17

Rawlins si mostrò sorpreso, sentendo quel nome.

«Lo conosci?» domandò Muller.

«Sì, naturalmente. È un personaggio molto importante nel governo.»

«È stato lui a mandarmi su Beta Hydri IV. Oh, non ha avuto bisogno di ingannarmi, di usare i suoi sistemi ambigui. Ha semplicemente fatto leva sulla mia ambizione. C’è un mondo su cui vive una specie sconosciuta mi disse, e vogliamo che un uomo vada a esplorarlo. Probabilmente si tratta di una missione-suicidio, ma chi la porterà a termine sarà il primo uomo ad avere avuto contatti con una specie intelligente che non sia la nostra. La cosa v’interessa? Naturalmente accettai. E poi, quando tornai conciato a quel modo, lui cercò di sfuggirmi. Non so se non poteva sopportare la mia presenza, o se si sentiva colpevole. Finalmente riuscii ad acciuffarlo e gli dissi: Guardatemi, Charles. Ecco come sono ridotto, ora. Che cosa posso fare? Dove posso fuggire? E gli andai vicino. La sua faccia cambiò colore e gli lessi il disgusto negli occhi. Poi lui mi ricordò il labirinto di Lemnos.»

«Perché?»

«Me lo propose come un rifugio ideale. Forse sperava che ci sarei crepato. Ma io gli risposi che non ci pensavo nemmeno, che non avrei mai fatto niente di simile. Poi me ne andai per un mese nella New Orleans Sotterranea, e quando tornai alla superficie noleggiai un’astronave e venni qui, facendo il possibile per far perdere le mie tracce, perché nessuno scoprisse dov’ero diretto.»

«Ma come avete fatto a penetrare nel labirinto?»

«È stata pura sfortuna.»

«Sfortuna?»

«Avrei voluto morire in una vampata di gloria, non me ne importava niente di sopravvivere. Sono entrato diritto, e ho puntato verso il centro. Il guaio è, Ned, che ho la pelle dura. Sono refrattario alla morte; è un dono innato, forse una qualità paranormale. Ho dei riflessi fuori del comune, e anche il mio istinto di conservazione è particolarmente sviluppato. E poi avevo dei rivelatori di massa e qualche altro apparecchio utile. Così sono entrato nel labirinto; ogni volta che incontravo uno scheltro facevo un po’ più attenzione del solito. E quando mi accorgevo che la visione delle cose si faceva confusa, mi fermavo e riposavo. Ero certo che sarei morto nella zona H. Lo desideravo. E invece sono riuscito dove tutti gli altri avevano fallito. Hai fame, ragazzo?»

«Un po’.»

«Sta’ tranquillo, ti porto qualcosa da mangiare.»


Muller s’avviò verso gli edifici vicini e scomparve. Rawlins disse, con calma: «È terribile, Charles. Ha perso l’uso della ragione.»

«Non contarci troppo» rispose l’altro. «Può darsi che stia recitando una commedia per provare la tua buona fede.»

Infine Muller tornò, con un piatto di carne e una bella coppa di cristallo piena d’acqua. «È tutto quello che ho» disse.

L’acqua aveva un profumo gradevole, o meglio, mancava completamente di qualsiasi odore sgradevole. Muller si sedette tranquillamente davanti alla gabbia, e cominciò a mangiare anche lui. Rawlins notò che l’effetto delle sue radiazioni non pareva più così tormentoso, neanche a una distanza inferiore ai cinque metri. Evidentemente l’organismo si abituava.

«Non vorreste uscire di qui e venire a conoscere i miei compagni, tra qualche giorno?» chiese Ned a un tratto.

«No. Non ci penso nemmeno.»

«Sarebbero felici di parlarvi.»

«A me, invece, non interessa affatto parlare con loro. Preferirei parlare con gli animali selvatici.»

«Con me, però, chiacchierate.»

«È la novità. E poi tuo padre era mio amico… E tu, ragazzo, nonostante il tuo stato di essere umano, sei sopportabile. Ma non voglio avere niente a che fare con una banda di archeologi con gli occhi che escono dalle orbite per la curiosità.»

