavoro sopra i tre cinghiali uccisi. Dimenticandosi delle sue radiazioni, Muller afferrò Ned per un braccio. Il giovane balzò all’indietro con una smorfia di pena, poi, pentendosi, si avvicinò di nuovo. Attraversarono insieme la piazza.

«Qui» disse Muller, brusco.

Entrarono nel locale esagonale dove l’uomo teneva il suo diagnosticatore, poi Muller chiuse la porta, e Ned si lasciò cadere sul pavimento nudo.

«Da quanto tempo lottavi?»

«Da quindici, venti minuti, credo. Ce n’erano cinquanta, cento… Ho continuato a spezzare schiene. Poi la gabbia si è aperta.» Rise, istericamente. «Quella è stata la trovata migliore. Avevo appena finito di liberarmi di quei bastardi, e stavo riprendendo fiato, quando sono venuti avanti gli altri e le sbarre sono scomparse…»

«Piano» disse Muller «parli tanto in fretta che non riesco a seguirti. Togliti gli stivali e rimettiamo in sesto le gambe.»

Rawlins tentò, ma non ci riuscì. «Potete aiutarmi?» disse allora. «Da solo non ce la faccio.»

«Non sarà piacevole se ti vengo più vicino» disse Muller.

«Al diavolo con questa storia!»

Muller si strinse nelle spalle. Si avvicinò al giovane e gli sfilò gli stivali ridotti ormai in stato pietoso. Persino le parti di metallo portavano i segni dei denti. In un attimo le gambe furono liberate: erano malconce, ma non presentavano ferite gravi. Muller mise in azione il diagnosticatore: le lampade brillarono e la fessura del ricettore ammiccò. Una luce azzurra lambì le ferite. Dall’interno dell’apparecchio venivano tintinnii e altri rumori; a un tratto un braccio metallico si snodò, e un tampone cominciò a muoversi su e giù lungo la gamba sinistra, fino sopra il ginocchio. Poi la macchina ingoiò il tampone insanguinato e cominciò a digerirlo, riducendolo in molecole, mentre ne spuntava un secondo che si mise a pulire l’altra gamba. Rawlins si morse le labbra. Sugli arti, oltre al liquido detergente, veniva passato anche un coagulante e quando i tamponi ebbero terminato il loro lavoro, le tracce di sangue erano scomparse e si vedevano chiaramente i tagli e i graffi. Non era certo una vista allegra, ma era meglio, comunque, dello scempio precedente.

Il diagnosticatore iniettò un fluido color oro nella schiena di Rawlins: un anestetico. Poi praticò una seconda iniezione, un liquido color ambra, probabilmente un antibiotico ad ampio spettro per prevenire le infezioni. Rawlins si rilassò. Ora le braccia metalliche spuntavano da diversi settori della macchina e le ferite venivano esaminate e sistemate; ci fu una specie di ronzìo, tre bruschi scatti metallici, poi il diagnosticatore cominciò a sigillarle.

«Non dovevate fare questo!» disse Rawlins a Muller. «Noi abbiamo le nostre scorte al campo. Dovete tenerle da conto, le vostre. Bastava che permetteste al ricognitore di riaccompagnarmi…»

«Non voglio quei robot tra i piedi. E il diagnosticatore ha scorte per almeno cinquant’anni. Non mi succede spesso di ammalarmi.»

Finalmente la macchina lasciò libero Rawlins, che si rialzò e guardò Muller. La faccia del ragazzo non era più contratta, ora.

«Se avessi saputo che saresti stato assalito da quelle bestie, non ti avrei lasciato là tanto tempo. Come ti senti?»

«Bene.»

«Gli animali che si nutrono di carogne non si occupano dei vivi. Come mai ti sono saltati addosso?»

«È stata la gabbia… Ha cominciato a diffondere puzzo di carne in decomposizione, per attirarli. In un attimo me li sono trovati tutti addosso. Ho creduto che mi avrebbero mangiato vivo.»

