16

Il mattino seguente, quando s’incontrarono di nuovo, fu più facile per entrambi. Dopo aver dormito profondamente grazie alla macchina del sonno, Rawlins tornò nel cuore del labirinto e trovò Muller in piedi, accanto a un palo di metallo scuro, a base quadrata, che sorgeva al limite della grande piazza.

«Che cosa sarebbe questo, secondo te?» gli chiese Muller mentre il ragazzo si avvicinava. «Ce ne sono otto, uno per ciascun angolo della piazza. Sono anni che li osservo. Girano. Guarda qui.» Indicò una faccia del palo. Rawlins avanzò, e quando fu a una decina di metri di distanza cominciò a captare l’emanazione di Muller. Tuttavia, si fece forza e si avvicinò ancora.

«Vedi?» disse Muller, dando un colpetto all’asta.

«C’è una tacca.»

«Mi ci sono voluti sei mesi per farla. Ho adoperato una scheggia del materiale cristallino che si trova in quel muro laggiù. Ho continuato a graffiare, ogni giorno per un paio d’ore, fino a che la tacca è stata sufficientemente visibile. Poi ho sempre tenuto d’occhio quel segno: nel corso di un anno locale compie un giro completo. Così ho appurato che questi pali ruotano su se stessi. Non si nota il movimento perché è lentissimo, ma ruotano. Si direbbero dei calendari.»

«Sono… Possono… Non avete mai…?»

«Dici frasi senza senso, ragazzo.»

«Scusate.» Rawlins indietreggiò di alcuni passi, cercando con tutte le sue forze di dissimulare l’effetto che la vicinanza di Muller aveva su di lui. Era congestionato e tremava. A cinque metri di distanza, però, la sensazione era meno tormentosa, e lui rimase lì, cercando di convincersi che cominciava ad abituarsi.

«Dicevi?»

«Avete tenuto d’occhio soltanto questo?»

«Ho fatto delle tacche anche in altri due o tre. Sono convinto che tutti ruotino, ma non ho ancora scoperto il meccanismo. Nel sottosuolo della città dev’esserci una specie di cervello portentoso. Ha milioni di anni, ma funziona ancora. Probabilmente è fatto di un metallo liquido, e i dati programmati ci galleggiano dentro. È questo cervello che fa ruotare i pali, regola la riserva d’acqua e pulisce le strade.»

«E aziona i trabocchetti.»

«Esatto. Ma non sono riuscito a trovarlo. Ho fatto degli scavi, qua e là, ma inutilmente. Forse voi, maledetti archeologi, riuscirete a localizzare il cervello della città. Avete già qualche indizio?»

«No, non credo. Io in genere, però, sto fuori dal labirinto, a dirigere le operazioni di ingresso. Quando sono entrato, sono venuto direttamente qui. Perciò, non posso sapere quello che gli altri hanno scoperto nel frattempo. Ammesso che abbiano scoperto qualcosa.»

«Hanno intenzione di scalzare le pietre delle strade?»

«Credo di no. Non usa più il sistema degli scavi. Ci serviamo di ricognitori sensori, e raggi-sonda.» Sorpreso dalla disinvoltura con cui riusciva a improvvisare, si gettò a capofitto nell’argomento. «Un tempo, l’archeologia distruggeva. Per scoprire che cosa ci fosse sotto una piramide, bisognava rimuoverla. Adesso si può fare di più e di meglio con i ricognitori. Questa è la nuova scuola: penetrare il mistero del suolo senza scavare, conservando così, intatti, i monumenti del passato per il…»

«Quindici anni fa, su uno dei pianeti di Epsilon Indi» lo interruppe Muller «una squadra di archeologi smantellò completamente un monumento funerario costruito da una razza sconosciuta, e poi non riuscì più a rimetterlo assieme. Non avevano capito i criteri su cui era basata la struttura dell’edificio. Si provarono a rimontarlo, ma il monumento crollò a pezzi e andò perduto per sempre. Due o tre mesi più tardi mi è capitato di vederne le rovine. Ma certamente tu conosci questo caso.»

Rawlins non ne sapeva niente. Arrossì e disse: «In ogni campo ci sono gli incompetenti!»

«Mi auguro che non ce ne siano anche tra voi. Non voglio che il labirinto venga danneggiato. Comunque, non sarebbe facile. Si difende bene da sé.» Si scostò di qualche passo dal palo e soggiunse, quasi parlando a se stesso: «Le gabbie si sono chiuse di nuovo.»