«Potreste incontrarne soltanto due o tre, tanto per riabituarvi alla gente.»

«E perché dovrei riabituarmi alla gente?»

«Ecco… perché qui, adesso, di gente ce n’è» disse Rawlins, a disagio. «Perché non è bello isolarsi troppo…»

«Stai progettando qualche trucco? Hai intenzione di mettermi in trappola e di portarmi fuori del labirinto? Andiamo, ragazzo, tira fuori quello che hai nella testa! Perché stai cercando di abituarmi all’idea del contatto umano?»

Rawlins tremò. Nel silenzio imbarazzato che seguì, Boardman cominciò a parlare fitto, dandogli ordini e consigli suggeriti da una scaltrezza che al ragazzo mancava. Rawlins ascoltò e fece del suo meglio.

«Parlate come se io fossi un congiurato, Dick. Vi giuro che non medito niente di sinistro. Riconosco di aver cercato di sgelarvi un poco, di rallegrarvi, di farvi amico, e forse è meglio che vi dica il perché.»

«Lo credo anch’io.»

«L’ho fatto per amore dell’archeologia. Noi possiamo trattenerci qui soltanto alcune settimane, e voi ci siete stato nove anni. Conoscete tante cose di questo posto, Dick, e non mi sembra leale che ve le teniate per voi. Così ho sperato di rabbonirvi e magari convincervi a venire con me anche solo fino alla zona E, per parlare con gli altri, rispondere alle loro domande, spiegare quello che sapete sul labirinto.»

«Non è leale che mi tenga tutto per me, hai detto?»

«Ecco… sì. Tenere nascosto quello che si sa è un delitto.»

«E secondo te è leale che il genere umano mi consideri immondo e mi eviti?»

«Questa è un’altra faccenda. Non c’entra affatto con la lealtà. Voi vi trovate in una condizione particolare, una condizione disgraziata che non vi siete meritato e di cui tutti sono sinceramente addolorati, ma d’altra parte voi stesso dovete ammettere che, dal punto di vista degli altri Terrestri, è piuttosto difficile assumere un atteggiamento indifferente verso… verso la vostra…»

«Verso la mia puzza» concluse Muller. «E va bene. È difficile resistere alla mia presenza. Perciò io, di mia spontanea volontà, rinuncio a infliggerla ai tuoi amici. Togliti pure dalla testa che accetti di fare quattro chiacchiere con loro, di prendere insieme una tazza di tè o di avere rapporti di qualsiasi genere. Mi sono isolato dal genere umano, e ho intenzione di restare nel mio isolamento: che ti abbia concesso il privilegio di venirmi a rompere le scatole non significa niente.»

Boardman continuava a impartire istruzioni. Rawlins, con il sapore amaro della menzogna sulle labbra, continuò: «Non posso criticarvi per la vostra amarezza, Dick. Ma sono sempre convinto che non abbate il diritto di nasconderci quello che sapete del labirinto. Ripensate ai tempi in cui eravate un esploratore: quando dovevate atterrare su un pianeta, e venivate a scoprire che qualcuno sapeva qualcosa su quel mondo, non facevate forse ogni sforzo per tentare di ottenere tutte le informazioni che vi interessavano, anche se quel qualcuno aveva motivi personali per…»

«Spiacente, ma con me non attacca» disse Muller, gelido.

E se ne andò, lasciando l’altro solo nella gabbia, con due pezzi di carne e la coppa dell’acqua ormai quasi vuota.

Quando Muller fu scomparso, Boardman disse: «È un uomo sensibile, ma non mi aspetto dolcezza da lui. Comunque, lo stai conquistando, Ned: hai la giusta proporzione di scaltrezza e ingenuità.»

«E intanto sono in gabbia.»

«Questo è secondario. Possiamo mandarti un ricognitore a liberarti se quella non si apre da sola e presto.»

«Muller non ha nessuna intenzione di collaborare» disse Rawlins. «È pieno di livore. Sprizza odio da tutti i pori. Non ho mai conosciuto un uomo che odiasse tanto i suoi simili.»