Muller rise. «Interessante. Così la gabbia serve anche da trappola. Se non altro, abbiamo imparato qualcosa.»

«Felicissimo di avervi aiutato a fare una scoperta» disse Ned, ridendo. «Ma la prossima volta preferirei rinunciare all’onore.»

«Lo credo bene» disse Muller. L’aveva preso una bizzarra sensazione. Si era quasi dimenticato di come fosse piacevole aiutare il prossimo. «Bevi, Ned?» chiese.

«Moderatamente.»

«Questa è la nostra specialità locale: un liquore distillato da gnomi nelle viscere del pianeta.» Tirò fuori una fiaschetta trasparente e due larghe coppe in cui versò un dito di liquore. «Lo trovo nella zona C» spiegò, porgendone una a Rawlins.

Questi assaporò lentamente. «È forte!»

«Circa il sessanta per cento di alcol. Dio sa che cosa sia il resto, come viene distillato e perché. Io l’accetto così com’è. Mi piace il suo gusto forte e aromatico. È incredibilmente inebriante: probabilmente si tratta di un altro trabocchetto. Ti ubriachi senza accorgertene e poi il labirinto ti afferra.» Alzò la coppa e disse, quasi con allegria: «Alla tua salute.»

«Alla vostra.»

Risero nel pronunciare il vecchio brindisi e bevvero.

Attento, Dick si disse Muller. Stai diventando troppo socievole con questo ragazzo. Ricordati dove sei e perché ci stai.

«Posso portarne un po’ al campo?» chiese Rawlins. «C’è un tipo che apprezzerebbe certamente. È un vero buongustaio. Viaggia con un bar che dispensa cento qualità di liquore. Credo che vengano da cento mondi diversi.»

«Anche da Marduk?» chiese Muller. «Dai mondi di Deneb? Da Rigel?»

«Non saprei dirvelo con sicurezza, non sono un intenditore.»

«Forse il tuo amico sarebbe contento di barattare…» si arrestò bruscamente. «No, no. Dimentica quello che ho detto. Non ho intenzione di fare affari.»

«Potreste venire al campo con me. Vi lascerebbe assaggiare tutte le specialità del suo bar, ne sono certo.»

«Sei furbo, eh? No!» Lanciò un’occhiata di fiamma al liquore. «Non mi lascio mettere in trappola, Ned. Non voglio avere niente a che fare con loro.»

«Mi dispiace che la pensiate così.»

«Un altro goccio?»

«No. Devo tornare al campo, adesso. È tardi.» Finì il liquore, si alzò, e si guardò le gambe nude: il diagnosticatore aveva ricoperto le ferite con uno spray nutritivo, del colore della pelle, ed era quasi impossibile vedere i segni delle ferite. Con grande fatica, s’infilò di nuovo gli stivali. «Mi dareste un po’ di quel liquore per il mio amico?» chiese ancora.

In silenzio, Muller gli porse la fiaschetta piena a metà.

Rawlins se la fissò alla cintura. «È stata una giornata interessante. Spero di tornare» disse.


Mentre Rawlins si dirigeva, zoppicando, verso la zona E, Boardman chiese: «Come vanno le gambe?»

«Un po’ stanche. Ma stanno guarendo rapidamente. Tra poco starò benissimo.»

«Senti un po’, Ned. Abbiamo cercato in tutti i modi di mandarti i ricognitori. Ti ho seguito minuto per minuto, mentre quelle bestie ti assalivano… Ma non potevamo intervenire. Muller intercettava tutti i ricognitori e li distruggeva.»

«Non importa» disse Rawlins.

«È un tipo imprevedibile. Questa volta si era messo in testa di non lasciare entrare neppure uno dei nostri apparecchi nelle zone centrali.»

«Non importa. Sono ancora vivo.»

Dopo una lunga pausa, Boardman disse: «A quanto pare, voi due siete buoni amici, ormai. Molto bene. Ora devi cercare di tirarlo fuori dal buco.»

«E come?»

«Promettigli un rimedio per il suo «male».»

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