«Le gabbie?»

«Guarda laggiù. In quella strada che parte dalla piazza.»

Rawlins vide una nicchia scavata nel muro di un edificio. Dal terreno spuntavano una decina o forse più di sbarre curve di pietra bianca, che scomparivano dentro il muro a un’altezza di quattro metri circa, formando una specie di gabbia. Più in là, nella stessa strada, si vedeva un’altra gabbia uguale.

«Ce ne sono almeno venti, sistemate simmetricamente lungo le strade che sboccano nella piazza» disse Muller. «Da quando sono qui, si sono aperte tre volte. Le sbarre scorrono dentro il terreno e scompaiono. Il fenomeno si è verificato per la terza volta due notti fa. Non sono mai riuscito a vedere le sbarre aprirsi o chiudersi. Nemmeno quest’ultima volta.»

«A cosa credete che servano?»

«A tenerci bestie feroci, o nemici fatti prigionieri.»

«Ma adesso…»

«La città si preoccupa ancora di servire la sua gente. Ci sono diversi nemici nelle zone periferiche e le gabbie sono pronte, nel caso che questi vengano catturati.»

«Saremmo noi?»

«Sì. Nemici.» Gli occhi di Muller scintillarono all’improvviso di collera. La facilità con cui passava da un atteggiamento normale alla furia gelida tipica del paranoico era impressionante. «L’«Homo Sapiens»» riprese «il più pericoloso, spietato, spregevole animale dell’Universo!»

«Lo dite come se ne foste convinto.»

«E lo sono.»

«Andiamo…» disse Rawlins. «Avete dedicato la vostra vita al servizio della razza umana. Non potete credere…»

«Ho dedicato la mia vita» disse Muller lentamente «al servizio di Richard Muller.» Si voltò in modo da veder bene Rawlins. C’erano sei o sette metri tra i due, ma la radiazione era forte come se fossero a contatto. «L’umanità mi interessava molto meno di quello che tu puoi pensare, ragazzo mio» riprese Muller. «Vedevo le stelle e volevo farle mie. Volevo diventare un dio. Un mondo solo non mi bastava più: li volevo tutti per me. Così ho scelto una carriera che mi portasse verso le stelle. Ho rischiato la vita migliaia di volte e sopportato temperature estreme. Mi sono rovinato i polmoni con gas sconosciuti, e i medici hanno dovuto ricostruirmi da capo a piedi. Ho mangiato cibi che ti farebbero star male solo a vederli. Molti ragazzi come te mi hanno idolatrato e hanno scritto migliaia di temi sul mio altruismo, sulla mia dedizione; alla causa dell’umanità, sulla mia instancabile ricerca di cose nuove. Ma veniamo al sodo. Io sono altruista quanto lo sono stati Colombo, Magellano e Marco Polo. Sono stati grandi esploratori, è vero, ma si aspettavano anche una lauta ricompensa. E anch’io volevo una ricompensa: volevo innalzarmi migliaia di chilometri sopra gli altri mortali. Volevo che migliaia di statue d’oro mi raffigurassero su mille mondi. T’interessi di poesia? È l’ansia della fama, che sprona il poeta. L’ultima infermità della nobile mente… Milton. Conosci gli autori greci? Quando un uomo supera se stesso, gli dèi lo abbattono. Io ne ho fatto l’esperienza, purtroppo. Mentre scendevo attraverso le nubi per far visita agli Hydrani, mi sentivo un dio. E in quel momento lo ero davvero. E anche quando sono risalito tra le nubi, mi sentivo una divinità. Per gli Hydrani lo sono ancora. Ci ho pensato, allora. Mi ero detto: Sono entrato a far parte della loro mitologia, si tramanderanno per sempre la mia storia.»