«Tu non sai che cosa sia l’odio» disse Boardman. «E nemmeno lui lo sa. Tutto va benissimo. Naturalmente ci sono dei contrattempi, ma è importante, e significativo, che Muller abbia accettato di parlare con te. Muller non vuole odiare. Dagli solo mezza occasione per sgelarsi, e lo farà.»

Muller non tornò. Il giorno finì, l’aria si fece fredda e Rawlins si raggomitolò nella gabbia.

Cercò d’immaginare la città, quando era ancora viva, quando quella gabbia serviva per mettere in mostra i prigionieri catturati nel labirinto. Con gli occhi della fantasia vide una folla di creature basse e tarchiate, con la pelle verde e una folta peluria rossiccia, agitare le lunghe braccia e indicare la gabbia. E nella gabbia se ne stava accucciato un animale che sembrava uno scorpione gigantesco. La bestia raspava il suolo con gli artigli, ruotava gli occhi cattivi, e batteva la coda aspettando che qualcuno si avvicinasse tanto da poter essere afferrato. La città risuonava di una musica aspra, di risate strane e del caldo odore di muschio degli abitanti. I bambini sputavano al Erigioniero chiuso in gabbia. a creatura intrappolata, mostruosa e malevola, si sentiva terribilmente sola, poiché la sua tana era su un mondo di Alpheca o di Marckab, dove innumerevoli suoi simili strisciavano in gallerie scintillanti. Per giorni e giorni, gli abitanti della città labirinto passavano e ripassavano davanti alla gabbia, in una incessante processione, schernendo e minacciando il mostro. Ned cominciò a provare ripugnanza per i loro corpi tarchiati, le dita lunghe come gambe di ragni, le facce piatte dalle brutte zanne. E infine, un giorno, il pavimento della gabbia cedette. La gente si era stancata del prigioniero venuto da un altro mondo, e lo scorpione precipitò, sferzando furiosamente tutt’attorno con la coda, in una voragine irta di lame.

Era notte, ormai, e Rawlins non vedeva Muller da parecchie ore.

Gli animali vagavano nella piazza, per lo più creature di piccole dimensioni, tutte denti e artigli.

Il giovane si sentì assalire dalla fame e dal freddo, e scrutò nelle tenebre, in cerca di Muller. Questo non era più un gioco.

«Mi sentite?» disse a Boardman.

«Presto ti tireremo fuori.»

«Sì, ma quando?»

«Abbiamo già mandato un ricognitore, Ned.»

«Non dovrebbe metterci più di quindici minuti a raggiungermi. Questa zona non è molto pericolosa.»

Dopo una lunga pausa, Boardman disse: «Muller ha intercettato un ricognitore e l’ha distrutto, un’ora fa.»

«E perché non me l’avete detto?»

«Stiamo mandandone parecchi tutti insieme» disse l’altro. «Almeno uno sfuggirà all’attenzione di Muller. Va tutto bene, Ned. Non corri nessun pericolo.»

«Finché non succede qualcosa» disse Rawlins, cupo.

Freddo. Fame. Si appoggiò al muro e aspettò. Vide un animaletto snello inseguire furtivo e uccidere un animale molto più grosso di lui, cento metri più in là, nella piazza. Poi osservò le bestie che si nutrivano di carogne gettarsi sul corpo senza vita e farlo a pezzi, disputandosi i brandelli di carne sanguinante. Allungò il collo, sperando di veder arrivare il ricognitore che l’avrebbe liberato. Niente ricognitori in arrivo.

Si sentì una vittima in attesa d’essere sacrificata.

Gli spazzini avevano finito il loro lavoro. Con passo leggero attraversarono la piazza e si diressero verso di lui. Ricordavano le donnole, col muso appuntito e le zampe palmate dalle quali sporgevano artigli gialli e ricurvi. Gli occhi erano rossi, cerchiati di giallo. Lo fissavano con interesse, solennemente, pensosamente. Sul muso c’erano ancora tracce di sangue, denso e rosso.

Una testa affusolata si introdusse fra due sbarre della gabbia. Rawlins tirò un calcio e la bestia si ritrasse. Ma subito ne ricomparve un’altra, a sinistra, poi tre.

E poi gli animali cominciarono a infilarsi nella gabbia da tutte le parti.

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