«La gabbia…»

«Lasciami finire» scattò Muller, con violenza. «Vedi, in realtà io non ero un dio, ma un misero mortale che s’illudeva, a cui i veri dèi hanno impartito una severa lezione. Hanno deciso di ricordarmi che dentro di me, sotto gli indumenti di plastica, c’era una bestia pelosa. Così hanno fatto in modo che gli Hydrani eseguissero un abile intervento chirurgico sul mio cervello, una loro specialità, credo. Non so se gli Hydrani desiderassero nuocermi o se volessero invece guarirmi da un difetto, e cioè dall’incapacità di comunicare agli altri le mie emozioni. So soltanto che hanno fatto un bel lavoro. E poi sono tornato sulla Terra: eroe e lebbroso insieme. Vienimi vicino, e ti sentirai male. E sai perché? Perché quello che senti ti ricorda che anche tu sei una bestia. È un circolo chiuso: gli altri mi odiano perché, avvicinandomi, scoprono molte cose su se stessi, e io li odio perché si tengono lontani da me. Io, vedi, sono un appestato, e la peste che porto in me è la verità. È una fortuna per l’umanità che gli uomini siano ognuno chiuso nel proprio cervello, perché se fossimo anche solo minimamente telepatici, anche se riuscissimo a trasmetterci soltanto sensazioni e non parole, non potremmo sopportarci a vicenda. Gli Hydrani penetrano direttamente nella mente dei loro simili, e sembra che la cosa li diverta, ma noi siamo diversi. Per questo dico che l’uomo è l’animale peggiore dell’Universo. Non può nemmeno sopportare l’odore dei suoi simili.»

«La gabbia si sta aprendo!» gridò Rawlins.

«Cosa? Lasciami vedere!» Muller balzò in avanti. Rawlins non fece in tempo a tirarsi da parte, e ricevette in pieno l’ondata di emanazioni. Ma questa volta l’esperienza fu meno penosa. Gli vennero alla mente visioni autunnali: foglie secche, fiori appassiti, vento polveroso e crepuscolo precoce. Provò rimpianto, più che angoscia, per la brevità della vita, l’ineluttabilità della condizione umana.

«Si sono già ritratte di parecchi centimetri. Perché non me l’hai detto prima?»

«Veramente ho tentato di farlo, ma non mi avete ascoltato.»

«Io e i miei maledetti soliloqui!» Muller rise. «Ned, sono anni che aspetto di vedere le sbarre che si muovono. Guarda come scorrono facilmente scomparendo nel terreno! È molto strano, Ned: non si sono mai aperte due volte nello stesso anno, e ora, in una settimana, è successo due volte.»

La gabbia era completamente spalancata, adesso. Non c’era più traccia delle sbarre, era rimasta solo una fila di fori nel piano stradale.

«Non avete mai provato a mettere qualcosa in una gabbia?» domandò Rawlins.

«Sì. Una volta ci ho trascinato dentro la carogna di una grossa bestia. Non è successo niente. Poi ho tentato con un paio di animaletti vivi. Ancora niente.» Aggrottò la fronte. «Avevo pensato di entrare io stesso nella gabbia, per vedere se si sarebbe chiusa automaticamente sentendo la presenza di un essere umano vivo. Poi ho rinunciato. Quando si è soli, non si possono fare esperimenti del genere.» Tacque un istante, poi chiese: «Non vorresti aiutarmi in un piccolo esperimento, Ned? Entra nella nicchia e restaci un minuto. Per vedere se la gabbia si chiude.»

«E se si chiude» disse Rawlins, senza pensarlo sul serio «avete la chiave per farmi uscire?»

«Ho diverse armi. Posso sempre tagliare le sbarre col laser.»

«Sarebbe vandalismo. Non mi avete raccomandato di non distruggere niente, qui?»

«Qualche volta bisogna distruggere per imparare. Entra, Ned.»

La voce di Muller era diventata inespressiva, strana. Aspettava in piedi, leggermente curvo in avanti, le braccia un po’ scostate dai fianchi, e le mani rivolte in avanti. Ha tutta l’aria di volermici buttare lui, se non ci vado da solo pensò Rawlins.

La voce di Boardman disse, calma: Fa’ come dice, Ned. Entra nella gabbia. Dimostragli che hai fiducia in lui.

Di lui mi fido pensò Rawlins, ma non mi fido di quella gabbia. Nella mente gli passò la visione di un pavimento che sprofondava silenziosamente non appena le sbarre si erano richiuse, facendolo precipitare in un serbatoio sotterraneo di acido, o in un lago di fuoco. Un trattamento riservato ai nemici della città.

Forza, Ned lo sollecitò Boardman.


Un gesto grandioso e pazzesco. Rawlins passò oltre la fila di fori, e si appoggiò con la schiena alla parete. Quasi istantaneamente, le sbarre spuntarono dal pavimento e si inserirono nel muro senza lasciare la minima fessura. Il pavimento, comunque, non sprofondò, e nessun raggio mortale fulminò il prigioniero.

«Magnifico!» disse Muller. «Probabilmente «sente» una creatura intelligente. Quando ho provato con gli animali non è successo niente. Che ne dici, Ned?»

«Sono felicissimo che il vostro esperimento sia riuscito, ma sarei anche più felice se adesso mi faceste uscire.»

«Non posso controllare i movimenti delle sbarre.»

«Avete detto che le avreste tagliate col laser.»

«Ma perché distruggerle subito? Aspettiamo ancora un poco. Può darsi che si aprano di nuovo, spontaneamente. Lì sei perfettamente al sicuro. Ti porterò da mangiare, se hai fame.»

Non perdere la calma gli raccomandò Boardman. Se sarà necessario ti tireremo fuori noi. Devi cercare di accontentarlo il più possibile fino a quando non sarai riuscito a stabilire con lui veri rapporti di amicizia.

«Hai dato prova di grande coraggio, Ned. O di stupidità. Non sono del tutto sicuro che fra le due cose ci sia qualche differenza. Comunque, ti sono riconoscente. Dovevo sapere a che cosa servivano quelle gabbie.»

«Sono contento di esservi stato utile. Come vedete, gli esseri umani non sono poi dei mostri!»

«Coscientemente, no. È il marciume interno che è disgustoso, Ned.» Si sedette per terra, a gambe incrociate.

«Non avete cercato di farvi curare, quando siete tornato sulla Terra?»

«Ho parlato con alcuni specialisti di rigenerazione; ma non sono riusciti neanche a intuire quali alterazioni fossero state apportate al mio flusso neurale e di conseguenza non sono riusciti a capire che cosa si potesse fare.»

«Quanto ci siete rimasto, sulla Terra?»

«Pochi mesi, ma abbastanza per rendermi conto che non esisteva un solo essere umano capace di resistere vicino a me più di pochi minuti. Ho provato con una quantità di farmaci, poi sono passato all’alcol, e alla fine ho cercato di vivere il più pericolosamente possibile. Ma sono rimasto vivo. Nel giro di un mese sono stato ricoverato in quattro istituti neuropsichiatrici, l’uno dopo l’altro. Ho provato a portare un elmetto di piombo perché facesse da schermo alle emanazioni mentali. Ma era come cercare di tener chiusi dei neutrini servendosi di un secchio.» Muller sputò. «Sai, io ero un tipo socievole, ma sapevo anche star solo. In mezzo alla gente stavo bene, riuscivo simpatico a tutti per la mia cordialità. Ma non ero un tipo tranquillo, angelico come te, che irradi cortesia e nobiltà da tutti i pori. Ho sempre condotto una vita ricca ai relazioni, complessa, agitata. Tuttavia, durante i miei viaggi me ne stavo anche un anno senza vedere anima viva, e non ne soffrivo affatto. Però, quando mi sono accorto di essere escluso dalla società per sempre, ho capito che in fondo avevo bisogno degli altri. Adesso, però, è tutto superato. Ho vinto questa esigenza, ragazzo mio. Posso passare anche cent’anni in solitudine, senza sentire la mancanza di nessuno. Mi sono abituato a considerare l’umanità come l’umanità considera me: qualcosa di nauseante, che è meglio evitare. Andate tutti al diavolo! Io non devo niente a nessuno di voi, neanche l’amore. Non ho obblighi e potrei anche lasciarti marcire in questa gabbia, Ned, senza sentirmi turbato. Potrei benissimo passare davanti a questa gabbia due volte al giorno e ridere alla vista del tuo cadavere in decomposizione!»

«Parlate come se apparteneste a un’altra razza.»

«No. Appartengo alla razza umana. Anzi, sono l’essere umano più umano che esista, perché sono l’unico che non riesce a nascondere la propria «umanità». Quello che è dentro di me, è anche dentro di voi. Io sono il teschio che sta dietro la faccia, lo scheletro nascosto. Sono tutta la sporcizia che fingiamo di non vedere, la lussuria, l’odio, la ripugnanza, l’invidia.»

«Perché avete deciso di venire proprio qui, su Lemnos?» chiese Rawlins, pacatamente.

«Un certo Charles Boardman mi ha messo l’idea in testa.»

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